domenica 22 dicembre 2013

21 dicembre 2013 - UN COMPAGNO INATTESO

Un abbaio insistente e perentorio risveglia il neurone intorpidito dal sonno arretrato e dall'umidità appiccicosa della nebbia. Corro da un'oretta, le gambe ancora ingessate nonostante i saliscendi; lungo la schiena, brividi. Ho appena attraversato la minuscola valletta tra la chiesetta di frazione San Bernardo e la località Lazzarino, entrambe in territorio di Monteu Roero: breve ma ripidissima discesa, altrettanto breve e ripidissima salita; in fondo, un gelido tuffo nella nebbia, che solo un centinaio di metri più in alto si è già diradata. Tutt'intorno, le prime colline del Roero, congelate in uno scatto in bianco e nero, i due soli colori di cui tocca accontentarsi in queste malinconicissime giornate invernali.

Intravedo a malapena la fonte dell'imperiosa emissione sonora: la sagoma di un cagnotto, a circa un centinaio di metri da me. Scuro, snello, qualcosa che somiglia ad un pastore tedesco. L'abbaio è potente, ma la coda sventola in segno di buona intenzione. Mi fermo, mi chino, allargo le braccia: "Ciao piccolo... Vieni qui!". Il cagnotto, ancora lontano, resta per un secondo immobile, la coda dritta: solo un istante, poi parte a razzo verso di me. Poche falcate e mi trovo le sue zampone addosso: mi ci vuole un bello sforzo per evitare di ruzzolare per terra. La gioia del piccolo, piccolo per modo di dire, è incontenibile: lo copro di coccole e lui, orecchie basse, quasi mi striscia intorno. Poi si lancia, di corsa, nella direzione in cui stavo andando io. Mi rialzo, scuoto via il fango delle sue zampe, riparto anch'io. Raggiungo il bivio: il percorso che avevo pensato per oggi prevede di svoltare a destra, in direzione di San Grato e poi, più avanti, Monteu Roero. Il peloso mi segue, anzi, mi precede. "Poco male", penso. "Arriverà alla fine del suo territorio e tornerà a casa". Ma, un chilometro più avanti, il lupone è ancora con me. I casi sono due: o questo personaggio è un latifondista, ha un concetto molto ampio di territorio... Oppure ha deciso che gli sono simpatica. Ma a me sale l'ansia. Qui, per adesso, siamo lungo una stradina che è proprio solo di servizio tra le cascine; passerà un'auto ogni morte di Papa. Ma tra poco c'è l'incrocio con una strada già un po' più battuta... Troppo pericoloso per il lupone!

Il bellissimo peloso, incurante delle mie preoccupazioni, mi corre davanti, con ampie variazioni sul tema in mezzo alla boscaglia ed ai noccioleti. C'è una gioia incontenibile nel suo modo di correre e saltare. Sembra distratto da tutto, ma mi tiene d'occhio. Infatti, quando giungiamo a ridosso dell'incrocio, mi fermo e gli faccio un fischio: dietrofront, torno indietro. Una massa di pelo scuro mi sfreccia accanto e torna a precedermi, cento metri avanti. E va bene... Mettiamola così: adesso ci facciamo un bel giretto tra i boschi... Però poi torni a casetta tua, ok?

Detto, fatto. Imbocchiamo la stradina sterrata che va verso la località Caratto dei Boschi: l'ultima neve si scioglie e lascia uno strato di fango scivolosissimo. Confido nel potere delle suole delle La Sportiva. Il lupone non ha problemi: con le sue quattro zampe motrici, la forza e l'entusiasmo di un cagnotto giovane e ben nutrito, saetta come una lepre da destra a sinistra. Di tanto in tanto sparisce tra le frasche; un gran crepitio ed eccolo che spunta da un'altra parte. Ho un po' di timore, questa è zona di caccia... Ma finora non ho ancora sentito spari.

Un pallido sole cerca spazio tra la foschia, ma il freddo continua ad essere pungente. Sulla neve restano le orme delle mie scarpe e delle zampe del lupone, che ha una falcata, ad onor del vero, un po' sconclusionata. Arriviamo alle poche case di località Caratto: da qui, imbocchiamo una deviazione che scende giù, nel fondo della valletta laterale, e lì muore in mezzo ai campi coltivati. Qui siamo sul versante in ombra della collina; la neve resiste e mi costringe ad una corsa più impacciata. Il lupo non ha problemi... Pianta il naso nella coltre bianca, segue chissà quale pista.Di tanto in tanto si ferma, come folgorato: immobile, in una curiosissima posizione con una delle zampe posteriori che rimane sospesa in aria; il naso al vento. Per terra, orme di lepri e tracce di cinghiali, rami spezzati. I colori cupi fanno contrasto con i sottilissimi fili verdi che spuntano nel campo coltivato; nella mia ignoranza, presumo sia grano.

Vieni lupo, si torna su! Accanto alle case, ripercorriamo la strada sterrata. Ancora una deviazione, un'altra discesa verso il fondo della valletta: ombra e freddo pungente, cosa non si fa per accumulare un po' di dislivello. Il cagnone asseconda ogni mio cambio di direzione: ha deciso di concedermi l'onore di essere il suo capobranco, per oggi. Quando mi fermo per un, ehm, pit stop, addentrandomi un poco tra gli alberi, lui si volta e non mi vede più: è un attimo, naso a terra, me lo ritrovo accanto, è il caso di dirlo, nel momento del bisogno. Approfitto della pausa per accarezzargli il testone e guardare quegli occhioni scuri dolcissimi, prima che questo cavallino riprenda la sua corsa. Ripassiamo davanti alla cascina da cui il piccolo è uscito: spero che, a questo punto, sia soddisfatto della corsa e se ne torni a casa... Macché: siamo dinuovo sull'asfalto, sulla stessa strada già percorsa prima; io proseguo e lui... Per un attimo, lo vedo puntare in direzione di casa. Allungo il passo: vuoi vedere che ha deciso di tornare alla cuccia? Macché. Qualche minuto e sento alle spalle un galoppo forsennato. Il peloso mi sorpassa, si ferma, si volta, mi guarda come per dire "Hai visto, sei contenta? Sono tornato!". Piccolo mio, ascoltami, io ti adoro; fosse per me, ti porterei a casa subito... Ma tu hai una casa, sei un bel cagnotto curato e gioioso; fammi questo favore, torna da dove sei venuto... Ho troppa paura di vederti correre così sulla strada! E' vero, qui non passa quasi mai nessuno, ma basta anche un solo veicolo per rischiare troppo...

Dinuovo, all'incrocio con la strada per San Grato, torno indietro. Il lupotto immediatamente si adegua al dietrofront. Ha energie da vendere, schizza dentro e fuori dalle sterpaglie; ha il pelo ricoperto di foglie secche e rami... Intanto, la temperatura sembra farsi un po' meno rigida.

Questa volta, direi che è il caso di riconsegnare il lupo al legittimo proprietario. Mi avvicino al cortile della cascina: due uomini, presumo papà e figlio, sono al lavoro in un'aiuola. "Chiedo scusa... E' vostro questo cane?". Sorridono: "Ti ha seguita?". Eh sì, parecchio... Provano a richiamarlo: "Pluto, ven si, Pluto!". Ma Pluto – adesso so come si chiama! - se ne guarda bene, dall'avvicinarsi. Quasi sorride, beffardo. "A lui piace correre", mi dicono. Già, me ne sono accorta! Va bene, cedo... "Gli faccio ancora fare una corsa fino al Caratto, poi ve lo riporto". Alè, altro giro, altra corsa: strada sterrata, la stessa di prima; la neve si è sciolta un po' di più; c'è un po' più fango. Sento in lontananza un paio di colpi di fucile: quei maledetti... Li sente anche Pluto, che si ferma pensieroso. Poi riprende a correre, ma senza più allontanarsi molto da me. Ho il cuore in gola, non certo per la fatica della corsa: Pluto, ti prego, non infilarti più nel bosco... Quei dannati, che venga loro un accidente, sparano a qualsiasi accenno di movimento; non potrei mai perdonarmelo, se qualcuno ti facesse del male!

Questa volta, al Caratto, attraversiamo la frazione e proseguiamo per un tratto lungo la stradina che torna asfaltata, intavolando un paio di accese discussioni con i cani a guardia dei giardini. Poi torniamo, per l'ennesima volta, sui nostri passi. Non so se sia intimorito dai colpi di fucile o se sia semplicemente un po' stanco, ma Pluto non si allontana più molto da me. Quando raggiungiamo i paraggi della cascina, il suo padrone è già fuori e lo chiama. Pluto sembra, questa volta, volersi rassegnare: saluto, proseguo la mia corsa. Ma non faccio in tempo a tirare un sospiro di sollievo, che... L'inconfondibile galoppo alle mie spalle. Eccolo dinuovo... E il padrone che continua a chiamarlo, inutilmente. OK Pluto, ho capito, dai. Ti accompagno a casa. Mi fermo: il lupone si avvicina; gli accarezzo la schiena, lo prendo per il collare. E' riluttante; quasi si nasconde dietro le mie gambe... Mi si spezza il cuore. Il padrone quasi si scusa: "Lui ama correre, ma sa che adesso lo devo chiudere nel recinto...". Beh, quel che è certo, dalle quattro parole che scambio con lui, e dal modo delicato in cui lo vedo afferrare il collare, è che quest'uomo ha molta cura per il suo cagnotto. Se solo avessi avuto mezzo dubbio, me lo sarei già portato via, questo lupetto... "Di notte lo faccio dormire in garage, perché fuori fa freddo. Al mattino però lo libero, perché un cane sempre chiuso soffre...". E' senz'altro vero, anche se io, dal mio punto di vista di mamma iperprotettiva, fatico moltissimo ad accettare che un cane sia libero di girare solo per la campagna. Anche se c'è poco traffico, anche se è una zona tranquilla. Ai miei bestioni non permetto di muovere nemmeno mezzo passo senza guinzaglio, e già così ho comunque l'angoscia che possa accadere loro qualcosa... Un'ultima carezza: "Vai a casa, Pluto. Prometto che torno per portarti a correre un'altra volta, adesso che so dove abiti". Ma la mia coscienza rimorde: ci siamo fatti due ore di buona compagnia, ma lui vorrebbe stare ancora con me...

Riparto di corsa in direzione di San Grato. Andrò ancora fino a Monteu, poi dietrofront: occhio e croce, tenendo conto delle varie deviazioni dedicate a Pluto, questa mattina dovrei racimolare più o meno 35 km. Poi mi tocca rientrare, perché a casa le tre bocche canine sono in attesa della pappa.



domenica 13 ottobre 2013

5 ottobre 2012 - PUNT DEL DIAU ULTRATRAIL

A pochi giorni dal via della gara, risultano in elenco, occhio e croce, trentacinque iscritti. Chissà perché, mi domando. Forse perché a questa manifestazione non è stato dato alcun risalto pubblicitario, forse perché ad ottobre sono pochi i corridori che hanno voglia di cimentarsi su settanta km di corsa ed oltre tremila metri di dislivello. Un'occhiata ai dati dell'anno scorso rivela più o meno lo stesso numero di iscritti, ma una quindicina scarsa di persone giunte al traguardo.
Ammetto di essere un po' preoccupata. Percorso molto selettivo? Maltempo che ha scoraggiato i partecipanti? Mah. Anche Matteo non è così fiducioso...

A Lanzo, alle cinque e mezza, siamo quattro gatti bardati da corsa, sulla piazza centrale del paese. La distribuzione dei pacchi gara dovrebbe aver luogo qui nei paraggi... Ma per ora non ce n'è traccia. Fa freddo, ma non troppo: il cielo è nuvoloso; per oggi si prevede acqua a catinelle. E di certo il mio umore non ha tratto beneficio da questa informazione. Una decina di minuti e, nel buio, si materializza uno dei componenti dell'organizzazione: il piccolo drappello di corridori lo segue in un edificio proprio accanto alla piazza. Siamo pochi intimi: ciascuno ritira il proprio pettorale di gara; poi, ci si riunisce in una saletta per il riepilogo delle informazioni essenziali sulla gara.

Il road book che ci è stato consegnato è molto minuzioso, ma chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la montagna sa che, al limite, per orientarsi servono bussola e cartina, se non un GPS... A patto, ovviamente, di conoscere la propria destinazione. Spero vivamente che, come in tutti i trail degni di questo nome, il tracciato di gara sia segnalato, ma non mi sento affatto tranquilla in proposito. La sensazione è che ci sia una buona dose di approssimazione dietro a tutto ciò...

La partenza è sulla piazza, accanto all'ala in pietra. Il tempo di alcune foto e poi via, lo sparo. Saremo, alla fine, meno di trenta persone, occhio e croce. Partono tutti come saette dietro ai due ciclisti in MTB che ci guideranno nel tratto in città, fino all'attacco del primo sentiero. Manco fosse la partenza di una gara di cento metri piani... Sputo l'anima per non restare distaccata; qui, di segnaletica, nemmeno l'ombra. Devo mantenere almeno il contatto visivo con chi mi precede.

