domenica 13 ottobre 2013

5 ottobre 2012 - PUNT DEL DIAU ULTRATRAIL

A pochi giorni dal via della gara, risultano in elenco, occhio e croce, trentacinque iscritti. Chissà perché, mi domando. Forse perché a questa manifestazione non è stato dato alcun risalto pubblicitario, forse perché ad ottobre sono pochi i corridori che hanno voglia di cimentarsi su settanta km di corsa ed oltre tremila metri di dislivello. Un'occhiata ai dati dell'anno scorso rivela più o meno lo stesso numero di iscritti, ma una quindicina scarsa di persone giunte al traguardo.
Ammetto di essere un po' preoccupata. Percorso molto selettivo? Maltempo che ha scoraggiato i partecipanti? Mah. Anche Matteo non è così fiducioso...

A Lanzo, alle cinque e mezza, siamo quattro gatti bardati da corsa, sulla piazza centrale del paese. La distribuzione dei pacchi gara dovrebbe aver luogo qui nei paraggi... Ma per ora non ce n'è traccia. Fa freddo, ma non troppo: il cielo è nuvoloso; per oggi si prevede acqua a catinelle. E di certo il mio umore non ha tratto beneficio da questa informazione. Una decina di minuti e, nel buio, si materializza uno dei componenti dell'organizzazione: il piccolo drappello di corridori lo segue in un edificio proprio accanto alla piazza. Siamo pochi intimi: ciascuno ritira il proprio pettorale di gara; poi, ci si riunisce in una saletta per il riepilogo delle informazioni essenziali sulla gara.

Il road book che ci è stato consegnato è molto minuzioso, ma chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la montagna sa che, al limite, per orientarsi servono bussola e cartina, se non un GPS... A patto, ovviamente, di conoscere la propria destinazione. Spero vivamente che, come in tutti i trail degni di questo nome, il tracciato di gara sia segnalato, ma non mi sento affatto tranquilla in proposito. La sensazione è che ci sia una buona dose di approssimazione dietro a tutto ciò...

La partenza è sulla piazza, accanto all'ala in pietra. Il tempo di alcune foto e poi via, lo sparo. Saremo, alla fine, meno di trenta persone, occhio e croce. Partono tutti come saette dietro ai due ciclisti in MTB che ci guideranno nel tratto in città, fino all'attacco del primo sentiero. Manco fosse la partenza di una gara di cento metri piani... Sputo l'anima per non restare distaccata; qui, di segnaletica, nemmeno l'ombra. Devo mantenere almeno il contatto visivo con chi mi precede.

Buio pesto e qualcuno è senza pila frontale: vero che il regolamento specificava che sarebbe stato bene portarla se si fosse previsto di arrivare al traguardo all'imbrunire... Ma non ci vuole un fisico nucleare per capire che, se si parte alle sei e mezza ad ottobre, per giunta con le nuvole, non ci si vede un tubo! Corro a perifiato, prima tra le case di Lanzo, poi in un parco lungo il fiume, poi ancora un ponte. Quando mi trovo a pestare il primo sentiero, comincio a realizzare il dramma.

Dietro di me ci sono altri tre corridori. Io sono in testa, con la pila frontale ed il fascio luminoso che si infrange senza misericordia contro la nebbia fitta e torna indietro. Bosco e prato; il sentiero è una traccia nell'erba, appena accennata. Primo errore sull'itinerario, sia pure di pochi metri, richiamati dalla voce del volontario di guardia. Comincia un pellegrinaggio che ha il sapore di un'odissea... Siamo in quattro, in fila, e chi c'è in testa a battere la traccia? Proprio io, che già in condizioni meteo eccellenti sono cieca come una talpa... Tra la nebbia e gli occhiali bagnati, ogni tre passi son ferma a cercare di capire dove passi il sentiero. Chiamarlo "sentiero", poi, è un complimento del tutto immeritato. Spesso si riduce davvero ad una vaga idea.

