giovedì 28 febbraio 2008

XXAlps 2004 - I parte - Com'è nato il sogno

Torniamo un po' indietro nel tempo, questa volta, per raccontare l'avventura che ha stravolto e reso ancor più straordinario il mio già bellissimo mondo su due ruote.

Correva l'anno 2003, la vigilia della Maratona dles Dolomites. Quella sera ero a spasso tra le case di Pedraces con Paolo, il mio ex moroso. Ci siamo avvicinati per guardare la cartina su un pannello di quelli usati per le informazioni turistiche; m'è caduto l'occhio su un piccolo plico di volantini appoggiati alla mensola, lì sotto. C'erano foto di bici: non ho potuto fare a meno di allungar la zampa, prenderne uno, aprirlo.

XXAlps. Nationals, Extreme. Tutto scritto in tedesco, non si capisce una fava. Però è evidente che dev'essere qualcosa di tosto, sul serio. Oltre 2000 km, 45.000 mt di dislivello... Si parla di tappe, si vede una linea colorata che percorre tutte le Alpi, dal Liechtenstein all'Austria, alle Dolomiti, alla Svizzera, alle Alpi francesi. Mi paralizzo su questo pezzo di carta di cui non riesco ad interpretare che poche parole, lo guardo e riguardo, quasi dovessi stamparmelo in mente. Poi, in un accesso di buonsenso, lo richiudo e lo rimetto dove l'ho preso.

Ma quel nome lì, XXAlps, si è già scavato la sua piccola nicchia nella mia memoria...

Il lunedì sera, a casa, mi precipito a cercare qualcosa di più su Internet. E lo trovo, eccome, se lo trovo! C'è un bel sito, www.xxalps.com. C'è anche la versione inglese. Musica per i miei occhi: quasi mi manca il fiato... E' una corsa in due versioni, la XXAlps Nationals che prevede 10 tappe, dal Liechtenstein alla Costa Azzurra, e la XXAlps Extreme che percorre lo stesso identico tragitto, ma in versione no stop. Basta. Folgorazione. Calma Gian, respira lungo, piano, guarda che così ti viene un coccolone!!! Vuoi scendere dalle nuvole, si o no? Questa non è roba per te, forse non lo sarà mai, comunque, non adesso. E poi, per quest'anno, iscrizioni chiuse, morte, sepolte. Adiòs.

Quell'estate, passano le le altre GF, le vacanze, le innumerevoli salite nel Cuneese e in Francia. Ed infine arriva l'autunno: un po' di quiete per le gambe, ma via libera alla fantasia. La XXAlps torna prepotentemente a farsi strada tra i miei pensieri. Anzi, direi piuttosto, tra le mie ossessioni. Son fatta così... Se mi metto in testa una cosa, non c'è niente da fare, prima o poi la devo realizzare, altrimenti è proprio una sofferenza, è un tormento! E poi, sono dell'idea che le occasioni, quando capitano, vadano colte, sempre. Magari poi faccio fiasco, ma almeno non resto con il rimorso di non aver provato!

Punterò ovviamente alla versione Nationals. Certo, la Extreme sarebbe una corsa eccezionale, ma non è pensabile, per me, che non ho esperienza di nulla che possa anche solo avvicinarsi a quel modo di andare in bici. Per ora. E poi, la Extreme ha un costo esagerato, richiede equipaggiamento e squadra al seguito, insomma, non è una cosa che si possa improvvisare. Richiede la capacità di stare in bici giorni e giorni di fila, soprattutto... Dài Gian, hai ventidue anni, ne avrai, di tempo, per provare cose del genere. Ma la Nationals no, quella non me la faccio sfuggire. Posso farla da sola: quindi, dov'è il problema? Si va!

Ma siamo solo a settembre, mancano undici mesi all'evento. Mi stampo il profilo di ogni singola tappa ed appendo ciascun foglio all'armadio della camera, fino a tappezzarne una buona parte. E poi guardo e riguardo questo capolavoro e cerco di immaginare cosa ne sarà di me quando avrò sotto le ruote i km che per ora vedo sui fogli, tanti numeretti.
Le tappe si aggirano tutte sui 200 km; la più lunga è 240, la più breve 170 o giù di lì, con fior di salite in mezzo. Ed è questo che mi preoccupa di più: sarò in grado di reggere dieci giorni così? Con un solo giorno di pausa in mezzo? In pratica, avrò appena il tempo di dormire un poco, tra una tappa e l'altra, visto che sono tutt'altro che un fulmine. E il giorno dopo, come sarò? Ancora in grado di star su una bici? Mah... Certo che, come progetto, è davvero ambizioso. Si tratterà di vivere undici giorni, nella seconda metà di agosto, in bici.

La XX diventa il mio chiodo fisso. In realtà non so bene cosa fare, come prepararla. Semplicemente perché non ho la minima idea di cosa mi attenda sul serio. Conosco molti dei passi che percorrerò nella gara: il Rombo, il Giovo, lo Stelvio, il Bernina, il San Bernardino, e poi l'Iseran, il Galibier, la Bonette e tanti altri... Però, non posso immaginare cosa voglia dire percorrerli a tre, quattro, cinque per tappa, giorno dopo giorno, senza possibilità di riposare e recuperare. Sono del tutto impreparata. E così imbecille che non mi viene nemmeno in mente di fare qualche ricerca, contattare qualcuno che abbia esperienza di corse del genere, chiedere consiglio. No, vado allo sbaraglio. Tutto quel che faccio, tra l'autunno del 2003 ed il fatidico agosto 2004, è pedalare, pedalare, nient'altro che pedalare, collezionando salite una dietro l'altra, uscite dure in giorni consecutivi, e in mezzo le granfondo. Sempre con il sogno, o l'incubo, negli occhi. Agosto 2004 è già dietro l'angolo...

martedì 26 febbraio 2008

24 febbraio 2008 - Granfondo Città di Albenga

Fantastico... Non sono ancora le otto del mattino e ci sono già 10 gradi. Il vento non sembra essere feroce come al solito, da queste parti: bene, la giornata nasce sotto i migliori auspici! Anche se arrivo ad Albenga già con un bel mal di testa... Devo guidare davvero male, se riesco a patire le curve del Colle San Bernardo anche quando al volante ci sono io!!!

Poco male, passa tutto subito, un po' per l'aria di mare, un po' per la tensione della corsa imminente. Beh, imminente più o meno; si parte tra due ore!
Sbaglio strada una decina di volte prima di raggiungere la zona partenza; quando finalmente ci arrivo, noto con stupore un'insolita quiete: ma come, sono a poche centinaia di metri dal via e ci sono parcheggi e parcheggi completamente vuoti? Uhm... Non è che per caso gli altri sanno qualcosa che io non so? Vabbè, non importa, già sono agitata per conto mio; non aggiungiamo altre ragioni di preoccupazione. Io l'auto la mollo qui e vado a fare la mia corsa; se poi me la rimuovono, pace, sarà un problema di cui mi occuperò dopo!!!

Il cielo è nuvoloso, ma non fa freddo, affatto. Sono già pronta; passo sotto il ponticello della ferrovia ed eccomi sul lungomare. Questa è l'unica stagione in cui adoro il mare, le barche quasi abbandonate sulla spiaggia, pochi bipedi e tanti quadrupedi che scorrazzano sulla sabbia. In zona partenza è tutto tranquillo, pochi ciclisti, poco rumore: è insolito! Ma davvero ci sarà così poca gente? Allora sono proprio spacciata... Stavolta l'ultimo posto non me lo leva proprio nessuno... Eh bè, pazienza, ormai sono in ballo, devo ballare! Ritiro il numero, lo piazzo sulla bici non senza fatica, per via delle mani che come sempre tremano già, poi mi allontano. Prima della scorsa GF, a Laigueglia, ho fatto una buona dose di riscaldamento pre gara ed ho avuto l'impressione che sia stata una buona idea; stavolta intendo fare altrettanto. Eccomi allora pedalare su e giù per il lungomare, anche se il mare non lo vedo, perché la strada è pizzicata tra il terrapieno della ferrovia e le serre e le casette vacanze. Ma non importa, non ho la testa, adesso, per ammirare il panorama! Lo farò, se riesco, dopo la corsa. In questo momento, sono agitata come se dovessi lottare per il podio e non per finire la gara entro il tempo massimo!!!

Son circa le nove e mezza quando entro in griglia. Per fortuna, trovo subito un compagno di squadra con cui attaccare bottone: è un simpatico chiacchierone; la mezz'ora di attesa, grazie a lui, passa via in un lampo!
pronti, via, si parte. Ormai so già cosa aspettarmi: schizzo in piedi sui pedali, spingo tutto quel che posso, poi all'improvviso inchiodo, tutti fermi, si riparte, si ricomincia da capo, e ancora fermi... Anche stavolta, gente che passa sui marciapiedi, che urla, che sgomita, che passa a destra, sinistra, sotto e sopra pur di guadagnare due posizioni (salvo poi perderne duecento quando arriverà la salita...), urca, qui l'importante è solo conservare la pellaccia!

Per mia grande fortuna, l'incubo finisce presto. Via con la prima salita, quella di Arnasco. Cominciamo bene! Le gambe girano a meraviglia! Piano, per carità, però non sento fatica, anzi, mi verrebbe voglia di provare a spingere un po'! Però, meglio che mi trattenga. Non ho idea dell'altimetria, ho solo una vaga idea del fatto che mi attendono tre salite; meglio non far la furba. I 160 e rotti km di ieri nelle Langhe, per ora, non sembrano dare fastidio, ma non chiediamo troppo alla sorte!
Pian piano, riacchiappo tanti di quelli che nel tratto di pianura mi hanno lasciata indietro. E' bellissimo sentire le gambe che girano così e, lo ammetto, anche i commenti di alcuni tra i più "sportivi" che restano indietro ma non si arrabbiano. Tanto, so già che è tutto fumo e niente arrosto: non appena arriva la prima discesa, fine dei sogni di gloria, mi ripassa davanti il mondo intero. Un po' di saliscendi, dove io fatico tantissimo e non sono capace di tenere le ruote di chi mi sorpassa; un po' di discesa dove tiro i freni, ed è fatta, arrivo in fondo che son già quasi sola.

Per un caso che ha del miracoloso, mi sorpassa un amico, anche lui di Carmagnola, che, in un momento di pietà nei miei confronti, mi aspetta e mi tira nel tratto, per fortuna breve, di pianura prima della seconda salita, quella che va su a Onzo e poi a Leverone. Faccio una fatica ignobile a seguire la mia locomotiva; gli tocca, poverello, rallentare più volte, perché io mi stacco inesorabilmente. Per fortuna, anche qui, la salita viene in mio soccorso. Ancora, le gambe stanno bene. Peccato che, qui, i tratti di vera salita siano interrotti da lunghi falsipiani che mi fan vedere le stelle. Comincia a fare caldo sul serio, anche se il cielo resta grigio. Che belle, queste strade tra i muretti a secco e gli uliveti...

Arrivo in cima, altra discesa: qui, quei pochi ciclisti che ancora vedevo intorno a me mi sorpassano tutti e vanno via. Sono abbastanza rassegnata all'idea di essere l'ultima. Però, strano... Gli incroci sono ancora presidiati, forse gli assistenti aspettano ancora qualcuno, forse non sono proprio l'ultimissima! Bah, poco importa.

Altro breve tratto di falsopiano; trovo un comodissimo treno di due ciclisti che mi portano fino alla base dell'ultima ascesa, il Passo del Ginestro, la Cima Coppi della giornata. Mi resta un po' il rimorso d'aver fatto una carognata: in salita, presa dall'entusiasmo, parto un po' allegra e mi accorgo poi, più avanti, di averli persi per strada! Beh, almeno grazie l'ho detto, prima di staccarli...

Via, su per il Ginestro, ancora una volta le mie gambette stanno bene. Sono senza parole, troppa grazia! Anche qui, riacchiappo qualcuno... Però, è un tira e molla: io recupero quando la strada sale un po' più decisa; gli altri mi acchiappano e mi passano non appena la pendenza cala e c'è qualche tratto più veloce. Possibile che io non riesca a far le curve senza frenare??? Capisco in discesa, ma quando la strada è praticamente piatta, è ridicolo... Immagino lo stupore di chi mi vede in queste situazioni; penso d'essere più rigida di un baccalà. Ma che ci posso fare, se la natura mi ha negato il gene dell'equilibrio?