Buio pesto e qualcuno è senza pila frontale: vero che il regolamento specificava che sarebbe stato bene portarla se si fosse previsto di arrivare al traguardo all'imbrunire... Ma non ci vuole un fisico nucleare per capire che, se si parte alle sei e mezza ad ottobre, per giunta con le nuvole, non ci si vede un tubo! Corro a perifiato, prima tra le case di Lanzo, poi in un parco lungo il fiume, poi ancora un ponte. Quando mi trovo a pestare il primo sentiero, comincio a realizzare il dramma.

Dietro di me ci sono altri tre corridori. Io sono in testa, con la pila frontale ed il fascio luminoso che si infrange senza misericordia contro la nebbia fitta e torna indietro. Bosco e prato; il sentiero è una traccia nell'erba, appena accennata. Primo errore sull'itinerario, sia pure di pochi metri, richiamati dalla voce del volontario di guardia. Comincia un pellegrinaggio che ha il sapore di un'odissea... Siamo in quattro, in fila, e chi c'è in testa a battere la traccia? Proprio io, che già in condizioni meteo eccellenti sono cieca come una talpa... Tra la nebbia e gli occhiali bagnati, ogni tre passi son ferma a cercare di capire dove passi il sentiero. Chiamarlo "sentiero", poi, è un complimento del tutto immeritato. Spesso si riduce davvero ad una vaga idea.

All'inizio, individuiamo qualche freccia segnavia blu. Ma dico io... Chi è il genio che ha avuto l'idea di usare il blu? Come può venirti in mente, con la partenza notturna ed il rischio di pioggia, di scegliere per i segnavia il colore blu? Non si vede un accidente! Poi più nulla, solo le tacche di vernice bianche e rosse. Ma i sentieri CAI sono segnati tutti con tacche bianche e rosse, che io sappia. Quindi, in sostanza, potremmo essere su un sentiero qualunque. In effetti, a furia di addentrarci nel bosco, di passaggi malagevoli, di rami in faccia, di fango, giungiamo tutti alla conclusione di essere completamente fuori strada. Qualcuno ha la sensazione di udire delle voci, ma forse sono solo versi di animali... O gli echi degli ululati di Belzebù. Un barlume di luce filtra e ci permette di spegnere le frontali: nebbia, foglie umide e pietre scivolosissime. Un affascinante quadretto autunnale, non fosse che non abbiamo idea di dove ci troviamo. Boh, una traccia di sentiero c'è... Andiamo a vedere dove finisce; alla peggio, ci saremo fatti una gita.

Uomini e donne di poca fede: all'improvviso, la selva oscura ci rigurgita su una strada asfaltata. Miracolo, riappaiono le frecce azzurre! Anzi, qui ce n'è talmente tante, dappertutto, che se non fai attenzione te ne ritrovi una conficcata in luogo indicibile... Diligentemente seguiamo le istruzioni: ripidissima salita verso sinistra. I miei colleghi camminano svelti, tanto che io non riesco a star loro dietro pur corricchiando. Raggiungiamo un abitato; da lì, altro tratto di sentiero, passando accanto ad un obbrobrio architettonico che pare essere un centro benessere o qualcosa del genere. Una SPA per me rimane una Società Per Azioni, ma a quanto pare sono retrograda.

Graditissimo il conforto del primo punto di ristoro: crostata, the caldissimo e qualche lamentela sulla tracciatura del percorso. I tre colleghi prendono il volo, approfittando del mio momento di debolezza: sto combattendo contro i torcetti di cui mi son riempita le mani al ristoro. Il passaggio sul ponte in legno scivolosissimo e la successiva discesa su sentiero lastricato di pietre liscie ed umide fanno il resto: non c'è verso di trovare un appoggio stabile... Cammino come se fossi sulle uova. Nemmeno le efficientissime La Sportiva Raptor, in questo caso, bastano a far presa. Comincia qui la mia lunga galoppata solitaria, sognando la salita e masticando invece infiniti saliscendi nel bosco fitto. Complice anche la giornata nebbiosa, qui di panorama si vede ben poco. Funghi, gocce che piombano in testa e sugli occhiali dalle foglie, la nebbia che sfuma i contorni dei tronchi lisci dei faggi. La salita "vera" arriva molto più avanti ed è davvero impegnativa, grazie anche al fango, che fa sì che si faccia un passo avanti e due indietro. Capita ogni tanto di doversi fermare a controllare la direzione: qui i segnali latitano dinuovo. Ormai so che mi devo aspettare poco aiuto dalle indicazioni dell'organizzazione; quindi, non mi preoccupo se per diverse centinaia di metri non vedo nulla che mi faccia capire che sono sulla strada giusta.

D'un tratto, il bosco intorno a me sparisce: spunto in una radura; una figura umana si muove: "Sta arrivando uno degli ultimi tre!", annuncia a gran voce. "Grazie per l'incoraggiamento", sibilo. Ancora un po' di salita e mi ritrovo sotto la tettoia di un rifugio, ad un punto di ristoro. Qui dovremmo essere a circa 1.600 m di quota e dovremmo andare a 2.000: tuttavia, mi annuncia il responsabile del ristoro, si è deciso di deviarci lungo una strada più o meno in piano, perché "su al lago si son persi tutti", commenta sconsolato. Tra me e me, non fatico a crederlo: se le indicazioni lungo il percorso sono dello stesso tenore di quelle che ho trovato io finora, con questa nebbia campa cavallo! Pare che la vernice usata per tracciare la retta via dieci giorni fa sia stata lavata via dalla pioggia caduta in abbondanza in settimana: ma... Possibile che nessuno abbia controllato ieri o ieri l'altro? E, se qualcuno invece ha controllato, possibile che si sia deciso di mandare su gli atleti lo stesso, con le previsioni meteo che annunciavano per oggi tregenda? I miei sospetti circa il numero esiguo di iscritti si concretizzano...

Al volo, il responsabile del ristoro mi spiega dove devo andare, mentre accarezzo uno dei cani del rifugio. Seguire la strada... In effetti, c'è una bella strada sterrata, molto comoda, in leggera salita. Qui non c'è proprio nemmeno un barlume di indicazione; per quel che ho capito, però, il tracciato di gara originale dovrebbe andare a passare su un colle più avanti, a cui anche questa strada dovrebbe arrivare. Quindi, ai bivi, decido di tener la destra e continuare a salire. In un tratto pianeggiante, mi metto a correre: la decisione non piace ai tre maremmani a guardia di una mandria, nel pascolo alla mia destra ma ben più in alto di me. I tre cagnoni si lanciano ventre a terra verso di me, incuranti dei richiami dei pastori: li vedo venir giù dal pendio erboso come una valanga... Mi immobilizzo: i tre arrivano al limitare della strada, inchiodano interdetti, mi si avvicinano con circospezione. Mi annusano le mani abbandonate lungo i fianchi; riesco persino ad azzardare una carezza. Soddisfatti, tornano sui loro passi... Ed io sui miei. Di lì a poco, un bivio, un altro chilometro di leggera salita ed il colle. Presumo, almeno, che sia questo il colle che devo raggiungere.

Un gruppo di volontarie di guardia resta interdetto: "Hai tagliato il percorso? Gli altri sono arrivati tutti di là", mi fanno. Ehi, un momento, che taglio e taglio... Me l'ha detto il responsabile al rifugio, di passar di qua! OK, aggiudicato... Via di corsa in discesa. Di qui è tutto un susseguirsi di tratti nel bosco e passaggi in borgate e paesini: ancora una volta, una caccia al tesoro. Ormai abituata alla solitudine, quasi mi preoccupo quando sento delle voci alle mie spalle: una coppia di corridori mi sorpassa in discesa. Ma, meno di un'ora più tardi, li vedo nuovamente alle mie spalle: "Abbiamo sbagliato strada...". E chissà come mai.

Approfitto di una delle tante, brevi risalite per controllare il telefonino. Un messaggio di Matteo mi annuncia che la sua gara è già conclusa: era quarto in compagnia di Franco Collè, il terzo classificato al Tor des Geants 2013... Ma si sono persi nella nebbia e, dopo lunghissima peregrinazione, sono tornati al ristoro del km 20, dove hanno dovuto ritirarsi perché già al di fuori del cancello orario in quel punto. Tutto ciò mi sembra davvero fantozziano... Matteo annuncia che tornerà all'auto a piedi, tanto per aggiungere una ventina di km ai quaranta già percorsi. A questo punto, a me non resta che sperare di trovare il traguardo, prima o poi!

Raggiungo un altro punto di ristoro nei pressi di una chiesetta: occhio e croce, dovrebbero mancare circa 25 km... Me lo confermano i volontari. Via ancora, sempre nel bosco, interminabili saliscendi con strappi talvolta anche severi. La nebbia s'è diradata; addirittura sembra comparire qualche sprazzo di cielo. Nei rari tratti in cui la vegetazione si dirada, finalmente si può ammirare un po' di panorama nei colori dell'autunno.

Arrivo, senza saperlo, al ristoro prima dell'ultima salita. Sono convinta di essere ultima, ma non è così: dietro di me ci sono ancora alcuni dei malcapitati, magari anche forti, che però hanno sbagliato strada... L'ultima salita è una strada sterrata, troppo ripida per correre e troppo poco per procedere di passo con una velocità soddisfacente. Per la verità, nel primo tratto di salita io seguo il sentiero attraverso il bosco: ripidissimo, ostico, spaccagambe... Ma le tacche bianche e rosse sono qui! Mi tocca pure attraversare, vicino ad alcuni ruderi di baite, la ragnatela di proprietà di un bestio orrendo e grosso... Glielo faccio presente, al bestio; quello, giustamente, replica: "Ma ti sei guardata allo specchio?". Poi sbuco nuovamente sulla sterrata e cammino, cammino, cammino... In preda ad una profondissima fiacca esistenziale ed al freddo che torna a farsi pungente, insieme alla nebbia, afferro un Mars. Non tanto per l'energia che ne posso ricavare, quanto per il conforto psicologico che deriva da simili maialate alimentari. Invio una caterva di improperi all'indirizzo di chi ha piazzato nel percorso questo tratto... Finalmente, si scollina in un romantico panorama di antenne. Purtroppo, la discesa, se possibile, è anche più odiosa. Un disastro di pietre scivolose, una discesa rognosa che più non si può: sarà la stanchezza, saranno i mille dubbi circa il tracciato, ma sto perdendo la pazienza... Man mano che perdo quota, la nebbia si dirada, ma la luce del giorno si sta ormai affievolendo. Mi assale la paura: e se il buio mi sorprendesse qui? Tra la foschia, gli occhiali bagnati e gli occhi inutili, mi troverei in un bel guaio... Cerco di accelerare, ma più ci provo e più mi inciampo. Occhio Gian, non puoi proprio permetterti di sinistrarti le gambe. Non finisce più questa discesa...

Finalmente, un essere umano, che annuncia il mio arrivo cantando a squarciagola. Ancora qualche centinaio di metri ed incontro l'ultimo banchetto del ristoro: ancora dieci km ed una salita, durissima ma molto corta... Uhm. Lo sapevo che non sarebbe mancata la carognata finale. Sono pronta a scommettere che la salita non sarà l'unica e non sarà nemmeno così breve. Via di corsa: strada sterrata, deviazione, sentiero, deviazione... Su, in verticale. Non c'è che dire, ripida è ripida... Mi arrampico con le unghie e con i denti in mezzo alla vegetazione. Ho il sospetto che questo passaggio sia stato creato per noi, per puro sadismo. Un bel salto di dislivello, per arrivare su una strada sterrata e da qui, di corsa, fino ad un paese. All'uscita dall'abitato, un dubbio: le frecce bianche per terra sembrano indicare una svolta a destra... Per mia fortuna, alle mie spalle arriva un altro concorrente, spuntato dal nulla. Un capannello di madame sulla strada ci indica di proseguire lungo la via maestra. Il collega di sventura è parecchio arrabbiato: era nel gruppo di testa ed è stato uno dei tanti che, a quota duemila nei paraggi di un lago, ha sbagliato strada e macinato un'infinità di km nella direzione farlocca... Ammirevole, da parte sua, la scelta di continuare comunque con le sue gambe fino al traguardo. D'altro canto, a me non può che far piacere l'improvvisa ed inattesa comparsa di un simile gnoccolone, biondo, capelli lunghi, occhi azzurrissimi, alto e con un bel fisicone robusto. Evidentemente il malcapitato riesce a percepire, in qualche modo, il tenore dei miei pensieri... Perché, di lì a poco, evidentemente terrorizzato, mette il turbo e se ne va di corsa. Io, su falsopiano in salita, non posso che lasciarlo andar via. Scoprirò poi, leggendo varie testimonianze su Internet, che dietro di me sono ancora arrivate al traguardo sei persone: tra loro, gente che di norma mi dà ore di distacco... A condizione di capire dove passa la corsa!

