giovedì 20 novembre 2008

15-16 novembre 2008 - Un fine settimana di sole nel Levante ligure - parte III, Trail del Monte di Portofino

Aveva ragione la titolare dell'albergo: da Rapallo a Santa Margherita Ligure ci son tre minuti di auto. Peccato che non sia stata del tutto precisa: tre minuti per arrivarci... E mezz'ora di giri in tondo ed improperi per scovare un parcheggio. Avrei dovuto saperlo da sola, ormai, che da queste parti è così, ma mi ci imbestialisco lo stesso. Se avessi immaginato, avrei lasciato l'auto direttamente a Rapallo e sarei venuta fin qua a piedi. C'è il parcheggio riservato per la corsa, certo, ma è lontanissimo, ed io alle otto ho l'appuntamento con la mia squadra, e sono già le otto!!! Trovo, dopo mille peregrinazioni, un buco credo del tutto illegale in una viuzza lungo un torrente e mollo l'auto lì: certo che non potrei mai viverci, qui, ne andrebbe del mio fegato. In fretta e furia mi preparo, infilo le scarpe, prendo la giacca e la cintura portaborraccia: nient'altro, per oggi; lo zaino non serve, la distanza è molto breve, quattro ore dovrebbero essere sufficienti, a meno di imprevisti. Poi mi metto a correre in direzione del mare, o meglio, in quella che spero sia la direzione del mare: passo davanti al parcheggio dei pullman; per ricordare, al ritorno, dove ho lasciato l'auto, sarà bene che mi metta in testa questo posto, che almeno è indicato dalle frecce agli incroci.

Corri e corri, arrivo alla passeggiata lungo il mare oltre le otto e venti: mi sa che a quest'ora l'appuntamento è sfumato... Panico, e adesso come faccio a recuperare il mio numero di gara? Ce l'ha il boss! Mi aggiro tra i gazebo, ma non c'è traccia del raduno della squadra; uffa, ma perché deve sempre saltar fuori qualche contrattempo? Meno male che esiste il cellulare! Dopo troppe peregrinazioni, ci troviamo; recupero il pettorale ed anche la maglietta della squadra, che indosso sopra la mia maglietta da bici. E' vero che fa caldo, ma uno strato di più, a novembre, non farà certo dispiacere.

Ora che sono a posto, tranquilla ed organizzata, posso finalmente guardarmi intorno. Splende un bel sole, ma qui il mare mi piace già molto meno, siamo in città; si sente già troppo la presenza umana. E, come tanti altri, anche questo luogo mi sembra un baraccone per turisti più che una cittadina marittima, e credo sia proprio così. Però la giornata pare voler accompagnare.

Telefono a mia sorella: anche lei sarà qui oggi, con il mio adoratissimo Skipper ed un suo amico (di mia sorella, non di Skipper, anzi beh sì anche di Skipper; diciamo, un bipede). L'intera armata Brancaleone parteciperà alla 23 km non competitiva; siamo già d'accordo che, quando arriverò alla fine – moooolto prima dei miei polli, se conosco i miei polli – tornerò indietro lungo l'itinerario della corsa per andar loro incontro.
C'è davvero tanta gente oggi; più o meno tutti, come me, hanno lasciato a casa lo zaino. Io però, per non smentirmi, ho comunque esagerato con il carico: una borraccia grande, che pure nella cintura portaborraccia romperà le scatole, e la giacca impermeabile che al massimo potrebbe servire in caso di vento forte, ma non sarà necessaria per la pioggia. Non c'è una nuvola!

Incontro alcuni utenti del forum di Quotazero, ormai la mia terza casa, dopo quella vera e propria ed il forum Bicidacorsa; il primo è Trailmaker, poi c'è Vans, da cui scopro, con gran gioia, che la prima salita è a pochissima distanza dal via. Come al solito, non so un beneamato nulla del tracciato; questa è una buona notizia.

Ormai manca pochissimo al via; seguo la direzione della massa, "Sotto il castello cinquecentesco" come indica la voce dall'altoparlante: invece no, tutti dietrofront, si parte in un altro punto, proprio sull'Aurelia. Chissà come sono contenti i turisti inscatolati in auto, in coda! Non posso trattenere un ghigno di soddisfazione...
Ancora saluti, persone note, di cui magari non ricordo il nome, ma certo il volto e soprattutto l'occasione in cui abbiamo già incrociato le nostre strade: questo o quel trail, è ovvio!
D'improvviso l'arco gonfiabile si accascia sui primi schierati sulla linea di partenza: urca, cominciamo bene, speriamo che non sia un cattivo segno! Ma in quel momento mi assale a tradimento un volto, anzi un muso noto: è arrivato Skipper, eccolo qui! E' tutto un turbinio di coda, tutto un fremito, una festa, il mio tesorone; dispensa baci appassionati a me e, già che c'è, anche ai vicini, che per fortuna sembrano gradire. Che bello! Me lo coccolo ancora un po' prima che arrivi il momento di fuggire; poi lo cedo alle cure di Stefania e dell'amico, che, dopo un paio di foto, si accodano al gruppone. Non li vedo più, ma non ho tempo a voltarmi che son già di corsa.

Proprio come da programma, ci sarà un km di asfalto, forse meno, poi si va su. E che salita! Una lunga scaliata di cui non si intuisce, da qua sotto, la fine. Scalini alternati a tratti di sentiero, poi ancora scalini, tornanti e scalini. Siamo tutti intruppati in coda; immancabile, si palesa subito il piantagrane, sotto forma di una signora alta un metro ed un tappo che sale dietro a me: "Eh ma non è possibile, ma andate avanti, ma almeno correte, di questo passo arriviamo stasera", ed altre innumerevoli variazioni sul tema, condite da sbuffi e scuotimenti sconsolati di testa che non vedo ma immagino. Mi assale la fortissima tentazione di voltarmi e chiederle dove cavolo voglia andare con tanta fretta, che ormai il podio non lo vede più... Poi scelgo di tacere, allungo un po' il passo man mano che la fila si sgrana e recupero qualche posizione, non tanto perché voglia correre, più che altro per levarmela d'intorno e non sentirla più.

Scalini ed ancora scalini. L'unica cosa che, sì, dà un po' fastidio anche a me, è la presenza, in mezzo al gruppo, di persone che hanno il pettorale della non competitiva, che avrebbero dovuto partire, come da raccomandazioni ricevute al via, più indietro rispetto ai corridori della competitiva. Perché siete partiti prima degli altri, se poi non vi interessa il cronometro? Poi però mi fermo un attimo, mentalmente s'intende, e ci rifletto: ma a te, Gian, il cronometro interessa? Ok, ti piace vedere il nome in classifica, a fondo classifica, ma vedrai che se anche perdi trenta secondi, il tuo destino non cambierà!

Gli scalini lasciano poi il posto ad un ampio sentiero in mezzo al bosco. Qui sono pochi i temerari che azzardano qualche passo di corsa. Ce n'è una, sì, una ragazza che è un fenomeno, con la maglietta degli Orsi: è evidente che lei non è rimasta a questo punto, lo stesso in cui sono io adesso, perché non può far di meglio, ma solo perché sta aspettando qualcuno. Mi colpisce, non so bene perché: è bionda, viso bellissimo e splendido fisico asciutto e scattante; non fa altro che correre su e giù, incoraggiare gli amici, chiacchierare, scherzare, che fenomeno! Se penso che a me a momenti manca il fiato per trascinarmi su...

E' ricca di curiosi incontri umani, questa salita. Di lì a poco, mi sorpassa una figura ormai familiare, un personaggio non più giovanissimo, non troppo alto, con le braccia appesantite da una quantità abnorme di braccialetti di varia foggia e colore, un berretto nero in testa, e soprattutto con un passo da invidia! Esclamo "Ma questo è il Colonnello!", e lui, pronto, senza nemmeno voltarsi, risponde "In persona!". Mitico, il Colonnello...

La salita prosegue, si addolcisce un po'. Dietro di me, ora, ho un uomo ed una ragazza, di cui non posso fare a meno, proprio per vicinanza, di captare i discorsi. O meglio, li sento per caso e poi mi metto deliberatamente all'ascolto... Lei, a quanto ho capito, lavora in una palestra, frequentata per lo più da fanciulle di un certo "spessore", diciamo così; lui, con evidente accento savonese, commenta sarcastico la stazza delle atlete. La ragazza annuncia di voler accompagnare le fanciulle, in primavera, in vetta ad un monte nelle vicinanze; lui esclama sdegnato: "Belìn... Ma così l'Antola s'abbassa di dieci metri!!!". E poi rincara la dose: "Meno male che in quella stagione ci sono già i pascoli alti... Si sentiranno a casa!". Immaginatevi tutto ciò, con quella tipica cantilena ligure... Giuro che faccio una fatica sovrumana a trattenere le risate! Meno male che poi il sentiero spiana, scende un po', ed io posso ricominciare a correre. Non c'è storia, oggi corro tutto quel che posso! Tanto, 23 km sono pochi, finiscono in fretta. Curioso: poco prima della partenza, sentivo i commenti di gente che diceva di aver scelto il percorso da 12 km perché quello da 23 è troppo lungo... Per me ormai 23 km sembrano una passeggiata di piacere! Non certo per la qualità della prestazione, perché vado sempre e comunque piano, ma è proprio una condizione mentale; venti, trenta km non fanno paura; alla fine, a meno di incidenti, è chiaro, ci arrivo tranquilla.

Davanti a me, un signore già avanti con gli anni corre a torso nudo: capperi che fisicaccio! Va bene che fa caldo, ma...

Meno male che i sentieri qui, almeno in discesa, sono ampiamente corribili. C'è da prestare un po' d'attenzione alle foglie umide e viscide, ma nulla di tremendo, tant'è che senza difficoltà riesco a correre anch'io. Purtroppo oggi non ho con me la fotocamera; senza lo zaino, non avrei saputo dove metterla; tenerla in mano sarebbe stato rischioso, in caso di caduta, per la sua stessa incolumità. Spero che al reportage fotografico provveda mia sorella! A dire il vero, io sto un po' esagerando, perché non riesco nemmeno a guardarmi più di tanto intorno: vedo quasi solo le mie scarpe!

Al primo ristoro butto l'occhio alle bevande, ma decido di non fermare, tiro dritto. Si sale nel folto del bosco, con alcune rampe anche severe. Il gruppo ormai si è sfoltito, posso prendere la mia andatura. Intorno ho più o meno sempre le stesse persone con cui dividerò, tira e molla, l'intero percorso. Mi sforzo, sempre, di correre dove possibile, sempre con gli occhi incollati a terra: infatti non posso fare a meno di notare un sacco di particolari, dalle grosse bacche rosse che trovo un po' dappertutto e non so bene cosa siano, ai fiori che ancora a novembre rallegrano l'ambiente, ai segni tracciati con vernice rossa sulle pietre. C'è da dire che l'assistenza è capillare; ci sono addetti della gara davvero in ogni dove, auto di servizio, personale del soccorso.

Alla fine della prima discesa, ecco un ristoro dove, golosa come non mai, mi riempo le mani di cubettoni di cioccolato e zollette di zucchero, oltre a buttar giù un bel bicchiere di sali. Dicono gli esperti, o sedicenti tali, che lo zucchero puro faccia più danno che beneficio: ma allora, in questa gara, dovrei lasciarci le piume, visto che, prima della fine, ne avrò ingollate almeno quindici zollette! La mia sosta è brevissima; riprendo subito la corsa lungo un tratto di strada lastricata, proprio sul mare, bellissima. E ritrovo, per un tratto, una ragazza già incontrata alle Porte di Pietra. Oltrepassiamo alcune abitazioni, un micio ci guarda sconcertato e pigro. Poi ancora su, in mezzo al bosco, su sentiero: anche qui, la salita non scherza! I dislivelli sono, com'è ovvio, contenuti, dell'ordine dei tre-quattrocento metri per volta, ma forse proprio perché sto tirando più del solito, avverto già la stanchezza e la difficoltà a riprendere la corsa nei tratti in cui la via spiana. Supero un'altra volta il corridore a petto nudo, chiedendo come sempre permesso; "Scusi eh, io passo, ma non è che voglia andare chissà dove... Il podio questa volta me l'han già fregato!". E lui, divertito, replica: "Te l'han fregato? Ma che sfiga!".

Ancora su, decisi, mentre il caldo sembra farsi più deciso; poi un paio di km su e giù, un po' di corsa un po' di passo, e infine giù in picchiata verso il mare, discesa lunga e veloce. Quasi non riesco a credere di poter sorpassare qualcuno in discesa, e persino di non perdere troppo facilmente il distacco da chi mi precede. Anche qui, riesco ad attaccar bottone, stavolta con un corridore di Deiva Marina, o meglio, di Sestri residente a Deiva. Tra un salto ed una storta, spuntiamo all'improvviso, per me in modo del tutto inatteso, sulla spiaggetta di San Fruttuoso, per poi attraversare una piazzetta, insinuarci in uno stretto pertugio in mezzo alle case, e via ancora in salita. Anzi no: prima c'è ancora un ristoro, un po' di sali e qualche zolletta di zucchero e cioccolato. Poi su, ad aggredire quella che il Deivese mi ha annunciato come una salita durissima. Infatti sale, eccome se sale! Il mare scivola subito giù, in fondo, mentre mi inerpico in mezzo al bosco. Bella, la spiaggetta, per carità, però... Sarò forse l'unica voce fuori dal coro, ma proprio perché non amo il mare troppo da vicino, io trovo più suggestivo il sentiero nel fitto degli alberi, il fango e le pietre sotto i piedi. Qui che ormai sono entrata in temperatura, come le caldaie, mi prendo qualche piccola soddisfazione, lasciando indietro un po' di gente che poi tanto mi riacchiapperà in discesa. Anche qui c'è chi si ferma, si abbatte su una roccia, sfinito. Ma dai che ormai è l'ultima!