Nei km finali, quelli che pendono un po' di più, supero un ciclista che mi chiede quanto manca; rispondo che non ne ho idea, e infatti è proprio vero: ho un vago ricordo che mi dice che siamo quasi a fine salita, ma non ne sono certa. Il ciclista mi dice che vado forte... Lo so che non è vero, altrimenti sarei già molto più avanti, ma quella frase mi mette le ali ai pedali! Arrivo in cima e, come sempre, sull'onda dell'entusiasmo, mi dico: "Adesso niente storie, GUAI A TE se tocchi i freni!". Fermo, incrollabile proposito che la prima curva spazza via... Mi aggrappo alle leve, sibilo un poco elegante "Miiiiinghiamomentimammazzo!".

Sarà che sono stanca, ma il tratto di saliscendi dopo lo scollinamento mi pare eterno, davvero eterno. Non scende mai decisa, questa strada; rimane in quota, sale dolce, scende dolce... Sono in un gruppetto, c'è una donna con i suoi due gregari ed un curioso ciclista con un gilet di pile; devo riuscire a tenere almeno questi!!! Per disperazione, passo avanti io, mi sforzo, per quello che posso, di tenere una buona andatura che convinca i colleghi a restare dietro; però, più di tanto non riesco a reggere. E' inevitabile, mi superano, pian piano si allontanano, lasciandomi lì a frenare ad ogni curva. Ma quanto manca alla discesa vera?

Là in fondo si vede il mare. Non dovrebbe mancare molto. Infatti, dopo un po', si inizia a scendere, poi un breve tratto di risalita secca, infine giù decisi verso la piana di Albenga. C'è un po' di vento, ma niente di che. Il tratto finale è piatto piattissimo: mi metto giù, con le mani basse, ormai non c'è altro da fare che dare quello che resta. Passo la galleria, cerco di spingere più che posso, ma già le gambe si ribellano. Sono sola, non credo che ci sia più nessuno dietro di me. Invece, no: inaspettatamente, all'improvviso, mi sorpassa un gruppo di tre ciclisti che, somma generosità, mi permette di mettermi a ruota. Non avrei osato sperare tanto! Adesso sì che si ragiona... Loro tre tirano a turno, io ogni tanto ci provo anche, ma con risultati modesti. Mi sento inutile!!! Quanta pianura ci fanno fare alla fine... Pian piano, è evidente che ci stiamo spegnendo, ma non importa. Mancano pochi km, anzi, ecco lì il cartello dell'ultimo km. La curva secca ed il passaggio nella strettoia non ci impensieriscono: le volate non sono affar nostro! Gli inservienti stanno già smontando i cartelloni pubblicitari, quando passiamo noi... Ma non importa, siamo ancora nel tempo massimo. Concludo con una media di poco superiore ai 22 all'ora, con l'aggravante del fatto che ce l'ho proprio messa tutta, ed una posizione di fondo classifica... Ma dicono che l'importante sia partecipare, no?

domenica 17 febbraio 2008

17 febbraio 2008 - Pian del Re e Montebracco

La prima salita di vera montagna della stagione, ormai per tradizione, è quella di Pian del Re. E' un po' una "sfida", ogni anno, provare ad andar su sempre più presto, soprattutto perché la montagna, nei mesi invernali, mi manca da morire. Però, "presto" di solito significa marzo; non mi era mai capitato un attacco di follia tale da tentare l'arrampicata già a febbraio. Però, ci pensavo già da un paio di settimane: e se andassi a dare un'occhiata lassù?

Ho pensato bene di rendere pubblica la mia genialata, che è stata prontamente condivisa da due tra i pochi ciclisti di mia conoscenza che avrebbero potuto unirsi: Matteo, da Genova, e Luca, dalla Langa. Così, bel belli, siamo partiti stamattina, verso le nove e mezza, da Cardè. O meglio: Matteo ed io partiamo da Cardè, senza aver notizia di Luca, che temevamo - malpensanti!!! - fosse ancora a nanna sotto il piumone. Invece, giusto per farci sentire in colpa, e per allungare un po' il giretto, Luca è partito con anticipo in bici da Savigliano (!!!) e si è fatto millemila km di pianura in più, per poi acchiapparci a Barge. Ma vabbuò... Luca è di un altro pianeta, ormai lo so e non mi stupisco più! Naturalmente, lui pedalava con quello strumento di tortura che prende il nome di pedivelle Powercranks.

Già tra Cardè e Barge, ci superano parecchie auto con gli sci e le tavole da neve sul tettuccio. Evidentemente, i mezzi più adatti per la montagna, oggi, erano quelli!!! Non certo le bici da corsa... Fa un freddo pungente. La giornata è grigia, irrimediabilmente grigia; le previsioni meteo promettevano bel tempo, ancora ieri sera, ma evidentemente chi le ha elaborate era sotto l'effetto di qualche droga pesante... Lo zero termico era previsto per oggi a 900 metri, e su questo sì, mi sa che son d'accordo.

Passiamo Barge, iniziamo la salita della Colletta. Manco a dirlo, Luca e Matteo son già avanti. Fa molto freddo, ho i piedi gelati. La strada è umida e viscida di fango e ghiaia: basta alzarsi in piedi sui pedali per sentire la ruota posteriore che scivola. Tutt'intorno, nebbia. Mi spiace, accidenti: Matteo s'è sciroppato il viaggio fin qui da Genova e non vedrà nulla... Nemmeno il Monviso. Ci credo poco, che oggi si apra. Saremo già fortunati se non finiremo sotto una bella nevicata.

Trovo i miei colleghi in paziente attesa in cima alla Colletta; la breve discesa su Paesana basta per congelarmi le gambe. Chissà che calvario sarà l'intera discesa... Ma per ora non ci voglio pensare. Sono soddisfatta: per essere l'inizio della stagione, le gambe girano bene in salita; bene, ovviamente, per le mie scarse possibilità. Di solito, a stagione avanzata, fatico di più! Sarà che sono anche più cotta...

Ormai questa strada la conosco a memoria, metro dopo metro. Il "drittone" di Calcinere, il bivio per Oncino, i due tornanti, poi la strada ampia verso Crissolo. Intorno, sempre e solo grigio, nebbia, ghiaccio. Ecco il bivio per Oncino:



Tocca fare attenzione a non scivolare, anche in salita! I piedi, ne ho perso traccia... Speriamo che si riprendano, prima o poi!




La salita passa via veloce, in modo quasi sorprendente, per me. I miei compagni di sventura sono già molto avanti, ogni tanto mi aspettano, ma non mi demoralizzo più, ormai: non ho speranza di tenere il loro ritmo; tantovale che mi rassegni e faccia il mio passo. Prima di Crissolo, con qualche fiocco di neve che scende, un bel pezzetto di cioccolato Ritter al latte: che goduria... Una delle poche occasioni in cui posso mangiar cioccolato senza rimorsi! Non so se sto bruciando più calorie per la fatica della salita o più per scaldarmi...





Tornantino nel paese, e via verso Pian della Regina. Sembra strano, ma la strada è asciutta, qui, mentre, più in basso, era umida e viscida. Un po' di neve scende ancora, ma sono pochi fiocchi. Via via dalla nebbia spuntano le case di Serre, la neve lungo i pendii, il tornante secco poco prima di Pian Regina. Proprio qui spunta un timido raggio di sole: ma è un'illusione, dura un attimo e poi via...

A Pian Regina, tocca fermarsi. Ecco com'è la situazione...





... ed ecco come ci arrivo io!





Speravo, in cuor mio, che la strada, così pulita fin lì, rendesse possibile avventurarsi ancora un po' oltre la sbarra; invece, ai quattro km finali bisogna proprio rinunciare. A meno di non avere le racchette da neve!
Contrariamente alle mie abitudini, propongo una sosta al ristorante-bar proprio lì accanto. Non sono nemmeno riuscita a bere, salendo, perché l'acqua nella borraccia è ghiacciata; ho voglia di qualcosa di caldo. Ci godiamo con calma tre cioccolate, e soprattutto il caldo della stufa; poi, però, s'ha da scendere...

Primo mio errore madornale: per pigrizia, non mi cambio la maglia alla pelle, anche se ne ho una asciutta nello zaino. Secondo, ancor più grave: non ho portato un paio di guanti di ricambio. Quelli che ho sono ormai fradici. Capisco, dai primi metri di discesa, che sarà tutt'altro che facile...
Scendo a freni ben più tirati del solito, un po' perché non vedo nulla - gli occhiali si appannano; ho dovuto levarli, e così son cecata - un po' perché la strada è sporca e scivolosa. Il freddo mi assale, piedi, gambe, torace, mani. A Crissolo mi devo fermare: le mani sono completamente insensibili; non riesco più a frenare. Se non fosse per Matteo, che mi cede i suoi guanti di lana e quelli più spessi da metter sopra, mi toccherebbe restare qui, perché proprio non potrei pensare di scendere, se non a piedi.
I km che seguono sono un vero tormento. Ho freddo, tremo tanto da non riuscire a tener dritta la bici; mi gira la testa, un po' per il gelo, un po' per la paura, che in questi momenti mi prende, assurda ed incontrollabile. Ed è anche la rabbia perché sto rallentando e creando problemi anche ai miei compagni di viaggio. Loro sembrano insensibili al freddo: non so come facciano, davvero... Io mi stramaledico per la fesseria che ho fatto di non portare i guanti di ricambio; mi sforzo di stare calma sperando che arrivi presto Paesana... E Paesana arriva, prima o poi. Luca, poco prima, fora: con somma tranquillità, lui e Matteo risolvono il problema in un attimo. Mi vergogno della mia inutilità, ma non posso nemmeno dare una mano: le mie dita sono ingovernabili! Scendo ancora un po', torno indietro, ma non basta a togliermi via il freddo dalle ossa. No no, io a Montebracco non vado più... Chi mi tira giù da là sopra, poi? No no, un'altra discesa non la voglio fare!

Già, però... Poi lo so che mi pento... Lo so che mi resta il rimorso... Così rimugino, mentre da Paesana saliamo alla Colletta e in un tempo eterno, sempre per colpa mia, arriviamo giù a Mondarello. Ecco come siamo conciati Luca ed io:



Qui ci separiamo: Luca torna verso Savigliano; poverello, non lo invidio proprio, con tutta quella pianura che gli tocca sciropparsi adesso. No no! Matteo ed io, che nel frattempo ho cambiato idea, giriamo a destra per Montebracco.
Anche qui, Matteo parte a razzo e sparisce subito dalla mia vista; io salgo pian pianino, ma bene, insomma; sono soddisfatta, non fatico più del giusto, speriamo sia un buon auspicio. Solo a metà della salita, una bella tirata da sei km e più di 500 mt di dislivello, mi levo una delle due giacche. Quando mancano due km alla cima, incontro Matteo che sta già scendendo; ovviamente gira e torna su con me, tanto per gradire. Rampa dopo rampa, s'arriva in cima.






La mia discesa è degna delle comiche. Alla mia cronica incapacità in discesa si aggiungono la paura, il freddo, la strada viscida, la pendenza sostenuta di questa strada; scendo ad una velocità che penso stia ben sotto i dieci all'ora e in qualche punto, ebbene sì, scendo dalla bici!!! Penso d'essere l'unica ciclista che pedala in salita e cammina in discesa... Mi spiace per Matteo che aspetta pazientemente, ma non posso farci nulla. Sono sempre in difficoltà in discesa, ma ci sono momenti, come oggi, in cui le circostanze avverse, tutte insieme, mi rendono proprio un disastro, incapace anche di fare le manovre più elementari. Come se non fossi mai salita su una bici. In pratica, la mia salita a Montebracco oggi ha richiesto lo stesso tempo che ho impiegato in discesa, e purtroppo non scherzo e non esagero.

L'arrivo al fondo è una liberazione... Da Barge all'auto, son quindici km di leggera discesa e pianura, in cui ho solo due sogni: il riscaldamento dell'auto ed un piatto di agnolotti. Matteo prova a convincermi a stargli a ruota, ma non ho più né la voglia né la testa: penso solo a pestare disordinatamente sui pedali, per arrivare più in fretta possibile a Cardè. E infine a casa... Gli agnolotti!!! Ce li siamo proprio meritati...

