lunedì 27 ottobre 2008

25 e 26 ottobre 2008: Gran Trail Rensen + Maratona 42.000 Passi in Valle Susa - Secondo giorno

La sveglia trilla alle sei: drammaticamente troppo presto. Sono ancora nel profondo dei sogni, benché abbia dormito sette ore buone: benedetto il cambio dell'ora!
Mi ci vuole qualche istante per raccapezzarmi: ho un mal di testa formidabile, manco avessi gozzovigliato in qualche cantina langarola ieri sera; è evidente che un trail da 70 km fa più o meno lo stesso effetto di una sbronza, per quanto io non abbia mai sperimentato l'esperienza della ciucca. Chissà l'effetto sulle gambe?

Dopo attenta riflessione e con somma cautela, provo ad alzarmi dal letto: giù una gamba, poi l'altra, poi faccio un bel respiro e provo a mettermi in piedi. Oplà: incredibile! Mi gira un po' la testa, questo sì, ma le gambe sembrano rispondere! Bene, la prima prova è fatta; adesso si tratta di muovere un paio di passi. Ce la farà la nostra eroina? Uuuuuno, duuuuue, la porta della camera da letto è raggiunta. Niente male, come traguardo! A questo punto, prendo coraggio e mi dirigo verso la cucina; sì, direi proprio che la deambulazione è buona, insomma, accettabile. In complesso, mi sento più o meno come se fossi reduce da un incontro molto ravvicinato con un TIR a due rimorchi, carico di tondini di ferro; però, a parte questo dettaglio del tutto irrilevante, sto bene.

E' il momento della resa dei conti. Tra poco più di tre ore, devo essere al via. Devo correre una maratona. La domanda, ora che sono di fronte alla dura realtà, sorge spontanea: "Ma a me... Chi &%$/£ me l'ha fatto fare?". Eh, lo sapevo, che al momento cruciale avrei avuto qualche ripensamento. Mi sarei posta delle domande, e mi sarei anche data le inevitabili risposte. Lo sapevo; infatti, con buon anticipo ho curato di precludermi qualsiasi via di fuga: ho pagato la quota di iscrizione ed ho diffuso a mezzo mondo, quello reale e quello virtuale, la notizia della mia bella pensata. Gran Trail Rensen il sabato, maratona la domenica. Per carità, lo so bene da sola, che al mondo non può fregar di meno, delle mie mattane corsaiole; ma io mi vergogno troppo a rinunciare a qualcosa di cui ho già annunciato il progetto...

Ieri sera avevo preparato una bella vasca di yogurt con miele e caffè, ma riesco a mangiarne solo una minima parte: sono ancora troppo suonata, anche per aver fame. Meglio non insistere: in fretta e furia, mi vesto, mi preparo, salto in auto sotto gli occhi allibiti di un'anziana vicina di casa che mi vede partire prima delle sette, in una coltre di nebbia fittissima, in pantaloncini corti. Ma dico io, santa donna, sei in pensione, non puoi startene a dormire?

Fino a metà strada, non ho tempo né modo di preoccuparmi della corsa: troppo impegnata a capire dove metto le ruote; c'è una nebbia che si taglia con la motosega! Sentirò poi più tardi, alla radio, che qualche genio ha avuto la bella pensata di immettersi proprio sulla Tangenziale Sud di Torino contromano...

Viaggiando in direzione Val di Susa, finalmente, la nebbia si dirada, lascia spazio ad una splendida giornata di sole. E si vede già lassù la sagoma della Sacra di San Michele, e più avanti l'inconfondibile vetta del Rocciamelone.

Arrivo ad Avigliana alle sette e mezza; il luogo di distribuzione dei numeri di gara è segnalato in modo eccellente, tanto che non riesco a perdermi nemmeno io. Saremo in tutto tre gatti: io e la mia mania di essere sempre in anticipo! Parcheggio, attraverso la piazza a piedi: ahimè, inutile che menta a me stessa; le gambe fanno male, eccome! Se non altro, sono i muscoli che "tirano", ma caviglie e ginocchia sembrano a posto, per ora. Ritiro chip e numero, torno verso la Opel: direi che per un'oretta posso ancora dormicchiare!

Riemergo, invece, verso le otto, messa in agitazione dal brusio che intorno comincia a crescere. Il grosso dei podisti sta arrivendo; la piazza si riempe in un attimo, decine di auto da cui scendono grappoli di corridori in assetto di guerra. Li sento discutere di tempi, tattiche e naturalmente dei millecinquecento motivi per cui non faranno oggi una buona gara: mi sto curando la sciatica, ho la tendinite, ieri sera sono rientrato tardi, ho l'unghia incarnita... Tutti uguali! Beh, a dire il vero, un buon motivo che giustificherà la mia defaillance ce l'ho anch'io: ma meglio che non lo dica, non ci crederebbe nessuno.

Approfitto del centro commerciale sulla piazza per andare a buttar l'occhio in qualche vetrina: così almeno mi allontano da qui, che mi viene il nervoso! Pessima idea... Salgo su con la scala mobile, non per scelta ma perché non vedo alternativa, se non l'ascensore, peggio ancora; faccio il mio giretto... Poi imbocco con noncuranza la scala in discesa ed a momenti precipito! Già, non m'era mai successa una cosa del genere; vedo d'improvviso il vuoto davanti a me e mi sbilancio in avanti, pur avendo entrambi i piedi ben fissi sullo scalino. Riesco per qualche strano caso ad aggrapparmi al mancorrente di gomma, ma arrivo giù con il cuore in gola... E' già il secondo brutto scherzo delle vertigini, o qualcosa di simile, in due giorni!

Faccio finta di niente, torno all'auto per sistemare le ultime cose, soldi documenti e telefono nel marsupio. Un po' di stretching prima di trovare il coraggio di togliere la giacca, ovviamente presa in prestito dall'abbigliamento ciclistico, come del resto la maglietta, quella della Randonnée 8000; c'è gente che gironzola già da un'ora in canotta e mi mette i brividi!

Sono le nove e qualche minuto; ora di prendere il coraggio a quattro mani ed avviarsi alla partenza, a circa un km, poco più, da qui. Parto corricchiando, più che altro per scaldarmi: c'è il sole, ma a quest'epoca si iberna! Seguo la corrente di podisti, mi porterà verso la giusta destinazione. Poco dopo, ecco un viso noto: mi affianca Michelangelo, pronto per correre la Stravigliana, prova da 10 km che partirà una decina di minuti dopo la Maratona. Scambiare qualche parola mi fa dimenticare, per un attimo, il male alle gambe. La sensazione, più o meno, è quella di avere i quadricipiti pizzicati con due gigantesche mollette da bucato; in più, i polpacci sono induriti, hanno la stessa consistenza sia che io tenga la gamba a riposo, sia che la contragga. In queste condizioni, non ce la potrò mai fare; sarà tanto se arriverò al km 10, poi partiranno i crampi; succede quando sono più o meno fresca e riposata, figuriamoci oggi!

Va bè, sarà quel che sarà. Ancora un po' di stretching, poi via in griglia, mentre il presentatore declama il curriculum di alcuni dei favoriti per la vittoria. C'è gente di tutti i tipi, quello magro magro alto alto, quello tutto muscoloso, quello un po' culone... Idem per le donne; a quanto pare, non sono l'unico peso massimo! Anzi, per la verità, ci sono certuni e certune che non so davvero come facciano a correre per 42 km... Come sia umanamente possibile... Eppure, per esperienza, so che quei tipi lì ce la faranno, e di certo meglio di me!

Il momento del via arriva all'improvviso: non ho ancora acceso il lettore Mp3 e sono già in corsa. Ci saranno duecento persone? Mah, non so. Il grosso del gruppone va via subito; io mi impongo di restare calma, calmissima, e cerco subito di individuare qualcuno che tenga la mia stessa andatura, da usare come riferimento. C'è un signore non più giovanissimo, divisa bianca, fascia intorno alla testa e lingua inarrestabile; potrebbe fare al caso mio. Dietro non c'è più nessuno! E qui inizia la preoccupazione: non devo farmi staccare troppo, perché poi chissà se e come i bivi sono segnalati e presidiati; se resto in fondo, e sola, rischio poi di sbagliare strada. E vado subito in affanno, combattuta tra il tentativo di restare a breve distanza da qualche compagno di sventura e la paura di esagerare, tenendo un ritmo che non sento di poter sopportare.

Di lì a poco, inizia il sorpasso della corsa da 10 km, che si sovrappone al primo quarto della maratona: i primi sfrecciano a velocità inaudita, leggeri e sinuosi nei movimenti, come se non stessero faticando per nulla; poi arrivano gli inseguitori, tra cui il buon Mik che mi incoraggia: "Solo più 39!". Scherza, lui... Ma è proprio quello che sto pensando io: via un km, via due, via tre, ho già percorso un quattordicesimo di gara, poi quattro, tra poco il ristoro, cinque, un bicchiere d'acqua, pochi metri al passo perché altrimenti non sono capace di bere senza allagarmi la maglia. Continua la sfilata dei corridori della Stravigliana, passa la prima donna, impressionante per quant'è piccola e magra e scattante, poi via via gli altri, quelli più tranquilli, quelli meno tirati, meno assatanati nel corpo e nello spirito. Le gambe fanno male, la schiena strilla, la solita anca destra ballerina si fa sentire; il mio terrore è di sentire, da un attimo all'altro, il crampo nei polpacci o dietro le cosce, punti critici quando sono così affaticata. Ancora 36, 35, non ce la farò mai... E' un calvario, più di testa che di gambe. E' terribile sapere che hai ancora tutti quei km da affrontare, hai male e stai procedendo a velocità da lumaca, con un mezzo, le tue gambe, che potrebbe cedere da un momento all'altro. Ancor peggio perché, quando si conclude il percorso della 10 km, l'illusione di essere in compagnia finisce: mi ritrovo quasi sola, con tre o quattro sventurati che da un momento all'altro, lo sento, mi molleranno qua e se ne andranno.

Invece no. Approfitto della loro sosta al ristoro del km 10 – siamo ancora ad Avigliana, abbiamo percorso una sorta di anello – per prendere un po' di vantaggio e filare via. Sempre lì, a combattere tra la tentazione di accelerare un po', visto che il cuore sta benone ed è calmo e tranquillo come al solito, e la consapevolezza che non posso permettermi errori: oggi devo solo arrivare, davvero, è l'unico obiettivo a cui posso puntare. Non che di norma possa ambire a grandi risultati... Ma oggi no, proprio no.
Continua la mia marcia solitaria: se non altro, ora sono certa di avere qualcuno alle spalle: ma durerà? E quanto? La corsa impone lunghi estenuanti tratti in rettilineo, anche su stradoni; c'è da dire che, per ora, il servizio di assistenza è davvero eccellente. Ci sono decine di persone, tra Vigili Urbani e personale della Protezione Civile, distribuiti su ogni minimo incrocio nei paesi e lungo i tratti di strada statale, a controllare e rallentare il traffico, a fare strada anche a noi ultimi tapini, che così abbiamo sempre e comunque la precedenza. Tralascio per decenza di descrivere ciò che leggo negli occhi degli automobilisti costretti all'attesa, perché non è lusinghiero... Però, se non altro, nessuno si pronuncia; tacciono rassegnati.

E intanto i primi 15 km se ne sono andati: sono già oltre ogni più rosea previsione. Vorrei solo riuscire ad essere un po' meno angosciata, in fondo è solo una corsa, ma ci tengo davvero molto: non alla maratona in sé, ma a questa piccola impresa dell'accoppiata trail + maratona che, a costo di sembrare presuntuosa, non è proprio cosa da tutti i giorni. Scorrono anche gli abitati: ad Almese, scopro, piccola curiosità, che il paese è gemellato con una cittadina polacca il cui nome è costituito solo da consonanti, "SCZC...", non me lo ricordo nemmeno tutto, e chissà come si pronuncia!
Non mancano applausi ed incoraggiamenti per tutti, quando passiamo in mezzo alle case, sul porfido delle vie centrali. Per fortuna, spesso c'è qualche tratto di salita e discesa: non so, forse è solo un effetto placebo, ma la pendenza permette di cambiare un po' il gesto della corsa e forse tiene lontani, per quanto possibile, i crampi ed affini. Ogni tanto, spunta qualche meravigliosa villa con giardino; in particolare, una, splendida, Villa dei Cedri, con due di questi alberi enormi e maestosi nel giardino.

Comincio a sentirmi un po' più tranquilla quando, pian piano, riacchiappo qualche avversario: di tanto in tanto, in lontananza, vedo un puntino saltellante che pian piano diventa una maglietta colorata ed infine, fugato ogni dubbio, un podista da superare. Immenso conforto arriva al km 21, il giro di boa: altri 21 sono ancora tantissimi, ma da quel momento in poi, il maratoneta sa che, passo dopo passo, la strada alle spalle diventa più lunga di quella che ancora c'è da percorrere. E' quasi come andare in discesa. C'è anche il rovescio della medaglia, ci si sente invogliati ad accelerare, ma no, oggi Gian non è proprio il caso; calma, sangue freddo. Quanto reggerò ancora? 5 km, 10? Le gambe continuano a far male, ma è un dolore costante; quel che temevo, quel che era successo alla Maratona di Venezia lo scorso anno, contratture che quasi mi hanno portata a zoppicare fino all'arrivo, per ora non sembra volersi replicare.

Va bene tutto per distrarsi, le montagne, le scritte sui muri, il censimento delle cartacce di integratori, che tra l'altro può essere anche un'indagine istruttiva, si sa mai che si possa scoprire qualche nuova bomba.

Ora il mio obiettivo non è più il 42esimo km. E' di volta in volta il ristoro successivo. Vai Gian, 4 km al prossimo ristoro, 3, 2, 1, ecco il ristoro, solo più 5 al prossimo ristoro. Non che ci sia molto da mangiare; qualche pezzo di dolce tipo panettone e qualche pezzo di mela, ma ci sono i sali, importantissimo per me. Non tanto per il beneficio dei sali, quanto per il gusto di qualcosa di diverso dall'acqua. Mi sforzo di sorridere e ringraziare sempre chi sta lì a farsi il mazzo per me e riesce, a sua volta, ad essere ancora sorridente, anche se so che in cuor suo pensa... "Ma questi quand'è che si levano dai piedi?".

Quando manca poco al km 30, mi affianca e mi saluta un ciclista della mia stessa squadra, la Jolly Europrestige di San Mauro, con una splendida bici tirata a lucido: facciamo due parole, mi passa un altro chilometro. Ecco: al 30° km, in altre circostanze, avrei detto "Via, o la va o la spacca", come a Reggio Emilia l'anno scorso, dove ho rischiato, son partita ed ho realizzato il mio tempo migliore su questa distanza. Oggi invece resto sospesa; adesso sì, mi accorgo che non sono solo più i muscoli a dolere, ma anche le forze a venir meno. Mi rendo conto che sto rallentando un po', ma non posso farci nulla. Mi sorpassa una coppia che avevo passato parecchi km prima; mi restano davanti per un po', poi lei, con una progressione splendida, accelera e va via, mentre lui cede un po' e, dopo qualche tentativo di resistenza, resta indietro anche rispetto a me.