All'inizio, individuiamo qualche freccia segnavia blu. Ma dico io... Chi è il genio che ha avuto l'idea di usare il blu? Come può venirti in mente, con la partenza notturna ed il rischio di pioggia, di scegliere per i segnavia il colore blu? Non si vede un accidente! Poi più nulla, solo le tacche di vernice bianche e rosse. Ma i sentieri CAI sono segnati tutti con tacche bianche e rosse, che io sappia. Quindi, in sostanza, potremmo essere su un sentiero qualunque. In effetti, a furia di addentrarci nel bosco, di passaggi malagevoli, di rami in faccia, di fango, giungiamo tutti alla conclusione di essere completamente fuori strada. Qualcuno ha la sensazione di udire delle voci, ma forse sono solo versi di animali... O gli echi degli ululati di Belzebù. Un barlume di luce filtra e ci permette di spegnere le frontali: nebbia, foglie umide e pietre scivolosissime. Un affascinante quadretto autunnale, non fosse che non abbiamo idea di dove ci troviamo. Boh, una traccia di sentiero c'è... Andiamo a vedere dove finisce; alla peggio, ci saremo fatti una gita.

Uomini e donne di poca fede: all'improvviso, la selva oscura ci rigurgita su una strada asfaltata. Miracolo, riappaiono le frecce azzurre! Anzi, qui ce n'è talmente tante, dappertutto, che se non fai attenzione te ne ritrovi una conficcata in luogo indicibile... Diligentemente seguiamo le istruzioni: ripidissima salita verso sinistra. I miei colleghi camminano svelti, tanto che io non riesco a star loro dietro pur corricchiando. Raggiungiamo un abitato; da lì, altro tratto di sentiero, passando accanto ad un obbrobrio architettonico che pare essere un centro benessere o qualcosa del genere. Una SPA per me rimane una Società Per Azioni, ma a quanto pare sono retrograda.

Graditissimo il conforto del primo punto di ristoro: crostata, the caldissimo e qualche lamentela sulla tracciatura del percorso. I tre colleghi prendono il volo, approfittando del mio momento di debolezza: sto combattendo contro i torcetti di cui mi son riempita le mani al ristoro. Il passaggio sul ponte in legno scivolosissimo e la successiva discesa su sentiero lastricato di pietre liscie ed umide fanno il resto: non c'è verso di trovare un appoggio stabile... Cammino come se fossi sulle uova. Nemmeno le efficientissime La Sportiva Raptor, in questo caso, bastano a far presa. Comincia qui la mia lunga galoppata solitaria, sognando la salita e masticando invece infiniti saliscendi nel bosco fitto. Complice anche la giornata nebbiosa, qui di panorama si vede ben poco. Funghi, gocce che piombano in testa e sugli occhiali dalle foglie, la nebbia che sfuma i contorni dei tronchi lisci dei faggi. La salita "vera" arriva molto più avanti ed è davvero impegnativa, grazie anche al fango, che fa sì che si faccia un passo avanti e due indietro. Capita ogni tanto di doversi fermare a controllare la direzione: qui i segnali latitano dinuovo. Ormai so che mi devo aspettare poco aiuto dalle indicazioni dell'organizzazione; quindi, non mi preoccupo se per diverse centinaia di metri non vedo nulla che mi faccia capire che sono sulla strada giusta.

D'un tratto, il bosco intorno a me sparisce: spunto in una radura; una figura umana si muove: "Sta arrivando uno degli ultimi tre!", annuncia a gran voce. "Grazie per l'incoraggiamento", sibilo. Ancora un po' di salita e mi ritrovo sotto la tettoia di un rifugio, ad un punto di ristoro. Qui dovremmo essere a circa 1.600 m di quota e dovremmo andare a 2.000: tuttavia, mi annuncia il responsabile del ristoro, si è deciso di deviarci lungo una strada più o meno in piano, perché "su al lago si son persi tutti", commenta sconsolato. Tra me e me, non fatico a crederlo: se le indicazioni lungo il percorso sono dello stesso tenore di quelle che ho trovato io finora, con questa nebbia campa cavallo! Pare che la vernice usata per tracciare la retta via dieci giorni fa sia stata lavata via dalla pioggia caduta in abbondanza in settimana: ma... Possibile che nessuno abbia controllato ieri o ieri l'altro? E, se qualcuno invece ha controllato, possibile che si sia deciso di mandare su gli atleti lo stesso, con le previsioni meteo che annunciavano per oggi tregenda? I miei sospetti circa il numero esiguo di iscritti si concretizzano...