La salita va poi attenuandosi, diventa un saliscendi a mezza costa, tra gli alberi ma con scorci meravigliosi verso il mare, finché ci immettiamo su un tratto di strada lastricata, che apre la vista sugli uliveti e sul quadretto arlecchino delle reti per la raccolta delle olive. Si vedono le prime abitazioni; c'è ancora una lunga rampa dritta, poi si lascia la strada e si riguadagna il sentiero che va giù. Quattro km e più niente salita, ci dice uno dei volontari lì appostati. Benissimo! Poco dopo, lungo la discesa, investo un paio di minuti per riempire la borraccia alla fontanella; poi giù a rotta di collo, lungo un sentiero fangoso nel fitto del bosco, che poi torna strada ampia ed aperta tra gli ulivi. Qui ci sono abitazioni e turisti a passeggio; per la verità, di escursionisti oggi ne ho visti davvero tanti!

Corro e corro, tanto ormai sono alla fine e non mi devo più preoccupare di scoppiare. Però dovrei almeno preoccuparmi di mantenere l'equilibrio... Invece no, poco prima di Santa Margherita, uno spuntone di pietra mi gioca un brutto scherzo: neanche me ne accorgo e sono già spalmata per terra. Meno male che, d'istinto, ho buttato le mani avanti ed ho letteralmente salvato la faccia. Mi rialzo subito, grazie anche all'aiuto del corridore che mi segue; non c'è tempo per controllare i danni, comunque credo nulla di serio. Accanto ad uno splendido palazzo con torrette ornate da merli, ecco l'incrocio con l'Aurelia ed il ritorno alla civiltà. Un po' di corsa su asfalto, tra gli sguardi perplessi di chi passeggia sul lungomare e le rimostranze degli automobilisti costretti all'attesa, ed eccomi sotto l'arco, all'arrivo.

Ma non è mica finita qui. Restituisco il chip, passo a fare il pieno al ristoro: c'è di tutto, dolci ma soprattutto focaccia adorabilmente unta e persino le uova sode! Un uovo e cinque o sei pezzi di focaccia, il tutto annaffiato con qualche bicchiere di birra: non c'è che dire, il pasto ideale post gara, per il recupero! Poi telefono a Stefania, per chiedere dove siano lei e la banda, e faccio dietrofront. Con la medaglia di "finisher" al collo, ripercorro a ritroso l'itinerario, sbocconcellando focaccia e cioccolato, in rigoroso ordine sparso, almeno per i primi due km. E poi la banana.

Torno lungo l'aurelia, imbocco il bivio ed il sentiero: c'è ancora qualcuno dei competitivi in dirittura d'arrivo; mi squadrano come se avessero visto un marziano. Io trotterello con molta calma: la corsa l'ho già fatta; adesso voglio solo godermi la passeggiata e magari osservare meglio qualche scorcio che prima mi è sfuggito. Da questa parte, la salita è lunga e blanda; incrocio gli ultimi corridori e tanti partecipanti alla non competitiva, e tantissimi turisti, gitanti della domenica, famiglie, cani. Ora che non corro, non ho più quel gran caldo, anzi; speriamo di non prendere un accidente, visto che la mia giacca l'ho scaricata nello zaino di Stefi poco prima del via. Le gambe per ora sono attive, stanno bene. Risalgo la stradina in mezzo alle case, imbocco il sentiero che va su nel bosco, oltrepasso la fontanella, scendo lungo la rampa e mi incammino lungo la discesa verso la spiaggetta di San Fruttuoso, chiedendo qua e là se qualcuno avesse superato da poco due persone con un meraviglioso cane bianco: core de mamma...

A circa cinque km dall'arrivo, dietro una roccia spunta l'inconfondibile coda a pennacchio del mio tesorone peloso: anche lui s'accorge e mi si lancia addosso con un impeto inaudito, come se non mi vedesse da anni. Ricambio le coccole entusiaste, poi ci avviamo. Skipper è senza guinzaglio: non oso far sempre la rompiscatole ed imporne l'uso, ma confesso che ho il cuore in gola a vederlo scorrazzare libero. Anche se lui, tesoro, è un perfetto guardiano del gregge: va un po' avanti, poi si ferma, si volta, non riparte finché non gli siamo vicini. E, se io prendo un po' di vantaggio sugli altri due, lui sì, mi segue, ma poco più avanti si ferma ed aspetta che il gruppo si riunisca. Più guardo quegli occhioni gialli tenerissimi e più mi sciolgo. Che fortuna averlo con me...

Nei pressi delle case, lo leghiamo, onde evitare problemi con la gente che va a spasso e con eventuali altri animali. Dev'essere proprio stanco il mio Skipperone, se non si accorge di due gatti che vedo persino io. In altri tempi, sarebbe partito come un razzo!

Sosta alla fontanella per tutti: Skipper adora bere dal getto d'acqua che scende giù. L'amico di mia sorella qui lo libera dinuovo: c'è un tratto in mezzo al bosco; per fortuna, però, tra le case vediamo in lontananza un altro cane di grossa taglia e rimettiamo al mio bestione il guinzaglio. L'incontro ravvicinato, infatti, è poco amichevole, anche se lo scontro è solo vocale, visto che l'altro padrone ed io teniamo ben stretti i guinzagli. Qui tra l'altro incontro Antonella, la ragazza con cui ho scambiato qualche mail in occasione del trail di Arenzano: prometto anche per questa corsa un racconto sul blog!

Ancora avanti, ci siamo quasi: un'ultima pausa affinché Skipper possa fare amicizia con una bella cagnolona di taglia sua pari; qualche effusione, ma la cagnona poi non sembra più di tanto interessata e se ne va. Povero Skipper, proprio non ci sai fare!

A Santa Margherita ci riuniamo con un gruppetto di altri non competitivi; c'infiliamo nella folla della passeggiata, dribblando due levrieri, un boxer ed un bovaro bernese, finché arriviamo, o meglio arrivano, alla fine. Per me è un ritorno. Peccato solo che ci sia un po' l'aria della smobilitazione: del resto, è passato davvero tanto tempo dal via... Eppure sento qualcuno dell'altro gruppetto che protesta vibratamente: insomma, va bene che è una manifestazione non competitiva, quella a cui hai partecipato, ma non puoi aspettarti di impiegare sei ore e mezza per 23 km e poi trovare ancora qualcuno all'arrivo! Per fortuna, la mia truppa è contenta e basta. Li accompagno alla loro auto: Skipper andrà con loro, perché io in auto ho già la bici e dovrei fare i salti mortali per incastrare tutto e garantire a lui lo spazio necessario. Però devo accompagnarlo fino all'auto dell'amico di Stefania, aspettare che salti nel bagagliaio e farmi dare il bacio: altrimenti sono strepiti e pianti, povero piccolo!

Tranquillo Skipper, ci vediamo stasera a casa. Mi congedo, macino gli ultimi due km verso l'auto, salto su così come sono e riparto. Devo arrivare a casa prima che il sonno mi assalga... E speriamo d'aver smaltito la birra!

mercoledì 19 novembre 2008

15-16 novembre 2008 - Un fine settimana di sole nel Levante ligure - parte II

L'appuntamento è stasera alle otto, appena oltre la galleria della Ruta di Camogli. Matteo mi ha promesso una bella camminata, sui 300 m di dislivello, "che non comprometterà il tuo trail dell'indomani". Ma cosa vuoi compromettere? Le mie possibilità di successo sportivo, le ha già compromesse Madre Natura ventisette anni fa, e poi a completare il disastro provvedo io, a suon di pane e Nutella! Domani ci son 23 km di marcia; in un modo o nell'altro, alla fine ci arrivo, quarto d'ora più, quarto d'ora meno. E poi, non sia mai che io sacrifichi un'avventura a beneficio di un'altra avventura; valgono tutte allo stesso modo, tanto!

Però il tepore della doccia, quando arrivi in camera e sei tutto intirizzito, ha un effetto micidiale. Esco da sotto il getto bollente, mi asciugo e mi infilo sotto le coperte "solo per mezz'oretta": va a finire che mi sveglio per un pelo! Schizzo subito in auto, mi lascio alle spalle quest'obbrobrio di cittadina turistica e caotica che è Rapallo, via verso Genova. Speriamo di vederla, la galleria: sono talmente suonata, stasera, che potrei passarci sotto e non accorgermene! Invece, per fortuna, la vedo: e, appena fuori, vedo anche la 313 di Matteo, ma quant'è bella 'sta macchinina, così piccina che potrei quasi quasi parcheggiarla dentro la mia! Puntualissimi, sincronismo perfetto.

Molliamo le auto poco più avanti, lungo un bel viale alberato. Prendo la borsa con le focacce che ho portato da casa: stasera si va a far cena in un posto magnifico! E ancora non me l'immagino, ma so che, se Matteo dice che un qualche luogo è bello, allora è bello davvero, come dico io. Ovviamente mi son dimenticata un pezzo, cioè qualcosa da bere: meno male che lui ha la borraccia!

Chissà perché, quando mi ha preannunciato la passeggiata con un po' di dislivello, ho pensato di dover prima salire, e poi scendere: in effetti, questa è la norma, per me che vivo tra le montagne da una parte e le colline dall'altra, ma qui non funziona così. Anche se impiego qualche momento a rendermene conto.

Appena scesa dall'auto, sono già a bocca aperta per le mille luci che brillano lungo la costa in questa serata limpidissima, ed altre luci che spuntano in mezzo al mare. In effetti, da quassù, è solo la linea delle luci lungo la spiaggia, che mi dice dove finisce il nero della terraferma e dove comincia quello del mare. Matteo imbocca con passo sicuro un sentiero che scende giù, in buona parte lungo una scalinata: è quasi tutto illuminato da lampioncini, quasi, appunto. Io incespico spesso, faccio fatica a mettere a fuoco il bordo dello scalino, che ogni tanto è smussato, spezzato, scivoloso. Guai poi quando la luce proprio non c'è! Però, che meraviglia di posto... Chiacchierando, poi, mi passa presto l'inquietudine; alla peggio, pianterò uno scivolone, nulla di che. L'aria è tiepida, le luci intorno scintillano sempre di più; man mano che scendo, sento sempre più nitido il rumore del mare, le onde tranquille che vanno e vengono un po' più in basso. Incontriamo d'un tratto una chiesa attorno a cui sono raccolte poche case, poi ancora scalini, ancora ed ancora, fino ad un'altra minuscola bomboniera di casette che sembrano incastrate l'una sull'altra: passiamo proprio sulla porta di chi abita qui; sembra quasi di violarne la tranquillità domestica. Piante fiorite, rami carichi di limoni, pergolati. E' tutto ristretto, schiacciato, persino il ruscello che scorre proprio sotto la scalinata ed accanto ai muri di queste abitazioni.

Bruta cittadina, io non ci avrei nemmeno fatto caso, se non me l'avesse fatto notare Matteo: come si sposta, chi abita qui? Semplice, ci sono due vie, la scalinata oppure il mare. Il mare... E' vero, ormai siamo quasi a livello del mare; si vedono file di barchette ormeggiate, proprio come le auto parcheggiate sotto casa. Per chi vive qui, andare a far la spesa in barca è normale, continua Matteo, come, per te, andarci in bici o a piedi o in auto: difficile, davvero difficile da immaginare, anche se senz'altro è proprio così.

La scalinata finisce proprio giù al mare: ora la schiuma delle onde è proprio lì, sotto i miei piedi. Attraversiamo un ponticello che taglia un'insenatura: alla mia sinistra, a fatica nel buio, scorgo una vera e propria parete di roccia, e giù, accanto al ponticello, alcuni teloni tesi a ricoprire le barche. Incredibile... Ecco qui i garage! Io che mai, nonostante il mio corredo genetico savonese per metà, avevo visto una cosa del genere.