Naturalmente, un GRAZIE al cubo è dovuto a Matteo e Luca, che anche oggi si sono armati di una dose industriale di pazienza per sopportarmi. Alla prossima!!!

sabato 16 febbraio 2008

Alpenbrevet 2005

Questa sera torno un po' indietro con le memorie ciclistiche. Sarà che, nei giorni scorsi, ho pedalato con la compagnia di un gran freddo, anche se per oggi non mi posso lamentare: m'è tornata in mente l'avventura del mio primo Alpenbrevet, una delle prime granfondo che sia riuscita a portare a termine nonostante il tempo da lupi.
Eh sì... Ci sono voluti anni di bici da corsa, per ficcarmi nel testone la consapevolezza che il freddo e la pioggia ok, sono sgradevoli, complicano parecchio la vita del ciclista, ma difficilmente uccidono! In particolare, la pioggia. Mi viene ancor la rabbia adesso, se penso a quanti bei giri e a quante granfondo ho letteralmente buttato via per colpa della pioggia. Anzi no, non per colpa della pioggia, ma per colpa della mia insensata paura! Di cosa, poi? Devo ancora capirlo adesso. Fa freddo, è vero, ma vabbè, si tratta di sopportare un po'. E' impresa ardua frenare in discesa, vero, ma in fondo basta un po' di cautela. E poi, una buona giacca impermeabile, e via!

Ero già ad Andermatt da una decina di giorni, insieme al mio (oggi ex) fidanzato: infausta idea, la mia, di andare da quelle parti in tenda... Per chi non lo sapesse, la condizione meteo tipica della zona di Andermatt è la pioggia. Oltre ad un freddo boia a cui è difficile, per noi che ad agosto abbiamo come minimo trenta gradi, adattarsi... Per la notte pre-gara, ho ceduto alle insistenze (sagge, col senno di poi) del mio ex di abbandonare la tenda e rifugiarsi in un albergo, onde evitare di presentarsi al via già stravolti.
L'Alpenbrevet prevede tre partenze scaglionate a seconda del percorso che si intende portare a termine: il Challenge (passi Susten - Grimsel - Nufenen - Lukmanier - Oberalp), il Classic (passi Susten - Grimsel - Nufenen - Gottardo), il Junior(passi Susten - Grimsel). Com'è ovvio, la mia ambizione è tentare il Challenge; quindi, metto il naso fuori dell'albergo quando ancora è buio. Anche troppo buio! Non si vedono nemmeno le stelle! In compenso, si sentono tante fastidiose goccioline sulla faccia... Andiamo bene! Già non ho alcuna speranza di riuscire a completare l'impresa, perché, ad Airolo, alla fine della discesa del Nufenen, bisogna arrivare entro un'ora tale che a me, per rispettare i tempi, servirebbe una moto (se si arriva troppo tardi, si viene dirottati sul percorso Classic e si sale al Gottardo). Dicevo, già è dura così. Figuriamoci poi se piove, al Challenge posso rinunciare in partenza!
Così rimuginando, dal paesino dove sono alloggiata, mi trasferisco ad Andermatt ed alla zona di partenza. Toh, che situazione insolita: fa un freddo boia e piove. Per fortuna, viste le premesse dei giorni precedenti, mi sono premunita; pantaloni lunghi invernali, giacca impermeabile, più bagaglio vario nello zaino.

La partenza di questa corsa, pure molto popolare, ha ben poco a che vedere con il via delle granfondo italiane. I ciclisti si mettono in griglia, tranquilli, aspettando senza esasperazioni, senza sgomitare per guadagnare un metro, senza tirarsela in modo esagerato, anzi. Molti hanno un aspetto che è tutto fuorché "semiprofessionistico". Continua a piovere; il cielo è appena un po' meno nero, ma è gonfio di nuvole che sembrano così pesanti da dover cadere su noi poveri pedalatori da un attimo all'altro. Sono preoccupata... Ahimè, lo so bene, come va a finire, di solito, in questi casi, per me! Ho già freddo freddo adesso... Mi guardo intorno, vedo volti per lo più sereni, rilassati come se nulla fosse: mamma mia, che fortuna, ci sono atleti che sembrano non aver paura di nulla! In effetti, non è che ci sia molto da temere, se non il freddo. E poi, non ho più tempo di pensarci: pronti, via, lo sparo dello starter, si passa sotto l'arco verde e si va all'avventura.

I primi lunghissimi km sono in discesa: ci si butta giù verso l'attacco della prima salita; sarà un salto di almeno cinquecento metri, da fare già con il freddo addosso, in gruppo. Per me è un calvario: frenare sotto la pioggia è difficile; dalle aperture dei paravalanghe, vedo giù il fondo di questa vallata stretta e profonda, impressionante; mi sforzo di non guardare, ma serve a poco. Son già tutti avanti, gli altri; in pratica, dietro a me restano quelli che han bucato e quelli che si fermano a far pipì. Vabbè dài Gian, recupererai in salita...

Per fortuna, ma sempre troppo tardi, il bivio arriva e, con esso, l'inizio della salita al Sustenpass. Piove, ma no? Tengo la giacca impermeabile: suderò parecchio, è vero, ma almeno eviterò di sentire l'acqua fredda direttamente addosso. La prima salita non è mai dura, anzi; sale in modo regolare per una ventina di km. Purtroppo, ha pochissimi tornanti: quindi, almeno per me, è difficile "di testa", quando vedo davanti a me la strada dritta e sento la fatica senza però percepire il dislivello fatto, come invece potrei fare salendo di tornante in tornante.
Si sale nella nebbia, al freddo; la strada è bagnata, gli altri ciclisti sono sempre più silenziosi, ma credo stiano soffrendo come e più di me. Il freddo si fa sempre più pungente. Man mano che mi avvicino alla vetta, noto che le cime intorno sono imbiancate: allora, più su, nevica...

Infatti, lo scenario che si presenta sulla cima è apocalittico. Nevica; la galleria che c'è proprio sul passo serve da rifugio per chi deve vestirsi o semplicemente cerca un attimo di tregua dal maltempo. Appena fuori della galleria, sul piazzale a destra, il ristoro è preso d'assalto: non invidio quei poveretti dei volontari che stanno lì, fermi, da ore, al gelo! Non ci penso nemmeno, a fermarmi... Niente piede a terra, si va vanti, subito in discesa. Brivido... Fa un freddo tremendo, le mani e le dita si irrigidiscono nei guanti ormai fradici. I pattini dei freni scivolano inutilmente sul cerchio bagnato; stringo le leve con tutta la forza che posso metterci. La discesa, in queste condizioni, mi manda nel panico. Non ha nessun senso, ma mi sento come se, da un momento all'altro, non dovessi più riuscire a fermare la corsa della bici; continuo ad aggrapparmi ai freni fino ad avere male alle dita, alle mani, persino ai polsi, mentre mi sfrecciano accanto un sacco di persone. E in più, vedo poco o nulla, con l'acqua che mi bagna le lenti degli occhiali e la nebbiolina fitta che poi non è altro che pioggia. Impiego un tempo interminabile ad arrivare giù, al bivio per il Grimsel...

Il mio morale, però, si risolleva un pochino, man mano che mi avvicino al fondovalle. La pioggia sembra placarsi, addirittura pare che, attraverso le nuvole, spunti qualche raggio di sole, timido. Ormai, non ho più speranza di arrivare ad Airolo in tempo per poter completare il percorso "super", il Challenge. Ho ancora due lunghe salite davanti a me, ed ho perso un'infinità di tempo. Vabbè, non importa, tiriamo avanti. Imbocco la salita del Grimsel, che inizia blanda e dritta; intanto, mi scaldo un po' prima di fermarmi e levarmi la giacca impermeabile. Mentre sono lì ferma a bordo strada, mi passa un missile e mi saluta: é Omar, alias Camoscio delle Dolomiti del forum BDC. Un fenomeno... E' partito un'ora dopo di me ed è già qui; scoprirò poi, alla fine, che il suo è il miglior tempo sul percorso Classic. Che fenomeno! Me la ricorderò a vita, quella scena!

Riparto, ben più modestamente, per conto mio. Sfrecciano gli altri fenomeni del Classic, mentre io riacchiappo qualcuno di quelli che son partiti con me e patiscono già un poco la stanchezza. Il Grimsel, da questo lato, è una salita che mi piace tantissimo, soprattutto gli ultimi 10 e rotti km, con i tornanti che si arrampicano su per le pareti rocciose con rampe impietose, e con le dighe ed i laghi che, in questa giornata così grigia, sembrano pieni di melma grigia, anziché acqua. Il colore è proprio quello!!!

Al passo Grimsel, mi fermo un attimo a bere qualcosa di caldo al ristoro, poi via, giù per la velocissima (persino per me!!!) discesa fino ad Ulrichen. E' quasi un'autostrada; persino io posso lasciare andare un po' la bici. Ormai ha smesso di piovere, anzi, sta spuntando quasi un po' di sole.

Altra salita, il Nufenen: anche questa è stupenda, ad eccezione di un lungo tratto centrale, dritto drittissimo, che sembra non salire, ma in realtà sale parecchio e, in genere, viene affrontato controvento. Che incubo! Però la vallata è ampia, verde di prati, stupenda; poi, dopo il "drittone", c'è una splendida serie di ampi tornanti. In cima fa freddo, siamo a 2.400 mt, se non ricordo male; il vento è teso e gelido. Altro ristoro e via: la discesa sarebbe, anche qui, comoda, se non fosse per il vento, che mi dà la sensazione di sbandare e mi costringe, immancabilmente, a tirare i freni. In più, la strada è fatta di blocchi di - non vorrei dire una boiata, ma a me pare così - cemento, con fessure tra un blocco e l'altro, che fanno continuamente saltare la bici.

Finalmente, Airolo... Avvicinandomi al punto X, la biforcazione tra gli itinerari Classic e Challenge, vedo ciclisti che rifiatano, seduti, al sole: mi dicono che ormai è tardi... Lo so, ma la speranza è l'ultima a morire, ci provo lo stesso. Tentativo, ovviamente, vano: gli addetti alla sicurezza mi dirottano verso il San Gottardo. E vabbuò Gian, che ci vuoi fare? E poi, onestamente, ce l'avresti fatta a sciropparti l'intero percorso "super", quando già qui sei cotta, con tutte le difficoltà che hai già avuto oggi? Mah. Mi rassegno, in fondo sono "solo" 40 minuti in ritardo; mi avvio verso il San Gottardo.

Salita amata e odiata per il pavè: la temevo parecchio; invece, scopro che, oltre ad essere molto suggestiva per la bellezza dell'ambiente, è anche divertente per questa superficie "insolita" su cui mi trovo a pedalare. Ovviamente, si passa per la vecchia strada, una marea di tornanti uno sopra l'altro; sembrano accatastati, guardandoli da sopra. Complici l'entusiasmo di "fine corsa" ed un violento vento contrario che mette in difficoltà molti dei miei compagni di sventura ancora in viaggio, recupero un bel po' di posizioni, che mi verranno poi irrimediabilmente rubate in discesa. La mia eterna condanna! Dopo un bel po' di tremolio, arrivo in cima, dove ci sono i laghi e quella specie di orrendo "svincolo autostradale" che è stato costruito lassù. Finalmente, prima volta nella giornata, posso dire d'aver sudato: ora che è uscito il sole, nei miei pantaloni spessi invernali, faccio la sauna...

Poco male, ormai è fatta. Non mi metto nemmeno più il giacchino, sfido l'aria ancora fredda e via, verso Andermatt. La discesa è velocissima, io ovviamente tiro i freni e mi faccio riacchiappare da chiunque; per fortuna, il tratto è breve, si arriva ad Andrematt in fretta. Ultimo brivido, attraversare la ferrovia cento metri prima dell'arrivo! Se deve passare il treno, non c'è santo che tenga, tocca aspettare! Però, stavolta son fortunata e filo dritto. S'è appena conclusa la corsa che diventerà un altro dei miei classici!

giovedì 14 febbraio 2008

Randonnée Fausto Coppi 8000 - edizione 2006

E' il primo di luglio, siamo intorno a mezzogiorno, a Cuneo, in Piazza Galimberti. Uno splendido sole picchia impietoso sulle teste di noi ciclisti. Fa un caldo meraviglioso, per me che sono una lucertola... Dal piccolo palco avanti a noi, Ivano Vinai, il boss della Rando, lancia le ultime minacce apocalittiche prima del via. Lasciate ogni speranza, voi che partite... Un po' di paura ce l'ho davvero. Sono qui anch'io in mezzo agli altri, ma non so se ce la farò. Quest'anno ho potuto prepararmi poco e male, soprattutto per via dei gravi problemi di salute di mia mamma; la testa è qui sulla bici, ma insomma, fino a un certo punto; è anche un po' a casa... Ma a questo appuntamento tengo moltissimo, non avrei potuto rinunciarci, no. Faticherò, ma insomma, devo arrivarci, alla fine! E' il momento di chiudere fuori dalla mente tutto il resto e pensare solo a pedalare.