Io continuo a non volermi illudere, anche se penso "Dai Gian, sono ancora 10 km, come il giro che fai alle Oselle – una delle frazioni di Carmagnola dove spesso passo in allenamento -; quel giro lì lo fai anche quando sei cotta e disfatta; immagina di essere appena partita, vai piano e ce la fai!". Quando i km che mancano sono solo più 9, ecco alcuni saliscendi graditissimi, ecco che riacchiappo un bel gruppo di fuggitivi. Intanto mando qualche SMS e telefono a mia mamma, tanto per distrarmi: "Mamma, solo più 9 km...". E lei: "Ah, ma allora te la cavi in fretta!". Come no, mamma, grazie della fiducia ma sto per defungere...

Al 35°, comincio a crederci davvero. Mancano 7 km, come quelli del mio giro di allenamento brevissimo quando ho poco tempo. 7 km, dai Gian, quel giro lì lo fai anche con le stampelle. E poi, adesso stai ancora bene; se proprio dovessi saltare all'ultimo, te la puoi anche finire camminando, non importa. Non so che ora sia, ma secondo me non è neppure poi così tardi. Cinque, quattro: supero un anziano corridore che ogni tanto rallenta e si ferma, poi riparte; scoprirò all'arrivo chequesto signore è classe 1938: ecco, se dovessi arrivare alla sua età, vorrei arrivarci così. Altrimenti non ne vale la pena, fermatemi prima!

-3, poi -2. Riconosco alcune insegne di aziende e bar che ho già visto alla partenza, segno che siamo davvero in dirittura d'arrivo. Avevo il dubbio che al 40° km il ristoro non ci fosse più; invece lo trovo, bevo ancora un po' di sali, mangio un pezzetto di mela schizzando via: si sa, gli ultimi 2 km sono i più lunghi ma in realtà non contano. Le gambe non si nutrono più di energia ma di felicità: non mi sembra vero, sono state ore eterne, mai e poi mai avrei pensato di farcela, e invece eccolo lì, il cartello 41, ecco l'ultimo sorpasso di una rivale: non l'avrei voluta passare prima del traguardo, mi sarebbe sembrata una guerra tra poveri, ma lei ha smesso di correre ed a quel punto non ho potuto farne a meno. L'ultima curva davanti alla stazione, poi l'arco nero: pubblico sparuto, poche anime all'arrivo, ma non importa; non l'ho mica fatta per qualcun altro, tutta questa fatica, l'ho fatta per me stessa, solo per vedere fino a che punto sarei riuscita ad arrivare. Vanno bene anche i sorrisi di commiserazione... Io taccio ma tra me e me gongolo. 4h 37', oltre 40 minuti in più rispetto al mio già scarso miglior tempo, ma non importa, questa volta la pacca sulla spalla me la merito tutta... E pazienza se me la devo dare da sola!

domenica 26 ottobre 2008

25 e 26 ottobre 2008: Gran Trail Rensen + Maratona 42.000 Passi in Valle Susa - Primo giorno

Qualche tempo fa, era uscito al cinema un film comico, con Jim Carrey dal titolo “Una settimana da Dio”. Non essendo un'amante del grande schermo, e neanche del piccolo, non ne conosco la trama, ma potrei rubare il titolo e trasformarlo a mio uso e consumo: un fine settimana da Dio... Anche perché un'intera settimana così, mi sa che non ce la farei a sopportarla!

Cominciamo dall'inizio, cioè da sabato, anzi da venerdì. Rosicchio un'ora all'orario d'ufficio, alle sei di sera chiudo i battenti e salto in auto; destinazione, Arenzano, dove domattina alle 4 partirà il Gran Trail Rensen: 70 km, 4.000 m di dislivello in salita, come al solito è tutto quel che so riguardo il percorso. Anzi no: so anche che pare essere una prova molto dura, addirittura, si vocifera, più delle Porte di Pietra.
Prima di entrare in autostrada, però, è d'obbligo una sosta in panetteria, dove faccio incetta di pizza rossa ed un bel pezzo di focaccia alle olive, per cena. Le mangerò in viaggio... Manco a dirlo, prima ancora di arrivare al casello, ho già le ganasce in azione. E' quasi un gioco di prestigio, rallentare, aprire il finestrino, prendere e riporre il biglietto, ingranare la marcia e ripartire, il tutto ovviamente con la sola mano sinistra, perché la destra è impegnata a reggere un etto di pizza col pomodoro: non ci si può permettere di far crollare la pizza, altrimenti è un macello!
Solite domande di rito, mentre incamero risorse energetiche per domani ed ascolto la radio: ho preso tutto il materiale obbligatorio? Giacca, fischietto, borraccia, riserva di pappatoria, telo termico, berretto.
Poco prima di Mondovì, attacca a piovere. Perfetto: se prima ci si vedeva poco, adesso non si vede proprio più un tubo. Ma questo è il problema minore: il guaio grosso è che, se stasera piove, domattina i sentieri saranno un unico pantano. E camminare sarà impresa ardua! Per la serie, cominciamo bene... Le mille curve della To-Sv, con asfalto bagnato, inducono alla prudenza; vedo qualche pilota poco accorto e troppo sportivo che pattina vistosamente prima di ripiegare saggiamente su una velocità più adeguata alla situazione. Per fortuna che ho già finito la pizza... E che, in vista del mare, non piove più. Anzi, brillano le luci di Savona che, al buio, pare persino una bella città, come del resto Genova. Non me ne vogliano i locals, ma io detesto le città; più son grandi e peggio è!
Di galleria in galleria, raggiungo Arenzano, dove vago per un po' alla ricerca del locale dedicato alla corsa ed alla distribuzione dei pettorali. Il passaggio di alcune borse sospette, tutte uguali, mi fa capire che non sono lontana: abbandono la Opel su una piazzetta, risalgo la corrente delle borse e sbuco sul lungomare, dove trovo la mia meta. Un'accoglienza che mi lascia sorpresa ed anche un po' stordita: c'è un sacco di gente che mi saluta calorosamente ed io, vergognosa, di molti di loro non ricordo il nome! Tutti mi chiedono come va; la mia risposta è sempre la stessa: “Ho paura!”. In effetti è proprio così; ho paura, sono tesa, preoccupata, come sempre in queste circostanze. Trovarmi in mezzo ad una folla di corridori duri e puri, dall'aspetto molto più adatto alla situazione rispetto a me, mi incute timore e mi mette ansia. Vorrei scappare subito subito, sbrigate le formalità del ritiro del numero di gara e del controllo dello zaino, ma è meglio di no: meglio drizzare le orecchie, perché gli organizzatori stanno parlando del percorso, delle sue caratteristiche, dei punti critici, dei ristori. Mi sforzo di prestare attenzione, ma non sono mai stata una brava spettatrice; nemmeno a scuola riuscivo mai a stare attenta! Infatti, più che le parole, colpisce la mia attenzione la parlata buffissima ligure. Sento di discese difficili, di tratti attrezzati con corde fisse: giusto per mettermi tranquilla. Uno dei papà di quest'avventura (Lorenzo, il nome... O sbaglio? Non vorrei farmi una gaffe!) mi rassicura sullo stato dei sentieri, sulle previsioni meteo e... Dice che sta per andare a fare un'ultima ricognizione! Stakanovista incallito, non andrà nemmeno a dormire! Resto a bocca aperta: è sempre difficile rendersi conto di quanta gente si faccia un mazzo quadro per organizzare l'altrui divertimento! Beh, divertimento forse non è proprio la parola giusta; in uno sport così, si soffre, ci si fa del male, si raccolgono enormi soddisfazioni e cocenti delusioni, ma divertimento è un termine fuori luogo, non c'entra proprio nulla.
Mi perdo a scrutare i corridori presenti in sala: qualche volto noto, qualcuno di cui conosco il nome e la storia – c'è il mitico Orso dell'Himalaya, c'è il podista coi riccioli d'argento delle Porte di Pietra, ci sono altri che di certo ho già visto, ma non so più dove; del resto, sono talmente tesa in questo momento, che il cervello collabora meno del solito.

Esco quasi con sollievo: non posso però andare a nanna prima di aver visto il mare. A dispetto del mio patrimonio genetico mezzo savonese, non amo il mare, se non in un particolare momento dell'anno: l'inverno, meglio ancora se di sera. Stasera c'è un tepore invidiabile, 16 gradi secondo uno dei pannelli luminosi che ho visto poc'anzi. Me ne vado con il mio pacco gara ed il mio zaino a calpestare un po' la sabbia, guardare le luci di Genova lungo la costa e quelle delle imbarcazioni sospese chissà dove là in mezzo al nero, la montagna che si intuisce solo per via di qualche casa illuminata o per i fari di qualche veicolo che ci si arrampica. E naturalmente l'acqua, così placida da sembrare olio, le onde pigre che lambiscono le punte delle mie scarpe. Aspetto l'onda più lunga, quella che arriverà a cancellare le mie orme quando io, un attimo prima, avrò fatto un salto indietro... Ma l'onda lunga non arriva, si vede che non è orario, si vede che il venerdì è prefestivo anche per il mare. Pazienza. Potrei, a pensarci bene, prendere il sacco a pelo e venire a dormire qui... E lo farei, davvero, anche se la notte in spiaggia è umidissima, anche se è scomodo dormire sulla sabbia o sui sassi; mi riporta alla realtà il timore che un'idea del genere equivalga un po' ad andare in caccia di guai. Non che dormire in auto sia molto più sicuro, ma almeno c'è una sorta di guscio metallico intorno, ci sono delle serrature.

Meglio che mi avvii: sono le nove passate; la sveglia suonerà poco dopo le due e mezza – le due e quaranta mi pare un compromesso adeguato. Il crepitio dei sassi levigati sotto le scarpe, uno sguardo alle barchette ritirate una accanto all'altra sulla sabbia, poi via verso l'auto. Il più vicino parcheggio dove non vedo traccia di pedaggio né di limite orario è quello di fronte alla stazione: occupo il posto più defilato possibile, proprio sotto il cartellone pubblicitario di una palestra – palestra? Ma muovete il deretano ed andate a correre, altro che palestra! - sbircio un po' il contenuto del pacco gara... E si accende una luce rossa? Ossignur, eppure giuro che non ho toccato alcoolici, ma non c'è nulla nella mia auto che faccia una simile luce rossa! Attimo di panico, scavo nella borsa... E' un portachiavi luminoso! Gian, mettiti a dormire che è meglio, sei nervosa come se avessi tracannato l'intera produzione della Lavazza di un anno. Detto, fatto; abbasso il sedile, mi copro un po' col sacco a pelo – non mi ci infilo, farei la sauna – e sono già nel mondo dei sogni.
La sveglia squilla scrollandomi senza pietà alcuna dal più profondo del mio profondissimo sonno. Il bello dei risvegli in auto in Liguria, però, è che non fa freddo... Anzi! Anche stamattina, o meglio stanotte, c'è un incredibile tepore. Apro un occhio, poco convinto, poi l'altro; la stazione è tutta illuminata, ma in giro non c'è un'anima. Tanto meglio: mi cambio in fretta, ripetendo mille volte l'inventario delle cose necessarie di oggi; faccio colazione sbafando metà della vaschetta di insalata di riso, con uovo sodo e piselli, che mi sono preparata ieri. Sarà che ieri ho mangiato come un camion degli spurghi, ma adesso non mi riesce proprio di aver fame: meglio non insistere, anche se so che poi la pagherò. Metto vaschetta e cucchiaio nello zaino: in fondo, manca ancora un'ora al via; magari, prima di quel momento, la fame arriva.

Abbandono la Opel e mi avvio verso il lungomare: credevo fosse presto, invece c'è già parecchia gente. Chi si presenta bardato dai capelli agli alluci, chi in pantaloncini corti e maglietta. Ci sono addirittura alcuni bar aperti, a quest'ora! Incontro diversi partecipanti del forum di Quotazero, uno per tutti il fortissimo Antani, intento a tracannare un beverone dall'aspetto poco invitante e dal gusto, pare, ancora peggiore. Ancora qualche cucchiaiata di riso, da ingoiare controvoglia, poi via verso la piazzetta di partenza, dopo le ultime rassicurazioni sulla situazione meteo. Per ora, stelle in cielo non se ne vedono... Ma almeno non piove. La tendenza dovrebbe essere verso il miglioramento nel pomeriggio.

Ci saranno più o meno cento persone, occhio e croce, al via. Uno fra tutti, il grandissimo Marco Olmo, lì a due passi, che parla con un altro grande di queste corse, Pablo Barnes, argentino, o almeno così ho sentito dire. Resto lì come un baccalà a fissarlo, Olmo, di continuo illuminato dai flash di macchine fotografiche; confesso che mi piacerebbe da matti chiedergli di poter fare una foto con lui... Ma temo che farei la figura dell'idiota, o quantomeno della noiosa ed inopportuna; meglio lasciar perdere.
Devo essere talmente suonata che, di tanto in tanto, qualcuno viene a salutarmi da vicino, perché da lontano si sbraccia, ma io non lo vedo. In effetti, non vedo l'ora di partire: almeno, fine della tensione!
Matteo mi aveva detto, qualche giorno fa: “...i primi 10 km sono in pianura”. Spero tanto che sia una notizia falsa e tendenziosa, ahimè invece no, è proprio vero. Beh, 10 km è eccessivo, ma c'è comunque un buon tratto tutto da correre, pessima notizia per me che, in questo tipo di gare, non amo correre. La nota positiva è che, essendo all'inizio del percorso, non ho ancora le gambe inchiodate, quindi ci posso anche riuscire.
Il via è quasi indolore, niente musica, niente conto alla rovescia, che sono molto coreografici ma mettono tensione (e probabilmente, dati l'ora ed il luogo, comporterebbero il lancio sincronizzato di vari oggetti contundenti da tutte le finestre del paese). Si parte di corsa, ma non troppo, almeno, non tutti. Infatti trovo ben presto il mio ritmo ed il mio gruppetto, in particolare un corridore valdostano ed un simpaticissimo Genovese, non più giovanissimo, alla prima esperienza di trail così lunghi. Un tratto lungo la passeggiata, un altro sulla spiaggia, un altro ancora in galleria, dove un tempo passava il treno. Un po' di strada lungo l'Aurelia, fino al bivio per l'abitato di Lerca: qui siamo ancora su asfalto, ma per fortuna si sale un po' e si smette di correre. Per carità, si potrebbe anche correre, se uno non fosse sovrappeso e con il fiato corto... Direi che è meglio non esagerare, anche perché siamo appena all'inizio e, a quanto pare, sarà una lunga giornata di tregenda.
Attraversiamo borgate addormentate, dove si sente solo il latrato dei cani, stupiti pure loro dalla presenza di tanti strani individui con un terzo occhio luminoso in mezzo alla fronte. Ci han detto che i proprietari sono stati tutti avvisati di tener chiusi i loro animali... Ma mi sa che, tra un po', qualche indigeno che non gradisce la sveglia ad ore antelucane li libera, i cani, e ce li sguinzaglia contro! Poco male, io adoro i cani...