Il ponticello finisce sugli scogli, poi un'altra scalinata ci riporta un po' più su, in mezzo ad altre case. Non c'è un'anima qui, sembra d'essere fuori dal mondo; siamo persi nella penombra, tutto ciò che muove è solo il vento, ed il mare. Poi il camminamento diventa terra; ci lasciamo alle spalle l'ultimo faro, che però è abbastanza potente da concederci ancora qualche metro di chiarore. Lo sapevo io, che prima o poi a seguire Matteo mi metto nei guai: infatti, gli ultimi metri sono sulle rocce, umide e scivolose quanto basta, ed irregolari ed insidiose per me che già non vedo un accidente con la luce del giorno, figuriamoci la notte. Ma, quasi in cima al promontorio, ne troviamo una che fa al caso nostro; sembra piatta e ce la faremo andar bene, anche se piatta non è. Che meraviglia: penso che, se avessi un sacco a pelo decente, mi piacerebbe un sacco dormire qui, magari solo un paio di rocce più in alto, giusto per evitare di andare alla deriva con l'alta marea. Anche se fa freddo: me ne accorgo ben presto, smaltito il calore della camminata. Ho la giacca impermeabile, ma il vento non perdona. Chissà fin dove si vede, di qui, la costa: Savona? O ancora oltre? Difficile stabilirlo. Intanto, dalla contemplazione dell'infinito passiamo rapidamente a qualcosa di ben più prosaico: la masticazione della focaccia! Cavoli, dopo la pedalata di oggi, ho una fame boia, e mi sa che Matteo non è da meno. Povera focaccia, che orrbile fine.

Non me ne vorrei più andare, da questo posto: è bellissimo, è pace, non c'è anima viva, o, se c'è, è ben chiusa dietro le imposte delle finestre sotto cui siamo passati poco fa, è un paradiso. Ma i brividi di freddo non danno tregua, il vento s'infila dappertutto e fa battere i denti: meglio avviarsi, almeno in salita ci si scalderà un po'. Superiamo un'altra volta il porticciolo, sempre con lo sguardo fisso al mare, con gli schizzi delle onde che di tanto in tanto raggiungono le mani, col vento che sferza il viso. Inizia la risalita, uno scalino dopo l'altro: e pensare che a me viene il fiatone già solo con i due piani di scale che mi portano a casa... Pianino, per evitare una sudata che adesso non è proprio necessaria, ma soprattutto per prolungare ancora un po' questa sera bellissima che sembra sospesa al di là del solito mondo. Anche in salita, com'è ovvio, Matteo trotterella ed io arranco al seguito; adesso non dovrebbe più esserci gran rischio di scivolare... Infatti, le ultime parole famose, per un pelo evito un incontro ravvicinato tra il mio naso e lo scalino. Si chiacchiera del mio trail di domani, delle mattane passate e di quelle che verranno, mentre il mare scivola sempre più giù, rampa dopo rampa.

Rieccoci alla chiesetta; c'è solo una lucina ad una finestra, lì accanto: sarà il parroco. Ancora su, fino alla fontanella, al sagrato della chiesa da cui siamo partiti: ma guarda, non avrei mai pensato che fossimo già qui. Me ne accorgo con un pizzico di dispiacere ed un po' di fastidio per la luce violenta dei lampioni, proprio ora che i miei occhi si erano abituati al buio. Mi volto ancora un momento; in mezzo al mare ci sono luci che sembrano appartenere a grosse navi: chissà come si sta, là in mezzo? L'idea del viaggio in mare non mi affascina, anzi, mi preoccupa quasi quanto quello aereo; però l'avrei, una volta, la curiosità di sentire il silenzio che dev'esserci in mezzo al mare, lontano dalla costa; silenzio e buio. Il buio perfetto della notte, non quello che vediamo noi dalla città, credo d'averlo già conosciuto in montagna, quando si vedono miriadi di stelle, ma il silenzio no, quello dev'essere una cosa particolare.

Ho sonno, sono cotta e stracotta, ma davvero non vorrei tornare all'auto. Avrei voglia di passeggiare ancora, in compagnia del mio Cicerone... Ma domani s'ha da correre; meglio che io non faccia troppo la furba. Mi vien da pensare, però, che non avrei potuto immaginare una serata più bella e suggestiva di quella che ho appena trascorso. Cena al sacco, solitudine, mare: e poi c'è chi si va ad infognare nei ristoranti che straripano di gente... Bleah! Penso che prenoterò subito Matteo per altri tre o quattro...cento passeggiate così!

martedì 18 novembre 2008

15-16 novembre 2008 - Un fine settimana di sole nel Levante ligure - parte I

Questa volta sono riuscita ad essere un po' più rigorosa nel preparare la trasferta: ieri sera, all'alba delle undici, ho già caricato l'auto con tutto il necessario, la bici, le scarpe, la borsa con gli indumenti, quella con la pappatoria per la cena, più varie borsine e borsette. Che sollievo, dover solo più preparare me stessa e partire. Infatti, alle quattro e un quarto sono pronta è scattante: beh insomma, scattante più o meno, viste le quattro ore di sonno e l'ammutinamento della caffettiera che stamattina ha rifiutato di far passare il caffé. Amen, farò tappa in un autogrill.
Dicevo, pronta e scattante, mi metto al posto di combattimento, infilo la chiave, giro... Gniiik gniiik gniiik... Niente. Ancora, riprovo, gniiik gniiik gniiik... Niente di niente. Le lucine del cruscotto si accendono debolmente, poi muoiono. Voilà, batteria andata. Mea culpa, ci ha già provato un po' di volte, la povera Opel, ad avvertirmi, negli ultimi due-tre mesi, stentando ad avviarsi o rifiutando del tutto. Alla fine, ahimé, è spirata.

Calma e sangue freddo, Gian. Che fare? Accanto c'è l'altra auto di famiglia, che questo fine settimana non servirà a nessuno. Scarto subito l'idea di collegare i cavi: per ricaricare la batteria, ammesso che si ricarichi, ci vorrebbe troppo tempo. Tantovale trasferire tutta la mercanzia dall'altra parte: bici, scarpe, borse. Mi ci vuole qualche momento di pazienza per togliere dall'auto di riserva la griglia canina ed abbattere i sedili, ma tutto sommato riesco a risolvere l'intera faccenda in un quarto d'ora. Replay: mi metto al posto di combattimento, giro la chiave, odo un rassicurante rombo di motore, si parte. Gian, non hai alcun diritto di innervosirti, primo perché è colpa tua che come al solito hai ignorato i sintomi del problema; secondo perché... Quanti, in un caso del genere, avrebbero pronta l'auto sostitutiva, lì, a disposizione?

Il viaggio è interminabile, non tanto per la distanza – fino a Sestri Levante saranno 200 km o poco più – quanto per il sonno che mi assedia, al punto che, poco oltre Genova, sono costretta a fermarmi in autogrill per il caffè, altrimenti qui combino qualche macello. E' sempre stupendo sentire l'aria tiepida del mare, quando si è saliti in auto a Carmagnola, con la temperatura prossima allo zero, e meno male che non c'è nebbia stanotte. Il viaggio si conclude poco dopo, a Sestri. Sono agitatissima: oggi devo tentare di seguire un itinerario che mi ha suggerito Matteo; sono munita di cartine su cui ho accuratamente segnato il percorso, ma mi conosco: la mia capacità di perdermi è superiore a qualsiasi immaginazione. Il fatto è che oggi, con me, avrebbero dovuto esserci sia Mik che Matteo; almeno, fino ad una settimana fa, questi erano i piani. Invece Matteo ha dovuto restare in negozio e Mik ha ben pensato di ammalarsi; ergo, in qualità di unica superstite, mi tocca avventurarmi da sola. Ai primi raggi di un limpidissimo sole, scarico la bici e controllo che più o meno ci sia tutto: quando sono in preda alla preoccupazione, rischio di dimenticare qualcosa di fondamentale, più del solito. Infatti, qualcosa sì, lo dimentico, ma, com'è ovvio, me ne accorgerò troppo tardi: le luci! Le avevo portate per essere un po' più tranquilla, anche in caso di ritardo nel giro...

Si parte. La cartina che ho stampato da Googlemap, su cui ho accuratamente tracciato il percorso con l'evidenziatore giallo, fa capolino dal borsello. E' assurdo, ma sono davvero preoccupata. Mi conosco; lo so, che non ho proprio l'attitudine alla vita avventurosa dell'esploratore. La prima salita è il Passo del Bracco: beh, fin qui dovrei farcela; basta seguire lo stradone in direzione La Spezia. Ad un certo punto, troverò, sulla destra, la deviazione verso Deiva. In sé, il Bracco è tutt'altro che una salita terribile; mi lascio Sestri alle spalle e, sulla destra, pendii che certo qualche tempo fa erano ricoperti di bosco, ma adesso sembrano macabri puntaspilli, con quei tronchi nudi e neri d'incendio. Mette tristezza questo posto.
Scorrono i km, le case lasciano il posto al solo bosco. Si vede accanto, sulla sinistra, la vallata. Saranno passate in tutto due o tre auto finora. Viaggio all'ombra, è ancora presto per sperare in un raggio di sole sulla schiena; un curvone, un altro curvone. Il guaio è che, man mano che salgo, mi tocca fare i conti con il vento sempre più violento: quando soffia di fronte, non lascia andare avanti e toglie il fiato; quando mi investe di fianco, quasi mi butta per terra, considerato che, già di mio, non sono un mostro di equilibrio. Non so se sia più la sensazione di cadere o l'inquietudine di sentire l'urlo delle raffiche sulle cime degli alberi, ma sto già rimpiangendo amaramente le mie Langhe: ecco, se oggi fossi rimasta a casa, se mi fossi limitata a venire giù in Liguria domani per il trail, adesso non mi troverei in questa situazione assurda! Che faccio? Avanti non riesco ad andare; indietro non ne parliamo, in discesa con questo vento. Ho paura! Irrigidisco tutti i muscoli dal primo all'ultimo, un attimo prima di sbucare da una curva; cerco di rattrappirmi, ma la superficie che offro al vento è comunque troppa, ahimè...
Primo dubbio al bivio per Moneglia: possibile che debba già andare giù adesso? Ci andrei volentieri, perché da quassù vedo una splendida strada a tornanti e, là in fondo, il mare più azzurro che mai; ma no, la mia via non è questa, e non è nemmeno il prossimo bivio; devo attendere il terzo. Di qua scenderei a Moneglia, sono fuori strada.
Ancora un po' di salita, blanda, ma sofferta per il vento; poi, sulla destra, la deviazione attesa. Un'altra pausa per controllare la carta. Ecco, questa è una cosa che odio. Non dovrei mai cimentarmi a provare un itinerario ignoto da sola, per il semplice fatto che detesto, con tutto il cuore, dovermi fermare mentre pedalo: ed oggi l'ho già fatto un po' di volte! Ok, qualche volta per colpa del vento, ma altre volte anche solo per essere sicura della direzione. Qualcuno suggerisce il GPS; io preferirei in ogni caso una guida in carne ed ossa, qualcuno a cui chiedere il perché ed il percome. Come faccio a chiedere informazioni alla frecciolina sullo schermo? Come potrei farci quattro chiacchiere?

Inizio la discesa con somma cautela: questa strada sembra appena un po' meno esposta al vento, ma le raffiche ogni tanto arrivano anche qui, a tradimento. Ho a disposizione una mezza autostrada e scendo a freni più che mai tirati; è poi tutto da dimostrare che la stabilità sia maggiore, in caso di vento laterale, se la bici va piano... Ma che posso farci se ho paura?

Ai bordi della strada, decine di auto di cacciatori. Lo si intuisce dalle gabbie dei cani a bordo e dagli spari che si susseguono, lontano ma neanche troppo. Oggi marca male, me ne rendo conto da subito: le discese saranno, tutte, un calvario. Ormai ho imparato a riconoscere le giornate storte, più storte delle altre: se parto con la paura, per le più varie ragioni, non mi riprendo più, resto con la tensione tutto il giorno. E già sono una discesista da strapazzo anche nelle giornate buone...

Pazienza. In un modo o nell'altro, arrivo all'abitato di Piazza. Mi fermo un attimo, guardo la cartina; benissimo, Piazza è lungo il mio itinerario. Ripongo la mappa e, con pedalata sicura, imbocco subito la strada sbagliata: in discesa, tre o quattro km, mi ritrovo poi su un falsopiano ed arrivo diritta al mare, a Deiva. Uhm... Mi sa che qualcosa non quadra; diciamo che il dubbio m'è già balenato in mente mentre venivo giù, ma ora è una certezza. Qui non si va più da nessuna parte; ergo, non so dove fosse la strada giusta, ma altrve, non certo nella direzione che ho scelto io. Con le pive nel sacco, non mi resta che tornare su: e meno male che sono partita a pedalare molto presto: ho già perso un fracasso di tempo!

Con tanta pazienza, mi sciroppo al contrario il falsopiano e torno su a Piazza, che, per fortuna, mi spunta davanti prima di quanto pensassi. Ecco, la strada giusta è quella che fa il tornante secco a destra. Si sale, per fortuna; finalmente vedo qualcuno dei nomi segnati sulla mia cartina: Castagnola, Framura. E, di tanto in tanto, cerco anche di godermi il mare. A Framura, un omino vestito di arancione mi intima l'alt: sulla strada c'è una scavatrice e, su nel folto del bosco, si sente il rumore di una motosega. Pochi attimi, qualcuno grida "taglia, taglia!" ed un albero si abbatte rovinosamente sulla strada. Povero albero... Spero che avessero un buon motivo per tagliarlo, ma mette enorme tristezza veder morire così una pianta. Gli operai infieriscono sul tronco, lo tagliano in tante sezioni, ne strappano via i rami; la scavatrice poi fa piazza pulita di quel che rimane, cosicché, nel giro di dieci minuti, la strada torna libera. Passo per forza sui resti dell'albero, con un po' di vergogna, quasi come se gli mancassi di rispetto; ci vuole ancora una volta la vista del mare per rimettermi allegria. E riprendo a salire, puntando una sella poco più avanti, che mi dà l'idea che poi si vada giù.