C'è davvero tanta gente, oggi. Qualche volto noto, quello di Graziano sopra tutti; poche settimane fa, abbiamo provato insieme un bell'allenamento, Lombarda + Bonette + Lombarda, ed è andato bene! Lancio occhiate qua e là all'equipaggiamento dei miei compagni di viaggio: chi ha le borse sulla bici, chi ha lo zaino, come me; chi ha fari e faretti ovunque, chi li monterà sul far della sera. Chi ha la tripla, chi la compact come me, chi monta ostinatamente il 53x1 e ce la farà lo stesso, molto meglio di me! L'attesa logora, per fortuna non è lunga; in un attimo, foto di gruppo, pronti, via!

Il caldo torrido incolla quasi le ruote alla strada. Vedo tutti quanti schizzar via come birilli impazziti: qualche gruppetto lo tengo, fino a Moiola, Gaiola, poi basta, prima di Demonte, su quegli stramaledetti rettilinei in leggera salita, son già da sola. Ma non me ne importa nulla: sono qui, sulle strade di casa, itinerari che la mia bici potrebbe seguire anche da sola, anche se io chiudessi gli occhi e dormissi, tante sono le volte in cui son già passata di qua. Andate pure, gente, ci son trecentocinquanta km ancora davanti a noi! Non ci penso nemmeno, a fare il benché minimo sforzo per raggiungere qualcuno. Sulle spalle ho un macigno di zaino: dentro, la giacca invernale, quella da pioggia, manicotti, gambali, batterie di ricambio per le luci, guanti, pappatoria per un reggimento!!!

Io odio, qui lo dico e lo ripeto, odio i km tra Cuneo e Vinadio. Non sale, la strada, fa solo finta di salire, eppure costringe ad una fatica improba, e c'è traffico, anche nell'ora di pranzo del sabato; ma dove andate tutti, malnati, posate le vostre zampacce sotto un tavolo e non rompete!!!

Per fortuna, prima che la mia capoccia fonda del tutto, si arriva al bivio. Colle della Lombarda: cartello liberatorio! Da qui in poi, marcia ridotta. Si impone di andar piano, pianissimo, molto più piano di quanto mi sentirei di salire. 34x29, subito, e guai a levarlo! Il peso dello zaino si sente; fatico ancora un po' a carburare, sarà per il caldo. Ecco che acchiappo i primi fuggitivi, fermi alla Fontana del Vescovo con il cervello in fiamme: eh sì, oggi fa davvero caldo, poi siamo nel pieno del pomeriggio; non mi stupisce che molti siano già in seria crisi. Passo avanti, seconda serie di tornanti, sempre piano, con cautela. Mi affianca Vinai in auto, chiede se va tutto bene; mi dice che qualcuno ha già gettato la spugna per via della temperatura. No no, tranquillo, io in questo altoforno sto benissimo, non avrei potuto chiedere di meglio! C'è una luce che acceca; il vallone è bello come non mai... Supero i tornanti, arrivo al tratto di falsopiano, poi ancora avanti, in vista del Santuario di S. Anna. Si sente appena un po' di vento sulla pelle: ormai la quota è elevata, il sole picchia ma la calura è meno asfissiante. Ancora qualche tornante, poi si arriva al tratto finale, gli ultimi km di saliscendi in mezzo ai prati ed ai laghetti.

Arrivo su con entusiasmo: non so perché, ma a me la fine di una salita fa questo effetto... Mi dà quei cinque minuti in cui mi sento Superman, anzi Wonderwoman... Tiro dritto senza nemmeno metter piede a terra: mi basta chiudere la cerniera del gilet antivento e via, si scende. Sono talmente euforica che sorpasso un gruppetto a bordo strada, senza nemmeno voltarmi, senza badarci, e vado giù. Scoprirò molto più tardi, con dispiacere - mannaggia, se solo avessi capito, mi sarei fermata - che in quel punto è successo un incidente ad una delle ragazze partecipanti, amica di Graziano: la forcella s'è spaccata appena all'inizio della discesa; lei s'è fatta male, per fortuna in modo non grave, ed ha dovuto rinunciare alla rando.

I primi km della discesa, fino a quell'obbrobrio di cemento e vetro che risponde al nome di Isola 2000, sono critici per una discesista cronicamente incapace come me. Poi, da lì in giù, è un'autostrada!
Da Isola a St Etienne, me la prendo comodissima. Sono altri 10 km di vera sofferenza per me, di solito: leggero falsopiano in salita... Direi che non è il caso di impegnarsi più di tanto, anzi. Risparmio pure qui: se ne avrò ancora, provvederò più avanti, a menare i pedali!!!
Sulla sinistra c'è una casupola con una bella fontana; ne approfitto per fare il pieno. Poi, pazientemente, arrivo a St Etienne. Si sta facendo sera: da qui alla cima, ci vorranno circa tre ore; arriverò su con il buio, o quasi. Da una parte, so che sarebbe meglio accelerare un poco, perché la discesa su Jausiers è tutt'altro che agevole e meglio sarebbe farla con la luce; ma è meglio di no, se sforzo qui, lo pagherò più avanti, e la strada è ancora lunga, troppo.

Sono sempre da sola, o meglio, c'è qualche collega qua e là, ma ciascuno pedala per conto proprio, immerso nella propria fatica. Con la luce bassa del tardo pomeriggio, la vallata è ancora più bella. Passo il ponticello di metallo, le curve dolci e l'asfalto con le bolle, il brevissimo tratto di discesa a Le Pra, poi l'abitato di Busieyas - perdonatemi se sbaglio la scrittura... Sono gnorrante!!! Da lì in poi, solo più i prati, le pecore, le baracche di Camp de Fourches, e infine gli ultimi interminabili 7 km: la cima è lassù, si vede già da un pezzo il panettone pelato, sembra che sia dietro ad ogni curva... Invece no, si sale ancora e ancora, e in certi tratti la pendenza è sostenuta davvero. Fa quasi fresco adesso, qualche brivido sulla pelle: il cielo è già viola, intenso, fiamme di colore così belle che vorrei avere la macchina fotografica... Ma anche quella sarebbe stata un peso di troppo, e poi non c'è tempo per fermarsi! O meglio, sì, ci sarebbe, questa è una rando, mica una gara: ma io non riesco a mettermelo in testa...

Indosso gambali, manicotti e giacca ed inizio la discesa. Ho un po' di timore; accendo le luci e scendo con cautela ancor maggiore del mio solito, un po' perché ho paura, un po' perché sono miope e con il buio vedo ancor meno... E' un vero sollievo veder spuntare le luci di Jausiers. Almeno questa è finita!!!
Poco prima del bivio verso La Condamine c'è uno dei punti di controllo ed assistenza. Ne approfitto per svestirmi e bere volentieri qualcosa di caldo. Fa piacere, anche se, in realtà, non si può certo dire che faccia freddo, anzi!!! E' ormai notte fatta, ma si sta bene con la maglia delle maniche lunghe e nulla più.
Mentre sono lì a far tappa, arriva Graziano. Sono stupita di scoprire che è stato dietro, rispetto a me, finora: ma è lì che vengo a sapere dell'incidente. Graziano è visibilmente scosso e un po' demotivato. Ma io lo so, che non mollerà... Non è da lui, no no, quel verbo lì non lo conosce.

Ripartiamo, terza fatica, destinazione Col de Vars. E' pura pace adesso. Notte, una miriade di stelle in cielo, troppe per noi cittadini che siamo ben poco abituati a vederle. Migliaia, bellissime, e poi la luna, e intorno il silenzio, solo il fruscìo delle ruote, qualche ciclista più avanti o più indietro, che è solo una lucina. La temperatura è gradevolissima. C'è Graziano qui vicino; brontola che non ce la fa, che non va avanti, ma, come previsto, di lì a poco prende il volo... Vorrei davvero che questa salita non finisse mai. E' una sensazione indescrivibile di tranquillità. Dai tornanti nel tratto finale, si vede l'intera valle illuminata da una limpidissima luna, e poi la svolta, il colle, il lago, e giù fino a Le Claux.

Qui c'è il ristoro nel locale coperto e riscaldato. Gian, fatti furba, qui ci si deve fermare e basta. Ci sono i bagni, si mangia, si riposa un momento. Sui tavoli del ristoro fanno bella mostra di sé panini al formaggio, cioccolato, marmellata, miele, thermos di caffé, Coca Cola... Per non far torti a nessuno, io mi ingozzo di tutto, in ordine rigorosamente sparso, manca solo più che spalmi la Nutella sulla Groviera e siamo a posto. Caffé e Coca Cola sono la vita per me!!! Quattro chiacchiere con gli altri ciclisti, sottovoce, perché, dietro al tendone, c'è qualcuno che dorme. Dormire? No no, non ci penso nemmeno! Ci sarà tempo, per dormire, a casa!

Ripartiamo in gruppetto, c'è anche Graziano. I miei compagni di viaggio hanno la pazienza di aspettarmi, nonostante la mia lentezza in discesa. Adesso arriva il tratto che temo, in assoluto, di più: i trenta km tra Guillestre e Briançon. Terribili, lunghi, su uno stradone, un orrendo falsopiano in salita. Non mi spiace affatto essere in compagnia, qui! Da sola, ci avrei messo un'eternità, e soffrendo... Invece, così, non ho altro da fare che mettermi a ruota della locomotiva-Graziano, che fila davvero come un treno e, in men che non si dica, ci porta in vista delle luci di Briançon. Di tanto in tanto, scruto il cielo: mi sembra davvero impossibile che la fortuna sia così ostinatamente benevola! Ci son sempre le stelle, si sta bene, meglio di così, cosa si potrebbe desiderare?

A Briançon attacchiamo l'Izoard. Da questo versante, la salita è lunga e molto dolce; però, non va sottovalutata, affatto: a questo punto, i km nelle gambe sono già tanti! Io accuso un po' di crisi. C'è un punto di controllo alle prime curve; mangio e bevo qualcosa di caldo, due bicchieri di the. E' un po' di cotta, non c'è nulla da fare. Ma tiro dritto, grazie anche all'aiuto di altri ciclisti che ripartono con me e mi fanno coraggio. Intanto, il cielo è già un po' meno nero: qualche sfumatura chiara, le cime dei monti che si fanno più definite, e poi, in un attimo, scoppiano i colori dell'alba. Questo è il momento più bello e più difficile dell'intero giro: il momento in cui il freddo si fa pungente e ti aggredisce nelle ossa, a tradimento, perché ormai sei stanchissimo e vulnerabile. Arrivo in cima, ci son parecchi ciclisti fermi lì a riposare, ma no, meglio che non mi fermi. Mi vesto, vado giù subito. Passo la meravigliosa Casse Deserte, inizio i tornanti: vorrei esser già a Chateau-Queyras, ma proprio non ce la faccio. Fatico a tenere aperti gli occhi. E poi, se anche sono aperti, gli occhi non vedono più la strada. Vedono ombre, figure che non ci sono eppure saltano in mezzo alla strada. Scarto una prima volta, riprendo la traiettoria, cerco, in uno sforzo enorme, di riprendere il controllo della situazione, poi scarto un'altra volta, mi ritrovo a viaggiare a bordo strada sul lato opposto al mio... Gian, qui i casi sono due, o ti fermi un attimo o ti schianti, fai un po' tu. Appoggio la bici al guard rail, mi siedo, chiudo gli occhi. La sensazione è di cascare in un sonno profondissimo, da cui mi risveglio con un salto. Saran passati pochi minuti, mi rialzo, riparto. Ecco, questa è la conseguenza del fatto di aver dormito troppo poco, nei giorni scorsi. Faccio qualche km con la rabbia che sale e ribolle: rabbia, poi, per cosa? Non ha nessun senso, a pensarci a mente fredda; ma in quei momenti, con la stanchezza che pesa come un macigno e la voglia di farcela ed il terrore di crollare, è difficile restare lucidi...
Attraverso i paesi, supero il bivio verso Chateau Queyras. Ancora una volta, mi fermo, mi butto letteralmente a dormire contro una catasta di legna; anche qui, mi risveglio di soprassalto, con quella sensazione di precipitare che coglie ogni tanto nel dormiveglia, e risalto in bici, più arrabbiata di prima. Mi affianca uno dei motociclisti del servizio assistenza: un vero angelo... E' preoccupato che io non stia bene, ma no, è tutto ok, è solo il sonno. Al bar, all'attacco della salita dell'Agnello, prendo un caffé: cattivo, lungo, come tutti i caffé francesi, ma un po' di caffeina ce l'avrà pure quello, no?