Un po' di asfalto, poi un tratto di salita su un sentiero di mattoni, scivoloso: sarà questo, il significato di quel termine che ho sentito pronunciare spesso ieri sera alla riunione? Potrebbe, anche perché mi viene in mente, a ben pensarci, il titolo di un album di De Andrè, "Crêuza de mä", e allora sì, tutto quadra.
In fondo, il temuto tratto di corsa iniziale potrebbe avermi fatto bene. Di solito, il primo tratto di salita significa affanno, cuore che batte all'impazzata, invece questa volta no. C'è da dire che per ora si alternano tratti di strada asfaltata in mezzo alle case, tratti di sentiero in piano, e che qui e là mi lancio ancora a correre un po', trascinata anche dai miei compagni di viaggio. Siamo ancora in quella fase in cui si chiacchiera, si ride, si scherza; ciascuno racconta le proprie esperienze ed i propri guai passati, presenti, futuri; chi è qui con il furgone e la moglie ed il cane, chi arriva da vicino, chi da un po' meno vicino; ci si informa sui tempi realizzati alle varie corse, si scopre che più o meno si è stati tutti negli stessi posti. E' curioso; la mia sensazione è che questo dei trail sia un movimento sportivo nato da non molto tempo, non ancora così noto, tanto che quasi ci si conosce tutti, o in buona parte, e ci si ritrova nelle varie occasioni, almeno nell'ambito di due o tre regioni vicine. Se penso che ho partecipato in tutto a sette trail e, volta per volta, ho riconosciuto un bel po' di persone e sono stata a mia volta riconosciuta... Ed è bellissimo!

Già qui, nel tratto iniziale, i volontari che assistono la corsa sono tantissimi. Ci avvisano che l'asfalto sta per finire: beh ma non è che a me facesse proprio così ribrezzo...
Quando inizia, la prima salita, fa subito sul serio. Ormai non c'è più la pacchia delle luci delle borgate; tocca accendere le frontali ed addentrarsi nel bosco.
Ancora in gruppo, ci arrampichiamo su per una serie di tornantini e tratti più dritti, ma dalla pendenza severa, tanto che qualcuno, all'improvviso, annuncia di volersi fermare al prossimo bar. Poi, qualcuno si ferma, qualcuno si fa da parte, ci si dirada.
Si sale verso il Monte Rama: così dice il corridore genovese, mio compagno di viaggio in questo tratto. Le segnalazioni non mancano, ma in molti tratti il sentiero non è facile da intuire, anche se le nostre luci illuminano, avanti, le fettucce rifrangenti che sventolano e danno quasi l'idea di avere davanti altri corridori. In realtà il gruppo ora si è sgranato; una o due persone ci sono, ma parecchio più avanti.
Questa salita ha un aspetto rassicurante: si annuncia lunga e pare avere una pendenza sostenuta ed abbastanza costante, l'ideale per me che ho bisogno di poter prendere un mio ritmo, per andar bene. Ciò che mi mette in difficoltà, come al solito, è il buio, un po' perché faccio davvero fatica a mettere a fuoco i particolari del sentiero ed un po' perché fissare sempre e solo il cerchio di luce della frontale, a lungo andare, è alienante.
Qualche goccia, due o tre: che sia l'umidità che il vento scuote giù dalle fronde degli alberi? E' una speranza che condivido con il mio compagno di viaggio... Ma alzo il naso al cielo; fin qui non ci avevo nemmeno fatto caso, ma, a pensarci bene, non si vedono stelle. E, man mano che si sale, il vento si fa più arrabbiato e freddo: tiro su i manicotti, chiudo la zip del gilet. Inutile nascondere la testa sotto la sabbia; questa è pioggia, bella e buona. A tratti, qualche goccia, poi un po' più intensa, ma non tanto da mettere la giacca impermeabile: altrimenti, si rischia una sudata e ci si infradicia esattamente come se si prendesse la pioggia.
Calpesto foglie e sassi insidiosi perché umidi, e funghetti spuntati qua e là e foglie viscide. Ad un tratto, mi trovo davanti ad una pozza che mi pare un po' più grande delle altre, un po' troppo: per un pelo, presa dalla foga della salita, non ci salto dentro! Il sentiero svolta a sinistra... Ma scoprirò poi, al punto acqua più avanti, che qualcuno, nella pozza, c'è finito davvero.

Il punto di assistenza compare inaspettato e, devo ammettere, confortante. Continua a piovere, tira vento e quassù, all'uscita del bosco, come se non bastasse, c'è un nebbione fitto tale che non si vede più nulla. Il Genovese ed io riempiamo le borracce e via, verso l'ignoto. Ringrazio davvero di non essere sola, qui: ho le lenti degli occhiali appannate e, con la nebbia, non vedo assolutamente nulla, nemmeno dove metto i piedi. Come possano esserci tutte queste cose insieme, vento violento e gelido, pioggia, nebbia, lo ignoro, eppure è proprio così! Dovremmo essere a Prà Riundo e percorrere un tratto dell'Alta Via dei Monti Liguri: dovremmo, ci crediamo sulla fiducia perché non vediamo nulla. Infreddoliti, ci fermiamo per indossare le giacche: non vorrei essere nei panni di chi è partito in pantaloncini; e dire che, alla partenza, siamo stati ben ammoniti circa le condizioni della temperatura in quota!
Sono preoccupata, seriamente. Se il meteo dovesse restare così tutto il giorno, dubito che riuscirò ad arrivare alla fine del trail. Già qui sto battendo i denti dal freddo, anche se il GoreTex protegge bene; forse è più la tensione nervosa, l'urlo ossessivo del vento nelle orecchie, cattivo, che ti prende a schiaffi ogni volta che abbandoni un tratto di sentiero riparato. E' aspro, l'ultimo tratto della salita del Rama; è qui che inizia appena appena a fare chiaro e che, nel grigio della nebbia, si delineano all'improvviso guglie di roccia che creano un'immagine tetra, minacciosa, eppure splendida. Dai Gian, tanto qui non hai scelta. Vai avanti, qualche santo sarà.




Incespico un po' di volte sulle rocce scivolose, prima di giungere in cima; per la seconda volta nella mia carriera di trail runner malriuscita, metto le dita su un lumacone... Povera bestia lui, ma che schifo!!! Beh, però al CCC questo mi aveva portato fortuna...

Un attimo dopo il lumacone, ecco la croce, la vetta. Qui arriva il bello, cioè il dramma: la discesa attrezzata con le corde. Ci sono, anche qui, volontari ad ogni angolo: noi corridori faremo fatica, ma loro, che quassù passano ore ad aspettare nella nebbia ed al freddo, loro sono i veri eroi!
Scendo con una lentezza esasperante, battendo, strisciando e graffiandomi ovunque; però, inaspettatamente, reagisco meno peggio di quanto pensassi, nel senso che almeno questa volta non mi lascio prendere dal panico. La verità è che potermi appendere ad una corda mi dà grande sicurezza; infatti, mi ci aggrappo. Dove non ci sono le corde, scivolo, scendo a quattro zampe, ne faccio una per colore; meno male che c'è già un po' di flebile luce. Com'è ovvio, mi supera mezzo mondo; mi supera anche Isacco, ormai immancabile, pure lui, a questi appuntamenti.
Le mie difficoltà continuano ben oltre il tratto attrezzato. Cammino come se fossi su un tappeto di cristallo, anche perché riesco a scivolare su qualsiasi pietra su cui appoggi il piede. Mai come oggi sono utili i guantini da bici! Avrei già le mani massacrate, se no. Intanto si fa giorno sul serio e, pian piano, anche la discesa diventa un po' più trattabile. Non che si riesca a correre, questo no, almeno per me; però, se non altro, posso aumentare un po' il ritmo. Man mano che si scende, cambia la vegetazione, compaiono gli alberi, castagni soprattutto, ricci sul sentiero, molli di pioggia.
In un tratto asfaltato, la corsa da 70 km incrocia quella da 35: ci si saluta e ci si incoraggia a vicenda. Tanti mi salutano per nome: alcuni li riconosco, altri no, ma è colpa del fatto che le mie cellule grigie sono in tragica carenza di ossigeno! Provo a corricchiare un po', visto che questo tratto è in piano; meno male che poi si riprende un sentiero sulla sinistra, così mi sento autorizzata a smettere!
Si arriva, dopo un tempo interminabile, ad un ponticello ed una leggera risalita: i miei compagni di viaggio in questo tratto rimuginano sul cancello orario, che è proprio qui, in località Campo; dovremmo essere al km 24. E siamo ampiamente in orario: in vantaggio, anzi, di un'oretta e mezza. Ne prendo atto, come al solito, perché viaggio senza orologio.

I volontari del ristoro idrico ci informano che a questo punto ci attendono quattro km di salita dura, mille metri di dislivello in un botto e circa cinque e mezzo di discesa fino al ristoro di località Gava, dove troveremo anche qualcosa di solido da mettere sotto i denti.

Riparto in fretta e furia, mentre gli altri corridori giunti lì con me si attardano qualche momento al ristoro. E di certo non mi volto più indietro. Salita al Monte Argentea, quota poco più di 1.000, come ci hanno annunciato. Da un po' ha smesso di piovere, ma il cielo è ancora grigio e minaccioso. Dopo un breve tratto di asfalto, imbocco un sentiero sulla destra, che si preannuncia subito ripido. Prendo un passo tranquillo ma costante, inizio a fare mentalmente la calcolatrice: dunque, km 24, ne mancano 9,5 al ristoro, quindi laggiù saremo quasi a metà strada. Piano, Gian, che è ancora lunga.



Il paesaggio ora ha assunto connotati di vera montagna. Il sentiero corre dapprima lungo un pendio sassoso, tagliato da gradoni, grigio com'è tutto grigio in questa giornata. Dovrebbero essere più o meno le nove, ma èimpossibile regolarsi con la luce. Anche perché, man mano che si sale, ci si avvicina alla coltre di nebbia: mi sembra assurdo che la nebbia sia sulle cime anziché giù in basso, ma è così. Salgo e raccatto qualche avversario che accusa un po' la salita: bene, significa che almeno qui, su questo terreno, ogni tanto posso dire la mia! Raggiungo uno, due, tre escursionisti; intanto riprende a piovere, rinforza il vento che mai ci ha abbandonato, e fa freddo. Tengo un po' in mano la giacca, meditando se indossarla o no; poi rinuncio, in fondo non piove così forte, meglio sopportare, almeno per un po'.
Verso la fine, quando già la nebbia ha avvolto tutto tutt'intorno, la salita si impenna prepotente: mi ritrovo a salire con il naso incollato al sentiero, ad aggrapparmi a qualsiasi cosa che mi permetta di fare forza almeno con le braccia, visto che i piedi scivolano ostinatamente nel fango. E' difficilissimo trovare un appoggio; le scarpe non fanno alcuna presa, c'è troppo fango, tutto molle, viscido, e non parliamo poi delle rocce. Supero una ragazza che scopro essere anche lei parte del forum di Quotazero, Elena: cavoli, e lei che temeva di non farcela, guarda qui dov'è già arrivata!
Mi arrampico alla bell'e meglio guardando in su, ma è inutile, non si vede niente; non riesco a valutare dove sia la vetta, finché non mi ritrovo davanti una madonnina e più nulla su cui arrampicarmi. Qui prendo una cantonata; tiro dritto e mi fermo subito, davanti ad un baratro. Meno male che Elena ed il suo compagno di viaggio intuiscono il sentiero: più veloci di me, scendono tranquilli, mentre io, di fronte ad un'altra discesa ripida e scivolosa, perdo la solita eternità. Ma ormai sono rassegnata...
Nella nebbia si materializza una costruzione, un rifugio. Riempo la borraccia e via, in discesa verso il Passo Gava, dove c'è il ristoro: ci arrivo relativamente in fretta, senza grandi difficoltà, anche se qui le gambe cominciano a farmi capire che non è il caso di insistere con la corsa. In questo tratto, passano a grappoli i corridori della 35, per uno strano intreccio di percorsi che non ho ben capito: mi fa impressione il fatto che quasi nessuno di loro abbia lo zaino. Stanno viaggiando tutti in pantaloncini, maglietta e basta: ma come diavolo hanno fatto, lassù nella nebbia?

Già da lontano si vede il rifugio con il ristoro. Ho fame e non troppa voglia di barrette; meglio che mi fermi due minuti e butti giù qualcosa di consistente.
Il tavolo imbandito è una meraviglia, c'è di tutto: frutta secca di vario tipo, soprattutto l'ananas che a me piace da matti; parmigiano, focaccia, panini con il salame, e poi le bottigliette di Powerade da portare via: fantastico! Manca solo la Coca Cola, ma non si può avere tutto dalla vita. Scelgo la versione della bibita color puffo, più per il colore che per altro; la berrò più tardi. Riparto, non senza aver accarezzato due cagnoni che fanno supervisione; la signora del ristoro mi dice che ci rivedremo, perché la corsa da 70 km ripassa da qui: ah sì? Non lo sapevo! Quindi, se ho ben capito, il percorso lungo fa un anello che parte ed arriva alla Gava e poi prosegue altrove, non so dove.
Via al Passo della Gava, dove c'è il bivio tra i sentieri. Il volontario lì sopra mi dice "Hai l'onore di veder passare il primo della tua corsa": "Spero sia Olmo", rispondo... No, è Barnes. Non me ne voglia il signor Barnes, ma c'è differenza tra un campione ed un mito... Ed Olmo è IL mito! Un attimo dopo, mentre io attacco la salita a sinistra, ecco la maglietta arancio di Barnes che arriva dall'altro sentiero e la sua voce, fresca e riposata come se fosse appena partito. Mi dice il volontario, "Ha 24 km di vantaggio su di te": beh, che ti devo dire? La cosa importante – come mio solito, scoperta per caso – è che questo anello è lungo 24 km, quindi, se al ristoro precedente si era circa al km 33, quando torneremo qui saremo al 57, quindi ne mancheranno 13. Con queste cifre che rimbalzano in mente, mi avvio di buon passo su per questa salita che, al pari delle due precedenti, mi ispira simpatia. Anche qui si sale secchi, anche qui non subisco alcun sorpasso ma anzi riacchiappo tre avversari, tra cui il Genovese con cui ho viaggiavo ad inizio gara. Lo vedo lì davanti, mi ci avvicino con i miei soliti passetti brevi e frequenti, votati al massimo risultato con il minimo sforzo; lo acchiappo proprio sulla cima, al Monte Reixa, come sempre immerso nella nebbia più fitta, dopo quattrocento metri circa di dislivello dal ristoro. Infatti il rifugio appare all'improvviso. Poi un tratto di sentiero ampio, qualche saliscendi, dove viaggio in compagnia del Genovese e dell'altro corridore conosciuto ad inizio gara, di Collegno. Incrociamo un corridore del percorso lungo che torna indietro: accenna al fatto che ha sbagliato strada... In effetti, anche Barnes, quando l'ho intravisto all'inizio di questa salita, diceva di aver sbagliato!



La discesa qui è lunga, ma non particolarmente difficile; infatti, non solo questa volta non perdo terreno, ma riesco a staccare un po' i due colleghi. Si scende fino al bosco ed alla strada asfaltata, al Passo del Faiallo; ne percorriamo un tratto, dove approfitto per mangiare. Non corro, ma mantengo un buon ritmo; i due inseguitori sono poco indietro, ma, per fortuna, un tratto di risalita su sentiero mi consente di recuperare un altro po' di vantaggio. Intanto, sembra che la giornata voglia sistemarsi e che anche le mie gambe non diano ancora segni di insofferenza. La salita arriva al Bric del Dente, poi il sentiero torna a scendere giù verso l'asfalto: da sopra, si vedono le vetture dell'assistenza. Mi affretto, anche se qui il fondo non è dei migliori per aiutare le mie povere caviglie; spunto sulla strada: "Dall'ambulanza, a sinistra", mi dicono. E, all'ambulanza: "attenzione perché qui il sentiero è scosceso". Infatti, da qui, i due o tre km per me più drammatici dell'intero percorso. Il sentiero è ripido e da qui si vede, a picco, l'intera vallata, qualche cima più in basso.