Al volo, il responsabile del ristoro mi spiega dove devo andare, mentre accarezzo uno dei cani del rifugio. Seguire la strada... In effetti, c'è una bella strada sterrata, molto comoda, in leggera salita. Qui non c'è proprio nemmeno un barlume di indicazione; per quel che ho capito, però, il tracciato di gara originale dovrebbe andare a passare su un colle più avanti, a cui anche questa strada dovrebbe arrivare. Quindi, ai bivi, decido di tener la destra e continuare a salire. In un tratto pianeggiante, mi metto a correre: la decisione non piace ai tre maremmani a guardia di una mandria, nel pascolo alla mia destra ma ben più in alto di me. I tre cagnoni si lanciano ventre a terra verso di me, incuranti dei richiami dei pastori: li vedo venir giù dal pendio erboso come una valanga... Mi immobilizzo: i tre arrivano al limitare della strada, inchiodano interdetti, mi si avvicinano con circospezione. Mi annusano le mani abbandonate lungo i fianchi; riesco persino ad azzardare una carezza. Soddisfatti, tornano sui loro passi... Ed io sui miei. Di lì a poco, un bivio, un altro chilometro di leggera salita ed il colle. Presumo, almeno, che sia questo il colle che devo raggiungere.

Un gruppo di volontarie di guardia resta interdetto: "Hai tagliato il percorso? Gli altri sono arrivati tutti di là", mi fanno. Ehi, un momento, che taglio e taglio... Me l'ha detto il responsabile al rifugio, di passar di qua! OK, aggiudicato... Via di corsa in discesa. Di qui è tutto un susseguirsi di tratti nel bosco e passaggi in borgate e paesini: ancora una volta, una caccia al tesoro. Ormai abituata alla solitudine, quasi mi preoccupo quando sento delle voci alle mie spalle: una coppia di corridori mi sorpassa in discesa. Ma, meno di un'ora più tardi, li vedo nuovamente alle mie spalle: "Abbiamo sbagliato strada...". E chissà come mai.

Approfitto di una delle tante, brevi risalite per controllare il telefonino. Un messaggio di Matteo mi annuncia che la sua gara è già conclusa: era quarto in compagnia di Franco Collè, il terzo classificato al Tor des Geants 2013... Ma si sono persi nella nebbia e, dopo lunghissima peregrinazione, sono tornati al ristoro del km 20, dove hanno dovuto ritirarsi perché già al di fuori del cancello orario in quel punto. Tutto ciò mi sembra davvero fantozziano... Matteo annuncia che tornerà all'auto a piedi, tanto per aggiungere una ventina di km ai quaranta già percorsi. A questo punto, a me non resta che sperare di trovare il traguardo, prima o poi!

Raggiungo un altro punto di ristoro nei pressi di una chiesetta: occhio e croce, dovrebbero mancare circa 25 km... Me lo confermano i volontari. Via ancora, sempre nel bosco, interminabili saliscendi con strappi talvolta anche severi. La nebbia s'è diradata; addirittura sembra comparire qualche sprazzo di cielo. Nei rari tratti in cui la vegetazione si dirada, finalmente si può ammirare un po' di panorama nei colori dell'autunno.

Arrivo, senza saperlo, al ristoro prima dell'ultima salita. Sono convinta di essere ultima, ma non è così: dietro di me ci sono ancora alcuni dei malcapitati, magari anche forti, che però hanno sbagliato strada... L'ultima salita è una strada sterrata, troppo ripida per correre e troppo poco per procedere di passo con una velocità soddisfacente. Per la verità, nel primo tratto di salita io seguo il sentiero attraverso il bosco: ripidissimo, ostico, spaccagambe... Ma le tacche bianche e rosse sono qui! Mi tocca pure attraversare, vicino ad alcuni ruderi di baite, la ragnatela di proprietà di un bestio orrendo e grosso... Glielo faccio presente, al bestio; quello, giustamente, replica: "Ma ti sei guardata allo specchio?". Poi sbuco nuovamente sulla sterrata e cammino, cammino, cammino... In preda ad una profondissima fiacca esistenziale ed al freddo che torna a farsi pungente, insieme alla nebbia, afferro un Mars. Non tanto per l'energia che ne posso ricavare, quanto per il conforto psicologico che deriva da simili maialate alimentari. Invio una caterva di improperi all'indirizzo di chi ha piazzato nel percorso questo tratto... Finalmente, si scollina in un romantico panorama di antenne. Purtroppo, la discesa, se possibile, è anche più odiosa. Un disastro di pietre scivolose, una discesa rognosa che più non si può: sarà la stanchezza, saranno i mille dubbi circa il tracciato, ma sto perdendo la pazienza... Man mano che perdo quota, la nebbia si dirada, ma la luce del giorno si sta ormai affievolendo. Mi assale la paura: e se il buio mi sorprendesse qui? Tra la foschia, gli occhiali bagnati e gli occhi inutili, mi troverei in un bel guaio... Cerco di accelerare, ma più ci provo e più mi inciampo. Occhio Gian, non puoi proprio permetterti di sinistrarti le gambe. Non finisce più questa discesa...