Un tratto di strada asfaltata è preludio all'ultimo sforzo: il passaggio sul suggestivo Punt del Diau, a Lanzo, ma soprattutto la salita successiva per rientrare in paese. Aspra e poco gradita alle mie gambe ormai stufe. Ora sì, sta calando il buio; per fortuna ormai è fatta o quasi... Il "quasi" è d'obbligo, visto il giro tortuoso che mi tocca ancora seguire per giungere al traguardo. Quando sei stanco ed infreddolito, bastano pochi metri a far saltare i nervi. L'abitato, una piazzetta, una via stretta... Finalmente: ecco l'ala da cui siamo partiti. Un tavolino, un computer e due volontari: stavolta è davvero finita. Il tempo di ritirare il diploma, bere una birra che sognavo da troppo tempo, saltare in auto, andar via. Anzi, no. Si avvicina al finestrino il bel biondo: urca, che voglia chiedermi un passaggio? Che si sia perdutamente innamorato di me e voglia pregarmi di non andar via? Niente di tutto ciò: semplicemente, ha ritirato il pacco gara, uno scatolone gonfio di ogni leccornia, e mi raccomanda di andare a prendere il mio. Io non ci pensavo neanche più, al pacco gara... Spengo il motore, torno al locale del ristoro finale, ritiro il mio scatolone. Questa volta, davvero, via verso casa: poco più di sessanta km, circa tremila metri di dislivello, dodici ore e mezza, un supplizio! E domani si parte per correrne altri 51 in Lomellina, questa volta piatti o quasi. Coraggio, a casa, a nanna!




giovedì 3 ottobre 2013

15 settembre 2013 - VALLE MAIRA SKYMARATHON

All'alba delle sei, qui a Canosio, tutto tace. L'unico rumore è il ticchettio della pioggia sui vetri del parabrezza: potrebbe anche essere un contorno romantico, se non fosse che tra un'ora mi toccherà partire di corsa... E il ticchettio della pioggia me lo ritroverò sulla capoccia. Tra l'altro, manca un'ora al via e qui intorno tutto tace: il parcheggio è pieno, non c'è più spazio neanche per un francobollo, ma che fine han fatto tutti? Al bar, davanti al caffè fumante, ci siamo solo GP, la barista ed io. Fuori, buio, freddo pungente ed un silenzio irreale.

Mistero presto risolto: basta trovare il coraggio di uscire dal calduccio del locale riscaldato a stufa ed avviarsi verso l'altro edificio, quello destinato a dormitorio e colazione, che io manco avevo notato. Sarà che è più buio di quanto dovrebbe... In cielo non si vede neanche un'idea di stella.
Fioche luci si muovono per il prato. Il viavai dalle brande alle tavolate della colazione: peccato che io abbia già provveduto alle libagioni a casa... A veder quelle invitanti pagnotte, mi verrebbe voglia di fare il bis.

Tra i tanti visi noti, faccio finalmente la conoscenza reale di due personaggi incontrati finora solo a distanza, grazie all'ormai onnipresente Facebook. Paula e Marco... Entrambi corridori, ma lei oggi in versione di assistente preoccupata, reduce com'è da una caduta in gara qualche giorno fa. Quattro risate per stemperare la tensione: per me, oggi, alla paura della gara si aggiunge il terrore del meteo. Vero, sono "solo" 45 km o giù di lì, con "solo" 2.500 m di dislivello... Ma la pioggia ed il freddo possono renderli eterni.

Son già bell'e pronta, ma attendo i preparativi degli altri corridori rannicchiata in auto. Mi sono ostinata ad indossare il micropantaloncino, la solita vanità, ma qui si schiatta di freddo: gambe scoperte sì, ma almeno quattro strati a proteggere il tronco. E, imbecille come sempre, ho dimenticato la bandana. Avrò in premio orecchie congelate ed un solenne mal di testa. Amen.
Qualche decina di metri più avanti, sotto l'arco della partenza, si affollano già i corridori. La voce dell'altoparlante risuona già da qualche minuto. A malincuore, scollo il mio ingombrante posteriore dal sedile dell'auto e mi butto fuori: s'ha proprio da fare.. Qualche goccia di pioggia, ancor più odiosa di uno scroscio: mi tiene lì, in sospeso, pioverà, non pioverà... Per ora, preferisco indossare la giacca impermeabile. Sempre meglio bagnata di sudore, che almeno è caldo, piuttosto che fradicia di pioggia e con la pelle esposta al vento! Non posso neanche guardare quelli che partono in canottiera...

GP mi lancia il solito gesto di incoraggiamento: quanto invidio la sua imperturbabile flemma... Per me, ogni partenza è un'angoscia. Una volta partiti, poi, via, si va... Ma quegli attimi che precedono lo sparo d'inizio sono un'agonia! Finalmente, anche oggi, si corre, ma senza che il sole abbia voluto darci nemmeno il minimo cenno della sua presenza.

Sembra il via di una gara di 100m in pista... Schizzano tutti come biglie del flipper. Il mio destino, invece, è quello dell'ultima ruota del carro... In ogni caso, faccio del mio meglio per correre tutto il corribile, almeno finché siamo sull'asfalto. La pianura, poca, ed anche la salita. Per fortuna, il tratto di asfalto è lungo, anche se a tratti ripido: per me, è l'ideale. Adoro correre sull'asfalto. In capo a pochi km, le posizioni diventano più o meno stabili: "noi delle retrovie" ci ritroviamo, più o meno lo stesso gruppo di persone per un bel po'. Chi accelera nei tratti di falsopiano e poi cammina in salita, chi è più costante, chi trova il fiato per chiacchierare e chi procede in silenziosa meditazione. So che rischio, ad ostinarmi a correre anche i tratti ripidi – o meglio, a fare il gesto della corsa, che poi sulla velocità di progressione ha influenza minima e in compenso disintegra le gambe: mi ritroverò i polpacci duri come i chiodi... Ma in fondo, ogni tanto, bisogna osare. Se non altro, mi scaldo e posso riporre la giacca impermeabile nello zainetto.

Attraversiamo alcune borgate, una più bella dell'altra, alternando tratti di asfalto a tratti di sentiero talvolta anche ripido, prima di approdare su una bella e lunga strada sterrata, un leggero saliscendi che mi fa venir voglia di percorrerlo in mountain bike. Ce la metto tutta, ma sempre con un occhio alla prudenza: conoscendomi, so che qui per me, su terreno davvero comodo, paradossalmente è facilissimo inciampare. Intorno non c'è più bosco né costruzioni, solo il pendio e la vista sui pascoli. Le gambe procedono bene, agili: me ne stupisco... Speriamo che duri; speriamo, soprattutto, che Giove Pluvio abbia deciso di concedere una tregua duratura.

Quando meno me l'aspetto, una bella discesa, in buona parte su asfalto, mi catapulta giù a fondovalle, a superare un ponticello, per riprendere poi la salita dall'altro lato della valle, lungo una strada ripida che presto diventa sterrata. Molto bella, però, anche qui, percorribile in bici. Ci provo, a correre ancora, ma stavolta è davvero troppo. Sarebbe un inutile massacro. Mi rassegno al passo svelto, ma non è svelto a sufficienza: mi sembra che tutti, ma proprio tutti, vadano su senza peso, mentre io mi sento arrancare e soffro, come se le gambe avessero deciso di irrigidirsi, e per giunta troppo in fretta. Il morale precipita a livello dei talloni. Dai Gian, non mollare così... Fino ad ora sei andata bene, hai fatto un buon tempo. Calma e sangue freddo, qui puoi solo camminare. Se c'è chi corre, beh, buon per lui...

Brevi tratti di sentiero, alternati alla strada, mi portano proprio sul piazzale dell'Agriturismo La Meja. Qui non c'è più un albero a pagarlo, siamo in alto ormai; il cielo è livido e soffia un vento gelido. Le orecchie, come previsto, sono talmente ibernate che potrebbero staccarsi da un attimo all'altro... La testa, investita dalle raffiche fredde, batte come un tamburo. Insomma, tutto procede per il meglio. Un po' di corsa e un po' a passo svelto, mi sforzo di far la voce allegra scambiando due parole con una collega di gara. Se non altro, finalmente compare la Rocca La Meja...

I chilometri di strada sterrata sono davvero tanti. Più che un trail, questa è una gara da maratoneti... Non che io me ne lamenti, anzi, la trovo comodissima! Solo, mi rammarico di non avere le gambe per correre... Qui sì, ci sarebbe da correre ogni metro. Se uno non fosse in perenne lotta con la forza di gravità. Troppo lardo da portare su... Riserve per l'inverno!
Il morale, però, stenta a risollevarsi. Va di pari passo con la stanchezza delle gambe, del tutto ingiustificata dopo pochi km. Quanti ne avremo alle spalle? Quindici o giù di lì... Ancora strada, quattro anime che camminano in pochi metri, silenziose e quasi ignare le une delle altre. Il vento rinforza, gelido. La pioggia, per ora, non si fa vedere... Incrocio le dita. Grigio, freddo, sassi. Di corsa attraverso un prato, poi un'idea di sentiero, quasi una traccia che si perde tra le zolle smosse e l'erba. Ce la metto tutta, ma la testa non va... Preoccupazione, paura. Di cosa? Chissà...

Il Rifugio Gardetta compare all'improvviso, dietro una collinetta. Non immaginavo di trovarmelo già di fronte, anche se, poco fa, una volontaria dell'assistenza l'aveva annunciato. Una bella tenda a cupola ospita il primo punto di ristoro: non mi par vero... The caldo, sali a volontà, un po' di frutta secca. Ho una gran fame, dovrei sforzarmi ma non riesco a mangiare. Ma basta questo a farmi riprendere un po' di coraggio. Ce ne vuole tanto, per ributtarmi fuori dalla tenda. Di buon passo lungo l'acciottolato che poi diventa sentiero e sale su al Colle della Gardetta: chissà poi dove ci fanno andare... Passo svelto, più che posso, due chiacchiere con tutti e il colle arriva in fretta... Ma non si svalica? No: si prosegue in falsopiano, fino ad una casermetta, per poi scendere lungo un sentiero sconnesso e ripido. Si torna a passare a pochi metri dal Rifugio: un anello, ecco cosa abbiamo descritto. Giù di corsa, a rincorrere le bandierine ben disposte lungo un tracciato altrimenti incomprensibile, in mezzo all'erba. E sembra quasi che le nuvole vogliano provare ad aprire un varco... Ce la metto tutta per correre, qui e soprattutto sulla strada sterrata a cui si approda di lì a poco. Questa, finalmente, è una strada nota: ci sono già stata più volte, sia a piedi che in MTB. Un lunghissimo nastro di terra bianca, ghiaia e a volte anche pietroni, almeno una decina di km, fino a raggiungere il bellissimo punto di osservazione su Rocca la Meja. Da lì si distacca il sentiero per il Colle del Mulo.

Mi ostino a voler correre tutto il possibile, anche quando l'economia del gesto non lo suggerirebbe. Di tanto in tanto, un'occhiata alla Rocca, che "di lato" sembra un enorme punteruolo e di fronte un'imponente pala. Si vedrebbe anche il Monviso, se solo la giornata fosse un po' meno tetra e nuvolosa. Ma, a furia di contemplare l'infinito e non guardare dove appoggio i piedi, in un nanosecondo mi ritrovo spalmata a terra. Un attimo di oblio e poi un dolore fortissimo: in una sola caduta, sono riuscita a sinistrarmi entrambi i gomiti ed entrambe le ginocchia, per tacere delle mani. Al ginocchio destro, soprattutto, un dolore lancinante... Impiego parecchi minuti a ricacciare indietro le lacrime, vincere il male e rimettermi in piedi; parecchi altri minuti a riprendere un'andatura decente e non zoppicante... Una colata di sangue va giù lungo il polpaccio, ma quello non mi preoccupa, è solo una sbucciatura. Mi preoccupa invece, e molto, il rischio di aver danneggiato il ginocchio. Le mie fide ginocchia che hanno sopportato, fino ad oggi, i più turpi maltrattamenti... Non possono sopportare anche questo!

Il dolore da acuto diventa presenza costante ma più sopportabile. Si fa sentire ad ogni passo, mi ricorda che c'è, ma mi permette di correre. E, di già che conosco bene questa strada, meglio che presti attenzione ai pietroni sporgenti, spesso di taglio, insidiosissimi. Riprendo a correre, ma con molta prudenza. Ora che forse sono un po' più vicina al sogno di diventare istruttrice di spinning, non posso rischiare le ginocchia! Cautela, attenzione a dove metto i piedi. Ad uno dei volontari, appostati in una curva, che mi chiede se io sia caduta, alla vista del mio ginocchio pesto, rispondo " Nulla, solo un graffio"... Fa molto donna d'acciaio la striscia di sangue colato sul polpaccio.

L'altopiano è meraviglioso, peccato non potersi guardare intorno. Il cielo offre persino qualche minuscolo sprazzo di azzurro. O forse è colpa della botta... Eppure non mi pareva di aver picchiato la capoccia. Vorrei ammirare la Rocca la Meja, i pascoli, ma se solo oso staccare lo sguardo da terra sono rovinata. Meno male che il colletto è ormai in arrivo... Brevissima discesa su sabbia gialla e ciottoli, breve risalita ed ecco il tendone del ristoro. Mi basta poco, solo qualche bicchiere di sali ed un po' di frutta secca, poi via: un po' di salita su sentiero, quasi non ci credo... Sentiero sconnesso, probabilmente scavato dall'acqua in questo terreno molto sabbioso. Raggiungo qualche compagno di corsa: parecchi, da qui alla fine della risalita, al Colle del Mulo. Un panorama mozzafiato.