Via, l'ultima salita. Io sono davvero cotta, sfinita, ma qui non si può mollare, nemmeno per sogno! Non si può, ormai è fatta, l'ultimo sforzo ed è fatta!!!
Al primo tornante, un intoppo che per fortuna si risolve per il meglio: si sente un belato disperato; mi guardo intorno ma non capisco; per fortuna, ci sono Graziano ed un altro ciclista che realizzano immediatamente la situazione: c'è un agnellino intrappolato nella rete di recinzione del prato! L'altro ciclista si avventura giù per il pendio e, con un coltellino ed una buona dose di fatica, libera la bestiola. Son così contenta, quando riprendo a pedalate! E' una bellissima alba, questa luce splendida rinfranca un po' il mio spirito. Fa freddo, anche in salita; queste sono le ore più temibili per la temperatura. Son rimasta da sola: che fine han fatto i miei due colleghi? Saranno davanti... Invece no: poco dopo, mi raggiungono; s'erano fermati a sbafare il pane fresco in uno dei paesi!!!
Le ombre lunghe delle cime sui prati, la neve che ancora imbianca i punti in ombra, il Pan di Zucchero che fa capolino. Che fatica. Il versante francese del Colle dell'Agnello non ha pendenze impossibili, è lungo, offre lunghi falsipiani per recuperare; il problema è che qui io non ne ho più... Coraggio, pochi km, dieci, cinque. Gli ultimi cinque sono i più duri, ma li attendo come una liberazione, sono felice quando arrivano. Almeno, lì, la strada sale decisa; dai tornanti si vede il salto, il dislivello, insomma, si vede che la fatica ha prodotto qualcosa! Poi compare il rifugio. Finalmente usciamo nel sole; siamo stati all'ombra finora, ma i raggi caldi sulla pelle danno un conforto meraviglioso. Manca poco, davvero poco, la sella del colle è lì davanti a noi.

Ecco. Siamo in cima. Ora cosa resta? Restano settanta km, almeno... Settanta km, trenta di vera discesa, il resto da soffrire in mezzo alla pianura. Mamma mia che incubo. Vabbè... In teoria, il peggio è passato... Giù verso Cuneo!
Ancora una volta, nella discesa, il sonno mi aggredisce. Prepotente: non c'è nulla da fare. Troppo pericoloso, qui. Troppo ripido. Se non tengo la bici, sono dolori sul serio. Lascio andare gli altri... A circa cinque km dalla cima, appoggio la bici ad un guard rail, mi distendo nella canaletta a bordo strada, sotto gli occhi allibiti di un gruppo di turisti appena arrivati lì accanto, e crollo nel sonno. Anche qui, pochi minuti, credo; mi riprendo, scendo giù, con enorme fatica, sempre assillata dal sonno. Alla sbarra di Chianale, mi affianca il motociclista di prima, che mi offre un bel pezzo di focaccia: non finirò mai di ringraziarlo...

Ora è giorno fatto, ancora sole, ancora caldo, arrivano già i primi merenderos. Scendo a Sampeyre, faccio ancora una pausa caffé: vorrei farne a meno, vorrei solo volare in discesa ed arrivare giù, a fondovalle, a Cuneo, ma non c'è niente da fare, questa volta è così. Sono stanca e in preda allo sconforto. Come al solito, viaggio senza orologio e non ho riferimenti temporali precisi; sono convinta che sia tardissimo, mi spiace d'aver fatto una corsa così scarsa, insomma, son proprio giù...

Arrivare a Brossasco è faticosissimo, anche se la pendenza è a favore. Poi c'è la Colletta di Rossana, poco più di un cavalcavia, ma è una bella coltellata nelle gambe per chi ha già alle spalle cinque colli...
Poco avanti a me, vedo una bandierina. Più giù, a livello strada, un trabiccolone di "bici" a tre ruote. Stento a credere che anche quel veicolo faccia parte della corsa... A giudarlo, un personaggio altrettanto curioso, che trabocca di simpatia ed esuberanza!!! Ci voleva proprio uno così, per rimettermi in carreggiata e ripescarmi dal pessimismo cosmico in cui sono piombata. Da lì a Cuneo, si va insieme. Nella discesa della Colletta, lo vedo schizzar via come un go-kart: son proprio ignobile, mi faccio staccare anche dal triciclo... Il mio insolito collega, per la cronaca, è partito per far la rando con sei ore d'anticipo rispetto agli altri: con quel mezzo anomalo, direi che ha compiuto un'impresa di tutto rispetto!!! E, nel mezzo, s'è fermato anche a mangiare la pasta ed a fumare...

Non resta che l'ultima fatica: i quindici km, forse venti, non ricordo, fino a Cuneo. Piattura, solleone, ma ormai non c'è più nulla che mi fermi. Un'auto attacca a suonare, faccio per mandarla a stendere: ma è Vinai!!! Ci supera, ci precede a Cuneo. Di lì a poco arriviamo anche noi. Finalmente, Piazza Galimberti, l'accoglienza di Vinai, la maglia di finisher, la telefonata a casa, a mamma. Felicità immensa.

Pazienza se poi son così rintronata da girare senza meta per un sacco di tempo prima di trovare le docce; pazienza se, quando esco dalla doccia, non riesco più nemmeno a trascinarmi al pasta party. Pazienza se rimonto in macchina e mi tocca fermarmi due volte, in preda al sonno, prima di arrivare a casa. E pazienza se a casa divento istantaneamente un tutt'uno con il materasso. E' uno di quei giorni, tanti ormai, che non potrò mai dimenticare!

domenica 10 febbraio 2008

GF in Liguria 2008 - 10 febbraio: Laigueglia

Finalmente un racconto "in tempo reale" o quasi! Oggi è stato il turno della GF Laigueglia. Dico subitp che è andata bene, benissimo, oltre le più rosee previsioni! Infatti sono ancora su di giri...

Ieri pomeriggio, ho pensato bene di fare una novantina di km in compagnia di due ciclisti qui della zona: due che in pianura non hanno pietà! Sentirli raccontare delle loro gare e delle loro medie mette i brividi... Così, per limitare un poco i danni, visto il privilegio che mi è stato concesso di decidere l'itinerario, ho scelto con cura un po' di salitelle brevi, ma con pendenze a doppia cifra. I due marrani si son lagnati tantissimo, ma puntualmente arrivavano in cima ben più sciolti e più veloci di me...
Temevo che questa "preparazione pre gara" potesse lasciare danni sulle mie gambe già malridotte per natura; invece, no, mi ha lasciato solo il sapore di una bella e divertente scorribanda ciclistica in compagnia, nel Roero.

Stamattina, sveglia poco dopo le 4, colazione veloce, giro in giardino con Skipper, pieno di benzina al self-service e via, direzione Laigueglia. Partenza alle 5 per far 140 km ed arrivare al via di una gara che parte alle 10: ci tenevo ad arrivare con un po' di anticipo e poter fare un po' di riscaldamento.

Il viaggio è più lungo del previsto, ma mi concede una splendida alba che mi godo scendendo dal Colle San Bernardo verso Albenga. Arrivo in loco ed è subito panico: non c'è nulla da fare; l'atmosfera della corsa la patisco sempre... Parcheggio sul Capo Mele, preparo la bici e me stessa, ritiro il numero e poi via, direzione Albenga. Tra poco incontrerò il mio angelo custode di oggi, Alessandro, che mi viene incontro da Loano. Infatti, di lì a poco, eccolo che arriva, in tenuta quasi estiva, con i pantaloni corti. Infatti, fa davvero caldo, nonostante il vento!
A quest'ora della domenica mattina, si riesce persino a pedalare un po' lungo l'Aurelia senza rischiare le piume ad ogni metro. Facciamo quattro chiacchiere: basta questo per calmarmi un po'. Questa volta, non parto a freddo! Saliamo il Capo Mele, giù di là e ritorno: in quel frangente, incontriamo anche Matteo, impegnato in operazioni strategiche di... Ehm... Alleggerimento della struttura!!! :-)

L'ingresso nelle griglie è caotico: a quanto pare, lo spazio è insufficiente per far entrare tutti; così, i ritardatari come me attendono sugli scalini della passeggiata. Sono a due passi dal via; penso preoccupata al momento della partenza: visto che la maggior parte della folla è dietro, mi spianeranno senza pietà!!! Argh! Ma non faccio in tempo a concludere il ragionamento, che è già ora di schizzar via. Mi sono separata da Matteo ed Alex; ora devo solo badare a non combinare guai e non far cadere nessuno. Idem come domenica scorsa, pesto forsennatamente sui pedali; questa volta, però, ad attaccarmi non ci provo nemmeno: pian piano, tra un'inchiodata generale, un rosario di improperi, qualche rischi di cadute, mi porto sulla destra e cerco di andare a più non posso, lasciando però che i pazzi filino via per conto loro. Il vantaggio è che ci sono più o meno duemila persone: ergo, passata la parte più scalmanata della baraonda, riesco a trovare qualche gruppetto che tiene un'andatura un po' più sopportabile per me. Matteo mi ha già passata da un pezzo! Via come il vento!

Finora ho sofferto un po' meno che domenica scorsa a Loano. Quando iniziano i falsipiani verso l'entroterra, però, è ancora sconforto: se la cavano tutti meglio di me, perdo terreno, arranco... Cerco di non sforzare troppo, non alzarmi troppo sui pedali, per evitare che le gambe diventino subito di legno. Forse, forse, non mi scappano proprio tutti...

Non appena inizia la prima salita, appare Alessandro. Un sollievo incredibile! Mi ripesca dalla depressione in cui sto già piombando, stile "Chi me l'ha fatto fare di venire qua a far ridere i polli"... Mi sforzo di salire ad un ritmo un po' migliore del mio solito; ci rimetto i polmoni ma vado su benino, mentre Alex saltella elegantene e leggero sulla bici come se stesse facendo un corso di uncinetto anziché una granfondo! E mi tiene d'occhio.

Sarà il sole, sarà che mi sento bene; arrivo su abbastanza in fretta, giusto per maledire i tratti di saliscendi che seguono lo scollinamento (Costa Bacelega, si chiama? Mi pare di sì...). Ma non son capaci, questi Liguri, di fare delle strade che salgano o che scendano??? Decisamente? No, su e giù, su e giù, e io ci rimetto le gambe! Comunque, va bene, c'è ancora un bel po' di gente intorno. Alex tenta di mettersi davanti e ripararmi dal vento, ma c'è poco da fare; io mi impappino, un po' per gli strappi, un po' per le curve che non son capace di affrontare senza rallentare a velocità ridicola!

La vera discesa, poi tanta pianura e saliscendi. E' sempre la locomotiva Alex, a cui tento faticosamente di restare attaccata, che salva la situazione: per me e per tanti altri che ne approfittano!!!
Nel tratto di pianura, arrivano a tradimento i crampi nell'interno della coscia e poi giù, nei polpacci: dolore!!!!!! Sono costretta a staccarmi all'improvviso, mentre la fila mi passa accanto; mi alzo sui pedali, rallento, insomma, in un modo o nell'altro rappezzo il danno e riprendo la corsa come prima. Ma invoco la salita, non ne posso più di piattume!!!

Seconda salita, Colle del Ginestro: quasi tutta pedalabile, a parte alcuni tratti, soprattutto nel finale. Riprendo un po' di avversari: ormai, il ritmo generale è di "Andiamo avanti con le unghie e con i denti che è quasi finita"... Ai ristori non mi fermo; provvede Alex che, con equilibrio da funambolo, riesce a prendere la bottiglietta, svitarla, svitare la mia borraccia e riempirmela, il tutto ovviamente pedalando! Se penso che io non ho mai imparato a pedalare in BDC senza tenere almeno una mano sul manubrio... Solo sulla Graziella riesco a staccarle entrambe!
I crampi a tratti ricompaiono, dappertutto, persino nelle mani: sarà la terza volta in dieci anni che mi capita una cosa del genere! Quasi mai avuto i crampi, porca miseria!