Finalmente, un essere umano, che annuncia il mio arrivo cantando a squarciagola. Ancora qualche centinaio di metri ed incontro l'ultimo banchetto del ristoro: ancora dieci km ed una salita, durissima ma molto corta... Uhm. Lo sapevo che non sarebbe mancata la carognata finale. Sono pronta a scommettere che la salita non sarà l'unica e non sarà nemmeno così breve. Via di corsa: strada sterrata, deviazione, sentiero, deviazione... Su, in verticale. Non c'è che dire, ripida è ripida... Mi arrampico con le unghie e con i denti in mezzo alla vegetazione. Ho il sospetto che questo passaggio sia stato creato per noi, per puro sadismo. Un bel salto di dislivello, per arrivare su una strada sterrata e da qui, di corsa, fino ad un paese. All'uscita dall'abitato, un dubbio: le frecce bianche per terra sembrano indicare una svolta a destra... Per mia fortuna, alle mie spalle arriva un altro concorrente, spuntato dal nulla. Un capannello di madame sulla strada ci indica di proseguire lungo la via maestra. Il collega di sventura è parecchio arrabbiato: era nel gruppo di testa ed è stato uno dei tanti che, a quota duemila nei paraggi di un lago, ha sbagliato strada e macinato un'infinità di km nella direzione farlocca... Ammirevole, da parte sua, la scelta di continuare comunque con le sue gambe fino al traguardo. D'altro canto, a me non può che far piacere l'improvvisa ed inattesa comparsa di un simile gnoccolone, biondo, capelli lunghi, occhi azzurrissimi, alto e con un bel fisicone robusto. Evidentemente il malcapitato riesce a percepire, in qualche modo, il tenore dei miei pensieri... Perché, di lì a poco, evidentemente terrorizzato, mette il turbo e se ne va di corsa. Io, su falsopiano in salita, non posso che lasciarlo andar via. Scoprirò poi, leggendo varie testimonianze su Internet, che dietro di me sono ancora arrivate al traguardo sei persone: tra loro, gente che di norma mi dà ore di distacco... A condizione di capire dove passa la corsa!

Un tratto di strada asfaltata è preludio all'ultimo sforzo: il passaggio sul suggestivo Punt del Diau, a Lanzo, ma soprattutto la salita successiva per rientrare in paese. Aspra e poco gradita alle mie gambe ormai stufe. Ora sì, sta calando il buio; per fortuna ormai è fatta o quasi... Il "quasi" è d'obbligo, visto il giro tortuoso che mi tocca ancora seguire per giungere al traguardo. Quando sei stanco ed infreddolito, bastano pochi metri a far saltare i nervi. L'abitato, una piazzetta, una via stretta... Finalmente: ecco l'ala da cui siamo partiti. Un tavolino, un computer e due volontari: stavolta è davvero finita. Il tempo di ritirare il diploma, bere una birra che sognavo da troppo tempo, saltare in auto, andar via. Anzi, no. Si avvicina al finestrino il bel biondo: urca, che voglia chiedermi un passaggio? Che si sia perdutamente innamorato di me e voglia pregarmi di non andar via? Niente di tutto ciò: semplicemente, ha ritirato il pacco gara, uno scatolone gonfio di ogni leccornia, e mi raccomanda di andare a prendere il mio. Io non ci pensavo neanche più, al pacco gara... Spengo il motore, torno al locale del ristoro finale, ritiro il mio scatolone. Questa volta, davvero, via verso casa: poco più di sessanta km, circa tremila metri di dislivello, dodici ore e mezza, un supplizio! E domani si parte per correrne altri 51 in Lomellina, questa volta piatti o quasi. Coraggio, a casa, a nanna!




giovedì 3 ottobre 2013

15 settembre 2013 - VALLE MAIRA SKYMARATHON

All'alba delle sei, qui a Canosio, tutto tace. L'unico rumore è il ticchettio della pioggia sui vetri del parabrezza: potrebbe anche essere un contorno romantico, se non fosse che tra un'ora mi toccherà partire di corsa... E il ticchettio della pioggia me lo ritroverò sulla capoccia. Tra l'altro, manca un'ora al via e qui intorno tutto tace: il parcheggio è pieno, non c'è più spazio neanche per un francobollo, ma che fine han fatto tutti? Al bar, davanti al caffè fumante, ci siamo solo GP, la barista ed io. Fuori, buio, freddo pungente ed un silenzio irreale.