Il senso di vuoto è forte; mi sforzo di guardare solo il sentiero, ma talvolta non posso fare a meno di alzare lo sguardo e subito sento la testa che gira, la sensazione di dover cadere in avanti, anche se magari mi sto muovendo a quattro zampe. E' l'unica cosa che posso fare, scendere a ginocchia piegate, mani spesso appoggiate a terra, perché sento che la testa va giù, verso il pendio scosceso. Dietro, le voci dei due colleghi: ma, a quanto pare, la difficoltà non è solo mia, perché, anche più avanti, non mi raggiungeranno.
Provo anche a distrarmi, a fare qualche foto, tutto per tenere a bada il panico, sperando che questo tratto di sentiero abbia fine, sperando di tornare giù, in mezzo al bosco, chiuso e protettivo. In effetti ci si arriva, per fortuna; compaiono alcune case, sperdute, che si raggiungono solo via sentiero: davvero una vita fuori dal mondo...
Raggiungo due corridori, una coppia; quando s'accorgono di me, allungano il passo: beh, poco importa, io di certo non li inseguo. Anzi, trovo un getto d'acqua e mi fermo a riempire la borraccia: non sapevo che, di lì a poco, sarei arrivata al ristoro idrico di Fiorino. Infatti, quando ci arrivo, uno dei volontari mi offre l'acqua, ma rifiuto: ne ho già, e poi ho ancor sempre la bevanda blu puffo!
Passo davanti al tavolino e tiro dritto: meno male che mi fermano e mi spediscono lungo il sentiero giusto, a destra. La coppia di prima è ferma al ristoro: voilà cari miei, adesso si sale e non mi beccate più! Come si è crudeli, anche nelle retrovie... Una guerra tra poveri!
Qui ci si arrampica in mezzo alle borgate, un po' su sentiero un po' su asfalto. Vedo alcune splendide viti con alcuni invitanti grappoli di uvetta, magari già un po' passa, ma son sicura che sia dolcissima lo stesso: la tentazione è forte... Ma poi rinuncio, non è roba mia, meglio tirare avanti. Faccio arrabbiare un bellissimo Labrador passando intorno a casa sua: poi asfalto, un lungo tratto molto ripido, che mi fa sentire la mancanza della bici da corsa.
Si sale così per circa duecento metri di dislivello, ed io già spero che questa sia la salita seria... Invece no: si torna a scendere, si perdono quegli stessi duecento metri, poi il bivio per l'abitato di Sambuco. Altra strada asfaltata, bella ripida, e poi, dal paese, via su sentiero. Questa sì, è la volta buona. Incrocio un dialogo incomprensibile in stretto dialetto, urlato da casa a casa da due anziani; incrocio lo sguardo incuriosito di un gatto pezzato ed accarezzo sulla testa un cagnotto in cerca di affetto; poi via, su lungo il pendio, un bel sentiero a tornanti, anche questo ripido. Guardo i tetti delle case farsi sempre più piccoli e lontani; cerco di valutare il dislivello, la distanza: potrebbero mancare circa venti km... Anche qui salgo bene, senza stanchezza; anche qui si sale nel bosco, poi la vegetazione scompare; anche qui riacchiappo un paio di anime. Poi vedo, poco più su, una chioma sciolta, una persona seduta su una pietra. L'avevo visto solo in foto, ma lo riconosco subito, e lui con me: è Ennio, il geologo siciliano con cui ho scambiato un po' di posta elettronica proprio in occasione dei trail. Ci presentiamo; lo vedo un po' in crisi, forse più di testa che di gambe, e gli chiedo se vuol provare a seguirmi. Così fa: la salita non è più molto lunga; c'è ancora qualche tratto aspro, ma ormai ci siamo.



Non riesco bene a capire dove si debba arrivare: c'è qualche cima qui, ma mi pare troppo alta... Infatti, all'improvviso, deviamo giù per un sentiero che piega a sinistra e scende lungo il pendio, dolce. Ennio s'è staccato un po' in salita, ma in discesa recupera subito. Mi chiede, "Sai quanto manca alla fine? "Mah guarda, secondo me meno di venti". A dimostrazione di quanto fosse per difetto la mia stima, dopo una decina di minuti arriviamo in vista del Passo Gava: altro che venti, ne mancavano sì e no quindici quando me l'ha chiesto! Dal Passo, brevissima discesa al ristoro.
Al ristoro arriviamo chiacchierando, rinfrancati entrambi dalla compagnia. Facciamo un bel pieno di cibo: io ho finito la bottiglietta di bevanda blu; questa volta scelgo quella rossa, mi riempo le mani di frutta secca e focaccia, che mangio in rigoroso ordine casuale. Si torna su al passo, ci dicono, e da lì alla cima che c'è proprio sopra, il Monte Tardio. Circa 150 m di dislivello da coprire con un sentiero molto ripido: nell'ultimo tratto, mani e piedi servono tutti! Ennio è un po' indietro, ma vado su tranquilla, certa che poi mi raggiungerà in discesa. Spunto sulla cima, trovo un volontario anche lì: eccezionali!
La discesa, nel primo tratto, è ripida e malagevole. Non so che ora sia, ma la luce si sta pian piano affievolendo. Meglio che mi sbrighi: non sarei troppo felice di arrivare giù a notte. Mai ragionamento fu più sballato... Al ristoro, mi han detto che, dal Tardio in poi, sarebbe stata tutta discesa. Così, quando arrivo giù sulla carrozzabile sterrata, mi metto a correre. E' vero, ho pensato che quasi 13 km di discesa fossero un po' tanti; però, se lo dicono loro...
Corro per tutto il tratto di carrozzabile; poi, d'improvviso, una freccia intima di lasciare la strada ed imboccare un sentiero sulla sinistra. Di lì a poco, si torna a salire in mezzo agli alberi: bah, sarà un saliscendi, una cosa breve... Mi sembra che, poco più su, ci sia una sella; ma non è una sella, è solo una curva, dietro la quale si vede altra salita. Ed altra salita, e altra ancora. Non c'è nulla di terribile, per carità; il fatto è che ormai mi ero convinta di dover scendere; questa inversione di tendenza proprio non me l'aspettavo. E poi tra non molto sarà buio, e qui si continua a salire, salire e ancora salire; ma dove cavolo andiamo a finire? E' un misto di stanchezza, rabbia, paura quello che mi assale. E' ovvio che, se l'itinerario continua a prendere quota, rimarranno ben pochi km per la discesa, e quindi la discesa stessa sarà terribile. E mi toccherà affrontarla col buio, perché, per quanto mi sforzi di marciare il più in fretta possibile, continuo a trovare salita. Poi un po' di discesa, sembra che finalmente sia il momento, e invece no, ancora no. Ormai sono talmente agitata, preoccupata per quello che mi attende, che parlo ed impreco da sola. Poco avanti a me ci sono due persone, ma non riesco a raggiungerle; lancio invettive a chi ha avuto la malaugurata idea di inserire questo tratto di sentiero... In realtà, tutto questo è assurdo; l'anno prossimo, se nulla cambia, saprò già cosa mi attende e saprò già di non dovermi angosciare. Ma adesso guai, il festival delle cattive sensazioni; fame, sete, paura. Le luci del mare sono là, sembra di toccarle, eppure io continuo ad allontanarmene; ormai affronto ogni risalita con rassegnazione; non ci spero nemmeno più, che ci sia una discesa... Se non fosse per le segnalazioni e le fettucce, avrei il dubbio di aver sbagliato strada.


Poi la temuta discesa arriva... Ed è proprio come me l'aspettavo: scoscesa, difficile, orrenda. Peggio ancora perché, adesso, l'unica luce è quella della frontale. Io vedo male e sono pure stanca; inciampo, scendo pianissimo, e penso che al traguardo ci sarà già Matteo che aspetta e mette le ragnatele, e penso "Chissà a che razza di ora arrivo giù", insomma, qualsiasi cosa buona per alimentare la mia rabbia. Continuo ad augurare le disgrazie più truculente a chi ha pensato di inserire, come unlima discesa, questo attentato alla spina dorsale dei corridori... Ben immaginando di chi possa trattarsi!
Qui sì, qualcuno mi sorpassa e va, ma non c'è nulla da fare, sono in crisi nera. Ho la sensazione che questi 13 km siano diventati il doppio, sono insofferente, ho solo voglia di arrivare giù, eppure mi sembra che le luci siano ancora troppo troppo lontane... Non ci arriverò mai!

Liberazione, improvvisa: il sentiero finisce su un'altra strada carrozzabile; stiamo a vedere che è finita sul serio! Sono talmente felice d'essere uscita da quell'incubo, che non c'è più stanchezza che tenga; mi metto a correre, con un po' di cautela perché non so esattamente quanto manchi. Poco più tardi, arrivo all'asfalto, dove, ovviamente in presenza di un bel po' di gente, mi inciampo ed arrivo ad un pelo dal piantare una facciata per terra; mi ricompongo, fingo noncuranza e via. Supero ancora un paio di corridori, più un altro gruppetto poco sotto, lungo le famose "creuze". Ultima coltellata per i garretti, una scalinata: ancora un po' di corsa nel paese, poi la sorpresa, ecco Matteo in bici; come sempre felicissima di vederlo, anzi, stavolta ancor di più perché significa che è finita! Passo sotto l'arco, con tanto di fotografo personale, Granpasso di Quotazero. Quattro chiacchiere: sono troppo troppo felice anche per articolare un discorso sensato! Cosa posso dire, se non che questo trail mi è piaciuto da morire? Ok, le discese sono state un calvario, ma ho pagato volentieri questo prezzo, in cambio di salite che sono davvero salite, ideali per me. Non mi sento stanca, no, per niente; sono solo tanto contenta.
Al ristoro, un bicchiere di macedonia... E gli auguri dei presenti: sembra proprio che lo sappia mezzo mondo... Domani sarò alla Maratona di Avigliana! Una piccola follia in cui non spero più di tanto, ma garantito che ci proverò, e ce la metterò tutta prima di mollare! Ma adesso via, alla doccia, a casa, che stanotte, con il cambio d'ora, si dorme un'ora in più!

mercoledì 22 ottobre 2008

Uicchènd in Langa 18-19 ottobre 2008: secondo giorno

La sveglia suona dopo nove ore buone di nanna, per me; eppure, resterei a dormire almeno altre due ore. Mamma mia, che cotta. Mi sforzo di credere che il trillo sia parte di uno dei miei incubi: forse è proprio così, visto che i miei compari non accennano a muoversi... Ahimè, pia illusione: è Luca il più solerte a mettersi in moto. E' vero, abbiamo chiesto la colazione per le 7 e mezza; se non ci presentiamo in tempo, il gestore non sarà affatto contento!
Metto giù i piedi con cautela, chissà in che stato sono le gambe... Invece no: sorpresa, mi sembra che non stiano affatto male, anzi! Non le sento nemmeno un po' appesantite... Allora, la cotta mostruosa di ieri sera era una questione di testa, non di garretti!
Indosso tutto quel che ho, che non è molto, per mettere il naso fuori ed affrontare la Siberia: brrr... Ci saranno dieci gradi! La sala ristorante non è ancora aperta, anche se, dalla cucina, sembrano provenire rumori di vita. Poco male, facciamo due passi qui intorno: occasione buona per guardarmi e riguardarmi, con la prima luce del giorno, questo luogo da favola, cogliendo qualche particolare che ieri sera, complici il buio e la stanchezza, m'era sfuggito. La chioma enorme di un fico, sprazzi di verde e giallo acceso; il pollaio, con le galline che fuggono terrorizzate al mio arrivo: tranquille, sono vegetariana... Anche se ieri sera a cena ho fatto uno dei miei pochi strappi, mangiando una fetta di carne. In realtà non ne avrei nemmeno avuto voglia: è che sono proprio pusillanime; quando vado in giro, mi vergogno un po' a chiedere che si adatti il cibo alle mie fissazioni, anche perché regolarmente la reazione è di fastidio, proprio come ieri sera quando invece Mik, più integro di me, ha respinto la portata di carne. Meno male che ci ha pensato lui, così poi sono stata salva anch'io! Non so, mi sento a disagio: in fondo, se qualcuno venisse a pranzo da me e cominciasse a dirmi "Questo non lo mangio, quell'altro non mi piace", finirei per mandarlo al diavolo!

Acqua passata, è ora di colazione e finalmente spunta il titolare dell'agriturismo. Ci infiliamo nella sala da pranzo, al tavolo: per ora, in mezzo, solo un cestino di frollini e fette biscottate. Non vorrei parlare troppo presto, ma mi sa che le mie preoccupazioni sono fondate: la colazione sarà quella tradizionale, italianissima, a caffelatte e biscotti... Infatti è così: tazza di caffelatte, fette biscottate pane e marmellata. A pensarci, avremmo potuto chiedere, ieri sera, che ci fosse preparato qualcosa di più sostanzioso; per esempio, io avrei desiderato un altro piatto di gnocchi al formaggio, stamattina. Sono secoli che ho accantonato, d'abitudine quotidiana, la colazione dolce; mangio sempre o pasta, o pane e formaggio, comunque cose consistenti e salate (ovvio che poi a pranzo, quando lo faccio, mangio un po' di verdura o di yogurt, non certo un pasto completo). Vedo che i miei colleghi sono sconcertati allo stesso modo: per tutti e tre, che abbiamo pedalato in abbondanza ieri ed abbiamo un'altra lunga giornata in sella oggi, questo non è che un piccolo aperitivo... Vabbè, pazienza, ci consoleremo con la prima panetteria che incontreremo.

Ultimo saluto al cagnone, che prima di colazione ho stanato dalla cuccia, ma che ora è già tornato in branda e finge di ignorarmi, poi ci si veste in fretta e si riparte. Bleah, odio indossare la stessa roba del giorno precedente... Almeno la maglia me la cambio, altrimenti provoco un disastro ecologico da esalazioni tossiche!
Adiòs Cascina del Vai, ci si rivedrà, perché sei un posto da sogno! Torniamo sulla strada che da Cairo va a Cortemilia; in effetti, le rampe per arrivare all'agriturismo sono rampe davvero! Se ieri sera ho sofferto così, a salire, qualche ragione c'è.