Di tanto in tanto, do un'occhiata alla ricerca di fontanelle, perché è già un po' che pedalo, ma la borraccia è rimasta com'era in partenza: vuota. E il vento ed il caldo mettono già sete. Al momento, però, nulla. Certo che, come si dice dalle mie parti, son proprio balenga: sarebbe bastato portarmi l'acqua da casa!
Poco male. Per ora, mi godo il tepore; vorrei solo riuscire ad essere un po' più tranquilla, non con i nervi a fior di pelle come adesso; possibile che mi lasci spaventare così da un banale giro in bici? Dai Gian, pensa che qui si sta da favola, pensa che a Carmagnola a quest'ora c'è la nebbia e dieci gradi di meno. Lunga discesa verso Levanto, che appare dietro una curva, all'improvviso, una perla incastonata tra terra e mare, bellissima da quassù, anche se poi, quando ci passo in mezzo, mi accorgo che anche qua non mancano gli orrori. Fotografo una bellissima villa a picco sul mare: tanto, pausa più, pausa meno...

Attraversata Levanto, seguo la direzione di Monterosso, cercando di togliermi il prima possibile dal caos. Ho voglia di salita e sono presto accontentata; la strada riprende quota in mezzo agli ulivi, che in questa stagione formano un varipointo quadretto con le reti di tutti i colori, appese per raccogliere le olive. Bellissima, questa salita, molto regolare; un altro paese, bello come il precedente, mi appare proprio sopra la testa, in mezzo al bosco. Raggiungo un tornante da cui si stacca una stradina: e chissà mai perché dovrebbe interessarmi, quella stradina! Studiando la carta con il senno di poi, mi chiedo come diavolo ho fatto a pensare di dover andare lì... Eppure, sul momento, mi vien di girare, abbandonando la strada principale. Per fortuna, l'errore è subito chiaro: poche centinaia di metri dopo, finisco in mezzo ad un grumo di casette del borgo di Chiesa Nuova: più in là non si va. Impressionante, però, è vedere l'effetto di un cedimento del terreno: alcuni operai sono affaccendati a studiare una enorme crepa che ha spezzato in due la sede stradale, facendo scivolare una corsia ben più in basso dell'altra per diversi metri di carreggiata. Sembra un evento recentissimo. Non vorrei essere nei panni di chi abita in queste case! Non dormirei affatto sonni tranquilli.

Altro dietrofront, torno sulla strada principale. Riprendo a salire, fino al bivio per Monterosso. Io devo andare a sinistra e salire ancora un po': infatti, ben presto mi trovo ad un bivio, dritto per Carrodano, a destra per Riomaggiore e Vernazza. Basta, non ne posso più di fermarmi tutti i momenti a guardare la cartina: giro a destra e chi s'è visto s'è visto. Mi pare che Vernazza ci fosse, in mezzo alle mie peregrinazioni; va bene così.

Pochi metri dopo l'incrocio e rimango senza fiato: da quassù si gode un panorama spettacolare! Davvero, resto a bocca aperta, m'è sempre piaciuto vedere il mare dall'alto, pedalando, ma così è davvero troppo! Blu a perdita d'occhio, il mare calmo come olio con i riflessi dorati del sole, il cielo ancor più azzurro, non una nuvola, e la costa visibile fino a lontanissimo, una meraviglia! Dovrei fermarmi qui e riempire la memoria della fotocamera... Ma il dovere chiama, devo proseguire. Un lungo tratto di saliscendi, più che altro discesa; poi, un gruppo di case ed un cartello perentorio che arresta la mia marcia entusiasta: di qui non si passa, nada de nada, strada chiusa. Il cartello consiglia di scendere a Vernazza e poi risalire lungo una strada che, presumibilmente, va a reimmettersi su questa, più avanti. Boh... Se non ho capito male, è proprio il giro che devo fare io! Tentiamo l'avventura. Vernazza 6 km, dice il cartello: mi "lancio", si fa per dire, giù per una stradina che attraversa gli immancabili, bellissimi uliveti. Sembra di vedere un'insenatura, il mare che viene avanti in mezzo alle pareti verdi di bosco, il paese laggiù in fondo ad un imbuto. E' quasi tetro questo posto! Arrivo giù abbastanza in fretta e seguo i cartelli gialli che indicano la deviazione: poche centinaia di metri e mi è subito chiaro con chi, anzi con cosa, ho a che fare! Benedetto San 34x29, questa non è una salita, è roba da free climbing! Mannaggia che rampe pazzesche! Sarà forse che sono un po' cotta, sarà che non me l'aspettavo, ma mi pianto subito, al limite della caduta laterale, prima di riprendere un minimo di controllo e dignità. La strada è nera, ancor più scura perché in mezzo agli alberi fitti; tra una rampa e l'altra, conduce all'abitato di San Bernardino, nome che mi conforta; anche quello, l'ho letto sul mio itinerario.

Con il nastro manubrio martoriato dalle unghie e dai denti, riemergo sulla strada principale, in alto, in costa. E mò, destra o sinistra? Semplice: a sinistra non si può, ci sono i lavori, ergo si va a destra. Non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello che il mio itinerario preveda comunque di andare a sinistra, perché chi l'ha ideato non poteva essere a conoscenza della deviazione. E poi a destra è così bello; si sale ancora un po', poi una lunga picchiata, oltre il paese di Volastra, verso il mare. Avanti ed ancora avanti, sono troppo presa dalla bellezza di questo posto per chiedermi dove diamine sto andando. Così, quando arrivo al cartello "Riomaggiore", prima ancora di mettere il naso in questo gioiellino di paese, mi fermo un attimo ed estraggo la carta. Oh cappero. Sono imprcettibilmente fuori strada... Di un bel po' di km mi sa, almeno quindici. Che faccio adesso? Due conti, rapidi. E' mezzogiorno, più o meno. Ovviamente non ho idea di quanta strada ho fatto fin qua e, quindi, di quanta dovrò farne per tornare indietro. L'itinerario prevedeva, in alcuni tratti, il passaggio lungo una certa strada all'andata ed un'altra strada al ritorno: però, mi sa che non mi conviene più, adesso, andare a caccia delle varianti. Il tempo stringe, io sono un po' cotta; meglio che torni sui miei passi: almeno, la stessa strada che ho fatto per venire fin qui la dovrei ritrovare.

Pedali in spalla, torno su verso Volastra. Non capisco se questa sia una salita ripida sul serio, o se la fatica cominci a farsi sentire; fatto sta che tribolo un po', me ne accorgo dalla pedalata che si fa via via più pesante. Dalle case intorno, profumi di pranzo arrivano a tormentare le mie narici; sembro un cane da caccia con il naso puntato alla preda... Finora ho mangiato solo un paninetto con pezzetti di cioccolato: c'è però da dire che stanotte, alle tre e mezza, ho trangugiato con sommo gusto due etti e fischia di ravioli ricotta e spinaci... Carburante di scorta ne ho!

A Volastra mi infilo un momento nel paese, a caccia di una fontanella: ormai son cinque ore che pedalo senz'acqua... Ma pare proprio che da queste parti non ci sia nulla. Certo, ci sono i bar, ma, da queste parti, forse un salasso è meno doloroso dell'acquisto di una bottiglietta d'acqua minerale. Lasciamo perdere, non ci provo nemmeno.

Scatto ancora qualche foto mentre ripercorro la strada da Volastra al bivio per Vernazza, noiosa, in falsopiano. Curioso come il vento sia del tutto scomparso. Al bivio, copione identico a poco fa: scendo giù a Vernazza, soffrendo quella strada in discesa ben più che in salita, e poi torno su dall'altra parte. Le due rampe cattive iniziali sono solo una minaccia; di qui, l'ascesa è più dolce. Incontro persino un'auto e due motociclisti: inaudito, qui sembra tutto semideserto! Di tanto in tanto, alzo il naso per guardare quanto manca, in verticale, tra me e le case abbarbicate sulla montagna; sono un po' in pensiero per il timore di far tardi, proprio perché non so bene né che ora sia, né quale distanza mi separi dall'auto. A dire la verità, per l'ora, basterebbe che prendessi in mano il cellulare: ma no, preferisco di no, preferisco pedalare tranquilla e quasi "sospesa" in questo stato di incoscienza.

Al bivio, su in cima, incontro, udite udite, ben due ciclisti. E' inaudito che, con queste strade, questa giornata, questo tepore, ci siano in tutto quattro gatti che escono in bici. Se vivessi da queste parti, sarei in sella notte e giorno in questa stagione!

Ancora un po' di falsopiano in salita, mi godo l'ultima parte di questa meravigliosa strada con balconata sul mare delle Cinque Terre, poi mi reimmetto sulla strada che sale da Levanto. Discesa, lunga ed agevole: passo subito accanto ad un santuario, Madonna di Soviore; è uno dei punti che avrei dovuto tenere come riferimento all'andata... Eppure, non so come diamine ho fatto, ma l'ho perso, non l'ho proprio visto. E dire che è grosso!

Discesa rapida su Levanto: anche qui, butto l'occhio alla ricerca di fontanelle, ma non ne vedo nemmeno una che è una! Va bè, pazienza Gian, sopravviverai. Adesso sbrigati a salire, che viene tardi. Però... Sogno o son desta? In un'area di servizio a lato strada, appena iniziata la salita, vedo un distributore automatico di bibite; chissà se funziona? Crepi l'avarizia, ho una sete boia ed un caldo della miseria; posso fare quest'investimento di qualche decina di centesimi di euro, ne va dei miei reni!
La Coca non c'è, mi accontento della Pepsi, che tracanno come se non avessi più bevuto da una settimana a questa parte, tanto che quasi mi ci strozzo. Non che 33 cl siano sufficienti, ma, se non altro, ora va un po' meglio. Proseguo su per la lunga salita, di quelle che mi fanno penare, che non salgono mai ma non lasciano andare avanti. Le ombre si stanno allungando, la luce del sole tende già al giallo; incredibile, quanto la sera inizi presto in questa stagione. Saranno le due, poco più; questa strada scorre piano, troppo piano, sotto le mie ruote. Un po' stanchezza, un po' morale a terra ed inquietudine; chissà se alla macchina arrivo, prima di buio?

Quando la strada inverte la pendenza, ritrovo, dopo un po' di discesa, il tratto in cui questa mattina è stato abbattuto l'albero: bene, significa che sono a buon punto. Ancora un po' di saliscendi, finché, alla buon'ora, vedo una fontanella a destra. Prosciugo le risorse idriche dell'abitato di Castagnola dei prossimi vent'anni e poi riparto, un po' ringalluzzita; almeno un problema è superato!
La strada va poi ad immettersi sulla salita del Passo del Bracco: questa volta, anziché scendere a Piazza e risalire da quella parte lì, che mi porterebbe oltre il passo, verso Sestri, decido di svoltare a destra, tanto per cambiare un po'. E' vero che è tardi, ma non posso essere molto lontana. Per sicurezza, chiedo conferma della direzione ad un gruppo di persone che lavora in un uliveto: ormai ho imparato a non fidarmi di quel che sembra suggerire il mio senso del (dis)orientamento. Ma va bene, stavolta è giusto; devo andare su, svoltare a sinistra e poi ancora a sinistra, "fino alla quota di quei monti lassù!". Mi fa ridere l'espressione dubbiosa e preoccupata del mio interlocutore. Capirai, da qui a lassù saranno duecento metri di dislivello! Dopo il primo dei bivi che mi hanno indicato, la strada diventa un noioso falsopiano. Ormai sono in ombra e sento già qualche brivido; pochi minuti dopo, però, l'inconfondibile sagoma del Passo del Bracco mi scalda il cuore. Smetto di smanettare sul cellulare – approfitto spesso delle salite per scrivere messaggini; è l'unico momento in cui riesco a staccare una mano dal manubrio – e brandisco la fotocamera, per immortalare la strada che passa in mezzo a due blocchi di roccia, che sembra quasi spaccata così ad arte. Anzi, probabilmente lo è. E' in corso, qui, un raduno di motociclisti: molti fermi al passo, molti altri intenti in acrobazie nelle curve, al limite del possibile. Che fenomeni che sono! Vorrei fotografare qualche piega, ma non c'è nulla da fare; sono troppo veloci.