Mistero presto risolto: basta trovare il coraggio di uscire dal calduccio del locale riscaldato a stufa ed avviarsi verso l'altro edificio, quello destinato a dormitorio e colazione, che io manco avevo notato. Sarà che è più buio di quanto dovrebbe... In cielo non si vede neanche un'idea di stella.
Fioche luci si muovono per il prato. Il viavai dalle brande alle tavolate della colazione: peccato che io abbia già provveduto alle libagioni a casa... A veder quelle invitanti pagnotte, mi verrebbe voglia di fare il bis.

Tra i tanti visi noti, faccio finalmente la conoscenza reale di due personaggi incontrati finora solo a distanza, grazie all'ormai onnipresente Facebook. Paula e Marco... Entrambi corridori, ma lei oggi in versione di assistente preoccupata, reduce com'è da una caduta in gara qualche giorno fa. Quattro risate per stemperare la tensione: per me, oggi, alla paura della gara si aggiunge il terrore del meteo. Vero, sono "solo" 45 km o giù di lì, con "solo" 2.500 m di dislivello... Ma la pioggia ed il freddo possono renderli eterni.

Son già bell'e pronta, ma attendo i preparativi degli altri corridori rannicchiata in auto. Mi sono ostinata ad indossare il micropantaloncino, la solita vanità, ma qui si schiatta di freddo: gambe scoperte sì, ma almeno quattro strati a proteggere il tronco. E, imbecille come sempre, ho dimenticato la bandana. Avrò in premio orecchie congelate ed un solenne mal di testa. Amen.
Qualche decina di metri più avanti, sotto l'arco della partenza, si affollano già i corridori. La voce dell'altoparlante risuona già da qualche minuto. A malincuore, scollo il mio ingombrante posteriore dal sedile dell'auto e mi butto fuori: s'ha proprio da fare.. Qualche goccia di pioggia, ancor più odiosa di uno scroscio: mi tiene lì, in sospeso, pioverà, non pioverà... Per ora, preferisco indossare la giacca impermeabile. Sempre meglio bagnata di sudore, che almeno è caldo, piuttosto che fradicia di pioggia e con la pelle esposta al vento! Non posso neanche guardare quelli che partono in canottiera...

GP mi lancia il solito gesto di incoraggiamento: quanto invidio la sua imperturbabile flemma... Per me, ogni partenza è un'angoscia. Una volta partiti, poi, via, si va... Ma quegli attimi che precedono lo sparo d'inizio sono un'agonia! Finalmente, anche oggi, si corre, ma senza che il sole abbia voluto darci nemmeno il minimo cenno della sua presenza.

Sembra il via di una gara di 100m in pista... Schizzano tutti come biglie del flipper. Il mio destino, invece, è quello dell'ultima ruota del carro... In ogni caso, faccio del mio meglio per correre tutto il corribile, almeno finché siamo sull'asfalto. La pianura, poca, ed anche la salita. Per fortuna, il tratto di asfalto è lungo, anche se a tratti ripido: per me, è l'ideale. Adoro correre sull'asfalto. In capo a pochi km, le posizioni diventano più o meno stabili: "noi delle retrovie" ci ritroviamo, più o meno lo stesso gruppo di persone per un bel po'. Chi accelera nei tratti di falsopiano e poi cammina in salita, chi è più costante, chi trova il fiato per chiacchierare e chi procede in silenziosa meditazione. So che rischio, ad ostinarmi a correre anche i tratti ripidi – o meglio, a fare il gesto della corsa, che poi sulla velocità di progressione ha influenza minima e in compenso disintegra le gambe: mi ritroverò i polpacci duri come i chiodi... Ma in fondo, ogni tanto, bisogna osare. Se non altro, mi scaldo e posso riporre la giacca impermeabile nello zainetto.