L'ultimo che acchiappo, appena prima del colle, è il buon Filippo, che mi accompagnerà pazientemente da qui al traguardo. Prima un bel tratto di discesa su sentierino, più che mai ostica anche se ormai ho quasi imparato a domare le discese: poi, già in vista dell'alpeggio sulla strada asfaltata, il tracciato si fa più comodo. Ci lanciamo nella chiacchiera selvaggia... E addio competizione.

Breve sosta al punto di ristoro, proprio di fronte all'alpeggio: coccole ad un cuccioletto di cane, qualche boccone e via. Per alcune decine di metri, procediamo sull'asfalto, direzione fondovalle. Poi deviamo a destra per il prato, lungo il torrente, in mezzo ad una vegetazione sempre più fitta ed umida man mano che scendiamo. Le nuvole sembrano voler tornare proprietarie esclusive del cielo: pazienza, adesso può succedere quel che vuole... Mancano pochi km all'arrivo.

Maledico più volte questo sentierino che corre più o meno lungo la strada asfaltata, ma spesso in mezzo alle ortiche, alle piante umide e scivolosissime, alle pozze. Ormai abbiamo perso quota: siamo immersi nel bosco. E la chiacchiera, nonostante tutto, non si placa. Quanto agli argomenti, meglio che intervenga la censura. Almeno fa un po' meno freddo... Di corsa e ancora di corsa, ma senza troppa convinzione, spesso incespicando e tirando giù un buon numero di santi. Come sempre, gli ultimi km si allungano a dismisura... Una fanciulla bionda ci sorpassa come una moto; poco oltre, arriviamo ad un ponticello presidiato da un paio di volontari. Ultimissimo tratto di risalita oltre il ponte, condito da approfondita discussione sul tema del fallimento del matrimonio. Chi per fede, chi per esperienza, entrambi ce ne teniamo alla larga e facciamo il possibile per avvicinarci, invece, al traguardo. Il sentiero corre in mezzo al bosco fitto, fino a confluire nell'ennesima strada sterrata. Infine l'asfalto: solo qui riconosco il terreno calpestato di corsa alla partenza. Una goccia, due gocce: ad un chilometro dal traguardo, comincia la pioggia. Non avrei osato sperare tanto. Pazienza se adesso diluvia. Ultimo sprint e siamo al traguardo, missione compiuta. Ma...

...afferro il telefonino per cercare GP, che non vedo nei paraggi. La mia borsa per la doccia è nella sua auto e qui fa troppo troppo freddo... "Solo chiamate di emergenza". Ma che caspita dici, solo chiamate di emergenza? Stai scherzando, sottospecie di rottame? Ma se stamattina, qui, mi hai permesso di chiamare! E adesso? Dove lo trovo il marrano? Soprattutto, lo troverò prima di ibernare? Sporgo il naso nel locale del pasta party, niente. In zona arrivo, niente. Non mi resta che avvicinarmi all'auto e sperare che sia lì... Mi rifugio sotto la tettoia di fronte al bar, smanettando invano sul telefonino che rifiuta ogni collaborazione. Fortuna vuole che GP sia lì dentro e mi raggiunga. Poverello... Ha un polpaccio grosso due volte l'altro, gonfio a dismisura, per uno strappo o qualcosa di simile, capitato proprio alla partenza... A pochi metri dal via! E zoppica vistosamente... Ciononostante, ha impiegato quasi un'ora meno di me, che pure ho concluso in sette ore e un quarto, per me quasi un miracolo.

Ma la vera sfida della giornata deve ancora arrivare. "Com'è l'acqua?", chiediamo all'ingresso del locale docce. "Guarda, se fosse fredda sarei già contento...". Ecco, mi mancava. GP rinuncia fin da subito... E non posso dargli torto. Io però mi faccio proprio ribrezzo, con tutto il fango che ho imbarcato negli ultimi km. Prendo il coraggio a quattro mani. Perfetto: doccia gelata, porta che non si può chiudere e finestra con ampia vista sul parcheggio. Vista reciproca, ovvio.

L'acqua gelata è un trauma tremendo. Eppure non ho scelta: dirigo il getto un po' di sbieco, mi insapono in fretta e furia, mi risciacquo con gran pianto e stridore di denti. C'è di buono che, quando esco al freddo di questa giornata uggiosa a oltre mille metri di quota, quasi quasi percepisco un senso di tepore. Torno all'auto, dove trovo GP intento a curare il polpaccio con il ghiaccio... E con l'aiuto del papà in divisa da volontario, di assistenza alla gara. Cavoli: ed io che credevo che il figlio fosse la creatura più bella sulla faccia maschile della terra... Devo ricredermi, il papà lo batte!

Pasta party con polenta e formaggio, per me il non plus ultra: poi si riparte verso casa. Ma non prima di aver fatto tappa a vedere una casa meravigliosa sepolta in mezzo ai boschi di castagne della montagna sopra Dronero e, soprattutto, una splendida cucciolata di dieci bellissime palle di pelo, con una mamma simil pastore tedesco giustamente fiera dei suoi piccoli... Ed un'altra cagnotta ancora a fare da zia. Riparto a malincuore, me li porterei via tutti...




venerdì 6 settembre 2013

1 settembre 2013 - TOUR MONVISO TRAIL

Solo io posso esser capace di cotanta idiozia. Imbecille, imbecille, imbecille: imbecille al cubo. Solo io posso dare appuntamento all'uomo più bello e fascinoso che si sia mai visto sulla faccia della Terra, in una città, ad un indirizzo e ad un'ora che ho deciso io stessa, e riuscire a non trovarlo. Solo io posso mettermi a girare in auto come una trottola alle quattro del mattino, senza capir più nulla, in preda al panico, in un paese che conosco come le mie tasche, mentre il tapino continua a ripetermi al telefono che lui è proprio lì dove gli ho detto di trovarsi... Che per giunta è l'indirizzo di casa di mia sorella! Solo io posso perdere del tutto il lume della ragione, lasciarmi assalire dal terrore di non arrivare in tempo alla partenza della gara – fissata due ore e mezza dopo, in un luogo raggiungibile da qui in mezz'ora – e concludere desolata al telefono "meglio che ci troviamo là", dove "là" sta per Crissolo... Tra il buio e le lacrime di rabbia e vergogna che cerco invano di ricacciare indietro, guidare fin lassù diventa un'ardua impresa. Fa brutti scherzi la tensione pre gara: beh, forse, ad essere del tutto sincera, non è tutta colpa della gara... In ogni caso, lo è in buona parte. Sono giorni che penso a questo trail ed alla possibilità di provare ad affrontarlo, per una volta, in modo un po' più deciso del mio solito. Però, cavolo... Manco la mia fosse una lotta per il podio! Ad andar bene, la mia vittoria sarà riuscire a rientrare entro il tempo massimo...

Il meraviglioso è già arrivato. Vorrei potermi seppellire sotto una tonnellata di terra, per non dire altro... Sono un'incommensurabile idiota. Lo so da tempo, di essere un'incommensurabile idiota, solo che ogni tanto cerco di dimenticarmene... Ma poi capita qualcosa che mi riporta brutalmente alla consapevolezza. Quasi non oso scendere, è lui che si avvicina alla mia auto e cautamente bussa, con la faccia di uno che ha il dubbio di avere a che fare con un pazzo alla Jack Lo Squartatore, con sembianze femminili però. Rassegnati, Gian. Anzi, rassegnati, Gianca, così almeno evitiamo confusioni, visto che è un Gian pure lui. Non hai difesa... Tantovale che ti accetti per quel che sei. Un'idiota. In fondo lui è un animo buono, non te lo fa neanche pesare.

Sono le cinque o poco più, si parte tra due ore. Le volontarie sono già ai posti di combattimento per distribuire i pacchi gara: pettorale, chip ed un'infinità di cose buone, dalle merendine al succo di frutta alla confettura... E, luce dei miei occhi, una bellissima maglia tecnica da indossare alla pelle, di quelle che non restano bagnate, una meraviglia. Caffè e quattro parole, mentre in piazzetta, al buio, fervono i preparativi per il via. Ma io qui non resisto, preferisco la solitudine: rintanarmi in auto e cercare un recupero di sonno che tanto non arriverà; controllare mille volte il marsupio e l'equipaggiamento. Per oggi, visto che 43 km sono una distanza abbastanza contenuta, ho deciso di "osare": niente zainetto, solo il bel marsupio che ho ricevuto nel pacco gara del Tartufo Trail, niente bastoncini e niente borraccia. La mancanza d'acqua al seguito non mi preoccupa, sia perché di solito bevo pochissimo, sia perché lungo l'itinerario si trova acqua quasi ovunque. Rinunciare ai bastoncini invece è un azzardo.

Il brulichìo di atleti ed accompagnatori cresce e, con esso, la mia agitazione. In auto non resisto più: prendo il marsupio, mi lego le scarpe, esco. Decido per una cioccolata, ancora: peccato che il portafoglio sia rimasto in auto... Altra corsa, vai, torna; meno male che Crissolo è un paesetto grande un pugno e le distanze sono minime... La barista deve aver avuto più o meno la stessa impressione di me del pover'uomo bellissimo.

Finalmente arrivo alla partenza, intruppata tra decine di altri corridori. Ne conosco tanti e quasi non ne riconosco nessuno, per la tensione che mi annienta anche quel poco di vista da miope. Beh no, il bellissimo lo riconosco, meno male che decide prudentemente di allontanarsi... Ci manca anche che mi si surriscaldi l'ormone, già peraltro discretamente agitato, e sono a posto. Capace che percorro il giro al contrario. L'attesa per la partenza mi sembra eterna...

Il via esorcizza tutte le mie paure. Parto di corsa, sì, proprio così. Non l'ho mai fatto, anzi, me ne sono sempre ben guardata... E invece oggi parto di corsa. Supero il bivio con la strada asfaltata di Pian del Re e seguo la massa su per il sentiero che si stacca sulla sinistra, oltre il ponte. Saliscendi in mezzo al bosco, sentiero ora strettissimo ora quasi una strada; foglie verdi, acqua ovunque, intorno ancora tanto fiato per chiacchierare. Il fiato è corto, ma non come pensavo. Calma. Ce la faccio: non devo esagerare; correre sì, ma senza strafare; piano, regolare, un po' più lenta di quel che mi sento. Piano, concentrata, non inciampo. Brevi discese, strappi in salita: un percorso nervoso ed irregolare che ci porta a sbucare a Pian della Regina, proprio di fronte alla Baita della Polenta. Un pastore ci osserva, evidentemente perplesso per i nostri visi stravolti: in un bel piemontese di montagna, osserva "Ma, se andassero un po' più piano, faticherebbero meno...". Come dargli torto?

Un bicchiere di the e si riparte, destinazione Pian del Re. Accendo il lettore Mp3, cuffie nelle orecchie. Si comincia con le note di Cher. Il sentiero sale blando fino al pianoro; non ci sono più alberi intorno, solo prato, rocce e tane di marmotta. Poi s'inerpica tra rocce e pietrisco per superare il salto della cascata: tornantini stretti e strappi secchi. Sono ancora in mezzo alla massa: mi compiaccio, di norma a quest'ora sarei già rotolata in ultima posizione o quasi... Altro ristoro idrico, altri due bicchieri di the al rifugio: altra partenza, guai a perdere tempo. Arrivo di corsa al sentiero che sale al Colle Traversette: dobbiamo percorrerne un buon tratto, prima di imboccare a sinistra la traccia per il Rifugio Giacoletti. Calma Gian che scoppi... Calma che scoppi... Ma stavolta non ce la faccio. Mi prendo una lepre di riferimento, la inseguo, ne scelgo un'altra ed inseguo ancora... Ci sono un bel sole ed il Monviso sopra la mia testa, ma io non ho ancora alzato gli occhi da terra.

Il primo bivio è il nostro. Ci ritroviamo su per una vera salita da capre: prima sentiero stretto e molto ripido, poi sentiero ancor più ripido, dove usare le mani, dove salire facendo un passo avanti e due indietro. Salgo bene, supero gente, mi gaso a dismisura: va a finire che prima o poi scoppio... La salita non molla, supera una balza dopo l'altra; ci vuole un bel po' perché il colle si individui contro il cielo, là dove sventolano le bandierine del rifugio, ed un altro bel po' per arrivarci. Nonostante manchi l'aiuto dei bastoncini, per ora le gambe sono ben reattive. Ma sarò capace di correre in discesa? Quello non l'ho proprio mai mai fatto...