Appena sotto la cima, ci sono i banchetti del "salsiccia party": ma non è roba per una vegetariana convinta come me! A questo punto, comunque, non mi fermerei nemmeno se ci fosse a bordo strada George Clooney in costume adamitico... Beh oddio, magari in quel caso lì sì, mi fermerei, ma per nessun'altra ragione!

In discesa, come al solito, perdo terreno e metto a dura prova la pazienza di Alex. L'ultimo tratto di pianura... Beh, è insieme terribile ed esaltante. Alex si mette ad andare come un matto; io al seguito; penso che voglia raggiungere un gruppetto poco avanti ed accodarsi, invece no, lo sorpassa con nonchalance e tira dritto, ed io dietro, al gancio. Il guaio è che non riesco a prender le curve decentemente, a quella velocità, che non so quantificare ma è alta... Ad ogni curva, o peggio ad ogni rotonda, mi stacco, con il risultato che poi mi tocca fare il triplo dello sforzo per riavvicinarmi. Le salite alpine sono nulla in confronto alla fatica ignobile che sto facendo adesso!!!

Mancano cinque km all'arrivo, siamo quasi al Capo Mele... All'improvviso, da un istante all'altro, mi si spegne la luce. Gli schiamazzi intorno si fanno voci lontane, mi prende freddo, gambe e braccia molli... No, qua non ci si può fermare; stringo i denti, procedo, ma addio sogni di gloria di fare il Capo Mele con il 48. Metto il 34, spingo quel che posso; van via tutti, resta solo Alex che si gira di continuo per incitarmi: ma proprio non c'è più nulla da fare! Faccio la breve discesa con la sensazione di perdere l'equilibrio, ma è un attimo, il traguardo è già alle spalle. La GF finisce con un bel gelato ed una breve sosta in spiaggia.

Riaccompagno Alex a Loano, imbocco la strada del Giogo di Toirano, via verso Ceva, verso casa. A pochi km da Carmagnola, vedo il sole che sta tramontando; il disco rosso fuoco, con il contorno perfettamente delineato e troncato dalle cime delle Alpi. Degna conclusione di una giornata meravigliosa...

GRAZIE ALEX!!!!!!!!

GF in Liguria 2008 - 3 febbraio: Loano

Tra le tante idee sportive balzane che mi saltano in testa, questa è stata senza dubbio la più assurda. A gennaio ho avuto la bella pensata di iscrivermi a ben due "gruppi" di Grafondo in Liguria: il Circuito Pegaso, con le GF di Loano, Albenga e Ceriale, e la Coppa Liguria, con Laigueglia, La Spezia, Olmo e Camogli. Queste granfondo stanno agli antipodi del "mio" ciclismo: sono corte, tracimano di pianura e falsopiani e, soprattutto, sono popolate da ciclisti che, rispetto a me, stanno come una Ferrari ad un'Ape Piaggio. Ergo, ci si domanderà, per quale cappero di motivo mi sono iscritta? Boh... Non l'ho mica capito bene nemmeno io... Forse un po' di curiosità, tanto per vedere se riesco a combinare qualcosa che sia appena più che indecente; di certo, una dose industriale di incoscienza.

Al primo appuntamento, quello di Loano, mi presento con il terrore: è già tanto che sia riuscita ad arrivare fin lì in auto senza schiantarmi, visto che ho le mani malferme al punto da non riuscire a fissare decentemente il numero di gara sul borsello a manubrio. C'è un fracasso di gente; già l'atmosfera mi mette ansia... So benissimo che si partirà come pazzi, che bisogna andare alla disperata per non restare proprio completamente soli, che altrimenti è meglio girare indietro e tornare all'auto. Già, facile a dirsi, per me che di solito impiego trenta km ed almeno una salita per entrare "a regime" e che, comunque, la pianura non la digerisco, la velocità non la reggo, insomma, un disastro...

Oggi avrò a mia disposizione l'assistenza morale e materiale di LorenzoSV: da una parte, ovviamente, questo mi fa piacere e mi rassicura, perché so che ci sarà qualcuno a dirmi cosa devo fare, e mica uno qualsiasi!!! Un gregario con i controcavoli!!! Di cui ci si può fidare ciecamente, visto il talento e l'esperienza di corse assassine. Dall'altra parte, però, sono preoccupatissima perché so già che, per quanto piano Lorenzo si sforzi di andare, non riuscirò mai a stargli appresso. Lo so...

La giornata è grigia e piuttosto fredda. Corro con la divisa nuova di zecca della Jolly Europrestige: speriamo di non disonorarla troppo!!! In griglia aspetto mezz'oretta: intorno a me, gente che programma strategie, gente che si riscalda, si massaggia, scavalca le transenne per avanzare di venti centimetri... Confesso che comincio seriamente a nutrire qualche dubbio. Anzi, direi che avverto un filo di terrore... Ma l'imperativo di Lorenzo è, "a tutta fino alla prima salita"! Così, al via, inizio a pestare forsennatamente sui pedali. E' panico: bici che sfrecciano da tutte le parti, la calca, curva a destra e strettoia a poche centinaia di metri dal via, corsa all'impazzata lungo l'Aurelia in mezzo alle auto; si accelera, si inchioda, bici che scivolano, gente che urla, si riparte, insulti che volano da ogni dove... Ma questa non è mica una corsa in bici!!! E' una bolgia infernale!

Avanti a me, Lorenzo che si gira continuamente indietro per controllare se ci sono... In questo momento dovrei essere incollata alla sua ruota e, invece, sto tentando, con scarso successo, di controllare il panico. Gli altri ciclisti mi stanno passando letteralmente sulle orecchie!!! Ho il terrore di non riuscire a frenare, di scivolare; in ogni curva rallento, perdo terreno, raccolgo santi tirati giù dal calendario per colpa mia, e Lorenzo non riesco proprio a seguirlo!!! Ben presto arrivo all'apnea, il cuore che non so se batta o se non batta più, le gambe dure, inchiodate come non mai. Tra me e me, abbatto i santi a mia volta; meno male che i primi km dovevano essere ad "andatura controllata"... Sì, ma controllata da chi??? Da Valentino Rossi?

Non ho idea di quanto tempo e quanti km siano passati, quando la ressa si scioglie un po'. Il percorso è ancora molto veloce, ma io ormai ho i muscoli di legno. Ostinatamente ci provo, ma scivolo presto nello sconforto; continuano a passare gruppi che a malapena vedo, altro che attaccarmi. Lorenzo mi incoraggia, ma so che in cuor suo è esterrefatto da questo disastro di ciclista che si sta portando appresso...

Per fortuna, come una liberazione, arriva la prima salita, verso Gazzo. Pago fin da subito, caro e salato, lo sforzo fatto fin lì, ma, se non altro, posso finalmente prendere il mio passo ed andare su con un ritmo ed un respiro che mi sono un po' più familiari. Riesco addirittura a passare qualche collega ed a scambiare quattro chiacchiere. La pacchia, però, finisce presto ed in modo per me angosciante: dopo la cima, ci attendono chilometri di saliscendi, piccoli strappi che un buon ciclista nemmeno vede, ma che per me, già quando son tranquilla e riposata, significano "butto giù il 34 e vado come se dovessi scalare il Fauniera". Mi sorpassa tutto il mondo, mentre arranco con fatica improba. Gambe sempre più dure, fiato corto, morale sotto i copertoncini. Penso che anche Lorenzo abbia ormai lasciato ogni speranza...

L'arrivo della vera discesa non mi aiuta, perché in discesa sono un disastro; va un po' meglio quando riesco a tagliare e raddrizzare le curve, ma lì non è proprio il caso. Il tratto di fondovalle prima della seconda salita è un altro calvario: però, qui me la prendo un po' più con calma, non posso fare altro.
Mi pare sia in questo tratto, se non ricordo male, che accade un episodio che mai più mi leverò dalla testa finché campo!!! Passa un ciclista che si fa trainare da una moto. Dal gruppo in cui mi sono intruppata, si levano commenti indignati all'indirizzo del furbacchione che, a quanto pare, è un "pezzo grosso" del ciclismo locale. Ad un tratto, Lorenzo parte e si lancia all'inseguimento... All'inseguimento di uno che viaggia attaccato ad una moto!!! Lo raggiunge, gli fa il cazziatone e torna in gruppo come se nulla fosse. Lì per lì non ci do peso.. Mi sa che è stata solo un'allucinazione causata dalla mancanza di ossigeno! Invece no...

Per fortuna, arriva anche la seconda salita. Ormai sbrodolo, faccio quel che posso. Mi meraviglio che ci sia ancora qualcuno in giro, oltre a me! Nel tratto di saliscendi, dopo lo scollinamento e sotto qualche fiocco di neve, perdo ancora terreno... In discesa completo lo scempio... Ormai ho perso anche la voglia di provarci: sono convinta d'essere rimasta ultima, ultimissima. Mi spiace un sacco e, quasi quasi, se non mi vergognassi, ci spenderei anche una lacrimuccia! Sull'ultima salitella di Boissano, faccio l'estremo sforzo per mantenere un minimo di dignità fino all'arrivo.

La parte finale è a dir poco indecente... L'ultimo incrocio non è presidiato; finiamo in mezzo alle auto, nel traffico dell'Aurelia. Però finalmente è finita!!! Credo di non essere mai stata tanto felice di arrivare alla conclusione di una GF... Un po' perché, con immenso stupore, scopro che dietro a me c'è ancora qualcuno; un po' perché, sia pure a prezzo di una fatica ignobile, ho realizzato una media che non pensavo possibile, appena un pelo sotto i 25 all'ora. Per gli habituè di questo genere di gare, è ridicolo, ma per me è un bel risultato.

Saluto al volo Lorenzo che è di fretta e poi, mezza rintronata, mi avvio all'auto. Carico tutto, miracolosamente non dimentico in giro qualche ruota, qualche scarpa, qualche pezzo vario, e riparto, destinazione casa. Pian piano che la stanchezza svanisce, sono sempre più contenta... In fondo questo debutto non è stato così male!!!

venerdì 8 febbraio 2008

14 e 15 luglio 2007: la Susa-Susa in due tappe

Non posso dire d'aver mai frequentato molto le montagne della Provincia di Torino, in bici. La mia primissima salita, quella degli esordi, è stata quella di Sestriere, è vero; da lì in poi, però sempre provincia di Cuneo, Francia, sempre altrove. Troppa gente, troppo traffico, troppe costruzioni, per i miei gusti. Alla mia radicata antipatia fa eccezione una sola salita: il Moncenisio. Non è una salita "epica", non è dura, non è di quelle che ti fanno consumare le unghie ed i denti per arrivare su, ma a me piace moltissimo. E comunque, non è uno scherzo, quando lassù tira vento!!!

Così, sabato 14 luglio 2007 ci ritroviamo a Susa, proprio all'attacco della salita, guai a fare anche un solo metro di pianura: Max, Franco ed io; destinazione, o meglio, prima cima, Moncenisio. In realtà, per Franco e per me, il programma prevede due giorni; Moncenisio, Iseran e Telegraphe-Galibier il primo giorno, Alpe d'Huez, Col de Serenne e Col des Champs il secondo. Max ci accompagnerà nella prima tappa.

Carichi come muli, partiamo per la prima fatica. E' una splendida giornata, cielo blu che più blu non si può. La prendo tranquilla e spero che i miei colleghi facciano altrettanto: la fatica che ci attende è lunga!!! Mi sembra di star bene... Sarà che per questo mini-viaggio ho l'entusiasmo alle stelle! Dopo la RATA, il Brevetto 4 Colli, la Campagnolo, la Marmotte, tutte per me un successo, ho una voglia matta di ributtarmi in un giro con i controcavoli; sembra quasi che le mie gambe patiscano la crisi di astinenza da salita!
Da inarrestabili pedalatori quali siamo, ci arrestiamo già a Bar Cenisio, a caccia di un caffé: la serranda del bar si sta appena sollevando! Puntualissimi! E qui io già comincio a sbrodolare... Fa caldo, e poi ci sarà tempo per smaltire le calorie di troppo, insomma: via di gelato! Maxibon, se non ricordo male; è il mio classico!!!



Riprendo a pedalare gustandomi il gelato, sotto l'occhio impietoso della macchina fotografica di Franco. Devo fare attenzione a non esagerare! Va bene che oggi mi sentirei di volare, ma non è il caso di sprecare troppe risorse qui; di strada ce n'è ancora tanta!
Finalmente arriva la parte più bella, quella del "drittone" che finisce appena sotto le "scale". Con questo sole, è uno spettacolo mozzafiato! Tira un po' di vento, ma nulla di impossibile; ben presto siamo su. I miei compagni d'avventura si fermano un attimo, dandomi modo di prendere un po' di vantaggio in discesa. Così, almeno, evito di farmi aspettare come al solito!