Attraversiamo alcune borgate, una più bella dell'altra, alternando tratti di asfalto a tratti di sentiero talvolta anche ripido, prima di approdare su una bella e lunga strada sterrata, un leggero saliscendi che mi fa venir voglia di percorrerlo in mountain bike. Ce la metto tutta, ma sempre con un occhio alla prudenza: conoscendomi, so che qui per me, su terreno davvero comodo, paradossalmente è facilissimo inciampare. Intorno non c'è più bosco né costruzioni, solo il pendio e la vista sui pascoli. Le gambe procedono bene, agili: me ne stupisco... Speriamo che duri; speriamo, soprattutto, che Giove Pluvio abbia deciso di concedere una tregua duratura.

Quando meno me l'aspetto, una bella discesa, in buona parte su asfalto, mi catapulta giù a fondovalle, a superare un ponticello, per riprendere poi la salita dall'altro lato della valle, lungo una strada ripida che presto diventa sterrata. Molto bella, però, anche qui, percorribile in bici. Ci provo, a correre ancora, ma stavolta è davvero troppo. Sarebbe un inutile massacro. Mi rassegno al passo svelto, ma non è svelto a sufficienza: mi sembra che tutti, ma proprio tutti, vadano su senza peso, mentre io mi sento arrancare e soffro, come se le gambe avessero deciso di irrigidirsi, e per giunta troppo in fretta. Il morale precipita a livello dei talloni. Dai Gian, non mollare così... Fino ad ora sei andata bene, hai fatto un buon tempo. Calma e sangue freddo, qui puoi solo camminare. Se c'è chi corre, beh, buon per lui...

Brevi tratti di sentiero, alternati alla strada, mi portano proprio sul piazzale dell'Agriturismo La Meja. Qui non c'è più un albero a pagarlo, siamo in alto ormai; il cielo è livido e soffia un vento gelido. Le orecchie, come previsto, sono talmente ibernate che potrebbero staccarsi da un attimo all'altro... La testa, investita dalle raffiche fredde, batte come un tamburo. Insomma, tutto procede per il meglio. Un po' di corsa e un po' a passo svelto, mi sforzo di far la voce allegra scambiando due parole con una collega di gara. Se non altro, finalmente compare la Rocca La Meja...

I chilometri di strada sterrata sono davvero tanti. Più che un trail, questa è una gara da maratoneti... Non che io me ne lamenti, anzi, la trovo comodissima! Solo, mi rammarico di non avere le gambe per correre... Qui sì, ci sarebbe da correre ogni metro. Se uno non fosse in perenne lotta con la forza di gravità. Troppo lardo da portare su... Riserve per l'inverno!
Il morale, però, stenta a risollevarsi. Va di pari passo con la stanchezza delle gambe, del tutto ingiustificata dopo pochi km. Quanti ne avremo alle spalle? Quindici o giù di lì... Ancora strada, quattro anime che camminano in pochi metri, silenziose e quasi ignare le une delle altre. Il vento rinforza, gelido. La pioggia, per ora, non si fa vedere... Incrocio le dita. Grigio, freddo, sassi. Di corsa attraverso un prato, poi un'idea di sentiero, quasi una traccia che si perde tra le zolle smosse e l'erba. Ce la metto tutta, ma la testa non va... Preoccupazione, paura. Di cosa? Chissà...

Il Rifugio Gardetta compare all'improvviso, dietro una collinetta. Non immaginavo di trovarmelo già di fronte, anche se, poco fa, una volontaria dell'assistenza l'aveva annunciato. Una bella tenda a cupola ospita il primo punto di ristoro: non mi par vero... The caldo, sali a volontà, un po' di frutta secca. Ho una gran fame, dovrei sforzarmi ma non riesco a mangiare. Ma basta questo a farmi riprendere un po' di coraggio. Ce ne vuole tanto, per ributtarmi fuori dalla tenda. Di buon passo lungo l'acciottolato che poi diventa sentiero e sale su al Colle della Gardetta: chissà poi dove ci fanno andare... Passo svelto, più che posso, due chiacchiere con tutti e il colle arriva in fretta... Ma non si svalica? No: si prosegue in falsopiano, fino ad una casermetta, per poi scendere lungo un sentiero sconnesso e ripido. Si torna a passare a pochi metri dal Rifugio: un anello, ecco cosa abbiamo descritto. Giù di corsa, a rincorrere le bandierine ben disposte lungo un tracciato altrimenti incomprensibile, in mezzo all'erba. E sembra quasi che le nuvole vogliano provare ad aprire un varco... Ce la metto tutta per correre, qui e soprattutto sulla strada sterrata a cui si approda di lì a poco. Questa, finalmente, è una strada nota: ci sono già stata più volte, sia a piedi che in MTB. Un lunghissimo nastro di terra bianca, ghiaia e a volte anche pietroni, almeno una decina di km, fino a raggiungere il bellissimo punto di osservazione su Rocca la Meja. Da lì si distacca il sentiero per il Colle del Mulo.