Un po' di falsopiano, poi il paese e la discesa. A pensarci bene, però, una mezz'oretta di luce, intendo, di luce tale da non farmi metter sotto da qualche auto, mi resta. Potrei provare a fare quello che ho pensato stamattina, passando di qua: scendere giù a Moneglia. Infatti, così faccio; imbocco il primo bivio a sinistra, fin giù alle porte del paesello; l'ultima picchiata verso il mare. Poi rapidissimo dietrofront, perché non c'è tempo di dedicarmi al turismo, e via dinuovo verso l'alto, con il conforto degli ultimi fiochi raggi del sole. Ha senso? Non lo so, ma è bellissimo, anche se sto salendo come una forsennata e sto rischiando il soffocamento per fare presto. Anche qui, la pendenza non scherza. Mi sembra che il bivio sia scappato via da dove l'ho imboccato prima! Ma no, è sempre lì, solo che ci mette un po' più tempo ad arrivare in vista. Mi resta solo la discesa su Sestri Levante, breve, ma abbastanza lunga per provare brividi di freddo lungo la schiena. Ormai qui, in mezzo alle piante, è buio; la luce dei fari delle auto comincia ad essere netta. Ma non manca più molto. Una chicca: incrocio un'Ape che sale verso il Bracco; nel cassone, una splendida Bianchi in carbonio ancorata chissà come, con la forcella, ad un supporto montato apposta lì dietro. Non so quanto godesse di quelle vibrazioni evidenti anche a me, povera bici...

Rieccomi a Sestri. Troppa grazia, riesco persino a ritrovare l'auto, ed è quasi un sollievo, questa volta, il ritorno, anche se il giro è stato stupendo. Dovrei aver percorso, mi dirà poi Matteo, circa 160 km e poco più di 3.500 m di dislivello. Carico tutto, parto in direzione di Rapallo, dov'è l'albergo che avevo prenotato qualche giorno fa. Mi attendono una doccia e un pisolino, ma la giornata non è affatto finita. Eh sì, perché qualcuno di mia conoscenza si è sottratto al giro in bici di oggi, per giunta con un'ottima giustificazione... Ma almeno una camminata serale la pretendo!

venerdì 14 novembre 2008

8-9 novembre 2008 - Vagabondaggi autunnali tra Piemonte e Liguria - II giorno

Tra tutti i possibili suoni di una sveglia, la vibrazione del telefonino è uno dei peggiori! Mamma mia che tristezza, iniziare la giornata con un frastuono, ed inseguire il cellulare a tastoni, come se si cercasse di schiacciare una mosca, prima che quello, a furia di vibrare, precipiti per terra. Dovrebbero essere le sei e venti. Vero, ieri sera s'è detto di scender dalla branda alle sei e mezza... Ma io odio essere in ritardo, e so che Matteo alle sette e mezza sarà puntualissimo. Che saranno mai, dieci minuti, di fronte all'eternità?
Il guaio è che nemmeno io ho alcuna voglia di alzarmi; finisco per poltrire ancora un po', facendo però uno sforzo per restare cosciente. Se ripiombo nel sonno, è finita, riemergo a mezzogiorno! Basta, prendiamo una decisione coraggiosa: giù un piede, giù anche l'altro, è fatta. Luca è già più che attivo; Mik riemerge dal letargo dell'orso brontolando sull'ora... E tutti quanti ci tuffiamo sulla Nutella. Troppa grazia: Luca è dotato anche di polvere solubile per fare la cioccolata calda con il latte! Quanti vizi; del resto si sa, la crema della crema del ciclismo mondiale, ma che dico, interplanetario, merita solo il meglio!

Faticosamente ci buttiamo fuori di casa. Non appena spuntiamo lungo l'Aurelia, vediamo una sagoma semovente in lontananza; non può che essere Matteo: chi mai potrebbe essere in bici a quest'ora di una domenica mattina di novembre, se non lui? Beh, a dire la verità, se vivessi da queste parti, a queste temperature, credo che uscirei in giro a qualsiasi ora del giorno e della notte, altro che!
Avevo scommesso che Matteo sarebbe partito in bici nel cuore della notte almeno almeno da Savona... Invece no, il marrano mi fa perdere la posta in palio; è saltato in sella ben più vicino, ad una ventina di km da qui. Vabbè, pazienza, andiamo, che è meglio. Direzione Diano Marina e, da lì, Diano Aretino: già, se solo ci accorgessimo del bivio... Invece no; Mik e Luca si sono già involati; Matteo l'ho arpionato io e non lo mollo finché non avrà finito di raccontarmi le vicende speleologico-fedifraghe della settimana appena trascorsa in Valle Imagna, ad un qualche raduno di gente che va per grotte. Ovviamente l'aspetto professionale della questione mi interessa ben poco; è il resto dell'avventura che mi incuriosisce! Eh sì, perché Matteo tanto gentile e tanto onesto pare, ma sotto sotto è un vero Casanova! Anche se in certi momenti mi dà da pensare... Infatti, non gli risparmierò, più avanti. sarcastiche battutacce quando il poverello osserverà che Mik ha cambiato la sella! Ma insomma, giù le zampe, passi la concorrenza femminile, ma che anche gli occhi maschili vadano a posarsi laddove di solito si posano i miei, è concorrenza sleale!!!

Meno male che ci accorgiamo dello sbaglio, o meglio, si accorgono dello sbaglio, poco oltre Diano. Fosse stato per me, s'arrivava minimo minimo a Mentone. Il bivio per Diano Aretino è saltato; indietro tutta! Con un po' di giravolte nel paese, imbocchiamo la strada giusta: una bella salita, qualche rampa; si vede il mare, i raggi del sole squarciano i nuvoloni che guatavamo stamattina presto dalla finestra di casa. Pochi km ed il mare sparisce; siamo un'altra volta in mezzo ai boschi. Attraversiamo il paese su per una ripida rampa di ciottoli e lastre di pietra che mi impensierisce un po': non sarà mica che le ruote scivolano, qui sopra?
Alla fine della salita, troviamo Luca e Mik in attesa, subito prima di un tratto di saliscendi che attraversa qualche borgata. Bellissime, queste case che spuntano dal nulla, queste piccole botteghe che vendono di tutto, con le insegne che hanno l'aspetto di anni ed anni fa; fan quasi tenerezza rispetto ai colori ed alle linee chiassose dei giorni nostri. E' banale ma è proprio così: sembra che, qui, il tempo si sia fermato.

Non mi sono ancora accorta della fatica: buon segno; speriamo solo che sia merito delle gambe e non solo della compagnia di Matteo, con i suoi racconti. Bella discesa su Pontedassio; risaliamo un po' la strada di fondovalle, dove trovo anche una fontana, e poi imbocchiamo il bivio per il Colle d'Oggia. A quanto pare, però, qui non ci siamo solo noi: ci fa compagnia un esercito di rumorosissime auto da rally che viaggiano in direzione contraria alla nostra. Il frastuono dei motori fa impressione; sembra ogni volta che stia per arrivare un bolide a velocità folle; invece no, l'auto passa a velocità tutto sommato moderata, incollata all'asfalto anche nelle curve più strette. E comunque non sono certo i piloti di rally a farmi paura; credo proprio che sappiano bene quello che fanno. Mi terrorizzano ben di più gli automobilisti della domenica, che della guida in montagna di solito non hanno un concetto ben chiaro! Quelli sì, te li trovi davanti all'improvviso, che allargano o tagliano una curva...

Come se non bastasse il rally, pare che sia anche in corso una battuta di caccia al cinghiale, a detta di alcuni cartelli appesi lungo la strada, con tanto di foto dell'animale: casomai qualcuno non sapesse cos'è un cinghiale... E infatti si sentono gli spari in lontananza, ma nemmeno troppo! Speriamo bene che nessuno ci scambi per un branco di ungulati, anche se credo non si sia mai visto un cinghiale con scritto "Nove Colli Cesenatico" sulle chiappe. Va bè che oggi l'ingegneria genetica fa miracoli.

Sola e soletta, questa volta, procedo per questa bella salita tranquilla, strada abbastanza ampia, il solito asfalto bagnato – qui ha piovuto persino ieri, mentre noi, scorrazzando su e giù per il versante piemontese, l'abbiamo scampata – e le solite foglie viscide per terra. Ho già le ganasce in azione: meno male che di pappatoria oggi ne ho portata tanta!

Trovo i colleghi fermi ad un bivio; prendo la salita a sinistra senza nemmeno pensarci: mi fermano loro, facendomi notare che la strada, quella che sale al Colle d'Oggia, è chiusa per il rally. Ma porca miseriaccia che jella, proprio qui? E adesso dove si va? Poco male, proviamo a tirare dritto per l'altra strada. Ci troviamo subito in una borgata, Ville San Pietro: c'è una cartina, della serie "Voi siete qui", ma non è che se ne capisca poi molto. Ancora una volta, tirem'innanz, che da qualche parte andiamo. I miei colleghi si fermano dubbiosi all'uscita del paese; chiedono lumi ad una signora, che ci segnala che la stradina va a finire a San Bernardo di Conio, dove, tra l'altro, scende anche una delle strade che arriva dal Colle d'Oggia, dove avremmo, credo, dovuto passare stando al piano di viaggio originario.

Gli incauti si avviarono... Ignari! La stradina, di lì a poco, si impenna con rampe inaudite: panico, mi trovo più volte a serio rischio di cadere per terra su un fianco; le pedivelle si piantano in posizione parallela al terreno e non vogliono saperne di andar giù; la ruota anteriore tende a staccarsi pericolosamente da terra... E così una, due, tre volte, finché arrivo a giurare "Alla prossima scendo!!!". Ma non sia mai: a prezzo di immani fatiche – 'azz, qui si sente eccome, il sovraccarico di lardo... - arrivo in vista del paese, che raggiungo dopo l'ennesima impietosa rampa, suscitando un po' di pena in un gruppo di turisti a passeggio. San Bernardo di Conio non avrà mai visto tanta gente tutta assieme: dev'essere la folla degli appassionati del rally!
I miei compagni di merende sono ovviamente freschi e riposati come roselline; son solo io, che arrivo su da quella stradina in uno stato tale che forse nemmeno il mio Skipper mi riconoscerebbe. Mi sforzo di far finta di nulla, anche se ho lasciato un paio di polmoni giù per le rampe; dove si va adesso? Proposta, Pieve di Teco, poi si vedrà. Magari, Colle di Nava e Colle di Caprauna dal lato piemontese, vedremo. Aggiudicato: intanto scendiamo con molta calma. Anche troppa: sono qui che vado a spasso, non pedalo neanche nei tratti in cui la pendenza è proprio debole, eppure nessuno dei tre forsennati mi supera. Li ho tutti alle spalle... Che stiano tramando qualcosa di orribile a mio danno? E' così strano!

Non ho indossato la giacca, ma la discesa è lunga ed io arrivo in fondo brinata. Superiamo Pieve di Teco, ci avviamo verso il Nava, poi ci fermiamo: perché, boh? Come al solito, non ho coscienza alcuna dell'itinerario; pare, però, che abbiamo saltato un'altra volta un bivio. Poco male: è un'ottima occasione per tornare indietro e scovare la fonte del meraviglioso profumo di pane e focaccia che abbiamo captato, tutti, poco prima. Nasi al vento, giriamo le bici e torniamo indietro: manca poco a mezzogiorno, è proprio l'ora giusta per fermarci in panetteria e, nel frattempo, chiedere lumi sulla strada per il Caprauna. Alla fine s'è deciso di salire lì: poi, una volta in cima, si tornerà giù diretti al mare. Almeno, io farò così, onde evitare di rientrare con il buio; se il resto della ciurma vuole scendere in Piemonte ed andare al Nava, prego... Ma non li vedo così convinti, nemmeno loro.

La panetteria è uno spettacolo: una distesa di pizze e focacce di ogni genere; nel retro, poi, si intravede una torre di teglie con altra focaccia. Roba da perdere il senno! Mi contengo, limitandomi ad un pezzetto di pizza rossa.
Ci attardiamo a sbafare il meritato pranzo fuori dal negozio: si vede proprio, che oggi nessuno di noi ha questa smisurata foga di prestazione... Tutt'altro. Per quanto mi riguarda, sento un gran bisogno di qualche giro così, tranquillo, anche se ho già la testa alle imprese del 2009. Non che, di norma, io possa permettermi giri forsennati, però viaggio sempre con l'occhio all'orologio, curando di evitare tutte le perdite di tempo... Un po' di tregua, ogni tanto, fa piacere, e poi in queste giornate d'autunno anche le gambe vanno un po' in letargo. Meno male che c'è la bici, altrimenti dormirei tutto il giorno.

Concluso l'appetitoso pasto, ci rimettiamo in marcia verso il Colle di Caprauna. Trovare la strada giusta non è semplicissimo: dalla statale svoltiamo a sinistra, Vessalico, Ranzo, Borghetto d'Arroscia. La salita arriva sempre troppo tardi, ma è tanto tanto bella, benché il cielo ormai abbia deciso di coprirsi e non assisterci più. Fino ad Aquila d'Arroscia, il fondo stradale è decente; poi, più avanti, ci ritroviamo d'improvviso in un luogo dimenticato da Dio e dall'ANAS: una stradina minuscola, sempre più piccola, enormi crateri con un po' di asfalto intorno, pietre, fango che avanza dal bosco, foglie... Non saprei a dire quanti km percorriamo su questo tratto; fatto sta che è una tensione incredibile; la bici ad ogni metro tende a scivolare, a ribaltarsi in qualche buca; io già non sono un fulmine di guerra in condizioni umane, figuriamoci qui!