Al ristoro del Rifugio Giacoletti, breve pausa a base di pane, marmellata, formaggio e barrette Kinder, un orribile misto che a me però sembra manna dal cielo. Alzo il volume della musica e mi fiondo in discesa: il minimo che possa aspettarmi è di sfasciarmi la faccia al primo salto... Invece no: riesco a correre, a saltare, ad appoggiare sicura, e pazienza se mostro la leggiadria di un cinghiale intasato. Mi lascio persino qualche avversario indietro. La conosco, questa discesa, so che non è uno scherzo. Eppure in breve arrivo in vista del primo lago e poi del secondo: non so mai quale dei due sia il Fiorenza... Breve risalita e ancora giù, a valanga; sono ancora in piedi e non me ne capacito... Merito delle scarpe, questo è poco ma sicuro... Ma non solo!

A ruota di alcuni colleghi, mi ritrovo sul sentiero che sale al Rifugio Quintino Sella. Si torna a lottare contro la gravità, eppure oggi mi sembra tutto troppo facile... Prendo il mio passo, mani dietro la schiena e su, un piede avanti all'altro, poco poco ma inesorabilmente. Gentilissimi, gli escursionisti si fanno sempre da parte, salutano, incitano. Risaliamo la pietraia: anche da qui, la vista sul Monviso sarebbe uno spettacolo... Se solo si alzassero gli occhi da terra. Un'altra volta, magari, adesso bisogna andare. Inseguo Domenico, già sorpassato in discesa, che mi ha appena risorpassata: è un onore riuscire a restare nei paraggi di un personaggio che corre la maratona in tre ore ed un quarto... Per adesso, è lui il mio riferimento.

Anche la pietraia... Mai affrontata così. Di solito è il mio spauracchio. Ma non oggi. Scollino in vista del lago: sul tratto in piano e leggera discesa, metto le ali ai piedi. Lo so, son sicura che, non appena le gambe cominceranno ad accusare la stanchezza, ruzzolerò per terra. Ma Gian, non fasciarti la testa prima d'essertela rotta... Provaci! Alla peggio, poi, scoppi...

Al Quintino Sella, ottimo ristoro e tanta gente venuta fin su a vedere la gara. Mi strafogo di barrette Kinder e bicchieri di sali, tutta contenta d'essere ancora in buona posizione, che per me significa non proprio ultima e reietta. Pochi istanti e via: da qui al Passo San Chiaffredo, è corribile. E questa volta devo correre. Mi fiondo, infatti: non mi capacito di quanto le gambe siano sciolte ed ubbidienti, oggi. Che sia l'effetto degli ormoni in circolo? Ma allora devo prenotare l'assistenza del bellissimo a tutte le gare possibili ed immaginabili future... Devo ordinargli di piazzarsi ignudo nei punti strategici dove per me è più probabile andare in crisi!

Un salto dopo l'altro, in lontananza torno a vedere Domenico, che però ha una falcata assassina. Lo inseguo, ma senza riuscire ad accorciare la distanza. In compenso, come previsto, arriva il primo capitombolo. Meno male che la salita riprende, almeno un po', fino al Passo Gallarino: la testa comincia a girare... Devo dare il tempo alla pappatoria di entrare in circolo. Brividi: sarà stanchezza o il freddo quassù? Siamo quasi a quota 2.800 m dopotutto. Il sole comincia a velarsi, qualche nuvola qua e là. Quanta gente a fare assistenza ai corridori: nugoli di angeli custodi dappertutto! Mi salutano al Passo Gallarino. Via, di corsa verso il Passo San Chiaffredo: è proprio lì, nel tratto in piano che scorre accanto al laghetto, che riesco finalmente a raggiungere il buon Domenico. Mi sento un po' carogna: questa volta sono io a sfruttare l'altrui difficoltà in discesa... Ma io oggi ho nelle vene un doping tutto naturale e potentissimo. Mai e poi mai mi sarei sognata di affrontare la discesa dal Passo San Chiaffredo verso la Val Varaita così. Di corsa! C'è da dire che un gran vantaggio arriva, inaspettatamente, dalla mancanza dei bastoncini... E soprattutto dello zaino. Il senso di libertà di movimento, quando ho la schiena libera da pesi, per me è impagabile. Basta anche uno zainetto piccolino e leggero a darmi fastidio...

Sono davvero tanti gli escursionisti che salgono di qua. Mi sembra, ogni tanto, di fender la folla. Raggiungo altri tre corridori un po' più impacciati, passo oltre, entro nel bosco, giù a perdifiato tra sassi e radici. Continuo a non credere a me stessa. Sono allibita e felice... Ma durerà?

A Plan Meyer, altro capannello di assistenti in giubba rossa. Qui si abbandona il sentiero che scende in Val Varaita e si imbocca quello che raggiunge il Rifugio Bagnur. Lo aggredisco con molta baldanza: il minimo che mi possa succedere, di conseguenza, è di appoggiare incautamente il piede su una roccia viscida, superando un torrente, e di rovinare pesantemente al suolo, picchiando proprio l'anca destra sulla pietra. Per qualche istante, non vedo e non capisco più nulla: il dolore è violentissimo, da piangere. Poi, pian piano e bestemmiando in ogni lingua nota e sconosciuta, mi rimetto in piedi: ma ci vuole ancora un po', prima di potermi raddrizzare del tutto e poter ripartire...

Il dolore è forte ma, con il movimento, pian piano si attenua un po'. Brucia, anche: si vede che mi son portata via un po' di pelle. Non voglio neanche saperlo. Zoppicon zoppiconi, riprendo la corsa, un po' più incerta e preoccupata: mi sento fiacca, adesso, forse per lo spavento, forse per la fame o per entrambe le ragioni. Questo bosco, che poi è il meraviglioso bosco dell'Alevè, non finisce più e mi mette l'angoscia... Corro con meno convinzione; quasi patisco la breve risalita nel fitto del bosco. Per fortuna, il Rifugio Bagnour appare come un miraggio: desideratissimo, il ristoro.

Dalle parole di uno dei volontari, capisco che ho impiegato cinque ore e mezza ad arrivare fin qui: ed io che temevo di sforare il cancello delle sette ore... Mi concedo qualche minuto di tregua, pane, marmellata, acqua e sali: riparto, in effetti, piena come un uovo. Meno male che la salita comincia subito: novecento metri di dislivello, stavolta del tutto sconosciuti. Il Passo Calatà è ignoto: so solo che mi riporterà sul Passo Gallarino. Pare, a detta di molti, che toccherà spargere lacrime & sangue per arrivare lassù... Non riesco a rendermi ben conto di come sto. Affronto con cautela i primi passi: le gambe mi sembrano un po' tese e stanche. Passo regolare, ma già sufficiente a riacchiappare qualche avversario. E, di conseguenza, a gasarmi per bene.

Si sale per un po' in mezzo al bosco, tra pietroni e radici che impediscono di prendere una falcata regolare. Poi la quota spazza via gli alberi: resta un bel sentiero che sale su fino ad un pianoro. Superata quella balza, sollevo lo sguardo e... Davanti, un'altissima parete scura, un'infinita pietraia. Lassù... Ma dove? Mamma mia... Non ci riesco, sono stanca... E più lo penso, più mi metto a correre. Gli applausi di un gruppo di escursionisti appollaiati su una collinetta fanno l'effetto di un fiammifero su una tanica di benzina. Di qui, la salita si fa quanto più possibile cattiva: si sale sulle pietre, spesso tocca aiutarsi con le mani per restare in equilibrio, e poi su per la pietraia, il fiato sempre più corto, il petto che fa male, i muscoli che urlano. Non voglio mollare. "Ma tu sei Giancarla? Vai Giancarlaaaa", un urlo che mi dà la scossa, ancora su per la pietraia ormai ripidissima, e qui sì che vorrei i bastoncini... Com'è nera questa parete; forse è l'effetto della nebbia che incombe appena più in alto dei duemilanovecento metri del colle. Un altro volontario di guardia: "Un quarto d'ora e sei su", come, un quarto d'ora, io non ce la faccio più già adesso... Ancora pietre, ancora sforzo, mani sulle ginocchia, dai Gian forza... Non mollare... Il gruppo di volontari lassù sul colle, sempre più vicini, dai che ormai è fatta...

Scollino in un'atmosfera da film horror, una sterminata pietraia nera, la nebbia grigia, il vento freddo. Paesaggio che stride con i sorrisi e le urla entusiaste di chi veglia su di noi, quassù. Il primo tratto di discesa, beh... Sfido chiunque, a correrlo. Non c'è nemmeno un sentiero, solo una fila di bandierine da seguire alla bell'e meglio. Poi, pian piano, la faccenda migliora, anche se un paio di voli rischio di concedermeli. Altri volontari, sul pianoro: un bicchiere d'acqua, graditissimo, anche se adesso qui fa quasi freddo. Via, di corsa, lungo un sentiero finalmente bello e praticabile che, con impercettibile salita, mi riporta al Passo Gallarino senza che io quasi me ne accorga. Ha avuto coraggio, colui che ha deciso di inserire il Passo Calatà nel percorso: guai se lì fosse calata la nebbia... Hai voglia a metter bandierine: si sarebbe trovata gente sparsa per tutta la pietraia! Per fortuna, è andata bene ed è stato un fantastico colpo d'occhio.

Ali ai piedi, Gian, ormai è fatta o quasi. La salita è quasi tutta alle spalle. Il lettore Mp3 suona "The Final Countdown", mai colonna sonora fu più azzeccata. Devi proprio solo sbrigarti: possibilmente, senza schiantarti al suolo proprio adesso... Chissà, magari la meraviglia in forma di masculo è ancora a Crissolo... Chissà da quanto tempo è già arrivato, chissà se avrà pazienza.

Il sentiero verso il Rifugio Alpetto è bello, agevole, senza pendenze impossibili. Solo in qualche tratto, il pietrisco diventa insidioso. Il rumore della cascata, quando ci arrivo di fianco, è tale da coprire quasi il volume della musica nelle orecchie. Al bivio per il Quintino Sella, "cinque minuti", mi dicono: beh, forse un po' di più... Ma, curva dopo curva, alla fine anche l'Alpetto compare. Ultimo ristoro: ancora barrette Kinder, le adoro, e persino un pezzo di anguria. Un paio di minuti, non di più. Il cielo è plumbeo, le frange delle nuvole arrivano fin quasi a lambire la mia strada, ma che importa? Otto chilometri, tutta discesa, sostiene il volontario. Al che, mi metto una mano sui gioielli di famiglia, metaforicamente s'intende: quando sento dire "tutta discesa", minimo minimo c'è ancora una parete da superare con una scalata di settimo grado...

Corro lungo il torrente, sul pianoro; un po' di saliscendi e poi una splendida picchiata giù per un sentiero che scende addossato alla parete nera. Sarà questa, immagino, la Rocca Negra che non conoscevo. Nelle orecchie gli Stadio, "Un disperato bisogno d'amore". E poi... Un lunghissimo, interminabile traverso in leggera salita – altro che tutta discesa – taglia il pendio erboso, in certi punti anche parecchio ripido in caso di inopportuno volo. E poi ancora chilometri di prato da attraversare, correndo lungo il filo che delimita il confine per il pascolo dei bovini. Un tratto che, in altri tempi ed in altre circostanze, mi avrebbe gettato nel più nero sconforto per la monotonia e la difficoltà, così vicina alla fine della gara... Non oggi, sembra che le gambe non vogliano più rassegnarmi al passo. Sembra che oggi le gambe non siano le mie. Raggiungo ancora, inaudito, qualche concorrente; riesco a non farmi staccare dagli altri – pochi, inaudito – che ancora mi raggiungono. In vista di Serre Uberto dall'altra parte della valle, passiamo accanto ad un alpeggio; ancora prato, rognosissimo, tutto buche e sassi insidiosi sotto l'erba: calma Gian, mantieni il controllo... Prima o poi finirà, deve per forza finire! Infatti, finalmente, curva secca a sinistra e ci si butta nel bosco. Finalmente si perde quota. Accelero ancora, incurante delle raccomandazioni di cautela per il fondo scivoloso nel sottobosco; le voci di Crissolo: incontro ancora qualche escursionista, poi finalmente i primi tetti, l'asfalto, il ponte... Gli ultimi metri nel centro di Crissolo, l'arrivo. Confusa e contentissima, nove ore e dieci per 43 km e poco più di 3.000 m di dislivello, lungo un percorso parecchio rognoso; un'eternità, in assoluto, ma un tempo più che lusinghiero per me. Percorso splendido, tra l'altro, meglio ancora del tradizionale giro del Monviso.

Accolgo con molta gratitudine la confezione di Estathe: sono talmente suonata che quasi non riesco ad infilar la cannuccia... Poi mi avvio, un po' stordita, verso l'auto, parcheggiata proprio lì vicino. Talmente stordita che solo quando ci arrivo, mi ricordo di spegnere il lettore Mp3. Nessuna traccia della meraviglia in giro... Beh, sarà già partito. Mando un messaggio: "So che non ci credi, ma sono già qui". Incredibile dictu, è ancora nei paraggi: sta a magnà, tanto per cambiare...