Mi ostino a voler correre tutto il possibile, anche quando l'economia del gesto non lo suggerirebbe. Di tanto in tanto, un'occhiata alla Rocca, che "di lato" sembra un enorme punteruolo e di fronte un'imponente pala. Si vedrebbe anche il Monviso, se solo la giornata fosse un po' meno tetra e nuvolosa. Ma, a furia di contemplare l'infinito e non guardare dove appoggio i piedi, in un nanosecondo mi ritrovo spalmata a terra. Un attimo di oblio e poi un dolore fortissimo: in una sola caduta, sono riuscita a sinistrarmi entrambi i gomiti ed entrambe le ginocchia, per tacere delle mani. Al ginocchio destro, soprattutto, un dolore lancinante... Impiego parecchi minuti a ricacciare indietro le lacrime, vincere il male e rimettermi in piedi; parecchi altri minuti a riprendere un'andatura decente e non zoppicante... Una colata di sangue va giù lungo il polpaccio, ma quello non mi preoccupa, è solo una sbucciatura. Mi preoccupa invece, e molto, il rischio di aver danneggiato il ginocchio. Le mie fide ginocchia che hanno sopportato, fino ad oggi, i più turpi maltrattamenti... Non possono sopportare anche questo!

Il dolore da acuto diventa presenza costante ma più sopportabile. Si fa sentire ad ogni passo, mi ricorda che c'è, ma mi permette di correre. E, di già che conosco bene questa strada, meglio che presti attenzione ai pietroni sporgenti, spesso di taglio, insidiosissimi. Riprendo a correre, ma con molta prudenza. Ora che forse sono un po' più vicina al sogno di diventare istruttrice di spinning, non posso rischiare le ginocchia! Cautela, attenzione a dove metto i piedi. Ad uno dei volontari, appostati in una curva, che mi chiede se io sia caduta, alla vista del mio ginocchio pesto, rispondo " Nulla, solo un graffio"... Fa molto donna d'acciaio la striscia di sangue colato sul polpaccio.

L'altopiano è meraviglioso, peccato non potersi guardare intorno. Il cielo offre persino qualche minuscolo sprazzo di azzurro. O forse è colpa della botta... Eppure non mi pareva di aver picchiato la capoccia. Vorrei ammirare la Rocca la Meja, i pascoli, ma se solo oso staccare lo sguardo da terra sono rovinata. Meno male che il colletto è ormai in arrivo... Brevissima discesa su sabbia gialla e ciottoli, breve risalita ed ecco il tendone del ristoro. Mi basta poco, solo qualche bicchiere di sali ed un po' di frutta secca, poi via: un po' di salita su sentiero, quasi non ci credo... Sentiero sconnesso, probabilmente scavato dall'acqua in questo terreno molto sabbioso. Raggiungo qualche compagno di corsa: parecchi, da qui alla fine della risalita, al Colle del Mulo. Un panorama mozzafiato.

L'ultimo che acchiappo, appena prima del colle, è il buon Filippo, che mi accompagnerà pazientemente da qui al traguardo. Prima un bel tratto di discesa su sentierino, più che mai ostica anche se ormai ho quasi imparato a domare le discese: poi, già in vista dell'alpeggio sulla strada asfaltata, il tracciato si fa più comodo. Ci lanciamo nella chiacchiera selvaggia... E addio competizione.

Breve sosta al punto di ristoro, proprio di fronte all'alpeggio: coccole ad un cuccioletto di cane, qualche boccone e via. Per alcune decine di metri, procediamo sull'asfalto, direzione fondovalle. Poi deviamo a destra per il prato, lungo il torrente, in mezzo ad una vegetazione sempre più fitta ed umida man mano che scendiamo. Le nuvole sembrano voler tornare proprietarie esclusive del cielo: pazienza, adesso può succedere quel che vuole... Mancano pochi km all'arrivo.