Gli unici esseri più o meno umani che incontriamo sono i cacciatori, con i loro fuoristrada. Per il resto, non c'è un'anima, e per forza, chi si avventurerebbe mai su di qua, per di più in bici da corsa? Mi domando come sia possibile non avere ancora squarciato qualche copertone. Inaudito, davvero. L'unico squarcio è quello della merendina di Matteo, un boato tale da farmi temere che qualcuno del gruppo sia stato scambiato per un cinghiale. Verrò poi a sapere più tardi del dramma consumatosi in quel momento, quando alcuni preziosi granelli di zucchero si sono staccati dalla merendina e sono crollati a terra, perduti per sempre: una tragedia di proporzioni immani per il povero Matteo, che ne resterà dolorosamente segnato a vita.

Ormai sono rassegnata a questa salita tipo ciclocross... Quando, all'improvviso, si sbuca su una strada decente, ampia, bella. Oh ma cavoli, non sia mai che non ci complichiamo la vita, eh, noi! E' tardi, ma non ammetto di troncare qui l'ascesa. Svoltiamo a sinistra, verso l'abitato di Caprauna, dove ci fermiamo un attimo alla fontana: fa freddo, ma io sono a secco ed ho sete ugualmente. Ci vorrebbe anche una cioccolata calda... Ma non è il momento di tergiversare! Pochi istanti di pausa in quest'altro bellissimo paese un po' fuori dal mondo, poi su verso il colle. Mancheranno circa 400 m di dislivello: i miei compari si involano e, come sempre, mi mollano lì. Pazienza, non è una novità. Salgo con calma; scatto qualche foto alle nuvole basse, che conferiscono a questo luogo un aspetto insieme lugubre e meravigliosamente suggestivo: grigio il cielo, verde scuro il bosco. Si intuisce lassù, verso sinistra, una sella che potrebbe essere il colle; non sembra più molto distante. Approfitto della quiete per rispondere a qualche messaggio con il cellulare; a poco meno di un km dalla cima, ecco i tre elementi che tornano giù. Faccio per girare indietro anch'io, per evitare di far loro perdere altro tempo, ma Matteo è irremovibile: mi accompagna fin su, rifacendo un pezzo di strada, e Luca con lui. Mik no, Paganini non ripete: piuttosto che tornare indietro un metro, preferisce restare lì immobile ad ibernare! Curioso, il personaggio. Se a fondovalle gli proponessi di aggiungere un'altra salita, non batterebbe ciglio: ma la stessa, no, niente da fare!

In vetta, Luca mi cede l'ultimo pezzo della sua focaccia: che tesoro! Come ha fatto a capire che ho una fame mostruosa e non ho più voglia di merendine?

Questa volta, l'unica in tutta la giornata, la giacca la indosso, eccome. Fa un freddo boia e la discesa è molto lunga, una trentina di km prima di Albenga, secondo me. Km che scorrono veloci, perché Matteo questa volta resta pazientemente a tenermi compagnia. Stavolta tocca a lui ascoltare, mentre io dò sfogo a qualche mia paturnia. Fa dannatamente freddo, ho le mani che tremano nonostante i guanti. E il peggio arriva nella piana di Albenga: tanta, troppa orrenda pianura, tanto traffico e le gambe che, sembra incredibile, si inchiodano di colpo. E' pazzesco; sembra proprio che lo sentano: se la strada si appiattisce, basta, è finita, sciopero. I miei compagni di viaggio ogni tanto si girano, come a dire "Embé?". Embé... Non ce la faccio, punto e basta! L'Aurelia è il mio incubo; manca ancora qualche km, che agonia. Meno male che c'è il mare. Matteo cerca di ripararmi dal vento, ma è inutile, io non so stare a ruota, e poi adesso non ne ho nemmeno la testa; sarei solo pericolosa. Lasciatemi guardare il mare. Passiamo Laigueglia, il Capo Mele che mi dà un po' di requie – è la cosa più simile ad una salita che abbia visto negli ultimi km – e finalmente Andora. Già, finalmente... Con sorpresa!

Imbocchiamo contromano una strada a senso unico, quella che ci porta a casa di Luca: saranno 100 m di via ampia, con un sacco di spazio di parcheggio libero ai lati; pericolo, zero assoluto... E' un attimo, ci si avvicina una solerte vigilessa che ci intima di scendere dalle bici, "altrimenti verbale a tutti e quattro". Superato l'attimo di smarrimento, devo compiere un atto di suprema violenza su me stessa per evitare di esprimere quello che sto pensando: ma avrei un'ottima idea circa il luogo in cui la gentil dama se lo potrebbe collocare, il verbale. Ma dico io, ma proprio non hai niente di meglio da fare nella tua inutile esistenza? Quattro ciclisti in contromano in una strada deserta, eh sì questi sono i drammi dell'umanità... Non sto a riportare, per decenza, la cascata di improperi che le rivolgo nella mente, ma mi stupisco io stessa della vastità del mio vocabolario colorito. Certa gente ha addosso una divisa, capirai, la divisa da vigile urbano poi, e si sente onnipotente. Sarei proprio curiosa di sapere se sarebbe intervenuta con altrettanta solerzia, se al posto dei nostri visi sfatti dalla stanchezza ma tutto sommato innocui avesse incontrato quattro facce da patibolo. Ho una rabbia tale, addosso, che tornerei indietro a riempirle la faccia di ceffoni. Ma che vada al diavolo, lei è là con la sua luna storta ed io sono qui in compagnia di tre baldi fanciulli con cui ho trascorso un'altra stupenda giornata.

Approfitto ancora dell'ospitalità di Luca per una bella doccia ristoratrice: quando esco, trovo tre belve assatanate intorno al tavolo, intente in esperimenti culinari di dubbia opportunità: pane, sugo al pomodoro e formaggio, pane miele e Nutella, altre invenzioni che preferisco non approfondire... Per me, Luca pepara due bellissime fette di pane con la semplice Nutella; ma guarda, quanto sono solerti e premurosi questi gregari!
Ci attardiamo ancora qualche momento, a goderci gli ultimi scampoli di risate. Poi, ahimé, è il momento dei saluti: Matteo torna in bici a recuperare la Mini, affrontando almeno una ventina di km di Aurelia al buio; Luca va verso casa, Mik ed io pure. E, siccome non guido, posso godermi il panorama del cielo rosso sul mare. Mi piacerebbe fermarmi ancora un attimo, solo un momento, in spiaggia, perché la sera sulla sabbia umida è qualcosa di impagabile... Ma non posso chiedere troppo; sarà per un'altra volta. Torniamo ad arrampicarci, questa volta in auto, con un po' di malinconia, e quando scolliniamo verso Garessio è proprio finito tutto. Con la speranza che, presto, ricominci.

Come sempre... Grazie di cuore a tutti!

giovedì 13 novembre 2008

8-9 novembre 2008 - Vagabondaggi autunnali tra Piemonte e Liguria - I giorno

Ci sono quei giorni che, chissà perché, lo sai già da un sacco di tempo prima, che saranno speciali. Quei giorni che attendi per giorni, con ansia, e già sai che andrà tutto bene, che sarà bellissimo, che persino Giove Pluvio sarà senza dubbio alcuno dalla tua parte.
Non mi guardo allo specchio, ma credo di avere un sorrisone a trentadue denti, anzi, a ventinove, quelli che mi rimangono dopo corsi e ricorsi dal dentista; comunque, dicevo, un sorrisone paralizzato lì in bella mostra sulla faccia, fin dall'istante in cui la sveglia trilla. Sono le cinque e mezza; sono a nanna da poco più di quattro ore, perché ieri sera ovviamente ero di corsa come al solito ed ho tirato tardi tra pulizie e preparazione del bagaglio, o meglio, lancio casuale di capi di vestiario nel sacco da portar via. Schizzo giù, mangiucchio qualcosa ma non molto, tracanno l'intera caffettiera, mi precipito a raccattare i vari pezzi della bici... Ed accatasto tutto davanti al portoncino: compresa la scatola di viveri per la sera. Già, forse è anche questa, una delle cose che mi mette più allegria: stasera niente pizzeria, niente cena fuori, si va a casa di Luca e ci si fa pappa lì da lui! E' assurdo, a ben pensarci: a casa mia, per me, cucino solo se proprio non ne posso fare a meno, e il massimo della mia cucina è una pasta o un minestrone di legumi la cui preparazione consiste nel buttare tutto in acqua e sale e far bollire. Eppure, l'idea di mettermi lì a far la pasta stasera, in compagnia, mi mette addosso un bellissimo senso di allegria. C'è tutto, nella mia scatola: pasta, sugo, olio, sale, pane, Nutella... Tutto, o quasi: me ne accorgerò solo quando sarà troppo tardi, che manca il caffè!

Per la gioia dei miei vicini di casa, visto che sono le sei e mezza, in extremis per le scale mi metto a gonfiar le ruote della bici: proprio in quel momento, ecco il potente rombo di motore della Y di Mik, puntualissimo, anche troppo! Tutto lascia presagire che questo fine settimana sarà eccezionale: persino la proposta di presentarsi qui alle sei e mezza, avanzata in tutta spontaneità proprio da lui... Io mi ero già preparata a combattere con ogni mezzo lecito ed illecito per ottenere di partire presto, e zac, sono stata presa in contropiede! Un vero shock!

Carichiamo tutto, con mia gran meraviglia: ho sempre poca fiducia nella capacità di trasporto di quella macchinina, eppure... Via subito, subitissimo, nella nebbia, direzione autostrada. L'appuntamento è alle sette e un quarto a Ceva: il cartellone luminoso all'ingresso dell'autostrada lancia un terroristico allarme nebbia e scarsa visibilità, ma come al solito esagera. Un po' di nebbia, sì, la troviamo... Ma poi, d'improvviso, sulla destra, spunta la vetta di un meraviglioso Monviso imbiancato fino giù giù, contro un limpidissimo cielo che si fa pian piano più chiaro. Che spettacolo... Dopo una settimana di pioggia incessante, in cui si vedeva solo nuvole e nebbia, mi ero dimenticata che così vicino a me ci fossero le montagne. E' Mik a farmi notare l'effetto della prima neve, il risalto della linea netta di demarcazione della quota neve appunto. E' uno spettacolo bellissimo: ma sì, è inutile che mi stupisca, è solo l'inizio, il degno inizio, di una meravigliosa avventura!

Oggi saremo in quattro: a Ceva troveremo Luca e Gianpaolo, alias GPC del forum di Bicidacorsa. Sono curiosa... Gianpaolo ha fama di essere un ciclista con i controcavoli, soprattutto in salita; vediamo un po' che personaggio è! Io quei tipi lì me li immagino sempre tiratissimi e gasatissimi, e dire che i più forti che conosco sono in realtà persone molto semplici ed alla mano. Gianpaolo infatti non fa eccezione: è già lì sul piazzale, in largo anticipo, lui che fra tutti è quello che ha fatto più strada per unirsi al giro. Pantaloni da bici, scarpe belle da festa, mi ispira un sorriso non appena lo vedo! E la bici... Una meraviglia: un cimelio, direi, e spero che il proprietario non si offenda; lo dico in senso buono, mi è piaciuta davvero tanto! Anzi, gongolo ogni volta che vedo qualcosa del genere: dimostrazione del fatto che non è l'abito che fa il monaco... E che quelli che "vanno forte" davvero non hanno bisogno della bici ipertecnologica iperleggera ipermoderna ipervattelapesca, anzi, agli "iper" di solito fanno mangiare la polvere! Che ci posso fare, a me piace tantissimo l'immagine del ciclismo epico e del ciclista dall'aspetto un po' "antico" che poi, con la sua aria sorniona, rifila solenni batoste a tutti.

Questa pare proprio voler essere la prima vera mattina d'inverno. Il freddo è pungente; i termometri segnano temperature di poco sopra lo zero e la terra luccica al sole, segno inequivocabile di brina. Lassù, oltre il tetto dell'ospedale, le cime delle montagne sono già incendiate dai primi raggi, che giocano anche con i vetri gialli di una cappella proprio qui di fronte al piazzale. Sembra che dentro la cupola qualcuno abbia acceso un enorme falò.
Batto i denti, indosso tutto quel che ho, e così Mik: anche lui è un freddoloso cronico! Di lì a poco, ecco la Opel grigia di Luca, che oggi, a quanto pare, ha rinunciato ad una performance con le PowerCranks, optando per la bellissima Bianchi e le pedivelle normali. Siamo tutti più o meno pronti; i rigori dell'inverno hanno raffreddato un po' i nostri entusiasmi, ma bando ai tentennamenti... Tra frizzi e lazzi, si parte!

Ovvio che le possibilità in partenza sono due, girare a destra o girare a sinistra, ed io imbrocco subito quella sbagliata. Si va verso Battifollo, ma, con mio immenso sollievo, non via fondovalle da Ceva a Bagnasco. Luca, fido tour operator nonché ormai esperto conoscitore delle mie fobie, ha studiato per oggi un giro che riduce la pianura al minimissimo indispensabile e ci porta quasi subito verso la salita. E, come sempre, alla minima pendenza, i miei compari si involano.