Il mio desiderio più forte, in questo momento, è la doccia. Di mangiare non se ne parla. Le docce sono messe a disposizione dall'albergo sulla piazzetta: fantastico, troppo gentili! Un po' di coda e poi il meritatissimo, questa volta sì meritatissimo, scroscio d'acqua bollente sulla pelle... Somma goduria, levo via un chilo buono di polvere. Quando scendo, il portatore sano di quasi offensiva bellezza è lì al tavolino, davanti ad un bicchiere di Coca Cola: ma sì... Concediamoci ancora quei dieci minuti di contemplazione. Evidentemente deve aver deciso che non sono pericolosa, nonostante la performance psicopatica di questa mattina. Non adesso, di sicuro... Mi gira troppo la testa per essere minacciosa; ci vuole il soccorso di un caffé con lo zucchero. Mi gira per colpa della gara, intendiamoci, anche se, davanti a questo personaggino qui, qualunque fanciulla rischia qualcosa di simile alla sindrome di Stendhal... In trentadue anni di poco onorata esistenza, un simile esemplare di masculo non l'avevo ancora mai veduto, parola mia. Non me lo sarei certo dimenticato, altrimenti.
Se poi proprio mi concentro ed immagino di avere davanti un mostro inguardabile, riesco persino a passare oltre ed a concentrarmi su quel che dice: è anche simpatico, il marrano! Sette ore e mezza per lui.. Porcaccia miseria. Inarrivabile. Gnocco e pure forte, ha tutte le fortune.

OK Gian, è ora di tornare con i piedi per terra. E il deretano in pianura, a Carmagnola. Quei dieci minuti di tentativi per far partire la Zafira, che oppone strenua resistenza all'avviamento... Malgrado i commenti scettici dei viandanti, il rottamone ce la fa. Si parte: almeno fino a Paesana dovrei arrivare, è tutta discesa. Arrivo invece fino a casa, sia pure combattendo con il mal di testa, i morti di sonno al volante delle utilitarie ed il caos carmagnolese per la Fiera del Peperone. Mi restano un livido enorme, nero, sull'anca destra, e lo stupore per aver corso così come ho corso. Tra due settimane, tocca alla Valle Maira Skymarathon: e se provassi a fare il bis? Per la gara di oggi, il premio per il vincitore era il barattolone da cinque chili di Nutella, ma l'ho saputo soltanto dopo... Se il 15 settembre sarà in palio lo stesso premio, allora lotterò per la vittoria!




giovedì 15 agosto 2013

10 agosto 2013 - LOMBARDA, BONETTE, MADDALENA IN COMPAGNIA

Vorrei porgere di persona i miei complimenti a colui che ha progettato l'autostrada per Cuneo, perché un giro più arzigogolato di questo sarebbe stato ben difficile da concepire. Il buon Walter è scusato, è forestiero, non è pratico della strada statale... Ed io non oso troppo insistere, ma in questo caso la strada statale sarebbe senz'altro più rapida, pur con tutti i limiti di velocità. Carmagnola, Marene, Fossano, Cuneo, voilà, altro che questi mille rovelli di curve e controcurve e svincoli che ci portano a casa del diavolo! Mi ci vuole un bel po' per raccapezzarmi e capire dov'è che siamo sbucati... In pieno centro a Borgo San Dalmazzo: geniale, non c'è che dire! Malimortacci...

Per fortuna, si preannuncia una giornata splendida, con un cielo blu da far dimenticare i disguidi automobilistici. Il tempo di un caffé a Demonte e si riparte: il punto di partenza per oggi è Vinadio, sulla piazza "dei camper". Saremo in tre: Walter, Alessandro ed io, l'Armata Brancaleone all'assalto del mitico giro dei tre colli. Gruppo perfettamente omogeneo, direi: Alessandro dotato di bici da corsa d'ordinanza e fisico tiratissimo, senza un filo di grasso, il polpaccio tutto un muscolo guizzante; Walter ed io in mountain bike, sia pure con assetto stradale, e fisico... Ehm diciamo diversamente asciutto. Beninteso, i muscoli guizzanti li abbiamo pure noi, solo che li teniamo adeguatamente al sicuro sotto un morbido strato isolante. Però una cosa l'abbiamo in comune, tutti e tre: sfoggiamo orgogliosamente la divisa bianca, nera ed arancio del Team Nordovest.

Sbrigati i preparativi, l'Armata Brancaleone si mette in marcia in direzione del bivio per il Colle della Lombarda: trascinata dall'entusiasmo, per poco non mi faccio stirare da un autoarticolato già al primo colpo di pedale. Breve tratto di illusoria discesa, che sarà un calvario in risalita alla fine della giornata, e poi subito a sinistra: via dal traffico dei camion che affollano la Valle Stura, ma in compenso tormentati dal traffico di auto e moto di turisti, pellegrini e compagnia cantante. Attacchiamo la salita, 21 km per 1.400 m di dislivello, entusiasti e baldanzosi, ben sapendo che solo uno di noi potrà permettersi entusiasmo e baldanza anche dopo i primi due chilometri. Abbiamo ancora il fiato per chiacchierare tra noi e salutare a gran voce chi sale a piedi, trascinandoci nel contempo su per il primo "scalino" a tornanti oltre l'abitato, per il tratto lungo il torrente, per la risalita verso le baracche diroccate. Per me il tornante è sempre un toccasana: anche dal punto di vista psicologico, una salita a tornanti è mille volte più domestica di una lunga rampa, a parità di dislivello. L'ombra scura copre ancora buona parte delle montagne intorno; solo le cime brillano di una luce viva ed intensa. L'aria è ancora fredda, troppo per levare via il gilet. E' Walter, alias il President, a dettare il ritmo su questa prima ascesa: devo dire che faccio una certa fatica a stargli dietro. Mi tocca spendere parecchio tempo in piedi sui pedali, almeno finché mi ostino a non voler usare la coroncina anteriore più piccola, ma ho come la sensazione che pagherò la mia audacia.

Il tratto centrale in falsopiano offre a tutti l'occasione di rifiatare. Ci si scruta a vicenda: Alessandro probabilmente preoccupato per la possibile prematura dipartita dei suoi compagni di viaggio, causa fatica e stenti; Walter ed io impegnati a non cedere l'uno all'altra la posizione di coda nella carovana. La maglia nera è sempre stato un titolo ambitissimo tra noi paracarri DOCG!

Oltre il bivio per il Santuario di Sant'Anna, possiamo sperare di esserci liberati di una bella fetta del traffico d'auto, anche se i viandanti a motore non mancano nemmeno quassù. Le forze per menar la lingua ci sono ancora. Mi stupisco di come Alessandro riesca a resistere a quest'andatura da bradipo stanco, lui che è capace di concludere una Nove Colli in poco più di sette ore... Eppure non si allontana di un metro e riesce persino a mascherare il disgusto!

Finalmente, usciti dal bosco, ci ritroviamo con un po' di sole e tepore sulla schiena. L'ambiente è da cartolina: prati, laghetti, cielo terso, nemmeno un batuffolo di nuvola. Gli ultimi cinque km concedono un po' di respiro ma infliggono anche qualche rampetta traditrice... Proprio su una di queste, il President fa un allungo e si invola verso il colle. Pochi metri ed Alessandro ed io scopriamo il motivo: Walter ha immolato i suoi polpacci per arrivare prima, afferrare la macchina fotografica e scattare un'istantanea ai suoi due compagni di viaggio. Quasi quasi c'era da inscenare uno scambio di borraccia in stile Coppi & Bartali...

Approfitto dell'appetito dei due colleghi per portarmi avanti con il lavoro in discesa. Lenta come sono, se non mi avvantaggio un po', rischio di costringere i tapini ad un'attesa eterna giù ad Isola: beh, eterna ma neanche troppo, da quando viaggio in MTB. In effetti la discesa in Francia per la strada della Lombarda, con il potente mezzo ed i freni a disco, è divertente persino per me: strada larghissima, asfalto impeccabile, tornanti ampi. Il tratto verso il fondovalle è un imbuto ancora tutto in ombra e ben poco confortevole quanto a temperatura...

Ad Isola, tappa obbligata per svestizione e pieno alle borracce, nonché la mia immancabile visita all'adorato "wc public". Poi mi tocca affrontare l'incubo: quella decina di km o poco più verso St Etienne... Odiosissimo tratto con leggeri saliscendi dove io di solito mi pianto come un paracarro. Infatti, i miei due compari si avviano con cautela... Ma io resto subito parecchio indietro. E che barba. Le gambe, in pianura o simile, non girano, non ne vogliono sapere. Io sbuffo, impreco in silenzio, ma non c'è verso. Quando i colleghi si accorgono del vuoto alle loro spalle, passano in modalità di marcia "carro funebre" e mi permettono di riavvicinarmi.

Nei pressi di St Etienne, suggerisco di imboccare la strada sulla destra, dotata di pista ciclabile, abbandonando la principale, perché "c'è meno traffico": infatti, l'unica auto che incontriamo è quella che invade la pista e per un pelo non ci fa volare tutti e tre per aria come birilli, scatenando le sacrosante ire del President. Appena oltre il paese, poi, inizia la lunghissima ascesa alla Bonette. 25 km, circa: blandi, all'inizio, poi sempre più severi, complice la quota. Si arriverà a superare quota 2.800 m. Il caldo ora è adorabile: per alcuni senz'altro una temperatura da forno; per me, freddolosa inguaribile, si sta appena appena bene.

Procediamo più o meno insieme, a parte qualche inevitabile distacco mai comunque eccessivo. Il President accusa un po' di malessere, dovuto, dice lui, alla pressione: preferisco tenerlo d'occhio, questo soggetto pericoloso; sarebbe capace di arrivare lassù anche se gli piombasse un meteorite sul cranio, tosto com'è... Se lo si aspetta, almeno non c'è il rischio che si affanni per andar più forte di quanto si senta. Bivio per St Dalmas Le Selvage: la tentazione è di girare di lì... Anche per quella via si arriva alla Bonette, ma gli ultimi km sono su strada sterrata. Per oggi no, restiamo sul classico. I tornanti, un po' d'ombra, il pianoro con il rifugio e poche case; ancora un paio di km e siamo a Bousieyas, con una bella fontana in pietra a disposizione. Nel frattempo, ci sorpassano alla spicciolata altri compagni di squadra, partiti parecchio più tardi di noi da Vinadio e che faranno lì ritorno molto prima di noi: tempo di un saluto e sono già lontani. C'è chi può. Anche Alessandro potrebbe, probabilmente più di tutti, ma sceglie di restare con il President e con me. Secondo me c'è un secondo fine nel suo gesto altruistico: gli ho accennato di un'eccellente boulangerie a Jausiers... E' costretto ad aspettarmi, se vuole che lo conduca in tale luogo di perdizione.

Ancora quattordici km, anche se la vetta ormai si vede. Saliamo con calma, in pieno sole, un po' di vento che rinforza man mano che prendiamo quota. Walter appena dietro, controllato a vista: brontola di non essere in forma, ma non molla una pedalata. Io "me la tiro" tornando indietro, ogni tanto, per controllare che sia tutto ok... In effetti però, quassù, le gambe sono davvero in condizione eccellente. Riesco persino a tirare un rapporto molto più duro della norma, per questa pendenza, per rallentare quanto basta da adattarmi all'andatura del President. Mi sento un po' in colpa: probabilmente, buona parte della sua fatica è data dalla scelta della MTB in luogo della bici da corsa... Scelta che non avrebbe mai fatto se non per solidarietà nei miei confronti!

Gli ultimi sette km, oltre le baracche di Camp des Fourches, sono per lui un bel calvario. Il testone quasi non si lamenta, ma la sua fatica è evidente. Confesso di essere parecchio preoccupata: se dovesse capitare qualcosa di storto quassù... Ok, so bene che sto esagerando; la cotta sulla salita della Bonette è la norma, anzi ciò che è fuori del normale è giungere in cima indenni. Però... Conto i chilometri, i metri, le pedalate. Dai che ce la fai... Dai che manca poco... Pochissimo, infatti. Raggiungo il colle, dove Alessandro, che si è portato avanti quel tanto che gli è bastato per fare il "tour" della cima, siede in paziente attesa. Walter è subito dietro. Non sono un medico, ma, nella mia ignoranza, credo che, se il problema è la pressione alta, sia opportuno andare giù prima che subito... Quindi, bando al giro della cima: se avessi un po' più di confidenza, gli darei una pedatona nel didietro e lo scaraventerei direttamente a Jausiers, ovvio a fin di bene. Con più diplomazia, invece, mi limito a sollecitare una rapida partenza. Alessandro non se lo fa ripetere due volte; il richiamo dello stomaco è ormai fortissimo. Giù, in discesa: qui sono io che, come al solito, mi faccio attendere. La bontà di Walter è tale da impedirgli di insultarmi pesantemente ad ogni curva... Che ci posso fare? La MTB ha già migliorato moltissimo la mia sensazione di stabilità e la mia velocità in discesa, ma le curve ed io non abbiamo proprio un buon rapporto. Un amico, tempo fa, mi sgridava perché "faccio le curve quadre" e non aveva affatto torto!