Maledico più volte questo sentierino che corre più o meno lungo la strada asfaltata, ma spesso in mezzo alle ortiche, alle piante umide e scivolosissime, alle pozze. Ormai abbiamo perso quota: siamo immersi nel bosco. E la chiacchiera, nonostante tutto, non si placa. Quanto agli argomenti, meglio che intervenga la censura. Almeno fa un po' meno freddo... Di corsa e ancora di corsa, ma senza troppa convinzione, spesso incespicando e tirando giù un buon numero di santi. Come sempre, gli ultimi km si allungano a dismisura... Una fanciulla bionda ci sorpassa come una moto; poco oltre, arriviamo ad un ponticello presidiato da un paio di volontari. Ultimissimo tratto di risalita oltre il ponte, condito da approfondita discussione sul tema del fallimento del matrimonio. Chi per fede, chi per esperienza, entrambi ce ne teniamo alla larga e facciamo il possibile per avvicinarci, invece, al traguardo. Il sentiero corre in mezzo al bosco fitto, fino a confluire nell'ennesima strada sterrata. Infine l'asfalto: solo qui riconosco il terreno calpestato di corsa alla partenza. Una goccia, due gocce: ad un chilometro dal traguardo, comincia la pioggia. Non avrei osato sperare tanto. Pazienza se adesso diluvia. Ultimo sprint e siamo al traguardo, missione compiuta. Ma...

...afferro il telefonino per cercare GP, che non vedo nei paraggi. La mia borsa per la doccia è nella sua auto e qui fa troppo troppo freddo... "Solo chiamate di emergenza". Ma che caspita dici, solo chiamate di emergenza? Stai scherzando, sottospecie di rottame? Ma se stamattina, qui, mi hai permesso di chiamare! E adesso? Dove lo trovo il marrano? Soprattutto, lo troverò prima di ibernare? Sporgo il naso nel locale del pasta party, niente. In zona arrivo, niente. Non mi resta che avvicinarmi all'auto e sperare che sia lì... Mi rifugio sotto la tettoia di fronte al bar, smanettando invano sul telefonino che rifiuta ogni collaborazione. Fortuna vuole che GP sia lì dentro e mi raggiunga. Poverello... Ha un polpaccio grosso due volte l'altro, gonfio a dismisura, per uno strappo o qualcosa di simile, capitato proprio alla partenza... A pochi metri dal via! E zoppica vistosamente... Ciononostante, ha impiegato quasi un'ora meno di me, che pure ho concluso in sette ore e un quarto, per me quasi un miracolo.

Ma la vera sfida della giornata deve ancora arrivare. "Com'è l'acqua?", chiediamo all'ingresso del locale docce. "Guarda, se fosse fredda sarei già contento...". Ecco, mi mancava. GP rinuncia fin da subito... E non posso dargli torto. Io però mi faccio proprio ribrezzo, con tutto il fango che ho imbarcato negli ultimi km. Prendo il coraggio a quattro mani. Perfetto: doccia gelata, porta che non si può chiudere e finestra con ampia vista sul parcheggio. Vista reciproca, ovvio.

L'acqua gelata è un trauma tremendo. Eppure non ho scelta: dirigo il getto un po' di sbieco, mi insapono in fretta e furia, mi risciacquo con gran pianto e stridore di denti. C'è di buono che, quando esco al freddo di questa giornata uggiosa a oltre mille metri di quota, quasi quasi percepisco un senso di tepore. Torno all'auto, dove trovo GP intento a curare il polpaccio con il ghiaccio... E con l'aiuto del papà in divisa da volontario, di assistenza alla gara. Cavoli: ed io che credevo che il figlio fosse la creatura più bella sulla faccia maschile della terra... Devo ricredermi, il papà lo batte!

Pasta party con polenta e formaggio, per me il non plus ultra: poi si riparte verso casa. Ma non prima di aver fatto tappa a vedere una casa meravigliosa sepolta in mezzo ai boschi di castagne della montagna sopra Dronero e, soprattutto, una splendida cucciolata di dieci bellissime palle di pelo, con una mamma simil pastore tedesco giustamente fiera dei suoi piccoli... Ed un'altra cagnotta ancora a fare da zia. Riparto a malincuore, me li porterei via tutti...