Dalle stelle alle stalle, attraversiamo la squallida periferia di Cairo, brutta né più né meno di qualsiasi altra periferia: palazzoni dagli improbabili colori pastello, sporchi di fumo e polvere ed umidità, piante rinsecchite credo più per l'atmosfera in cui tentano di sopravvivere che per l'incedere dell'autunno.
Oggi il navigatore è Luca: prime destinazioni, Dego e la salita di Santa Giulia. E la sella non fa nemmeno male, oggi! Ottimo segno... I primi km sono una sofferenza, su stradone piatto, e meno male che è domenica mattina, abbastanza presto, e la massa è ancora a nanna. Mi sforzo di non staccarmi dalla ruota dei miei compagni, cosa ancor più ardua perché sono appena partita e fatico a carburare. Per adesso, il cielo è grigio, né carne né pesce; non si capisce quali intenzioni abbia.
Abbandoniamo lo stradone a Dego e ci immettiamo su una bella strada secondaria, attraverso colline e case isolate dove tutto è ancora sonnacchioso, persone ed animali. Nulla muove, tranne le foglie ingiallite che cadono, pigre anche loro, una ad una dai rami. Un po' di saliscendi che mi fan soffrire, un po' di curve, poi finalmente la salita, tranquilla, ideale come "riscaldamento". Qualche raggio di sole buca le nuvole. Luca e Mik spariscono avanti, io ripiombo nelle mie meditazioni solitarie da salita. Intorno boschi ed ancora boschi, le borgate che spuntano come macchie grigie sui pendii, qualche cane che comincia appena a dare segno di risveglio e, incredibile, persino un'auto! Giungo ad uno stop, a destra Santa Giulia, a sinistra Cairo: mi pare sottinteso, giro nella direzione in cui la strada continua a salite, almeno un po'. Infatti i colleghi sono fermi un po' più avanti, in mezzo a questa borgata bella ma un po' lugubre per via di alcuni edifici, vecchi chissà quanto, di cui restano solo i muri perimetrali e qualche brandello di tetto. Proseguiamo lungo la stessa strada, che si fa via via più stretta e prosegue a strappi, un po' su un po' giù: il dubbio viene a Luca, ma siamo sulla via giusta? Boh, chi lo sa; rapido sguardo alla cartina, da qualche parte andremo pure a finire! E poi qui è così bello, ora che il sole sembra voler spuntare sul serio e farsi largo in mezzo alla boscaglia, disegnando ombre frastagliate sull'asfalto.




Tiriamo dritto, poi si vedrà: infatti, più o meno andiamo poi a finire dove era previsto, dopo una lunga discesa in cui perdo terreno di continuo rispetto ai miei pazientissimi compagni. Incontro, tra l'altro, un gruppo di cacciatori che sbraitano "Forza Cunego"... Altro che Cunego, sai dove te lo metterei io quel fucile, pezzo di indefinibile che non sei altro?

A fondovalle, giriamo verso destra e ci ritroviamo a Cortemilia: per me, piacevole sorpresa, perché immaginavo di esserne molto più lontana e temevo mi toccasse un tratto di strada in falsopiano ben più lungo. Invece no, per fortuna. Attraversiamo il paese meditando di tramortire qualche madama e rapinarla delle borse della spesa, visto che il languorino comincia a farsi sentire: a dire il vero, io ho scorte di pappatoria per un esercito, ma non mi spiacerebbe una Coca Cola... Passato il viale in uscita da Cortemilia, inizia la salita verso Castino, niente di tremendo, ma fastidiosa perché va su lungo uno stradone ampio ed abbastanza battuto dalle auto. Cielo sempre grigio, anche se mia mamma, per telefono, mi dice che a Carmagnola splende il sole. Ma c'è altro che mi distrae in questo momento. E' come se i pedali, ogni tanto, facessero un mezzo giro a vuoto. Tac, tac, poi ancora tac... Ahi ahi. Non so perché, non capisco un'acca di meccanica, ma ho la sensazione che questo non sia affatto un buon segno, né un problema destinato a risolversi da solo. Già, perché la mia strategia di azione, in questi casi, è "Non pensarci, prima o poi smette", ma stavolta non ha intenzione di smettere, mi sa. Ma che ci posso fare? Intanto, curvone dopo curvone, arrivo a Castino, sulla piazzetta centrale con la fontanella, dove Mik e Luca sono in posizione di punta, come segugi, verso un negozietto di alimentari. Già, stranamente io me n'ero scordata, della colazione, che a quest'ora è quasi un pranzo... Ma l'idea della Coca Cola torna a sorridermi.



Entriamo, facciamo il pieno: due merendine con cioccolato e wafer ed una lattina di Coca per me, qualcosa di più per i due colleghi che, evidentemente, non hanno appresso il carretto del cibo come me. E quasi friggo a tenere in mano la lattina, senza poterla aprire, in coda alla cassa! Mamma mia, meglio che esca in fretta; non posso sopportare la vista di quel mattone di Gorgonzola sul banco dei formaggi! C'è una signora che se ne fa tagliare metà; spiega che ha il figlio a pranzo oggi, e infatti saccheggia mezzo negozio... Mi immagino la scena del quadretto familiare intorno al tavolo dall'una alle sei del pomeriggio, cosa per me raccapricciante! Via via, torniamo in sella, falsopiano e discesa verso Cossano Belbo. Non ho mai percorso questa strada, benché bazzichi spesso da queste parti; mi riprometto di studiar bene l'itinerario, ci tornerò presto.

Ci attende la salita di San Donato, che inizia, come annuncia Luca, con una bella rampa cattiva. Ed è qui che si consuma il dramma... Attacco la rampa, la catena cade giù dal 34. Mi ritrovo per un attimo a pedalare forsennatamente nel nulla... Ma non so per quale strano caso, non precipito. Porca miseria, avrò fatto qualche incrocio strano io. Mi fermo, la sistemo, riparto; niente, cade un'altra volta, ed un'altra ancora. Pare proprio che, per qualche ragione, il cambio abbia preso vita propria. Provo a metterla sul 48, anche se dubito seriamente di essere in grado di fare una salita con il 48: resta su qualche istante, poi scende sul 34, poi giù. In compenso, a me sale su una rabbia che, se avessi una motosega, disintegrerei questo carcassone di bici in mille pezzettini. Rimetto la catena sul 34 – a questo punto ho le mani in uno stato inguardabile, e chissà come mi ridurrò la faccia, tra poco, quando mi dimenticherò che non devo passarci le dita... Riparto, evitando però di usare le corone più grandi dietro: più o meno, pare che la cosa funzioni; da qui alla cima, la catena scende ancora un paio di volte, ma mi porta fin su. Io però schiumo di rabbia al pensiero del giro rovinato sia a me che, soprattutto, a Mik e Luca, costretti così ad aspettare ancor di più. Se non trovo una soluzione, mi toccherà scendere per la via più diretta verso Alba e tornare a casa da lì, o, peggio, se si scassa tutto, mi toccherà prendere il treno... Se ci arrivo, alla stazione! Ma porca miseria, tanto per tradurre il mio pensiero in termini pubblicamente esprimibili, che jella maledetta, proprio oggi che tutto avrebbe dovuto funzionare...

Verso la vetta, vedo Luca che torna indietro per controllare la situazione: tutto ok, più o meno procedo, anche se faccio una fatica boia, abituata come sono al 34x29. In falsopiano ed in discesa va meglio: peccato che, preoccupata dai miei inconvenienti meccanici, non mi sia neppure guardata un po' intorno sulla salita. Tornerò. Per ora, si va verso Manera, quindi si torna in territorio per me noto. Da Manera a Borgomale, una delle strade preferite dai motociclisti, che però, a quest'ora di pranzo, sono pochi: peccato, io resto sempre a bocca aperta a veder le loro evoluzioni in curva. Addirittura, quando percorro questa strada in salita, drizzo le orecchie al rombo dei motori e mi preparo per immortalare le pieghe con la macchina fotografica... Ma di solito son più veloci loro, del mio dito; finisco per fotografare una curva deserta!
In discesa, però, nulla di tutto ciò; ho già il mio bel da fare a guardare dove metto le ruote. A Borgomale, sotto il castello, rifornimento acqua alla fontanella: oggi fa più caldo, bevo come una spugna! Poi il programma prevede la salita a Lequio Berria: con i tre rapporti più "morbidi" fuori uso, non sarà una passeggiata... Ma non sia mai che io mi tiri indietro!
La stradina per Lequio è un gioiellino, una di quelle che devi proprio andare a cercare con il lanternino, minuscola in mezzo a vigne, noccioleti e qualche cascina. Qualche rampa severa c'è e, oltre ad una certa pendenza, il cambio comincia a sferragliare in modo preoccupante... Però sembra reggere, anche stavolta. Ma sì, dai, magari riesco ad evitare di accorciare il giro. Mi spiacerebbe da matti dover dire ai miei colleghi "Andate per la vostra strada, che io torno a casa"... La vista sulla vallata è splendida, di qua. Muretti a secco, case in pietra, fiori azzurro intenso che sembrano messi lì per sbaglio, in questa stagione; poi la strada, dopo Lequio, torna ampia e va ad immettersi sulla principale, quella in cresta che va da Alba a Bossolasco, all'altezza dei Tre Cunei. Da lì, decidiamo di raggiungere la Pedaggera e scendere, via Costepomo, verso Sinio. Sarebbe bello potersi infilare su per una di quelle stradine da capre che, da Sinio, salgono verso Roddino o Serralunga... Ma ho i miei limiti, con il 34x23 come rapporto più morbido, su di lì potrei salire solo a piedi, con la bici in spalla. Dirotto la compagnia verso una scelta più umana per la mia disgraziata condizione meccanica: la salita a Montelupo Albese via Bricco, che è, a mio parere, meravigliosa ma, nel contempo, accessibile anche con un rapporto un po' più duro. Beninteso, io di norma salgo anche qui, come ovunque, con il 34x29... Altra salita in mezzo agli alberi, foglie da calpestare e ricci di castagne, poche sparute abitazioni. Che fatica, povere gambe, oggi che ho anche lo zaino. Da una parte, scopro con sorpresa che ce la faccio, anche senza rapporti da rampichino; dall'altra, però, mi chiedo quanto durerò ancora, Va bene che non sono più molto lontana da casa.
La salita a Montelupo, dopo qualche km severo, spiana e percorre un tratto in cresta prima del paese. Alla fine, trovo come sempre Mik e Luca in via di mummificazione; si riparte tutti quanti verso Diano: e ci si imbottiglia in un caos di pullman, auto, moto e gente nei pressi di un agriturismo. Una marea di ragazze e signore imbellettate e vestite a festa, di uomini incravattati, di chiacchiere vuote, di vite sprecate! Sì, è pur vero e sacrosanto che ciascuno, della propria esistenza, fa ciò che vuole, ma per me una domenica pomeriggio di sole, passata così, a mangiare e bere e bighellonare, insomma, una domenica senza bici o senza scarpe da corsa ai piedi, non ha proprio alcuna ragione di esistere! Non ha senso, è tempo prezioso sprecato... E poi la folla mi dà ai nervi, mi fa venir voglia di spianarli tutti, questi pecoroni... Meno male che ne usciamo abbastanza in fretta e torniamo a viaggiare verso Diano. Sulla breve risalita, mi sorpassa di gran carriera un ciclista, senza nemmeno salutare: "Ringrazia che la salita finisce qui – gli sibilo, tra me e me – perché a me lo puoi anche fare, un affronto del genere; è come sparare sulla Croce Rossa; ma prova a far lo stesso numero in salita a Mik, là davanti... E ti insegna lui a stare al mondo!!!".

A Diano ci sarebbe la fontana, ed io sono a secco... Ma non mi va di prolungare ancora l'attesa dei miei compagni; andiamo giù, poi si vedrà. Discesa su Gallo, patria del torrone – ci penso ogni volta che ci passo – poi si va verso la frazione Annunziata, per salire a La Morra. Nel tratto in piano, Luca fa un numero da funambolo: prende la mia borraccia, la svita, fa lo stesso con la sua, travasa un po' d'acqua e ricompone il tutto... Sono allibita! Io che non riesco nemmeno a staccare entrambe le mani dal manubrio! Inutile, c'è chi può...

Mi preparo psicologicamente ad affrontare l'ultima salita con il mio cambio disintegrato: che fatica... La Morra diventa d'improvviso lontanissima. E' tutto un altro modo di pedalare; il guaio è che non posso nemmeno alzarmi in piedi sui pedali, perché, se lo faccio, lo sferragliamento aumenta in modo minaccioso... Che fatica boia! Adesso capisco perché, al momento di stabilire le caratteristiche della bici, ho preteso il 29 posteriore...
La rampa dopo la rotonda è un supplizio; mi sforzo di mantenere un'espressione facciale il più possibile serena, per non fare proprio la figura della moribonda, ma corro il serio rischio che la bici si abbatta su un fianco... Sudando e smadonnando come un turco, finalmente supero la rampa e riesco persino a riprendere forma umana prima di raggiungere la cima. Stavolta la borraccia mi tocca proprio riempirla, prima di ripartire in discesa.

Questo è uno dei pochi casi in cui non mi spiace che le salite serie siano finite, per oggi. Vorrei ancora aggiungere quella di Santa Vittoria... Ma ho le gambe in pappa e la catena che sta alzando il volume della sua personale protesta; meglio tirare dritto per la via tradizionale: Pollenzo, Sommariva Perno, casa. Mik ed io salutiamo Luca che, da Pollenzo, torna su verso La Morra dal lato di Meane, quindi ci avviamo verso il defaticamento... Ma, prima, c'è ancora la rampetta di Pocapaglia. E' nella successiva discesa che mi accorgo, guardando giù, che una maglia della catena è mezza aperta, il pernino in fuori... Porca miseria! Che faccio mò? Mi fermo e tento di chiuderla battendoci sopra con un sasso, oppure nascondo la testa sotto la sabbia come gli struzzi e spero che regga fino a casa? Ovviamente, la mia natura previdente e saggia mi porta diritta verso la seconda opzione. In fondo, da Sommariva Perno a casa ci sono venti km di falsopiano in discesa; dovrebbe farcela... E, se anche non dovesse farcela, la distanza è tale che posso tornare tranquillamente alla mia umile dimora a piedi! Spero solo che il buon Mik non abbia voglia di fare il matto anche nell'ultimo tratto... Per fortuna no: mosso a pietà – o forse preda, pure lui come me, dei morsi della fame? - viaggia a velocità umana, tale da permettermi di non tirarmi troppo il collo. Mestamente ci avviamo alla conclusione del nostro viaggio, in compagnia delle nostre ombre sempre più lunghe; Ceresole, il viale d'ingresso a Carmagnola... Io ci sono, per me è fatta. Non lo invidio, povero Mik: a lui toccano ancora 15 km... Di pianura!