Se posso trovare un difetto alla MTB, è il senso di formicolio alle mani nelle lunghe discese. Infatti arrivo alle porte di Jausiers con le dita addormentate. Fontana, pieno alle borracce, poi finalmente l'agognata meta: la boulangerie. Soddisfazione per tutti: anch'io ne approfitto per prendere due pezzetti di croccante alle mandorle. Uno è immediatamente fagocitato, l'altro servirà da colazione domani. Il President mi sembra in buone condizioni... Ormai il più è fatto. Ogni volta che percorro questo itinerario, quando raggiungo Jausiers mi sembra di aver concluso la fatica. C'è ancora la Maddalena, ma non è salita tale da impensierire. 16 km per 700 m di dislivello.

Ancora in sella: qualche km lungo il torrente Ubaye, superiamo La Condamine e finalmente diamo l'assalto all'ultima ascesa. Sarebbe vietatissimo salire in bici dal versante francese, così come minacciano parecchi cartelli, per via di una vecchia frana che ogni tanto dà segni di vita e movimento. Ma noi, da buoni italiani, non ci siamo e se ci siamo dormiamo... Alessandro ed io approfittiamo di una sosta ai box del President per prendere un po' di vantaggio; tanto ormai io sono così gasata che farò inversione al primo abitato, Meyronnes, per tornare a controllare che sia tutto ok. Sulla Maddalena, persino io posso permettermi gli scatti. Lascio andare Alessandro, recupero Walter, tira e molla fino a Larche: sulle nostre teste, un cielo ancora sfacciatamente terso; la valle prende i colori della sera. Anche se non ho idea di che ora sia... Ho perso la nozione del tempo.

Da Larche, mi lancio baldanzosa in una progressione che vorrebbe coprire tutti e cinque i km mancanti al colle; in effetti, sputando i bronchi, per i primi tre pedalo davvero spedita... Poi, un muro di vento, improvviso, insormontabile ed ovviamente contrario. Congelamento istantaneo e sforzi improvvisamente vani: non si procede, o meglio, si va avanti a velocità di lumaca. Non c'è speranza che la sua violenza si attenui, prima del colle: anzi, sarà vento contrario fino a Vinadio... Le auto degli escursionisti se ne vanno alla spicciolata, le ombre si allungano, il verde dell'erba è più intenso. Con immane fatica raggiungo il colle e levo le ragnatele di dosso al povero Alessandro, seduto in paziente attesa. Lo invito ad andar giù, prendere l'auto e partire, lui che "tiene famiglia" e rischia di fare davvero tardi stasera. Ma, da quel signore che è, il compare rifiuta. Mi vesto, torno indietro per un breve tratto finché non incontro Walter: 'rcamiseria... Io ho sputato l'anima per arrivare su il più in fretta possibile e lui, bel bello, è già qui!

Tappa al bar lungo il lago; il President agogna una bottiglia d'acqua frizzante. Lo capisco, è cosa che capita spesso anche a me, sia pure non oggi. Attendo fuori, godendomi lo spettacolo del luccichio sulla superficie del lago appena increspato e degli ultimi caldi raggi di sole. Si riparte: via il pianoro, poi giù per i tornanti fino ad Argentera. Il traffico di auto e moto è sostenuto, ma al semaforo rosso in paese si fermano tutti. Io, manco a dirlo, passo... Ho perso i due compari e devo sbrigarmi!
Il pianoro appena prima del Villaggio Primavera è un calvario, con il vento contrario ed i merenderos che sciamano lungo la strada. Poi la pendenza torna favorevole: la galleria, le Barricate meravigliose al tramonto, Pietraporzio, Sambuco. Faccio del mio meglio per mantenere un ritmo appena decente, anche quando la strada risale un po' o viaggia in piano oltre il bivio per le Terme di Vinadio: tutto ciò mi costa una gran fatica... Ma i miei compagni hanno misericordia ed evitano di infliggermi l'umiliazione di un sorpasso col sorriso sulle labbra. Grazie... Ne sarei psicologicamente distrutta.

L'ultima asperità della giornata è la risalita a Vinadio: breve, dolce, ma non per chi ha già nelle gambe quasi 160 km e 4.000 m di dislivello in salita. Superato anche quest'ultimo scoglio, la nostra avventura si conclude al parcheggio, dove l'auto di Walter, per fortuna, c'è ancora. Ci si saluta, ci si dà appuntamento alla prossima mattana; si fa il possibile per rendersi vagamente presentabili e poi via. Sono le sette e mezza, cavoli, non mi ero resa conto che fosse così tardi, ma non importa. Vorrà dire che, per questa sera, le tre belve che mi attendono a casa dovranno tenersi il languorino per qualche ora in più.



domenica 30 giugno 2013

29 giugno 2013 - LES FONDUS DE L'UBAYE

Proprio il periodo ideale, climaticamente parlando, per dimenticare a casa il sacco a pelo. Benché sia fine giugno, l'estate non ha la minima intenzione di farsi viva: fa un freddo ignobile in pianura... Figuriamoci in mezzo ai monti. Come mio solito, preparando il bagaglio, ho poi cacciato con ignominia l'unica idea intelligente che si fosse affacciata al nulla eterno della mia scatola cranica: portarmi dietro la vecchia tuta da sci imbottita. Almeno per i momenti di vita "borghese" giù dalla bici. Ma ormai so che è più forte di me; non riuscirò mai a mettere in borsa quel che davvero serve per la trasferta del momento. La valigia ed io viviamo su mondi paralleli.

Pantaloni corti e sandaletti. Ci saranno dieci gradi stasera qui a Barcellonette. Parcheggio la Zafira alla bell'e meglio, in pieno stile italiano, in divieto, poi raggiungo Matteo nel salone in cui è in corso la presentazione della randonnée di domani. Il locale è già gremito di ciclisti: occhio e croce, direi che Matteo ed io siamo gli unici italiani. Una pingue fanciulla declama con innata allegria gli ultimi dettagli e le raccomandazioni sul percorso della manifestazione, che si perdono nell'eco del capannone; poco male, di francese capisco poco... E poi so già quel che serve. La rando prevede la possibilità di scalare uno o più colli, a seconda del percorso scelto. A noi toccherà la versione "cinque colli": nell'ordine, Vars, St Anne La Condamine, Bonette, Cayolle, Allos. Un po' più di duecento km, occhio e croce. Ci sarebbe anche la versione "sette colli", che prevede di proseguire in direzione del lago di Serre Ponçon ed aggiungere le salite del Col St Jean e del Col de Pontis: però... Però in mezzo ci sono troppi km di falsopiano, da percorrere in discesa prima ed in salita poi. Io odio tutto quel che è pianura e falsopiano. La coscienza ciclistica mi impedisce di rinunciare già a priori al percorso più lungo possibile, quindi quello da sette colli: non mi resta che sperare di essere abbastanza lenta da "sforare" il cancello orario tra il quinto ed il sesto colle. Così non sarei io a rinunciare, ma il fato avverso a costringermi alla resa.

Mi distrae un cagnolino che fa di tutto per conquistarsi un briciolo di attenzione e due coccole. Occhio e croce, direi che all'altro capo del guinzaglio c'è la consorte di qualche ciclista, annoiata e ben poco entusiasta della situazione. A momenti perdo Matteo che va di filato al tavolo delle iscrizioni. Numero di pettorale, carta di viaggio, abbiamo tutto; non ci resta che ricacciarci fuori, con somma goduria delle mie gambe nude. Il palco su cui l'organizzazione ha sistemato i tavoli ed i computer per le operazioni burocratiche è parecchio più in alto del resto della sala: mi soffermo un momento a guardare la folla di atleti... Era tanto, troppo tempo che non assaporavo l'emozione dei momenti pre – gara, anche se questa in realtà non è una gara, non è – o non dovrebbe essere – competitiva. E' un'emozione che mi mancava moltissimo e che, purtroppo, mancherà ancora... Per il momento, devo dire grazie a Matteo che mi ha coinvolta.

Alcuni ciclisti si accalcano al bancone delle cibarie; molti sciamano fuori, noi compresi. Adesso si tratta di andare a caccia di un campeggio, se non altro per avere a disposizione doccia e bagno civili. Sono terrorizzata al solo pensiero: fa un freddo inimmaginabile... Gira e rigira, non c'è più traccia del campeggio vicino al centro del paese. Ci rassegnamo a rivolgerci ad un'altra struttura poco distante: ci arriviamo pochi minuti oltre l'orario di chiusura. Non ci resta che osare: Matteo suona il campanello dell'abitazione del gestore, che si trova sopra la reception. Esce un energumeno che pare la controfigura di O.J. Simpson, dai modi tutto fuorché cortesi, scocciatissimo per il disturbo fuori orario. Poco male: abbiamo ottenuto la nostra piazzola.

Contengo a stento il disappunto e la sofferenza di aggirarmi per il campeggio con questo abbigliamento stile Rimini ad agosto: del resto, con chi potrei prendermela se non con me stessa? Si consuma una frugale cena a pane e formaggio: Matteo, come sempre, ha anche un'abbondante dotazione di pasta e si dedica alla "haute cuisine"... Ma io sono già distratta: ho scoperto che il campeggio è dotato di calcio balilla, con tanto di pallina! Suo malgrado, Matteo è costretto ad abbandonare i fornelli per concedermi una partita, una seconda partita e la "bella"... Finché anche l'ultimo barlume di luce del sole sparisce e la pallina diventa invisibile. Non mi pare in effetti il caso di continuare alla luce delle pile frontali: OJ Simpson e gli altri campeggiatori potrebbero spazientirsi... Non vola una mosca.

Io mi rifugio in auto e non mi muovo più. Poco male se il mio compare ha montato la tenda: schiatterò di freddo stanotte, lo so già, ma continuo comunque a preferire la struttura protettiva metallica dell'auto a quella inconsistente della tenda. E poi il sedile è mille volte più comodo del materassino.

Nella notte, mi sveglio un'infinità di volte, mezza congelata. Ho indossato tutto quel che avevo, felpa, giacca, ma non basta... Ogni volta è ancora buio pesto. La partenza è prevista per le cinque e mezza, la sveglia un'oretta prima. Più o meno in contemporanea con il trillo del mio telefonino, il fantasma di Matteo esce dalla tenda e s'infila sul sedile passeggero: a quanto pare, la sua nottata, pure con il sacco a pelo, non è stata molto più confortevole della mia...
Ci vuole tutto il coraggio di cui disponiamo ed anche di più, per scendere dall'auto e trascinarsi verso i bagni, l'unico luogo un po' meno gelido per cambiarsi e vestirsi da bici. La stellata meravigliosa sopra le nostre teste sembra quasi prenderci in giro. Colazione per me quasi inesistente; il mio compare trangugia quella schifezza di pasta che credo abbia ormai la consistenza del Vinavil. Rapido controllo della bici e del bagaglio; si parte, disgraziatamente in discesa: poche centinaia di metri, ma è già un trauma.

A Barcellonette, nello stesso salone in cui è avvenuta la presentazione della prova, fervono i preparativi per il via. C'è persino la possibilità di bere un the o un caffè quasi caldi, lasciando da parte il gusto. Siamo imbacuccati come tanti omini Michelin... Le nostre bici sono rimaste fuori, ma non credo corrano alcun rischio: se proprio qualche malintenzionato volesse colpire, c'è l'imbarazzo della scelta tra bici che valgono uno sproposito.
Ad occhio, direi che sono l'unica concorrente dotata di mountain bike, sia pure in versione stradale con i copertoncini slick. Ci sono un paio di bici "ibride"; gli altri sono tutti puristi della bici da corsa.

Ci raccogliamo tutti nello slargo accanto al salone, dove è in corso una punzonatura parecchio disordinata. Altrettanto approssimativo è l'ordine di via: in un modo o nell'altro, comunque, siamo in marcia. In fondo al gruppo, inutile dirlo: pochi km di pianura e mi han già superata quasi tutti. Si viaggia in direzione di Jausiers: la temperatura alla partenza è esattamente di 1°C, a detta del termometro di Matteo e della sensazione delle mie mani. Terribile... Posso solo sperare che presto faccia capolino un po' di sole, anche se ho poca fiducia: le montagne tutt'intorno terranno lontana la luce ancora per un bel po'.

Mentre io litigo con il cambio – la catena non vuol saperne di stare sulla corona anteriore più grande – scorriamo lungo il torrente Ubaye alla luce delle frontali che non serve quasi più. Ombra, silenzio, si sente solo il ronzio delle ruote, quelle poche che sono ancora a portata del mio orecchio. Qualcuno osserva perplesso la mia bici, scettico sulla buona riuscita dell'impresa. Non preoccupatevi, gente: se solo sopravvivo al congelamento, ce la faccio...