Giù per i tornanti verso Lanslebourg, il vento si sente già di più. Scendo con i freni più tirati del solito e un po' di paura: per fortuna, il percorso è breve; il bivio sulla destra verso Lanslevillard arriva in fretta. Pochi istanti ed ecco anche Franco e Max, più un ciclista che indossa un curioso - e bellissimo! - paio di pantaloncini con il bordo sfrangiato.

Dopo la discesa un po' sconnessa nel paese, inizia per me il tratto più odioso: quello che porta a Bonneval sur Arc. Insopportabili quegli interminabili tratti di falsopiano, anche se il paesaggio intorno è bello da togliere il respiro. Ci teniamo sulla stradina a sinistra rispetto alla principale, quella che passa attraverso le borgate. A Bonneval, sosta per riempire le borracce e via. Si riprende a salire. Non ricordo mai quanti km ci siano, da lì al colle: una quindicina, forse. Bella da morire, anche questa salita. Io non so dare un nome alle cime che mi circondano, ma ci sono dei ghiacciai, dei pascoli stupendi. Dopo il breve tratto di falsopiano ed il ponticello, quando attaccano i tornanti, mi rendo conto che sto accusando un po' di stanchezza: meglio rallentare, Gian, lascia perdere le "competizioni", che tanto non hai speranza. Ci sono parecchi ciclisti intorno, la tentazione è forte: ma no, ricorda che hai ancora un Galibier da superare!!!



Pian piano, arrivo in cima, manco a dirlo, dopo i miei colleghi. Breve pausa, si mangia e si fan foto. C'è un sacco di gente!!!




Poi, giù in discesa, si torna a Lanslebourg. Lì ci dividiamo: Max torna al Moncenisio e a Susa; Franco ed io tiriamo dritto. Non lo invidio, povero Max: il vento è davvero violento adesso; gli darà parecchio filo da torcere, in salita. Ma anche a me!!! Argh!!!

Il tratto tra Lanslebourg e St Michel de Maurienne è lungo, interminabile, per me faticosissimo. Franco ce la mette tutta, generoso come sempre, per ripararmi un po', per tirare, ma io qui sono preda dello sconforto e della voglia di mettere piede a terra! Sarebbe un falsopiano, tendenzialmente in discesa, ma è anche uno stradone enorme, trafficato, bollente di sole e di asfalto nero. Non ne posso più, della pianura, dello zaino sulla schiena, basta, voglio arrivare a St Michel!!! Infatti, il cartello che indica il paese è una vera liberazione. Posso sorridere!!!

Altro pieno d'acqua, ci fermiamo ad un idrante, proprio all'attacco del Telegraphe. E' pomeriggio inoltrato, fa molto caldo, giù giù nel fondo di quella valle. La salita è avara di ombra, ma a me ormai non importa più: sto portando le mie ruote a spasso su una delle strade che mi è più cara, da sempre; ci sono stata solo una settimana prima, ma sono felice lo stesso, come non mai, d'essere qui. Pazienza se sono già stanca, se fatico, se il ginocchio destro comincia a lamentare un fastidioso doloretto.



Frenk arriva su prima e meglio di me, ma su una cosa siamo d'accordo: a Valloire si fa pausa!!! Naso a terra come un segugio, vado a caccia di uno dei miei amati minimarket. Infatti lo trovo! E finalmente posso mettermi in pancia quello che finora ho sognato nelle mie classiche "allucinazioni da salita e calura": succo di frutta e il fantastico yogurt "Yop" nella bottiglietta di plastica. E, credo, anche Coca Cola. Pure Frenk fa il pieno. Ci sediamo un attimo sui gradini di ingresso di un edificio. Mamma mia, io sono cotta davvero. Frenk forse è anche stanco, ma lo vedo soprattutto un po' preoccupato, per altre cose sue che stanno a centinaia di km dalla folla vacanziera di Valloire. Traffica nervoso sul telefonino; mi spiace vederlo così in pensiero, ma purtroppo non posso fare proprio nulla per aiutarlo. Per fortuna, di lì a poco arriverà la telefonata risolutrice! Intanto, ci rimettiamo in cammino. Non ci resta molto tempo prima di buio: sono passate le sei, abbiamo ancora 17 km di salita e siamo cotti bolliti. Poche storie, s'ha da salire. E poi, il Galibier con la luce della sera, il cielo che da azzurro limpidissimo assume le tonalità del rosa, è uno spettacolo di indescrivibile bellezza!



Ci tocca anche il tifo dei tanti che, con roulotte, camper e tende, si sono già conquistati il posticino lungo la salita, per assistere alla tappa del Tour che passerà tra due o tre giorni. Chissà che meraviglia, una notte in tenda sotto il Galibier... Io però, adesso, preferirei vigliaccamente un vero materasso!

Breve sosta al colle: siamo euforici!!! Io son così contenta che mi "lancio" allegramente in discesa; dopo un paio di tornanti arriva Frenk, che mi chiede se per caso mi sento "leggera"... Opporcapaletta!!! Maremma zozza!!! Ho lasciato lo zaino lassù!!! Panico... Per fortuna, l'ha portato giù Frenk, con un miracolo di equilibrismo nel viaggiare con due zaini sulle spalle. Meno male!!! Tornare su sarebbe stata davvero dura...
Si fa sera; ho un po' di preoccupazione: non avevo proprio considerato il fatto che ci fosse il Tour in questi giorni; chissà se troveremo un posto per dormire? In effetti, l'impresa non è semplice. Chiediamo al primo paese, nulla; scendiamo ancora; con la mia lucina minima, presa quasi per caso, tra poco non vedrò più nulla!!! Per fortuna, incappiamo in un alberghetto che ha ancora del posto libero ed accoglie noi e le bici.

Non mi par vero di poter fare una doccia. Nello zaino ho anche le scarpe "borghesi" ed il cambio d'abiti "ciclistici" per domani. Mi godo l'acqua calda ed il sapone; rischio seriamente di crollare già addormentatissima mentre è il turno doccia di Frenk; ma la pancia reclama!!! Anche qui, per pura fortuna, troviamo una birreria, l'unico segno di vita alle dieci di sera in questo minuscolo paese sotto il ghiacciaio della Meije. Pizza, Coca Cola, quattro chiacchiere. Poi a nanna: crollo in coma.

La mattina successiva ci alziamo con somma pigrizia: ammappete se è tardi! Ci svegliamo alle otto, con il sole già alto che illumina il ghiacciaio proprio in faccia all'albergo, ed i gerani di tutti i colori. Con altrettanta pigrizia facciamo colazione, recuperiamo le bici e partiamo. Sarebbe splendido, se solo il risveglio non mi avesse riservato la pessima sorpresa: quello che ieri era un banale doloretto al ginocchio, oggi è un dolore forte, che rende davvero ardua l'impresa di pedalare. Spero che passi, pedalando, ma non c'è niente da fare: anzi, peggiora!!!

Fino a Le Bourg d'Oisans, soffro: un po' per il male, un po' per gli eterni km di falsopiano, anche qui. Poi, al paese, una provvidenziale farmacia aperta, nonostante sia domenica!!! Con tanto di farmacista che capisce alla perfezione l'inglese. Prendo un antiinfiammatorio in pastiglie; il farmacista mi raccomanda di non fare sforzi... "No, tranquillo... Vado solo su all'Alpe!". Nel frattempo, Frenk fa visita ad una boulangerie e ne esce con una torta salata che è una meraviglia...

SI riparte, destinazione Alpe d'Huez. Io sono a metà tra l'inferocito ed il preoccupato: questa salita mi piace da matti, vorrei provare a farla almeno benino, per quel che mi consentono le mie scarse possibilità; invece no, mi tocca salire, non scherzo, spingendo quasi sempre con la gamba sinistra, perché premere sul pedale con la destra significa vedere le stelle!!! Mi spiace da matti rallentare Frenk, creare un sacco di problemi... Però, adoro questo caldo torrido che accompagna la salita all'Alpe e quasi ti incolla all'asfalto nero su quei bellissimi tornanti. L'Alpe, anche lei, non è una salita impossibile, tutt'altro, ma ha per me un'attrattiva fortissima. Anche se l'arrivo è in un luogo tremendo, un paesone di palazzacci orrendi ed impianti, uno scempio!



All'Alpe, butto la testa sotto una fontana; poi, ancora su lungo la stradina, quasi sconosciuta, che conduce al Col de Serenne. Sembra di passare, in pochi metri, in un altro mondo: dall'atmosfera grossolana e chiassosa della stazione sciistica ad una stradina stretta, male asfaltata, in mezzo ai pascoli.




La discesa verso la diga, quella che riporta sulla strada che dal Lautaret scende a Le Bourg d'Oisans, è semplicemente stupenda. Merita senz'altro di essere percorsa in salita, prima o poi.
Impiego un'eternità a scendere: la strada è stretta e sconnessa, mi fa paura. Povero Frenk, metterà le ragnatele a furia di aspettarmi! Invece no... Lui fa foto!

La parte davvero allucinante è quella che, dal lago, ci riporta al Lautaret. Un'agonia, ecco il termine giusto. Ho la sensazione di spegnermi lentamente. Sono decine di km di falsopiano in salita; io adoro il caldo e l'afa, ma lì no, lì comincio ad odiarli, odio la strada che sale impercettibilmente eppure mi fa faticare più del Colle dell'Agnello, odio l'aria pesante e carica di umidità, odio la mia borraccia che è vuota!!! E odio il mio ginocchio che continua a fare male, e mi cruccio perché sto facendo la palla al piede per Franco...
Finalmente il paese e un minimarket!!! Manco a dirlo, Coca Cola, yogurt, gelato ed una sosta ristoratrice sugli scalini del negozio. Mi sembra quasi di rinascere!



Al colle mancano ancora diversi km, ma il peggio è passato. Ora la strada sale un po' di più, c'è qualche curva, anche un filo di vento. Anche al Lautaret, breve pausa e poi giù verso Briançon.

Soffro ancora da matti nel tratto di falsopiano prima della città. Io non so cos'ho fatto di male ai falsipiani, perché mi debbano infliggere questa tortura!
Il programma prevedeva di tornare in Italia dal Col de Champs. Però, è già tardi e, soprattutto, il male al ginocchio mi tormenta: non so quante pastiglie di antiinfiammatorio ho già trangugiato; ho perso il conto... Frenk acconsente ad abbreviare il percorso, salendo al Colle del Monginevro. Ormai è pomeriggio avanzato; l'afa non è più insopportabile, anzi; in cima fa quasi fresco. In fondo, la salita del Monginevro è anche bella, in mezzo ai pini: se non fosse così maledettamente trafficata...



Siamo entrambi lessi quando arriviamo in cima. Ho il terrore del tratto che ci separa da Susa: ricordo lunghissimi km di strada piatta... Però, la mia memoria esagera con le previsioni fosche. In realtà, i tratti di falsopiano sono pochi; prevalgono nettamente le discese. C'è anche qualche tratto di risalita, ma ormai non si sente più. Anche se sono sfinita, quasi quasi arrivare all'auto mi dispiace.

Grazie di cuore a Franco e Max per quest'altra splendida avventura! Spero che si replicherà l'estate prossima! Quasi mi commuovo a raccontare tutto questo... Mi sembra di essere ancora lassù!

IMPORTANTE: le foto che ho pubblicato qui, come tutte le altre o quasi, sono opera di Frenk e sono meravigliose!

Intermezzo: grazie a tutti!

Grazie mille a tutti per i vostri commenti!!! :-)

Stasera metto su un altro racconto!

domenica 3 febbraio 2008

Le Porte di Pietra 2007 - La corsa

Sono passate da poco le sei, già mi vien sonno a guidare in autostrada... Cribbio, se son già cotta così adesso, che ne sarà di me, domattina alle 4, alla partenza? Ricontrollo nella mente il bagaglio: lo zaino c'è, le luci, la tessera della squadra, i documenti, la pappatoria, gli indumenti... E intanto cerco di immaginare cosa accadrà domani. Ma è difficile! In teoria, ho capito come funziona un trail, ma da lì a cimentarmi...