domenica 19 ottobre 2008

Uicchènd in Langa, 18/19 ottobre 2008 - primo giorno

Tutta la settimana a godermi i raggi del sole sulla schiena, seduta alla scrivania dell'ufficio, accanto alla finestra: ma naturalmente, oggi che è sabato mattina, metto il naso fuori di casa, poco dopo le otto, quando manca poco al momento di saltare in sella... E tutto quel che vedo è il grigio del cielo e la pioggia. Poche gocce, per carità, ma pur sempre pioggia. Non è possibile, porcaccia miseria... L'ho meditato e coccolato tanto, questo fine settimana in bici su e giù per le colline di Langa, e rischia di andare tutto a ramengo. Richiudo la finestra, sconsolata. Arriva un messaggio sul cellulare da Luca, che annuncia il MeteoLanga: lui che vive lassù, ha un punto di vista privilegiato. Dice che non piove: è già qualcosa; qui qualche goccia vien giù. Ma quel che più mi lascia interdetta è che son quasi le otto e mezza e ancora nessuna notizia da Mik. Non riesco a capacitarmene: pioviggina, fa freddo, si respira aria quasi liquida... E se lo conosco almeno un pochino, non è proprio possibile che sia partito! Eppure, a quest'ora dev'essere partito per forza... Che invece si sia svegliato ed abbia saggiamente pensato, vista la giornata, di girarsi dall'altra parte e ripiombare tra le braccia di Morfeo? Presa dallo sconforto, quasi rassegnata, gli mando un messaggio per chiedergli quale sia stato il suo destino; poco dopo, in risposta, Bip Bip, il trillo del cellulare. Esito un attimo a cliccare sulla bustina chiusa sullo schermo... Poi mi decido, in fondo il colpo di grazia è pur sempre meno doloroso di una lenta agonia, l'agonia del mio sospirato miniviaggio, in questo caso. I cerotti vanno strappati via con un colpo secco! Leggo... E faccio un salto di gioia: "Arrivo". Non ci posso credere... Non trovo una spiegazione scientifica a questo fenomeno... Sfugge a qualsiasi legge fisico-matematico-astrofisica... Ma non importa, si parte lo stesso!!!
Sotto una lieve ma fastidiosa pioggia, ci avviamo, direzione Ceresole e Sommariva Perno. Mik ha indosso l'antipioggia, ma io preferisco evitare, almeno finché son poche gocce: rischierei la sauna. L'unica nota positiva è che il tempo uggioso scoraggia i vacanzieri fuori porta: per strada c'è ben poco movimento. Pare una giornata autunnale... In effetti, anche se io non mi ci sono ancora rassegnata, siamo nel pieno dell'autunno! E' tutto grigio, il cielo, i campi, gli alberi quasi spogli, tutto dello stesso tristissimo colore. Tutto tranne il mio umore, che fa l'arcobaleno. Il meteo secondo Luca prevede, nel corso della giornata, un miglioramento, nel senso che dovrebbe almeno smettere di piovere: e non c'è nulla di più facile che convincere me medesima di qualcosa di cui voglio, con tutto il cuore, essere convinta. Migliorerà, non c'è ombra di dubbio; intanto, pedaliamo. L'allegria mi si trasmette ai pedali, perché a Ceresole il rilevatore di velocità dice "25 km/h": che exploit, di solito per me si ferma a 22-23!
E' a Ceresole che guardo giù e vedo il portaborraccia desolatamente vuoto... Porcaccia miseria, ho preparato la borraccia e l'ho lasciata a casa sul tavolo... E mo'? Meno male che non fa caldo; in qualche modo me la caverò, prenderò una bottiglietta in qualche bar, berrò alle fontane, pazienza, non torno certo indietro.
La pianura fino a Sommariva è l'ideale per il riscaldamento, ma non vedo l'ora di levarmela di torno: si passa il paese, giù per la prima stradina a destra ed eccoci in direzione Pocapaglia. Già qui la pacchia finisce e Mik va in fuga... Scena che si ripeterà altre millecinquecento volte da qui a domani sera!
Se non altro, sembra aver smesso di piovere. Da Sommariva, il colpo d'occhio sulle colline è comunque suggestivo, anche se, alle gradazioni di verde che si possono ammirare nelle giornate di sole, oggi si sostituiscono tante sfumature di nebbia, contorni appena accennati, sfumati. Pocapaglia, Pollenzo, ponte sul Tanaro, e finalmente il bivio per La Morra ci proietta in un altro mondo. Più niente strada trafficata di fondovalle, solo vigneti e case isolate ed ancora vigneti. Mik parte all'assalto, come al solito; lui non le percorre, le salite, le aggredisce, via, agile come un gatto. Io mestamente comincio a pensare che, per quanto abbia cercato di ridurre lo zaino ai minimi termini, ci ho comunque messo dentro troppa roba. Questo dannato pesa! Aggiungi poi il peso della borsina da bici (con dentro otto fagottini al cioccolato), della bici stessa e del voluminoso posteriore della proprietaria... E vabbuò, in fondo sono qui per far fatica.
La frazione Rivalta, le nocciole, le viti, la nebbia... La nebbia? Com'è possibile, non c'era nebbia a Carmagnola che è la capitale mondiale della nebbia, e c'è qui sulle alte vette, dove non si vede mai?
Arranco sull'ultima rampa dopo la rotonda: all'incrocio, in fondo, trovo Mik e Luca che nel frattempo s'è aggregato. Passo loro accanto con il terrore che abbiano meditato qualche saggia decisione contro il mio giro... Ma nulla, anche stavolta sono smentita; giù in discesa verso Santa Maria e Gallo. Non è che piova, ma c'è una nebbia fitta che ha lo stesso effetto, infradiciare i vestiti e rendere la frenata difficile. Gli occhiali, li ho già levati e messi nel borsello in salita, tanto sono inutili. Così, adesso, i contorni indefiniti non sono più solo colpa della foschia, ma anche del fatto che non vedo un accidente. Va bè, più o meno vedo la strada, grazie soprattutto alle linee bianche di lato. Tutto il resto mi appare un po' come quei quadri, non so di che epoca, autore e con che tecnica – lo so, sono gnorrrante, e allora? - quei quadri, dicevo, fatti tutti a puntini, o quelli in cui il paesaggio è dipinto a macchie di colore non ben definite. Più o meno sopravviverò.
A Gallo, svolta a destra, augurio di orribile fine ad una madama che mi taglia la strada per parcheggiare, e poi, passati i vigneti di Fontanafredda, che sono, credo, disegnati con la riga e la squadra, tanto sono belli, ordinati, curati, si va a Monforte dalla frazione Castello. Un po' di fondovalle e poi su per le rampe, sempre in mezzo alla nebbia, che paradossalmente si fa più fitta man mano che si sale di quota. Rampe con pendenza a doppia cifra, la casa "a righe" di proprietà di una famiglia olandese, le pere schiacciate a terra, Mik e Luca che sono solo più due puntini lontani. Io di più non posso, e poi la giornata è lunghissima!
Li ritrovo al bivio per Monforte, sulla strada che sale da Castiglione Falletto. Centro paese, un po' di pavè, poi giù verso Dogliani: discesa ampia ed abbastanza facile, persino per me; mi preoccupa solo un po' il fondo umidiccio e qua e là sporco di terra e fogliame. A Dogliani svoltiamo a sinistra, destinazione Cissone e Serravalle Langhe.

I primi tre o quattro km dopo il bivio sono in mio incubo... Un falsopiano in salita dove vedo regolarmente i sorci verdi. Mi distraggo con un bombolotto al cioccolato, tra l'altro piacevolmente arricchito con un po' di rhum che, si sa, è l'ideale per l'attività fisica intensa, ma non basta. Soffro ed imploro l'arrivo della salita, che finalmente giunge: così prendo il mio passo e via. Chissà dove sono già, i due satanassi. Spariti nel nulla da un po'! Indago scrutando i bivi; ci sono almeno altre due strade per salire a Serravalle, e prima o poi andrò a cacciare il naso! Oggi però non è il caso. Risalgo lentamente verso la nebbia, con la sgradevole sensazione dello zaino che, oggi più di altre volte, pesa. O forse non è lo zaino, è l'umido, è l'uggia di questa giornata appiccicosa e fredda. Sì, perché la temperatura non credo proprio sia bassa, anzi, ma manca il sole che scalda un po' la pelle ed il cuore. Mi sembra quasi che abbiano aggiunto qualche tornante! Poi Cissone, con quel meraviglioso edificio del Residence Radice Verde, che ci vorrebbe un premio per chi ha elaborato e curato un progetto di ristrutturazione del genere: ogni volta che ci passo, resto a bocca aperta.

Ancora un po' di salita ed arrivo a Serravalle, dove ritrovo Luca e Mik nascosti da chissà quanto sotto un tetto.
Luca mi cede una delle sue due borracce; fin qui non ho toccato acqua, ma effettivamente adesso ne sento la mancanza! Poco più avanti, a Pedaggera, centriamo a fatica, nella nebbia, il bivio con la strada che va verso Serralunga; strada che lasciamo poco più avanti, svoltando a destra verso Costepomo. Discesa lunga e fredda, che mi fa un po' paura per la sensazione di scivolare nei tornanti con fondo bagnato; davanti a noi dovrebbe esserci il castello di Serralunga... Dovrebbe! Anzi c'è di sicuro, ma non si vede. Poi la salita di Albaretto: ho perso il conto delle volte in cui l'ho percorsa, è troppo troppo bella. Infatti, avevo pensato anche di imboccare l'altra strada, quella che sale da Lesme... Ma poi la ragione del cuore prevale. Cartello 18%, i compari schizzano via, io arranco sotto il peso dello zaino; ormai potrei chiamare per nome i sassi, qui; so già perfettamente dove, come e quanto soffrirò! L'umidità è davvero tremenda, rende difficile persino respirare. L'agriturismo, ancora vigneti, poi un attimo di respiro, ancora un paio di rampe, ancora respiro, l'ultimo strappo e sono nel paese, sotto la torre; un paio di km dopo, ecco il bivio ed ecco i due fuggitivi, fermi, come al solito, in paziente attesa. Io davvero non so come facciano... Ovviamente sono contenta, contentissima che abbiano aderito al viaggio; però mi chiedo, al posto loro... Io che odio metter piede a terra quando pedalo, e lo faccio volentieri solo quando poi da terra lo sposto sul pavimentodi una panetteria, non potrei nemmeno concepire di pedalare così! Aspettare qualcuno, ma neanche per idea: darei di matto dopo due salite! E poi, peggio che mai, io non mi faccio aspettare solo in salita; mi stacco anche in pianura ed in discesa... In fondo, meno male che non c'è nessuno che vada più piano di me!

A destra, Pedaggera, a sinistra, discesa al torrente Belbo, bellissima strada in mezzo al bosco ed a poche abitazioni, anche qui ho già consumato le ruote. Ponte sul Belbo e breve ma cattiva risalita: si vedrebbe tutta la vallata, di qui... In teoria!
Approfitto per mandare qualche messaggio, così dimentico un po' la fatica; arrivo su e subito giù verso Torre Bormida. Da qui in poi, mistero: ci son già passata parecchie volte, ma sempre in compagnia di qualcuno che conosceva il luogo; quindi, non mi sono mai preoccupata di studiare le direzioni. Ma oggi c'è Luca, ci pensa lui!

Bellissima anche questa vallata, più selvaggia, boscosa. Poco fondovalle, in cui mi sforzo, con miseri risultati, di tener la ruota di Luca; poi, come una liberazione, il bivio per Levice e Bergolo. Salita dolce, un po' di tornanti; cosa ci sarà dietro il prossimo, mistero: solo e sempre nebbia. Qualche km e poi uno stop: e mò? A destra Prunetto, a sinistra Bergolo. Ricordavo di doverci passare, a Bergolo, ma... Meglio controllare la carta. No, effettivamente la mia idea originaria contemplava una strada che da Torre Bormida avrebbe dovuto portare a Bergolo e poi Levice, ma mi sa che non abbiamo fatto quella salita. In ogni caso, devo andare verso Prunetto, adesso; ci sarà poi un bivio verso sinistra per scendere a Castelletto Uzzone.
Da qui in poi, è solo nebbia: non posso vedere altro che il bordo della strada; non posso fare a meno di sentire la fatica. Non riesco ad essere serena; faccio tanta fatica, ma penso che molto sia dovuto a questa strana tensione, colpa della pioggia, della nebbia. Spero almeno che quelle pochissime auto di passaggio mi vedano. Intanto guardo a sinistra, ma di bivi nemmeno l'ombra, se non qualche minima stradina che va a perdersi chissà dove. Eppure sono già a Prunetto, e non avrei dovuto arrivarci! Procedo ancora, chissà che fine han fatto Luca e Mik? Stà a vedere che ho sbagliato strada, o che loro han trovato quella giusta...

Li ritrovo in paese, fermi in preda ai miei stessi dubbi. Ci avviamo in discesa, superiamo un bivio che indica Gottasecca: ma no, allora è tutto sbagliato! A Gottasecca avremmo dovuto arrivare da Pezzolo, quindi dal fondo della valle Uzzone, alla nostra sinistra... Rapido consulto della carta: abbiamo mancato quel famoso bivio, però possiamo sempre rimediare, salendo a Gottasecca da qui. Non ho idea di come sia, la strada: bella, dissestata, facile o ripida... Lo scopriremo solo vivendo. In effetti è una salita suggestiva, che alterna strappi severi a tratti di falsopiano ed anche discesa. Non so quanti km ci siano fino a Gottasecca; non riesco a rendermi conto delle distanze, con questa nebbia. Le gambe sono un po' refrattarie; comincio ad essere stufa di quest'umidità che impregna le ossa!
Da Gottasecca, giù verso Monesiglio: da qui, Luca mi fa notare che in 20 km si potrebbe arrivare comodi comodi a Cairo Montenotte, meta del nostro viaggio... Certo, la tentazione del lettuccio e della doccia calda è forte, ma suvvia, siamo uomini o caporali? Ancora almeno una salita...

Da Monesiglio avevo programmato di salire verso Mombarcaro da Noceti, via ripida assai e cattiva: ma è una stradina remota, a quest'epoca certo coperta di foglie che, con la pioggia, formano un tappeto scivolosissimo. E poi l'asfalto è, o almeno era, l'ultima volta che l'ho percorsa, in pessimo stato... Mah, meglio non cercare guai. Meglio salire verso Mombarcaro dalla via tradizionale. Sarebbe anche bello andare fin su al paese: ma oggi, con questa nebbia, il panorama non esiste di sicuro; in più, è già abbastanza tardi, conviene darsi una mossa ed avvicinarsi a Cairo, pena il rischio di arrivare con il buio.
Qualche km di salita bella, ampia, regolare, che ogni volta mi piace un sacco, poi a sinistra, breve discesa, altra salita, un po' di km su strada in cresta, ampia: qui sì, ho il terrore che le auto non ci vedano, perché stento persino io a vedere Luca, poco più avanti. E ci vuole un sacco di tempo perché la strada cominci finalmente a scendere, verso Camerana e poi Saliceto. E qui, davvero, ho solo più voglia di arrivare. A Saliceto, approfitto di una sosta dei miei due colleghi per prendere un po' di vantaggio: ma è falsopiano, odioso falsopiano, che mi fiacca nelle gambe e nel morale. Cengio: qui dovremmo trovare, sulla sinistra, un bivio per Rocchetta Cengio, strada che ci porterebbe direttamente a Cairo passando su per la collina. Ovviamente, però, non c'è uno straccio di indicazione, così ci ritroviamo nel caos insopportabile di Millesimo. Consulto alla carta; mi sforzo di mantenere un contegno, ma mi vien male quando vedo ciò che ci tocca fare: Carcare, Cairo. Sarà che non ho l'abitudine a leggere le carte, ma ho la sensazione che mi attenda ancora una valanga di km, per giunta su strade trafficatissime. Panico... Vera disperazione quando, attraversato il centro di Millesimo, non senza provare un moto di odio profondo verso la folla, le auto, tutto! Sono proprio alla frutta... 7 km a Carcare, inizia un tratto di salita sulla strada statale: mi sembra d'esser sul Mortirolo, una fatica dannata, le gambe che non girano più, gli occhi che, dopo ore senza occhiali, non mettono più a fuoco nemmeno quel poco che vedevano fino a poco fa... Non ci arriverò mai, a Cairo, no, se sono sette km così, io do forfait, mi accampo qui a bordo strada! Sto maleeee!!!