Bella: strada larga, ancora poco traffico a quest'ora mattutina; ci siamo proprio solo noi, in mezzo agli alberi dalle foglie gialle e marroni che scendono pigre e cullate da qualche soffio di vento. Non posso che tirare fuori la macchina fotografica!
Mi accorgo ben presto che c'è qualcosa che non va: ok, ho portato la ruota da 26 anziché quella da 29, quindi dovrò fare un po' di fatica in più sulle salite ripide; questa però non è affatto una salita ripida, nulla di tremendo, e la fatica che sto facendo qui è troppa, decisamente. Sento le gambe rigide, non riesco a spingere come vorrei; quasi ci fosse il freno chiuso a bloccare la ruota. Cominciamo bene... E' vero che, nelle ultime tre settimane, non ho toccato la bici... Ma sono stata tutt'altro che ferma! Boh, speriamo che sia solo l'effetto della prima salita, speriamo che sia solo il freddo. Bando alla tristezza, si sta alzando il sole, limpido, splendido; i raggi violenti, bassi come d'inverno che si riflettono sull'asfalto lucido. Pazienza se s'avrà da faticare un po' di più: mi spiace solo per i miei colleghi di viaggio, già costretti ad interminabili attese quando io sono al meglio della mia condizione; figuriamoci così... Mi distraggo ascoltando i rumori della mia bici che, una volta tanto, rumori proprio non ne fa: l'ho ritirata dal meccanico proprio ieri; è bella pulita e sistemata come non mai! Anche se mi viene da pensare, vista la faticaccia nera che sto facendo, che quel buontempone di Michél, il meccanico, mi abbia sostituito la ruota libera da 26 con una da 21...

Tengo la giacca GoreTex per tutta la prima salita; non mi viene per nulla voglia di levarla, né tantomeno di cercare un posto ove riempire la borraccia. Troppo freddo, per adesso.
Verso la vetta, il panorama si apre sull'immagine di una torre diroccata, quasi lugubre, alta e slanciata, nera per effetto della luce violenta del sole, che svetta contro il blu del cielo. I miei colleghi sono lì in paese, mi aspettano; insieme ripartiamo giù in discesa, verso Bagnasco. Scendo con estrema cautela: la strada è ancora tutta in ombra e dà l'idea di essere molto, molto scivolosa. La temperatura, beh, non oso pensare quale sia... Ma, nonostante la giacca ed i guanti invernali, arrivo giù brinata. Colpa anche del fatto che non ho portato il paraorecchie: il guaio è che l'ho perso in casa, e si sa che ogni cosa che si perde in casa mia viene inglobata e scompare nel nulla eterno... Ergo, devo ricordarmi di comprarne un altro, prima o poi.
Il contrasto tra i tratti di strada illuminati e quelli in ombra è violentissimo in questa stagione, soprattutto oggi, prima giornata serena dopo giorni e giorni di pioggia. L'aria è ancor più limpida e fredda. Arrivo giù a Bagnasco mezza ibernata: c'è un po' di pianura adesso; tutto sommato, non va nemmeno male... Così mi scaldo un po', soprattutto le dita!
Speriamo solo di resistere. Luca si mette davanti, la solita locomotiva, e a me già vengono i sudori freddi, questa volta non per colpa del clima. Quando si comincia così, di solito per me finisce a mazzate... Infatti, tempo trenta secondi e mi ritrovo con il cuore in gola, a pestare come una forsennata su pedali che non ne vogliono sapere di andare giù. Ci devo almeno provare, a stargli a ruota! Anche se poi, come sempre, di stare davvero a ruota non sono capace e finisco, regolarmente, con il mettermi con la ruota anteriore a fianco di quella posteriore di Luca: che significa, prendere comunque un sacco d'aria di fronte. Per fortuna, a quanto pare, oggi i miei compagni han deciso di avere pietà: Luca non mi stacca – potrebbe farlo come e quando vuole – e gli altri due non superano. Si accontentano, insomma. Meno male, perché a me quelle due o tre blande risalite lungo il fondovalle fanno schizzare il cuore in mezzo alle orecchie, tanto che a Priola, qualche km dopo, arrivo con il mal di testa. Sulla destra un cartello, "Viola": fantastico, fine della tortura; si torna in salita. Imbocchiamo una stradina minuscola le cui intenzioni sono chiarissime fin da subito: rampe, rampe ed ancora rampe, su un tappeto di foglie secche, ricci di castagne, asfalto rovinato, quando c'è. Stavolta la giacca la tolgo eccome, approfittando del tratto in piano sull'esterno del primo tornante. Luca e Mik partono all'impazzata; GPC li insegue poco dopo... Ed io resto qui con la mia fatica. Faticaccia nera, adesso più che mai me ne rendo conto. Non è solo nelle gambe, è anche nelle braccia che sembrano quasi molli, senza la forza per aggrapparsi al manubrio ed aiutare la spinta dei garretti. Mi prende un po' di sconforto, anche perché non capisco bene cosa stia succedendo. Il cuore batte in modo strano: certo, è solo una mia sensazione, non può essere altrimenti, ma mi sembra che abbia un ritmo del tutto irregolare, sconclusionato. Del resto, è dallo scorso sabato che ho questa sensazione, correndo a piedi: di male al petto, battito come "rallentato", fiato che viene a mancare. Forse è solo un momento di stanchezza: però, ho davvero paura di non farcela, oggi! Non riesco nemmeno ad impugnare il manubrio come vorrei...

Le rampe si susseguono una dopo l'altra; non capisco se sia la strada che davvero pende tanto, oppure la mia fiacca che rende le pendenze più severe. Mi distraggo con qualche foto, badando bene a non perdere l'equilibrio facendo lo slalom tra le buche che, man mano che si sale, sembrano sempre più grosse e profonde. Cavoli, ma dove l'ha scovata, Luca, questa stradina? E' bellissima, incredibilmente suggestiva nella sua solitudine di foglie, umido, bosco e castagne. Se mi perdessi qui, non mi troverebbero più: e potrebbe non essere affatto una prospettiva spiacevole! Scatto qualche foto, nell'illusione di poter poi rivivere la stessa sensazione che provo ora: ma la foto non rende mai fino in fondo la vera idea di come sia qui. Sono talmente presa, un po' dalla preoccupazione per il mio stato, un po' dalla bellezza dell'itinerario, che quasi mi dimentico che su in cima c'è gente che mi aspetta. Vorrei andare anche solo un po' meno lentamente, ma proprio non ce la faccio. Mi costa fatica persino prendere la roba dalle tasche sulla schiena: sono un rottame! Però stavolta taccio, per decenza: non è mica possibile che ogni volta che vado in giro in compagnia salti fuori qualche guaio... Stavolta no, niente scuse, soffro in silenzio, in qualche modo ce la farò.

Al Colle San Giacomo trovo, come sempre, il trio delle meraviglie in attesa. Non mi fermo, scendo giù; nemmeno il tempo di commentare il curiosissimo parcheggio di un furgone, messo lì in retromarcia su per un sentiero ripidissimo... Ed ecco che la ruota posteriore, nel tornante, scivola, sbanda un po', mi fa prendere un bello spaghetto. Meglio scendere con cautela: la strada è bagnata; foglie secche e fanghiglia fanno il resto. Certo che, in fondo, chi mi suggerisce di montare copertoncini più larghi, almeno in questa stagione, non ha mica torto!

La temperatura non accenna a salire. Finché si va su, tutto bene, ma le discese restano un calvario. Per le mani, per i piedi, per tutto!
Il passaggio a San Grée è l'unico momento triste della giornata: cemento e vetri rotti, gli ultimi resti di una stazione sciistica ormai in disuso. Che strazio... Questi edifici già erano, senza dubbio, immondi obbrobri quand'erano nuovi; adesso, peggio che mai. Ma ce li lasciamo alle spalle in fretta, per scendere a Pamparato, dove, per la prima volta della giornata, riempo anch'io la borraccia. Niente sali né integratori di altro genere: c'è già dentro una rigogliosa coltura di muffa dalle proprietà beneficissime, ne sono certa!

Dalla fontana ripartiamo in direzione della Colla di Casotto. Come al solito, viaggiando in compagnia, non ho ben coscienza del luogo in cui mi trovo; questa salita l'ho già percorsa almeno iun paio di volte, ma non me la ricordo più. L'inizio è promettente: una bella rampetta, un cartello che indica l'obbligo delle catene da neve in un certo periodo dell'anno. Poi, però, l'amara sorpresa; la strada si appiattisce, diventa qualcosa che sembra un lungo, lunghissimo, interminabile falsopiano, senza un tornante che sia uno, nemmeno a pagarlo! Si viaggia in mezzo a boschi e qualche casolare isolato, qualche cane disturbato dall'intrusione; non ne vedrà tanti, di esseri umani, da queste parti.
Qualche nuvolone va a chiudere la valle, dando quasi l'impressione di voler buttare giù uno scroscio d'acqua: non appena il sole si nasconde, brividi! Io arranco senza speranza: sto facendo una fatica inaudita, non vado proprio avanti, su una pendenza a dir poco ridicola. Cerco di intuire dove possa andare a scollinare la strada: non è mia abitudine, desiderare con ansia la fine di una salita, ma sono proprio cotta cottissima; la fiacca non mi dà tregua, unita poi al nervoso che ribolle dentro. Mi alzo sui pedali, ma anche lì è una gran fatica, perché ci vorrebbe forza nelle braccia; invece non c'è nemmeno lì, anche le braccia sono vuote, peggio che andar di notte. E chissà quanta strada c'è ancora da fare, fino alla cima, fino a stasera. Mollare, accorciare il percorso? No, questo mai. Finché riesco, faccio finta di niente, poi si vedrà.

Finalmente la Colla arriva. Mik, Luca e GPC sono immancabilmente lì: mi dispiace soprattutto per Mik che già ha una bella tosse... Tutte queste attese al freddo in cima ai colli, dove tira la corrente, saranno di certo un toccasana! Tiro dritto, giù verso il fondovalle, non prima di aver debitamente espresso a Luca la mia opinione poco lusinghiera circa la scelta infelice di questa infelice salita. Come se fosse colpa sua!
La discesa su Garessio, cinque o sei km, è anch'essa gelida. Sarà quasi mezzogiorno: pausa di riflessione a Garessio, dove GPC fa scorta di viveri presso un negozietto di alimentari. Il povero Mik, in preda alla tosse, si lamenta: "Mi avrete sulla coscienza...". Ovviamente non viene preso sul serio, anzi: io lo consolo, "Ti immolerai per una nobile causa"; Luca, però, pensando alla prossima destinazione del nostro giro, è il più feroce... "Ti faranno un monumento... Sul Colle Quazzo: ecco, un monumento al ciclista del Quazzo!". Altro che la statua di Pantani sul Fauniera! Manca poco che mi stenda a terra dalle risate...

Sotto un cielo sempre più grigio e nuvoloso, ci riavviamo verso il centro del paese. A dire il vero, prima del Quazzo ci sarebbe da fare un'altra salita; peccato che non ne troviamo l'imbocco. Poco male. Passiamo la ferrovia: ah ma questa volta non mi faccio più fregare; visto che i binari non sono perfettamente perpendicolari rispetto alla strada... Io sgancio i pedali e li oltrepasso a piedi! La chiappa destra fa ancora troppo male, segno che il ricordo è ancora ben vivo nella memoria. Così Mik può subito vendicarsi; stavolta è lui, a sghignazzare!

La salita del Quazzo in realtà è una bellissima salita; attacca con qualche rampa dura, poi si attenua; passa, anche qui, in mezzo ai boschi, dove oggi circoliamo solo noi ed i cacciatori. Davvero: caso strano, oggi non abbiamo ancora incontrato nessun ciclista, ma proprio nessuno. Un po' la cosa ci lusinga: nessuno osa altrettanto! In questa stagione, tutti a fare i criceti nella ruota, su e giù per l'Aurelia o per gli stradoni di fondovalle... Un po' di freddo, di nebbia, di grigiore autunnale abbattono qualsiasi volontà. Ma noi no, non ci fermiamo davanti a nulla! A meno che non si tratti di un TIR, allora lì può anche darsi...