Il sonno non mi dà tregua; mi fermo in un autogrill per fare quattro passi e prendere un cappuccino. Cade qualche goccia di pioggia: che strano, oggi la giornata è stata bella, e poi le previsioni del tempo sono ottimistiche, per domani! Vabbè, dài, non fasciamoci la testa prima d'averla rotta; smetterà.
Esco al casello di Arquata Scrivia e vado in cerca del paese di Cantalupo. Ormai è quasi buio; la strada che porta a destinazione è tortuosa e, tutt'intorno, si vedono i profili dei monti più scuri del cielo già nero. Però, nemmeno una stella!

Arrivo al paese, vedo un edificio che potrebbe essere il palazzetto dello sport, tutto illuminato. E già l'agitazione sale. Parcheggio, mi precipito nella panetteria lì accanto per prendere un po' di focaccia per cena, poi filo a prendere il numero. Le ragazze che distribuiscono i pacchi gara sono sorridenti e gentilissime. Nella palestra sta per iniziare la cena pre-gara: ma non mi fermo qua, non ci penso nemmeno; tutta questa gente intorno, questo gran parlare della corsa, mi mette addosso il panico. No, nemmeno per idea. Torno alla macchina, abbasso il sedile del passeggero, srotolo il mio sacco a pelo; mangio la focaccia con il succo di frutta che mi son portata da casa - tipica alimentazione scientificamente studiata, come sempre: ma quant'è unta e buona questa focaccia!!! - e mi metto giù, cercando di dormire. Sono quasi le dieci; la sveglia suonerà tra cinque ore.

Durante il breve sonno, mi sveglio qualche volta, solo per accorgermi che piove ancora. Porca miseria!!! Chissà che ne sarà di me con la pioggia... Decido di non preoccuparmi, chi vivrà vedrà.

La sveglia alle 3 è un trauma. Devo sbrigarmi, connettere il cervello, prepararmi per la partenza. Indosso pantaloncini corti, canotta traforata e maglietta con le maniche corte. Metto subito la giacca Gore-Tex, tanto continua a piovere. Per i piedi, uno strato abbondante di Pasta di Fissan, due paia di calze e le scarpe da trail. La prudenza non è mai troppa... Non posso rischiare di restare appiedata per le bolle sulla pelle!!!

Poi mi trasferisco al palazzetto, dove son già pronti due tavoloni coperti di ogni delizia, dal pane alle focacce alle marmellate al cioccolato al miele, e poi the, succhi di frutta, una visione mistica!!! Però, più guardo gli altri concorrenti e più cresce in me la sensazione di essere la persona sbagliata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Vedo solo muscoli tiratissimi, visi che ostentano sicurezza, insomma, uomini e donne indistintamente molto caXXuti!!!!!!!!!

Poi, ahimé, il momento tragico arriva. Tutti fuori, sul piazzale, si parte.



Nonostante la pioggia, è un momento suggestivo: si vedono solo le lucine delle frontali, si sente il brusio, e la musica, e le parole dello speaker. Piove. Cerco di individuare la figura del mitico Marco Olmo, il campione di corsa in montagna di cui ho tanto sentito parlare, ma non riesco a capire chi sia. Poi, è un attimo, via, partenza!!!

I primi km sono tranquilli; in parte su strada e acciottolato, in parte su sentieri abbastanza praticabili. Si tratta di seguire le "balises", i segnali fitti fitti sistemati lungo il percorso. Non sono ancora sola, per adesso.
Poi inizia il dramma. Si supera una passerella sul fiume: poi, si attacca un sentiero molto ripido, dove, per alcuni tratti, è necessario tenersi alle catene assicurate alla roccia. Di per sé, non sarebbe nulla di terribile; al massimo, un po' di fatica. Peccato che la pioggia abbondante abbia trasformato il terreno in un vero pantano. Più si tenta di salire, più i piedi scivolano indietro; ci vuole una fatica immane solo per riuscire a stare in piedi! Continuo a scivolare, mi ritrovo un'infinità di volte con le mani e le ginocchia che affondano nella melma, e come me gli altri, davanti e dietro. Qualche volta riesco ad afferrare il tronco di un alberello, mi aggrappo ad un ramo, ma spesso non c'è nessun appiglio a disposizione; quell'orrenda sensazione di scivolare indietro senza potersi fermare!!! A nulla servono le scarpe specifiche per il sentiero. Il buio e la nebbia fittissima peggiorano questo senso di impotenza, sono già nel panico più nero.

Mi accorgo che, pian piano, mi hanno sorpassata anche quei pochi che avevo alle spalle. Sto salendo insieme a due persone dell'organizzazione che fanno da "scopa"; mi arrabbio con me stessa per le mie difficoltà, per essermi cacciata in questo pasticcio e anche perché, nonostante le rassicurazioni dei miei compagni, sto creando loro un sacco di problemi. Continuo a scivolare, sono già cotta, demoralizzata e disorientata. Non so nemmeno se essere contenta o terrorizzata, quando arrivo a fine salita... E chi la affronta, una discesa in queste condizioni? Purtroppo, non ho molta scelta. Fermarsi qui non si può; tornare indietro, con la nebbia fitta che c'è, è impensabile. Vado avanti, a testa bassa, con un piccolo gruppo riunito. Bisogna sbrigarsi, se si vuole arrivare in tempo al primo cancello, alle 9, a Costa Salata.

Dispero di farcela, ormai, ma l'arrivo di un po' di luce mi dà un minimo di consolazione. Qualche solenne volo lo pianto, eccome: ho ancora oggi qua e là le cicatrici delle gambe malamente sfregate contro rami rotti e sporgenti, pietre... Le "scope" consigliano di aumentare un po' l'andatura, per arrivare in tempo; gli altri del gruppetto ed io ci passiamo "al pelo".
Come previsto, al ristoro si può prendere solo acqua. Decido di fare una sosta rapidissima, credo un minuto, e ripartire subito, tentando il tutto per tutto. Qui ho già fatto 21 km; il prossimo cancello è tra 19 km, a Capanne di Carrega. Via, subito. I compagni di sventura non mi seguono: penso che mi riprenderanno più avanti... Invece no.

La seconda tranche del percorso non è meglio della prima. Il sentiero non esiste più; esiste solo un fiume di melma, pozze enormi. Tocca avanzare a fatica, con i piedi che si incollano nel fango e non si staccano più; poi, quando si staccano, sono due informi mattoni di fango, pesantissimi. Ormai non mi preoccupo nemmeno più di tentare di evitare le pozze; tanto, è impossibile, e poi i piedi son già fradici da un po'.
Purtroppo, avanzo a velocità ridicola, in queste condizioni; vorrei davvero sapere come hanno fatto, tutti gli altri... Cado di continuo; ormai, ho fango fin sopra i capelli, sembro una statua di creta. Un po' avanti a me c'è una signora, che avevo già visto alla partenza, di nazionalità tedesca. La vedo, là davanti: mi avvicino nei tratti di salita, ma inesorabilmente perdo terreno in discesa. Certo, se avessi una canoa, farei più in fretta...
Se non altro, smette di piovere. Ormai sono demoralizzata, non ho speranze di farcela, oggi, in questo stato; ho le gambe pesanti, sto spremendo tutta la fatica che sono capace di fare, ma come si fa, in queste condizioni? Riesco a stento a trascinarmi, ogni passo costa uno sforzo enorme, e non sono nemmeno a metà! Ok, basta, prendiamo una decisione sensata. Al prossimo cancello, c'è la possibilità di ritirarsi. Ci arrivo e poi mi ritiro. Anzi. In cuor mio, spero che siano i responsabili del controllo a fermarmi, dicendomi che sono fuori tempo. Sarebbe forse meno frustrante di un ritiro volontario...

Arrivo alla fine del sentiero e mi immetto sul breve tratto di strada sterrata. Vedo il punto di controllo là davanti; mi dico, dài che è finita... All'improvviso, dietro di me, spunta uno dei corridori dell'organizzazione. Si chiama Enzo. Mi dice che ormai sono fuori tempo massimo, è l'una e un quarto, ma, se voglio, posso proseguire insieme a lui. Per un attimo mi manca il fiato; trattengo a stento l'entusiasmo... "Ma sei sicuro? Guarda che io vado molto piano, sono cotta, disintegrata; guarda che non so se ce la faccio ad arrivare fino alla fine!". Ma lui pare sicuro... Dice che non c'è problema, che possiamo andar su tranquilli, che alla fine ci si arriva.
A me non pare vero. Son passata in un millisecondo dalla più nera delle delusioni al più sfavillante degli entusiasmi!!! Breve pausa al ristoro (sempre e solo da bere) e si riparte. Non so con quali gambe, ma mi sforzerò di fare del mio meglio. Poi Enzo è bravissimo a fare coraggio, ad infondere fiducia anche quando io proprio non ne ho più! Si chiacchiera, si sale, si arriva sulla cima bella tonda di un monte. Dei nomi e dei luoghi ricordo poco: purtroppo, riesco a vedere e fissarmi in mente davvero poco, un po' per la nebbia fitta, un po' per lo sforzo, la tensione che mi porta a guardare sempre e solo i segnali del percorso. Ma adesso, che sono in compagnia di una persona verso cui ho cieca fiducia, posso andar più tranquilla e guardarmi intorno, e chiacchierare.

Al terzo controllo, km 39, mi dicono che sono definitivamente fuori tempo massimo e devo, per forza, riconsegnare il numero. Enzo stesso si arrabbia, reagisce, ma non c'è nulla da fare; la decisione è stata presa dai responsabili dell'organizzazione, per ragioni legate alla sicurezza. Io capisco benissimo e non me la prendo, soprattutto perché, a questo punto, del tempo massimo e della gara non mi importa nulla: mi importa solo arrivare alla fine, cosa che, per me, in una giornata di tregenda come questa, sarebbe già una soddisfazione impagabile.

Ripartiamo: a noi si aggrega anche la signora tedesca, Kristel, se non ricordo male il nome. Io ormai ho dimenticato la stanchezza. Cerco di tirare il più possibile, anche troppo, soprattutto in salita. Ma è come se ci fosse qualcuno o qualcosa che mi spinge... Voglio arrivare alla fine!!! Intanto si chiacchiera, un po' in italiano, un po' in inglese con Kristel, che nei trail è una veterana: ha nel suo curriculum anche l'Ultra Trail del Monte Bianco, corso un mese prima!!! Suo marito l'attende all'arrivo, a Cantalupo.

E' incredibile la gioia dell'arrivo alla "Cima Coppi", a Monte Ebro. Anche qui, come lungo l'intero percorso, ci sono ancora due "controllori". Dopo un'intera, lunghissima giornata trascorsa lassù al freddo, fermi... Sono loro i veri eroi!!!

Da lì, quindici lunghissimi km di discesa, interrotti solo da un breve strappo in salita. Ormai è fatta, ma le gambe non la pensano allo stesso modo. La discesa è un massacro per i garretti, e poi ancora fango, ancora scivolate, ancora salti con l'angoscia di atterrare malamente e storcere le caviglie... Anzi, pensandoci bene, è un caso davvero strano il fatto che non mi sia fatta qualche serio danno oggi!!!

Kristel è più veloce, io arranco ormai aggrappata alle ultime forze. Fa buio, riaccendo la frontale, ma laggiù in fondo si vedono già i fari delle auto e le luci del paese. E' fatta Gian, è fatta anche questa!!! Ormai è euforia allo stato puro... Finalmente la fine del sentiero, la strada, l'ARRIVO!!! Abbiamo sforato le 15 ore di 40 minuti, ma siamo raggianti, Kristel ed io. C'è ancora qualcuno ad attenderci e festeggiarci. Sono incredibilmente felice!!! E tutto questo grazie al pazientissimo Enzo che mi ha portata fin qui.

Passo in auto a prendere la borsa per la doccia e commetto l'imperdonabile errore di sedermi: da lì in poi, camminare è una scommessa... Dolori tremendi, gambe rigide. Nella doccia, fatico non poco a levarmi di dosso tutto il fango: devo aver portato a valle mezza montagna!!! Però, quando esco, la sorpresa più bella: ad attendermi c'è Enzo con la maglia di finisher. Stupenda e preziosissima.

Quella sera lì, mentre tornavo a casa, ho giurato che mai più avrei partecipato ad un trail, mai e poi mai.
Poco dopo, ne ho fatto un altro, più breve, il Trail dei Tre Comuni di Albisola Superiore: "solo" 45 km, nella versione non competitiva. Ma per il 2008 ne ho programmati ben sette...