Per fortuna, la salita finisce abbastanza in fretta; conto i km che mancano a Carcare sui cartelli segnaletici... 4, 3, 2... E' quasi buio quando arrivo ad una rotonda e becco Luca, in questo caso San Luca direi, che mi indica la retta via. Non riesco più a leggere le indicazioni nemmeno incollando il naso al cartello.
Da qui manca davvero pochissimo: mi pare di scorgere un "Cairo 4"... Speriamo che sia 4 e non 14, questo posto orrendo e caotico mi sta dando ai nervi. Eppure no, son proprio quattro; passiamo San Giuseppe, e se non ricordo male esiste un San Giuseppe di Cairo, quindi ci siamo. Quasi.

Non ci risparmiamo un po' di su e giù turistici per il paese: già, in teoria io so benissimo dove stia l'agriturismo... Ma in pratica no, niente affatto! La direzione è quella per Cortemilia; maciniamo ancora un paio di km, che a me sembrano duecento... Poi decidiamo che forse è meglio chiedere lumi: Mik si fa carico dell'ingrato compito e fa irruzione in un ristorante. Ci siamo, è la strada giusta: scopro qui che l'agriturismo si chiama "Cascina del Vai", è poco più avanti, un km o due, ormai ho perso la nozione delle distanze. O meglio, poco più avanti è il bivio: poi c'è ancora un ultimo km su una stradina minuscola, stretta, con due rampe tali che medito seriamente di metter piede a terra. Non c'è niente da fare, ormai nella mia mente la salita era finita; non ce la faccio proprio più! Ma dove cavolo è appollaiato 'sto agriturismo? Ci sono le luci lungo la strada, tanti lampioncini, ma non finiscono mai!

Quasi un miraggio, ecco l'edificio, anzi gli edifici: nonostante la fatica ed il buio – eh sì, ormai è buio pesto, abbiamo rischiato, siamo giunti a destinazione al pelo! -, non posso non notare che questo posto... E' una meraviglia! Una splendida scalinata in pietra che unisce diverse piccole costruzioni. Entro nel locale principale, mi investe un meraviglioso tepore di caminetto; poi il titolare mi accompagna alla camera: anche qui, caldo, caldissimo... Basta già questo per riprendermi un po'.

Parcheggiamo i potenti mezzi sotto una tettoia; doccia e pennichella: non me ne rendo nemmeno conto e mi addormento di brutto! Però il languorino è troppo forte; credo che la pancia brontoli al punto tale da svegliarmi. Ci trasferiamo in blocco a tavola: qualche antipasto ed un meraviglioso piatto di gnocchi verdi col formaggio, per me; sono piena...
Non si può dire che siamo loquaci, decisamente no: sarà che la dura vita del ciclista "da viaggio" porta ad apprezzare i silenzi e la solitudine; sarà che io non credo affatto che un silenzio vada riempito per forza, quando non ci si sente di dir nulla; sarà anche che siamo un po' cotti, almeno io, e quindi un po' poco reattivi, come le lucertole quando comincia a far freddo. Però, condivisa una bella giornata, si condivide anche una godutissima cena, e poi via. "Andate già a dormire?", ci chiede stupito il cuoco. Chissà cosa pensano di noi: gente che va in giro da queste parti e non beve il vino, gente giovane che alle nove e mezza si inuma sotto le coperte... Ma noi oggi abbiamo duramente lavorato, e domani sarà almeno lo stesso!
Vorrei fare due passi digestivi, ma non ce la posso fare; fa troppo troppo freddo! No, meglio una ritirata strategica... E mentre i miei due compagni d'avventura seguono in TV un documentario terroristico sui vulcani, io che come sempre sono proprio zotica mi abbatto sul materasso... Poco rispettosamente, senza neanche augurar la buona notte, entro in coma e adiòs! 185 km, 2.900 m di dislivello che, fatti così, un continuo su e giù, mi sfiniscono più di un giro con dislivello doppio su lunghe salite e lunghe discese di montagna; insomma, ho una buona scusa!

giovedì 16 ottobre 2008

12 ottobre 2008 - Trail dei Tre Comuni

"Tranquillo Matteo, io vedo di arrivare per tempo; li avviso io, quelli che distribuiscono i numeri, che tarderai un po'...". Le ultime parole famose. Quando parcheggio la Opel al Santuario di Albisola, è talmente tardi che non solo Matteo è già arrivato e si è già ritirato il numero di gara, ma addirittura non faccio più in tempo a ritirarlo io! Meno male che posso ancora sistemare la faccenda domattina, dalle 4 alle 5. Povero Matteo, mai una volta che possa contare su di me! Nemmeno per moltare la tenda: sarà che sono particolarmente lenta di comprendonio, ma ho già assistito alla procedura almeno un paio di volte e non riesco proprio a capire com'è che funziona quell'aggeggio! Meno male che non lavoro nell'edilizia...

Pazienza, in un modo o nell'altro, la tenda sta su e la sveglia suonerà domattina alle quattro e un quarto. E questa volta, nonostante siamo in mezzo al prato del Santuario, non sembrano esserci campanili importuni, come a Cantalupo... C'è solo un cane che abbaia forsennato in lontananza, ma a me i cagnoni non danno fastidio, anzi! Però... Perché siamo al mare e fa questo freddo? Checché ne dica Matteo, io sto ibernando; se poi aggiungiamo il fatto che ho anche un certo languorino... Sarà una lunga notte!

Infatti, di tanto in tanto mi sveglio, chiedendomi perché il cellulare non abbia ancora dato segni di vita; intorno al Santuario c'è già movimento, gente che va e viene, perché i percorsi non competitivi consentono partenza libera dalle 4: ovvio che i partecipanti siano già in circolazione con anticipo! E poi, com'è ovvio, non appena mi addormento bene, ma proprio bene... Zac, trilla il cellulare di Matteo, battendo in volata il mio. Soliti grugniti da risveglio dell'orso, solita domanda di rito: "Ma chi me l'ha fatto fare?". Anni e anni, ed ancora non ho risposta...

Filo al recupero del numero di gara, mentre Matteo smonta l'abuso edilizio in quattro e quattr'otto. E' sereno, con tanto di luna e di stelle! Ed io son già terrorizzata... Chip alla caviglia; il pettorale invece fila in tasca: non ci sono le spille nella busta, ma non importa, non è fondamentale. E' più importante invece far colazione: ingoio con l'imbuto i due etti di pasta che ho cotto ieri e che adesso, ovviamente, sono un blocco unico colloso e freddo. Ma mi convinco che sono carboidrati e mi faranno bene! Certo che la pasta di Matteo ha un aspetto più appetitoso... Avrei anche qualcosa di dolce, ma proprio non ce la faccio a far colazione a base di dolci. Devo avere qualche gene dei Paesi del Nord, vista l'affinità con la loro colazione tradizionale! Non mangio wurstel alle quattro del mattino, ma solo perché son vegetariana.

Mi aggiro per il cortile del Santuario, senza meta e con la solita agitazione che cresce. Tanti corridori sono in canotta e pantaloncini corti, mentre io batto i denti per il freddo; tanti, soprattutto, si presentano al via senza zaino: al massimo, una cintura portaborraccia... Mi domando come facciano: io mi porto dietro la casa, come le chiocciole; anche oggi sono perfettamente attrezzata per la pioggia ed il freddo, nonostante le previsioni meteo che assicurano sole e tepore. Non parliamo poi delle scorte di cibo!
Mi guardo intorno e, poco lontano, scorgo due persone che credo di riconoscere come i vincitori di un altro mega trail di due settimane fa, Le Porte di Pietra: tale Barnes e consorte, di cui non ricordo il nome. Ormai comincio ad imparare nomi, luoghi e talenti! Cavoli, che coppia... Chissà che figlio verrebbe fuori da due così! O magari è già nato, questo non lo so. Mah, poi la natura a volte fa scherzi strani; magari cresce un sarchiapone che passa le sue giornate a giocare alla Playstation e mangiar patatine!

Matteo sembra molto più tranquillo e rilassato di me. Ma non resta molto tempo per preoccuparsi: senza alcun preavviso, mentre la gente è ancora sparpagliata per il cortile, vien dato il via: tutti schizzano come saette verso la prima salita. Ci provo anch'io, ma, come sempre, l'avvio per me è drammatico: cuore che batte all'impazzata, fiato che manca, bruciore in gola, il tutto peggiorato dall'ansia di essere già quasi ultima. Qualcuno rimane, dietro di me, ma per poco: passata la rampa iniziale, devo cedere il passo, onde evitare di far da tappo nei primi tratti di saliscendi. Mi rendo conto appieno oggi di un'altra difficoltà seria: la mia vista notturna, che è davvero scarsa ed è un ostacolo non da poco. Faccio molta fatica a mettere a fuoco ciò che guardo, che, ad esempio oggi, è di volta in volta il sasso su cui posare il piede, la prossima curva nel sentiero, il bastoncino rifrangente che segna il sentiero. Sarà che oggi, tutto sommato, sono un po' più tranquilla: fatto sta che ho modo e tempo di accorgermene. La salita è proprio l'unico terreno su cui me la cavo benino, ma discese e tratti in piano sono una disgrazia, soprattutto se percorsi di notte. Infatti, in breve, sono sola, solissima e staccata. Riavvicino le voci quando la strada impenna un po', le sento allontanarsi quando la pendenza si inverte; non riesco a valutare, nel buio della notte, la distanza. Notte, che parolone: non è così presto, in realtà; è solo che faccio fatica ad abituarmi ai ritmi autunnali della natura!
Seguo le frecce rosse, in realtà senza troppa convinzione: non mi sono nemmeno premurata di controllare quale fosse il colore abbinato al percorso da 65 km! Non sono poi così sicura di essere sulla strada giusta... Ma ormai sono qui, inutile che mi preoccupi: che sarà, sarà!

Al termine di una breve discesa, si raggiunge un paese, di cui ignoro il nome: come al solito, non ho la minima nozione di dove mi trovo. Curioso, passiamo proprio sulla porta di una casa: chissà come saranno stati contenti, gli abitanti, di assistere, loro malgrado, al passaggio di un bel po' di rumorosi escursionisti già ad ore antelucane! Ancora scalini e si scende giù, nella piazzetta e nella "civiltà", dove i solerti volontari vigilano affinché gli insonnoliti camminatori non si facciano stirare da qualche auto di passaggio. Poi una rampa asfaltata, dove recupero alcuni dei compagni di marcia – che però, se ho ben capito, si limiteranno al percorso corto: è giorno, ormai. Non dovrebbe mancare molto al primo ristoro; tra i rami del bosco filtrano i primi raggi, che cerco, invano, di immortalare in una foto... Beh, già non sono proprio un fenomeno come fotografa; figuriamoci poi se pretendo di scattare senza nemmeno fermarmi! Vorrei un'immagine "ad effetto" con il raggio di sole che buca le foglie dei cespugli... E invece scatta ostinatamente il flash, che non riesco a disattivare; risultato, sullo schermo compare solo il cespuglio, ovviamente. Va bè, per questa volta non lo catapulto giù nel burrone, questo malefico aggeggio, anche perché non c'è alcun burrone a portata di lancio. In compenso, recupero lungo il sentiero un bel pile nero a manica lunga The North Face: cavoli, che nervi per chi perde un capo del genere! Lo recupero, ripromettendomi di lasciarlo al prossimo ristoro.



Fino a poco fa, quand'era buio, l'autunno non si vedeva: si percepiva, solo, nel crepitio del tappeto di foglie secche ad ogni passo. E naturalmente negli spari implacabili dei cacciatori, maledetti. Adesso, invece, nel sottobosco si vede in tutta la sua bellezza, anche se è una bellezza triste: colori tenui, grigio, marrone, qualche funghetto qua e là. Animali, oggi, nulla, nemmeno uno scoiattolo, un cinghialotto: ma forse c'è troppa gente, troppa confusione.

Trottando trottando – di correre per me non se ne parla nemmeno – arrivo a Stella San Martino: primo punto di ristoro. E c'è LEI... Finalmente lei... La Coca Cola!!!! Tracanno due bicchieri, con somma golosità. Fame no, per ora niente; prendo un pezzo di banana e due quadretti di cioccolato, che mi sforzo poi di buttar giù lungo la salita successiva. E dimentico, ovviamente, di consegnare il pile raccattato prima. Pazienza, ci penserò più avanti. Saluto, riprendo a salire in mezzo al bosco, cauta come sempre: la strada è ancora lunga. Riacchiappo qualche collega di fatica; una ragazza mi chiede quanta strada abbiamo percorso: boh... Non so risponderle; non conosco il percorso, non ho nemmeno guardato la carta, in poche parole non ho idea di dove mi trovo! A che servirebbe? Tanto, devo seguire i segnali finché ci sono. Quando non ne vedrò più, vorrà dire che sono giunta al capolinea!

Si esce dal bosco per raggiungere la cima di una collina erbosa; giù dall'altra parte, si percorre un tratto di strada carrozzabile, dove trovo un paio di volontari dell'assistenza a cui consegno il pile perduto; poi procedo, sempre camminando di buon passo, tipo marcia, ma senza mai sognarmi di correre. Guadagnerei ben poco in velocità, se corressi, e di certo mi giocherei le gambe. No, questo è un tratto ideale per prendersela calma, godendosi la vista intorno che, nonostante un po' di foschia, è spettacolare. Sono bellissime e suggestive persino le tre eliche di un impianto eolico, imponenti per la loro altezza. Ce le abbiamo proprio sopra la testa, in una curva.



Peccato per il viavai dei fuoristrada dei cacciatori: l'unico lato piacevole di questi ignobili individui è la presenza dei loro cani, che abbaiano quando la vettura sorpassa un corridore. Figuriamoci... In tratti come questo, anche i più scarsi corrono come saette; chissà che distacco ho già, dal resto del mondo. Ma non m'importa, oggi meno che mai.

Il bivio tra i percorsi corto, 45 km, e lungo, 65, arriva all'improvviso a spazzar via ogni mio dubbio circa il fatto di essere sulla strada giusta o meno. I corridori del corto tirano dritto, mentre noi del lungo, o meglio io, al momento ultima superstite, vanno su verso destra. Non ne ho coscienza, ma questo è l'inizio della salita più lunga, quella che va su al Beigua. Più lunga, ed anche più bella, a maggior ragione proprio per il fatto che sono completamente sola. Salgo in mezzo al bosco che quasi forma, in molti tratti, una vera e propria galleria; affondo i piedi in un morbidissimo tappeto di foglie secche, vedo i raggi di luce limpidissima filtrare attraverso i rami, come tante lame sottili fino a terra. Raggiungo un ponticello in ferro, dall'aspetto poco rassicurante: già, mi ricordo che, in partenza, lo speaker aveva accennato proprio ad un ponte poco dopo la biforcazione dei percorsi. Ci passo con cautela, poi via sul sentiero, che ormai, più che un sentiero, è una traccia di foglie calpestate in mezzo a foglie secche ancora integre. Non ci metto molto a rendermi conto che questo luogo ha qualcosa di magico. Foglie sotto i piedi e fronde sopra la testa, tanto che quasi il cielo non si vede più; la luce che filtra qui sotto è attenuata, così come sono ovattati i rumori, lo scroscio del torrente che scorre alla mia destra. Bellissimi i colori, davanti a me ed alla mia sinistra il marrone delle foglie, a destra il grigio scuro delle rocce bagnate. La salita non è mai ripida; permette di godersi tutto questo con calma, tant'è che ad un certo punto mi rendo conto di aver perso, per chissà quanto tempo, la cognizione di essere nel corso di una gara, o perlomeno in lotta con un tempo massimo. Complice anche la solitudine, sto camminando come se fossi sola davvero, come se stessi facendo una passeggiata. Il sentiero è evidente per un po'; poi, la traccia è data solo più dai segni rossi sui tronchi degli alberi, che mi fanno andare a zig zag senza una logica apparente, tanto che non riesco in alcun modo a capire, guardandomi intorno, a che punto della salita io mi trovi, quanto manchi alla fine. Si sale per un'eternità in questo bosco che sembra pulito e curato tutti i giorni da un giardiniere: solo foglie per terra e tronchi d'albero, senza arbusti, cespugli, senza "corpi estranei" a turbare quest'armonia perfetta di terra ed alberi e cielo, come un salotto con pochi elementi d'arredo, ma raffinati. Chissà se è così per natura o se viene appositamente curato e pulito? Mah, chiederò lumi.