Jausiers, La Condamine, bivio per il Vars. Finalmente un po' di salita, anche se molto blanda, per i primi km. Tutto tace per la strada, nei cortili delle poche abitazioni. Il cielo prende un po' di colore, ma già le prime scie di nuvole fanno capolino. Chissà perché, non mi aspetto nulla di buono. Meglio comunque, superate le prime due gallerie, fermarsi a levare uno strato di abiti, per evitare di ritrovarsi fradici in discesa. Finalmente, dopo il bivio per St Paul, la salita diventa degna di questo nome: si va su a strappi irregolari fino al ponticello del minuscolo abitato a cinque km dalla vetta; da lì in poi, la pendenza diventa severa ma regolare. Il sole è un'illusione: il cielo si vela sempre più. Primo, secondo, terzo tornante, molto distanti l'uno dall'altro. Pedalo con prudenza: so benissimo che le mie forze sono davvero limitate... L'ultima uscita seria in bici risale a fine maggio e non è comunque paragonabile all'itinerario di oggi. Matteo si allontana solo nell'ultimo km: non appena arrivo in cima anch'io, si prodiga per sistemarmi il cambio riottoso, mentre io trangugio un caffè orribile ma, se non altro, caldo. Grazie ai volontari che attendono quassù, ci possiamo permettere anche questo lusso! Mi avvio in discesa con l'animo di un condannato al patibolo; non oso immaginare il gelo... I ciclisti rimasti dietro di me, che ancora salgono, sono davvero pochi; alcuni di loro mi sorpassano prima che io arrivi in fondo.

Archiviato l'inospitale Col de Vars, ripercorriamo a ritroso un tratto di strada lungo l'Ubaye, fino a La Condamine. Da qui, imbocchiamo la breve ma "robusta" ascesa verso St Anne La Condamine, in corrispondenza degli impianti da sci: parecchi tornanti e rampe con pendenza sostenuta. Una marea di colleghi sta già scendendo. La temperatura è salita di pochissimi gradi... Cinque o sei km dopo, arriviamo al banchetto del punto di controllo. Davvero non invidio questi tapini costretti a restare qui, immobili, al freddo e al gelo... Stanno peggio di me, poco ma sicuro.

Altra discesa, ostica non solo per il freddo ma anche per il pessimo stato dell'asfalto. Siamo dinuovo a La Condamine: ancora una volta sulla strada di fondovalle, veleggiamo verso Jausiers. Qui il primo vero punto di ristoro, con succhi di frutta, frutta secca varia, pane, affettati. Ovvio, questi ultimi non fanno per me... Finisco per mangiarmi il pane asciutto, visto che non c'è formaggio e che i dolci, a lungo andare, nauseano. Riparto infatti con due o tre fette di pane in mano: impiegherò parecchi km della salita per finirli, perché non è così semplice masticare qualcosa di tanto asciutto in salita. Matteo prolunga ancora la sua accanita opera di saccheggio della tavola imbandita: prima o poi arriverà...

Affronto la Bonette con un certo timore reverenziale. E' vero che conosco questa salita come le mie tasche, ma forse è proprio per questo che la temo... So benissimo di non essere allenata a sufficienza per il percorso di oggi. Un po' di sole, troppa grazia, mi incoraggia, ma cerco di essere prudente, prudentissima. Anni di bici da queste parti hanno fatto sì che ormai io conosca ogni metro di questo asfalto, dalla prima parte in mezzo alle case, al tratto di tornanti con vista su Jausiers e Barcellonette, al passaggio a quota 2000 m con il rifugio "Halte 2000". Qui, altri tornanti tra i laghetti, qualche breve tratto in piano per rifiatare. Tanta neve imbianca ancora i pendii delle montagne intorno. Infine, l'ultimissimo tratto oltre le casermette militari, quando la Bonette ormai si vede ma è ancora molto lontana. E la coltellata finale nelle gambe, il giro della cima. Ciclisti di ogni ordine e grado affollano la salita, oltre a quelli che partecipano al brevetto; purtroppo, non manca nemmeno il traffico di altro genere, auto e moto a profusione. Bellissimo quassù... Mangio un boccone, mi godo i pochi istanti, un bicchiere di Coca Cola. Bisogna scendere. Fan quasi tenerezza le Ferrari riunite per il raduno proprio quassù: i proprietari, griffati e decappottati, stanno visibilmente schiattando di freddo...

Si torna giù a Jausiers, ventidue km di una discesa interminabile, molto più penosi che nell'altro senso. Le mani, anche se protette dai guanti, sono paonazze e rigide. Tocca poi fare i salti mortali per evitare le auto e le moto dalla guida un po' troppo sportiva. E' ormai primo pomeriggio: saranno all'incirca le 14 quando raggiungiamo Jausiers. Si torna a Barcellonette, ancora senza sole o quasi. Ci siamo meritati una sosta un po' più lunga al ristoro: un buon piatto con un'insalata di pasta, un paio di uova sode, un po' di Coca. Ci attendono il Col de la Cayolle ed il Col d'Allos. Ecco, ho sempre accuratamente evitato di scalare la Cayolle da questo versante: dal bivio son quasi trenta km, in buona parte di falsopiano, non finisce mai. Ma oggi s'ha da fare, quindi via, gambe e ruote in spalla. Si riparte: breve tratto nella periferia di Barcellonette, lungo i campeggi, e poi al bivio si va a sinistra. Non mi è ben chiaro il senso del punto di ristoro piazzato qui, a pochissima distanza da Barcellonette dove ci siamo appena rimpinzati come otri... Ma Matteo lo afferra molto meglio di me e spazzola anche qui tutto lo spazzolabile.

La strada corre lungo il torrente, attraversa le belle "gorges", ma impiega un'eternità a guadagnare quel po' di quota. Tra le curve strette e cieche, bisogna prestare molta attenzione, perché ormai la maggior parte dei colleghi di corsa sta arrivando in discesa. Tengo d'occhio il cielo che, verso la testa della valle, è sempre più grigio; sguardo di penosa ansia ai parabrezza delle auto che scendono, per capire se lassù piove. La valle si apre e rivela una fetta di cielo ancor meno incoraggiante; appena prima del ponte che segna l'ultimo cambio di versante e l'inizio del tratto di salita un po' più decisa, ecco le prime gocce. Faccio finta di non sentirle, ma se n'è accorto anche Matteo... Il freddo si fa pungente; tira vento di fronte e porta via il mio già misero coraggio. Lassù è nero... Gelido e nero. Possibile che io abbia sempre questo terrore del freddo e della pioggia? Rabbrividisco man mano che il vento rinforza. A me la scena pare apocalittica... No no, se le cose si mettono così, io non vado più sul Col d'Allos. Mi dispiace ma quando è troppo è troppo. Poi verrà buio lassù...

Matteo si porta avanti con il lavoro; raggiunge il colle un po' prima di me. Lo trovo seminascosto nel furgoncino dei volontari, in cima al colle, dove c'è solo più un goccio di the caldo. Sono in preda allo sconforto: timbro il cartellino, mi vesto come posso, riparto sotto la pioggia, con la paura di quel che sta per succedere, meteorologicamente parlando. Siamo pur sempre sopra quota 2000, stanchi... E piove.

La pioggia mi accompagna per una decina di km, poi sembra voler concedere una tregua. Quel che basta per regalarmi un po' di fiducia: la discesa "finta", spesso da pedalare, fa il resto e mi infonde un po' di calore. Si torna al punto di ristoro a Uvernet: da lì, comincia l'ultima salita. Beh, formalmente potrebbe non essere l'ultima: se si riuscisse a tornare a Barcellonette entro le 22, si potrebbe proseguire aggiungendo gli altri due colli "minori". Ma, in tutta franchezza, con questo freddo, la minaccia di pioggia e sì, anche la stanchezza, non ne avrei proprio voglia. Le gambe faticano molto già sulla salita del Col d'Allos, che è tutto fuorché micidiale... 17 km, molto regolare, mai davvero ripida. Le luci della sera, le ombre sempre più lunghe. Non mi sarei mai aspettata che il sole si facesse vivo proprio adesso, appena prima del tramonto. Le nuvole si diradano, si dissolvono in un tripudio di sfumature gialle e rosa. La temperatura rimane rigida, ma a questo punto poco importa... Lungo tratto sul versante destro della montagna, poi qualche tornante che ci fa superare l'ultimo scalino. Un gregge di pecore, l'abbaiare dei cani... C'è ancora un collega con noi: siamo proprio gli ultimi. Chissà se in cima ci sarà ancora qualcuno ad attenderci.

La strada è ricoperta da uno scivolosissimo tappeto di sterco di pecore: cadere qui sarebbe una vera, imbarazzante, puzzolentissima tragedia! Osserva Matteo, in discesa sarà bene andar piano onde evitare di ritrovarsi imbrattati fin sui capelli... Povero Matteo, avrebbe potuto chiudere il giro parecchie ore prima, se solo non mi avesse fatto da fedele gregario per tutto il viaggio; avrebbe potuto aggiungere gli altri due colli senza la minima difficoltà. Invece è qui... Mi "abbandona" solo negli ultimissimi km, quando la strada si perde alla vista contro il cielo e il vento rinforza. Lo ritrovo all'ultimo punto di controllo, dove, sorpresa, ci accolgono due madame a dir poco entusiaste. Forse lo sono perché, con noi, si conclude la loro fatica... In realtà risulterebbe esserci ancora un concorrente che deve arrivare quassù, ma probabilmente è un errore... O c'è un disperso. Non c'è più traccia di altri, dopo di noi. Un caffè bello caldo; mi vesto, indosso i guanti, mi lancio verso l'ultima discesa. Incurante del tappeto di guano ovino, vado giù il più in fretta possibile per sfruttare quel poco di luce naturale che rimane: la mia vista, anche con la potente pila frontale che ho, al buio vale quasi nulla. Preferisco andar giù un po' più lercia, magari, ma più sicura. Matteo invece tiene fede alla promessa: mi preoccupo parecchio a non vederlo arrivare...

Percorriamo insieme gli ultimi km alla luce della sua pila frontale, che è davvero avveniristica. Per me, più che un "percorrere", è un trascinarmi... Sono letteralmente congelata. Altro che aggiungere due colli... A stento raggiungo Barcellonette. Al punto di controllo, il volontario ci guarda con terrore. "Vi fermate... Vero?". Lo posso capire: guai se decidessimo di proseguire... Gli toccherebbe aspettarci fino a chissà che ora, domani! No no, non c'è pericolo... Io di qua non mi schiodo più.

Ci tuffiamo entrambi al tavolo del ristoro finale: mannaggia ai Francesi, che razza di menù... La pasta col ragù per me è proibita; resta solo la zuppa di cipolle. E vada per la zuppa di cipolle, doppia dose: almeno è calda. Spazzoliamo famelici le nostre razioni, così come siamo, sporchi e sudati; accanto a noi, i fenomeni già puliti, lavati e cambiati discutono di tempi e prestazioni. Mamma mia. Io non riesco a pensare ad altro che all'agghiacciante idea di andare in campeggio, cambiarmi e lavarmi con questa temperatura... La zuppa di cipolle è rovente ma non vale a togliermi i brividi di dosso. Il brusio tutt'intorno dà alla testa. Il povero Matteo, dopo aver consumato le derrate alimentari delle prossime sei edizioni della rando, deve faticare non poco per convincermi ad alzarmi e ad uscire. Non parliamo poi del trauma di rimettere il deretano sulla sella dopo 220 km e 5.300 m di dislivello in salita, quando non sei più abituato a passare tanto tempo in sella... Quasi diciassette ore, nel mio caso. Un ciclista mi ferma appena prima di uscire; indica la mia bici, chiede se io abbia fatto tutta la strada con quella... Sì, certo. Ma per me non è affatto un problema: attrezzata così, la MTB è forse un po' meno scorrevole della bici da corsa in salita, ma dà una sicurezza impagabile in discesa, dove recupero tutto il tempo perso. Non tornerei alla bici da corsa, nonostante anni ed anni di onorata "carriera".

Per fortuna, la strada per il campeggio, in discesa prima della partenza, adesso è in salita: ci si scalda un pochino. Poi raccolgo quel barlume di lucidità che mi resta per prendere dall'auto tutto quel che mi serve per la doccia ed il cambio d'abito. Ci fiondiamo nottetempo nelle docce: sarà contento il sosia di OJ Simpson, che ha casa proprio al piano di sopra, di sorbirsi il rumore del getto d'acqua. Data la temperatura confortevolissima dell'acqua e la quantità di gelo siberiano da lavare via, la nostra doccia diventa lunghissima.

Passiamo quel che resta della notte entrambi in auto, sistemati alla meno peggio con l'unico sacco a pelo di Matteo, che per fortuna si apre a libro e ci copre entrambi. In effetti, va un po' meglio della notte precedente... Al mattino, il rito dello sgombero della tenda mi ricorda ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, quanto sia più comodo dormire in auto, senza bisogno di aprire, montare, piantare picchetti, smontare, piegare,... Si riparte per l'Italia, ma non ancora per casa. Verso le nove siamo a Vinadio: giù le bici, destinazione Colle della Lombarda. Una luminosa e fredda mattina ci accompagna su per i tornanti, lungo il pianoro, passando accanto al Santuario di Sant'anna, e poi per i chilometri finali oltre al bivio. Anche oggi il sole ci inganna e si nasconde presto dietro alle nuvole: qualche goccia di pioggia, ma ormai siamo al colle; Matteo ci arriva due volte, prima da solo e poi dopo essere tornato a raccattare me. Ammetto di aver faticato molto, dopo la sfacchinata di ieri, e un po' mi dispiace... Ma è fatta; si torna giù lasciandoci la pioggia alle spalle, via in auto. Questa volta, destinazione casa.