La fatica è sempre tanta; questa volta, però, se non altro, la salita è gradita. Qualche tornante, qualche rampa in più, e si comincia passando accanto ad un bel santuario. Spero solo di resistere ancora; mi preoccupa non tanto la stanchezza delle gambe, che bene o male riesco a far girare, ma questo senso di vuoto in tutti i muscoli. Ed ho una fame boia, continuo a mangiare come un inceneritore!
Cielo scuro, nuvole che sembrano fumo e corrono veloci, rubando quel poco di conforto che possono dare i raggi del sole di novembre, intorno solo silenzio, solo qualche latrato di cani in lontananza.
Foto in cima al Colle Quazzo, in acrobazia come sempre per riporre la macchina fotografica prima che la strada cominci a scendere. Poi giù verso Calizzano: in paese, supero il gruppetto fermo alla fontana e mi infilo in una stradina minuscola tra le case, per poi sbucare in direzione di Caragna e del Colle dei Giovetti. Solo che non si va lì. Novità: Luca ha preparato, anche qui, una sorpresa. Si lascia la strada principale per imboccare una stradina minuscola verso sinistra, direzione Vetria. Capperi, sono secoli che pedalo da queste parti, ma la stradina di Vetria m'è sempre sfuggita. Anche qui, altro posto da lupi; inutile negare che sono un po' preoccupata: le forze sono proprio al lumicino e non so cosa mi riservi questa salita. Devo mettere pazienza, salire con calma, dosare le forze. Mi stupisco io stessa: mi ritrovo a pensare che ormai siamo nel primo pomeriggio; ci saranno ancora un paio d'ore di luce a disposizione, quindi per forza la gita di oggi sta per volgere al termine. E la cosa insolita, per me, è concludere il pensiero con un sospiro di sollievo: "Meno male". Niente da fare, oggi non va, ho voglia e, credo, davvero bisogno di qualche ora di tregua. Sarà che quest'anno, ancor più che negli anni passati, ho fatto vera indigestione di uscite in bici lunghissime, di giorni passati sui pedali con in mezzo poche ore di sonno, di allegra tensione, ma pur sempre tensione, in vista delle granfondo, delle randonnée, delle varie follie: fatto sta che, adesso, mi ritrovo ad avere una gran voglia di bici, ma un po' più tranquilla. Il fatto che le giornate siano brevi, in questo momento, non è per niente un danno. Ho voglia di arrivare a Ceva, caricare la bici, godermi il San Bernardino ed il viaggio verso Andora senza nemmeno il pensiero di dover guidare... Sono viziata, lo so! Che sia la stanchezza fisica che si traduce in una richiesta di pausa?

Così elucubrando, arrivo in cima alla salita. La discesa che segue è davvero critica: strada stretta, fondo umido completamente ricoperto delle immancabili foglie secche, dei ricci, di fango e pietrisco. Sembra di scendere con le ruote sul sapone. Di lì a poco, incontriamo, a breve distanza l'uno dall'altro, gli unici due ciclisti di tutta la giornata: una signora che sale in mountain bike ed un giovane che ci supera in discesa, ben più stabile e sicuro sulle ruote spesse e rumorose: in mountain bike anche lui.
La discesa, stupenda, porta dritti a Priola. L'ultimo tornante mi regala un'emozione forte: scendo sull'esterno, curva a sinistra, ed incrocio una Panda che ha, caricati sul tettuccio, due tronchi lunghissimi, che sporgono in modo spropositato sia davanti che dietro rispetto all'auto; per un pelo non mi trovo uno di quei tronchi direttamente in mezzo alla fronte! Ma si può? Questo è un pazzo furioso!

Ritrovo i compagni di merende al bivio con la statale di fondovalle. Ne percorriamo un tratto, verso Bagnasco: per fortuna, questa volta, la pendenza è leggermente a favore. Oggi in pianura, quel poco di pianura che questo giro prevede, ho sofferto meno del solito: ahimé, ho imparato a riconoscere questo come un pessimo sintomo, ormai. Di solito, se mi sento un po' meglio in pianura, fatico ben più della norma in salita, sempre. Chissà perché. In ogni caso, non amo il piattume e sono ben contenta di arrivare a Bagnasco. Ultima salita a Battifollo: ripercorriamo a ritroso il tratto iniziale dell'itinerario. Ormai si tratta solo più di stringere i denti. Sono KO, non c'è proprio niente da fare, mi sento più vuota e cotta che mai. Qui la pendenza è davvero ridicola, eppure questi pedali sono pesanti come macigni. Ritrovo però la bellissima immagine della torre di Battifollo, ora illuminata dai raggi bassi del sole che scende. Arrivo in cima con vero sollievo: bene o male, anche oggi ho portato a casa la pagnotta. Manca un buon tratto di discesa; la temperatura, che nelle ore centrali della giornata ha concesso una parentesi quasi mite, sta scendendo in fretta, soprattutto nei tratti in ombra. Piombiamo, si fa per dire, su Ceva; meno male che Luca mi aspetta all'incrocio, perché io mi son già persa la strada per tornare alle auto! Che bello, però... Mi coccolano sempre un sacco, questi compagni d'avventura! Essere la schiappa della compagnia ha anche i suoi vantaggi: qualcuno, di tanto in tanto, prova pietà per te!

Arrivati alle auto, con 140 km e 3.500 m di dislivello circa nei garretti, caricate le bici, ci congediamo da Gianpaolo, che domani non sarà dei nostri, e prendiamo la via del mare: lui verso Levante; Luca, Mik ed io verso Ponente. Si parte; il calduccio dell'auto già colpisce a tradimento, confonde un po' i pensieri ed ispira voglia di nanna. Ma non è il momento di dormire; è il momento di aprire bene gli occhioni e godersi un meraviglioso tramonto dai tornanti del San Bernardino, il cielo che si fa sempre più scuro e si confonde con i contorni delle cime tonde e del bosco, di indovinare le lucine di qualche borgata, il fumo caldo e buono di qualche camino sperduto nella vallata, e pazienza se le curve e controcurve sono poco gradite al pancino. E' stupenda, questa strada; peccato solo che sia piuttosto trafficata, per salirci in bici.

Zuccarello: fine delle curve, fine dell'ambiente duro e selvaggio dell'entroterra; in un attimo siamo nel caos della costa. Mi sa che ho qualche momento di defaillance: mi risveglio di colpo e mi rendo conto d'essermi persa un paio di paesi lungo l'Aurelia... Siamo a Laigueglia, altro luogo di memorie granfondistiche; come dimenticarmele, quelle partenze assassine che ho sperimentato, mio malgrado, gli scorsi febbraio e maggio nelle gare di inizio stagione? Mai più... Siamo sull'Aurelia, troppa gente, troppo caos, troppi semafori. Meno male che c'è il Capo Mele, meno male che si vede il mare.
Ad Andora, Luca ci fa strada verso casa sua: l'agognata doccia, poi mi cimento nella nobile ed antica arte della bollitura dell'acqua per la pasta, con immediato cazziatone da parte di Luca che mi fa giustamente notare: "Il sale va messo alla fine!". Giusto, ne farò tesoro per la prossima volta, intanto butto giù una scatola intera di pasta. Ceniamo a pasta col sugo e torta di mele e chiacchiere: credo di essermi goduta pochi momenti belli così. Semplici, leggeri, bellissimi. E poi due passi lungo il mare, perché c'è forse una sola circostanza in cui amo vedere il mare, ed è la sera, nella stagione fredda, che qui non è fredda per niente. Anche se, pure qui, non posso fare a meno di voltarmi verso la montagna, indovinare le strade che vanno su seguendo i fari delle auto, immaginare dove ci arrampicheremo domani.
Prima di rientrare, doverosa una visita alle vetrine del negozio Shimano che ho notato mentre si arrivava in auto: ci sono alcune Colnago il cui prezzo è stato censurato a tutela delle persone deboli di cuore, ci sono componenti, capi di abbigliamento, un piccolo paradiso; c'è il Campagnolo 11 velocità, che chissà poi a che cavolo serve, se penso che io già ne leverei tre o quattro dal mio pacco pignoni. E infine, per conciliare la nanna, il DVD della Oetztaler Radmarathon 2008, che Luca, attrezzatissimo, ci mostra sul PC portatile: immagini che mi lasciano a bocca aperta, posti belli da togliere il fiato, anche se ci ho già pedalato tante e tante volte. E poi la corsa dei primi, quella che, da "dentro" la GF, io non potrei mai e poi mai vedere: un altro pianeta.

Vado a nanna rinfrancata, fiduciosa che domani sarà meglio, in bici naturalmente, perché, per il resto, meglio non potrebbe essere. Penso che Luca e Mik sono una splendida compagnia, che domani ci sarà anche Matteo a completare il quadro perfetto. Non so cosa ne pensino loro, ma la mia sensazione è che, nonostante le abissali differenze di prestazioni ciclistiche, si sia creato un bel gruppo, il mio gruppo ideale, persone con una passione smisurata come la mia e la libertà di viverla senza orari, senza vincoli e senza timore di non farcela. Chissà se e quanto durerà tutto questo; io spero, con tutto il cuore, a lungo, perché ora son qui con il naso sotto le coperte ed è come se avessi dimenticato tutto il resto, casa, lavoro, tutto. Beninteso, non c'è nulla della mia vita ordinaria che mi dia alcun motivo di lamentarmi, per carità: ma qui è speciale, qui si sta bene, qui è tutto tranquillo e sereno. Per me, un bellissimo rifugio.

Ora di nanna, adesso. Mik ha ceduto il controllo della sveglia: ahilui, se ne pentirà!

domenica 2 novembre 2008

Un sogno per il 2009

"...pernottamento fino a domenica in tende o tendoni allestiti di materassi e tappeti. Vitto fino a domenica presso tendone mensa con ricco buffet ad orario continuato".
Mi ci vuole qualche secondo a riemergere dalle nebbie dell'inserto de Il Sole 24 Ore in cui mi sono immersa. Ma cosa diamine sta dicendo? Io l'ho già sentita, questa storia...

Alzo la testa con aria interrogativa. Mia mamma è qui a casa mia oggi pomeriggio; rifugio tranquillo per stare in compagnia, soprattutto del mio Skipper, e leggere in santa pace. Con mio grande stupore, la vedo immersa nella lettura di uno tra i mille volantini sparsi sul tavolone della cucina, quelli che raccatto nei pacchi gara delle varie corse a piedi ed in bici e prima o poi raccolgo con la pala e butto via: ma guarda... Non è andata a pescare proprio quello?

Mi sembra di tornare indietro di cinque anni. Anche allora, una sera di fine giugno o inizio luglio, non ricordo, ma era la sera precedente la Maratona delle Dolomiti, a La Villa, galeotto fu un volantino. Quello della XXAlps che avrei poi corso l'anno dopo: una delle più belle esperienze ciclistiche che abbia mai vissuto. E pure stavolta c'è di mezzo un volantino, quello che mia mamma sta passando ai raggi X in questo momento: che sia un buon auspicio? E' già qualche giorno che gira nell'aria 'sta storia del Marocco; io poi non ce la faccio a tenermele per me, le notizie; sarei una pessima spia: lascio troppe tracce! Non ci mette molto, lei, a collegare le due cose. Solo stamattina le ho chiesto se per andare in Marocco, che lei sapesse, ci voglia qualche vaccinazione particolare... E già lì ha mangiato la foglia!

"Ore 16.00, briefing. Ore 4.00, appello concorrenti. Ore 4.30, partenza".

Ormai s'è abituata anche lei. Segue le mie peripezie; conosce le consuetudini ed i ritmi di ogni manifestazione, a piedi o in bici che sia, più o meno come le conosco io. Continua a leggere, con tono inquisitorio, poi attacca con le domande:

"Uhm... Devi fare attenzione ai cibi, all'acqua. Come stiamo ad assistenza medica? E a 4.000 m... Sei sicura che ce la fai?".

Bon, è cosa fatta... D'ora in poi, a pendere dalle labbra, o meglio dalle pagine Internet, del sito web del Toubkal Trail 2009, saremo in due, da queste parti. La tranquillizzo, "Ci devo ancora pensare, non sono sicura, devo ancora chiarire un bel po' di cose"... Ma, strano davvero, non mi pare che la mia ultima pensata la preoccupi particolarmente. Tanto meglio, son già io che mi preoccupo. E pensare che, fino ad una settimana fa, vivevo nella mia beata ignoranza. Poi Matteo, probabilmente senza pensarci, la butta lì: "Dev'essere bello quel trail in Marocco... Con passaggi a 4.000 m!!!". Sul momento, la mia risposta è quasi automatica; "Bleah, in Marocco, neanche se mi pagano". Non immagino ancora che probabilmente a pagare, per andarci, sarò proprio io. Infatti, lì per lì, butto la conversazione nel dimenticatoio. E ci resta due o tre giorni. Poi, un mattino, scavando nel mucchio di carte sul tavolo in cucina – beato disordine, non si perde mai nulla così! - mi capita in mano il pieghevole: "Toubkal Trail". Errore fatale, lo apro... 125 km, 9000 m. Fatto, colpita al cuore. Son panata.

E mo' son qui che ci penso, mancano undici mesi e quattro giorni, c'è tempo, ma tanto il chiodo è piantato. I dubbi sono tantissimi: il costo, non proprio irrisorio; la sicurezza da quelle parti; la possibilità di andar via per qualche giorno quando le vacanze ufficiali son finite da un po'. Le mie possibilità di farcela? No, di quello non mi preoccupo. Se avessi mai dovuto decidere un'avventura in base alle mie possibilità di successo, avrei passato i miei ventisette anni e più sdraiata sul divano. Per fortuna, mi manca il senso della misura! Ed anche l'autocritica! Diciamo che, se ci sarà qualche possibilità di provare, senza troppo rischio né troppa spesa... Non mi tirerò indietro! Per adesso, lavoro di fantasia; se continuo così, per il 2009 accumulerò più progetti di quanti siano i giorni disponibili per realizzarli!

Per gli interessati...

http://www.toubkaltrail.com