Ad un certo punto, però, la meraviglia lascia spazio ad un'improvviso quanto intenso senso di insofferenza. Questa salita è interminabile: e non è certo la salita in sé a disturbarmi così, quanto il fatto di non riuscire a capire dove sto andando, di non intuire una direzione e di non vedere una meta. Il disagio si ripercuote subito sulle gambe, in un senso di pesantezza... Tant'è che di lì a poco incontro un corridore, seduto su un tronco abbattuto ed intento in uno spuntino, e sbotto: "Se continuiamo a salire così, qui arriviamo come minimo a Cervinia!!!". Per fortuna, è quasi fatta... Con mia grande sorpresa, l'itinerario va a sbucare su una strada asfaltata, nient'altro che la strada che avrò percorso almeno una decina di volte in bici! Eh già, lì ci sono le orrende antenne che contraddistinguono la fine della salita al Beigua. Nel tratto di strada asfaltata mi supera un ciclista in mountain bike: un po' lo invidio, le vorrei anch'io le ruote, adesso!

Sbuco in vetta e trovo due volontari che mi indicano il ristoro poco oltre. C'è un monumento, che non alzo nemmeno lo sguardo per vedere; alcune attempate turiste che parlano di un conoscente comune, in termini non proprio lusinghieri, visto che gli danno più volte del belinone... Mi vien da sorridere, si sente, che siamo in Liguria! Al banchetto del ristoro, mi avvento, come al solito, sulla Coca Cola, e faccio il pieno di acqua e sali. Anche qui, niente fame; prendo una banana ed una marmellatina, che, nella successiva discesa, ingoio come le oche, più per forza che per voglia.

Pure questa discesa sarebbe più che corribile, ma anche qui, non mi azzardo nemmeno, a provare. Vado giù di buon passo, anche se, nei tratti in cui il fondo è coperto dal fogliame, ho difficoltà non da poco a stare in equilibrio. Di lì a poco, mi raggiunge il corridore bresciano che ho incontrato quand'era fermo nel bosco: è evidente che lui, in discesa, se la cava meglio di me. Poco male, guadagno un'altra volta l'ultima posizione.



La discesa fino a Giovo è lunga, interminabile, anche perché, complice forse la stanchezza che comincia a farsi sentire, la digerisco davvero male. In un sacco di punti fatico a mantenere l'equilibrio, inciampo di continuo, fino a che, messo malissimo il piede in appoggio, scivolo e batto malamente la schiena ed il ginocchio destro. Puro dolore... Resto qualche istante a denti stretti senza fiato, poi pian piano mi rialzo in piedi: beh, almeno sembra che sia tutto ok... Riparto bestemmiando in aramaico antico, sforzandomi di pensare ad altro finché il dolore non si attenua e si fa dimenticare; via, di buona lena, fino al ristoro di Giovo, all'interno del cortile di un locale, credo un bar. Mi chiedono se ci sia ancora qualcuno dietro di me... No, chi volete che ci sia di più scarso? Se non altro, magra consolazione, scopro di essere in anticipo di mezz'ora sul cancello orario: buono a sapersi. Soliti due o tre bicchieri di Coca, solito pieno alla borraccia e via: un km di strada asfaltata, su cui ovviamente non corro – neanche qui!!! - e poi su a destra, lungo un sentiero. Con soddisfazione vedo che quello che ho adottato come il mio "rivale" del momento è lì, davanti, a pochi passi; però, più che il combattimento all'ultimo sangue, in questo momento mi interessa riuscire a far la foto... Ai bucaneve!



Siamo ad ottobre e qui c'è una splendida distesa di bucaneve lilla, proprio quelli che nel mio giardino fanno capolino a marzo, talvolta a febbraio, negli anni buoni. Ce n'è uno ritto proprio nel mezzo di un gradino del sentiero: sembra quasi più grosso degli altri, bello, con il suo stelo bianco. Incredibile, è come se l'orda di barbari che è passata qui oggi avesse avuto per questo fiorellino, e chissà perché proprio per questo, un sentimento di rispetto. Quante persone, cinquanta, cento, quanti piedi sono passati qui, eppure nessuno l'ha schiacciato, nemmeno le suole dei primi, che di certo sono intenti a scannarsi tra loro e non hanno il tempo di badare ad un bucaneve lilla. Eppure...

Gli passo accanto anch'io, con cautela, e poi riprendo l'inseguimento del rivale. Siamo in salita, gli arrivo addosso in fretta; dopo di lui, altri colleghi dal passo un po' stanco ed appesantito: supero anche loro, a passo svelto, con i piedi che sembrano nuotare nel mare di foglie. Solo una ragazza bresciana decide di vender cara la pelle: accelera, approfittando del tratto di falsopiano, e non si lascia acchiappare. Quando la salita si fa più aspra, l'avvicino molto; quando la pendenza scende, lei guadagna vantaggio e se ne va. Per carità, non è che la cosa mi preoccupi più di tanto... Io comunque mi guardo bene dal forzare, perché non so quanta strada abbiamo fatto, ma davanti ce n'è ancora tanta! La ragazza bresciana con le trecce diventa però un'ottima lepre, da avvicinare in salita, da non lasciar scappare in discesa. Altra vetta, il Monte Greppino; altra lunga discesa e poi improvvisa risalita, dove finalmente acchiappo la mia rivale. Scambiamo qualche parola, ci chiediamo quanta strada manchi: ad un tratto, troviamo una jeep dell'assistenza e due volontari, a cui la Bresciana chiede dove si trovi il ricongiungimento dei percorsi lungo e corto. Ci informano che abbiamo superato quel punto già da un po' e che siamo già tornati sul tratto di sentiero comune ai due itinerari. Sagace... Io ovviamente non avevo alcuna coscienza del fatto che i due percorsi dovessero riunirsi né, di conseguenza, a che punto del lungo fosse il punto di ricongiunzione; avrei continuato a viaggiare nella mia beata ignoranza ancora per un bel po'. Invece la fanciulla, molto più attenta e preparata e logica di me, tira le somme: le strade si ricongiungono al km 46 del lungo; da lì mancano 19 km alla fine. Concludo io: se abbiamo passato quel punto già da un po', vuol dire che ce ne mancheranno 17, 16, giù di lì insomma!



Nel tratto di discesa, la ragazza prende rapidamente vantaggio. Mi raggiunge anche il collega del Beigua, pure lui più abile in discesa; però, poi, percorre un tratto insieme a me, chiacchierando un po'. La discesa è lunga e mitigata da tratti in piano; pur galvanizzata all'idea che manchi così poca strada, mordo ancora il freno e mi sforzo di non correre, perché 15 km sono pur sempre 15 km! Un altro volontario, lungo la discesa, ci informa che mancano 7 km ad Ellera, l'ultimo ristoro, e, da lì, 13 alla fine: ma no, allora i conti non quadrano... Ecco, lo sapevo, dannazione, sarebbe stato meglio se non si fosse avviato il toto-distanza, perché è odioso esser convinti che manchi un tot all'arrivo e scoprire poi che manca di più! Quest'ultima informazione, tuttavia, si rivelerà poi falsa e tendenziosa.

Passo accanto ad una casa, sotto una tettoia di fortuna che fa da riparo all'automobile, poi via verso il fondovalle, verso Ellera. Sono in compagnia di un gruppetto; la ragazza bresciana è poco più avanti. Quando mancano un paio di km al ristoro, raggiungo un corridore che, lì per lì, mi spaventa: muove passi brevissimi, trascinando le gambe con cautela, senza piegare le ginocchia; regge il proprio peso quasi completamente sui bastoncini... A me ed ai miei compari di viaggio spiega di avere le gambe tormentate dai crampi; non possiamo far molto, se non scendere ed avvisare al ristoro. Il podista infortunato, però, non pare poi così spaventato! Cavoli che nervi... E' qui che scopro, dai discorsi dei colleghi, che pare esserci stato un problema ad un ristoro, dove non c'era più acqua. Boh... Io quel ristoro non l'ho manco visto, non sapevo che dovesse esistere, e, ad ogni modo, ho ancora la borraccia mezza piena dopo il passaggio a Giovo. Non mi pare una mancanza così grave, anche se, a sentire i loro discorsi, pare una tragedia!

In quattro e quattr'otto, il sentiero scende ripido verso Ellera. Percorro un breve tratto della strada di fondovalle, poi a destra lungo la rampetta d'ingresso al paese, dove riacchiappo la ragazza con le trecce. Ho in corpo una sorta di euforia... Ormai so che, cascasse il mondo, è fatta. I volontari che sorvegliano il passaggio sulla strada ci salutano, ci incoraggiano ancora; un ragazzo con la maglietta gialla ci indica il ristoro, che per un pelo rischio di mancare, ormai lanciatissima su per una rampa in cemento. Anche qui, Coca Cola e poco di solido: mezza banana ed un formaggino mangiato più che altro per mettermi in bocca il gusto di salato. C'è un sacco di folla qui, ma che è, il raduno delle famigliole? Gli schiamazzi dei marmocchi mi gettano addosso un senso di insofferenza istantaneo... Per cui, rapida carezza ad un bassotto accovacciato in grembo al padrone, su una panca, e poi via, gambe in spalla! Questo tratto me lo ricordo, dalla 45 km dello scorso anno: c'è una rampa della miseria su strada asfaltata, che mi riprometto di venire prima o poi a provare con la bici. Acchiappo ancora un'anima, mentre ammiro gli ulivi ed il curioso cancello di un giardinetto, le cui ante sono formate... Da due di quei sostegni metallici dei materassi, fatti con le molle, che non saprei come si chiamano. Vorrei farci una foto, ma adesso non è il momento delle foto. La rivale con le trecce è dietro, al ristoro... Me lo pongo come piccolo personale obiettivo, non devo più farmi beccare! Ma qui sono in vantaggio; la salita è ripida su asfalto ed ancor più cattiva sul sentiero che segue: si marcia con il naso attaccato alla terra, come farà giustamente notare Matteo nel suo resoconto. Già, Matteo, a quest'ora avrà concluso da un bel po'! Chissà se me lo vedrò dinuovo spuntare incontro, come alle Porte di Pietra, mentre vado giù per l'ultima discesa? Mi piacerebbe, sì, sarei contenta di vederlo arrivare e sentirlo gongolare per il suo piazzamento, che, sono arcisicura, è ottimo. Ma oggi c'è anche sua mamma ad Albisola, che percorre il giro da 11 km; di certo non la mollerà giù da sola per venire su, tantomeno senza sapere a che punto io sia. Vabbè, pazienza. Salgo i gradini combattendo tra la voglia di balzare in cima e la consapevolezza che le gambe vanno risparmiate: al ristoro mi han detto che i km mancanti da Ellera alla fine sono nove, non tredici; comunque, sempre, nove km dopo averne macinati già cinquantasei. Cautela, Gian, almeno fino in cima. Il tratto ripidissimo si conclude presto; poi, la pendenza si attenua, pur con qualche strappo ancora su per le varie anticime – già, perché una salita non finisce mai laddove sembra dover finire! Ce n'è sempre ancora dell'altra, dopo... E' la bandiera che sancisce la definitiva conclusione delle fatiche. Ma non per me: mi aspettano cinque o sei km di discesa... E, se non voglio farmi riprendere dalla rivale, qui devo filare! Animo Gian, muovi le chiappe e vai: si vede il mare di qui, ma non è il momento di essere contemplativa. A questo punto, risparmiare i muscoli non mi interessa più; devo correre dovunque sia vagamente possibile, e comunque sbrigarmi quando non lo è. Giù a rotta di collo, senza troppo riguardo per le caviglie, troppa cautela per le storte; giù con un occhio al sentiero ed uno ai segni rossi, e mai un occhio dietro, per non vedere chi m'insegue, perché altrimenti è finita, mi demoralizzo.
Solo un momento di smarrimento quando trovo una freccia che sembra voler indicare una svolta a destra: ma lì c'è solo una vaga traccia di sentiero che scende nel canalone, mentre quello su cui sto filando è un sentiero ampio e ben segnato. Ma no, ho le traveggole; tiro dritto per la mia strada, scoprendo poi più avanti gli altri segni rossi. Maledico, solo per questa volta, i lunghi tratti in piano; correre qui mi costa una fatica ignobile! Ma ormai ci siamo quasi. Arrivo alle spalle di un corridore vestito di scuro: spontanea è la domanda, ma questo che ci fa, qui? Sì, perché ormai più o meno ho fatto l'occhio a riconoscere la struttura fisica di quelli che filano... E, per di più, questo qui indossa la maglia degli Orsi, che direi è una garanzia di velocità; ergo, che ci fa a quest'ora in questo punto dove sono anch'io? Non chiedo strada, lui accelera il passo; sospiro di sollievo da parte di entrambi quando, poco più sotto, compare il Santuario: ne approfitto per fargli presente, quasi a scusarmi di stargli così addosso, che sono in fuga e sto cercando di non lasciarmi raggiungere dall'avversaria... Mi spiega che oggi ha corso "per defaticamento" o qualcosa del genere: ah ecco, adesso sì che è chiaro. Bastano poche parole per farmi capire con che razza di elemento ho a che fare... Un personaggio che di corsa ha girato mezzo mondo!

Ormai è fatta: le voci della folla di corridori e familiari nel giardino del Santuario, la musica, il ponticello, ci siamo. Mi sforzo di mimetizzare un po' il mio aspetto disfatto, anche se non posso davvero dire d'essermi distrutta, anzi – e corro gli ultimi metri prima dello striscione: c'è Matteo, prontissimo, che immortala il glorioso passaggio sulla linea del traguardo. Sono contenta, sì, ma soprattutto sono ansiosa di sapere che cos'ha combinato lui: come volevasi dimostrare, settimo assoluto!!!
Io mi devo accontentare, modestamente, delle mie 10h 40' sui 65 km, e di sentire annunciare l'arrivo imminente degli ultimi, una ventina di minuti dopo, mentre, in auto, mi sto dando una veloce sistemata per poi ripartire e tornare a casa... Pazienza, l'importante è esserci stata! Appuntamento tra due settimane al Gran Trail Rensen e, come sempre, grazie a tutti coloro che lavorano sodo per permettere a noi bambini cresciuti solo nel corpo, ma non nel cranio, di divertirci così!