tag:blogger.com,1999:blog-78939100884715920572024-03-05T23:53:50.616+01:00Giancarla Agostini"...oggi per me l'esperienza di una spedizione è l'aspetto più importante, e la vetta viene soltanto dopo" - Hans Kammerlander, Malato di Montagnacasahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.comBlogger235125tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-72734926972558744262018-05-15T12:47:00.003+02:002018-05-15T12:47:44.539+02:00NUOVO SITO INTERNETIl blog ha fatto trasloco: troverete i racconti vecchi e nuovi su <a href="http://www.podistidalegare.com/" target="_blank">www.podistidalegare.com</a><br />
<br />
Buona lettura!casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-92071966071166745872018-04-12T01:16:00.003+02:002018-04-12T01:16:25.124+02:001-2 aprile 2018 – PASQUA E PASQUETTA IN VERDON – secondo giorno<br />
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<a href="https://www.blogger.com/null" name="_GoBack"></a>E' già chiaro quando Matteo
ed io torniamo allo stato cosciente, al trillo della sveglia. Mi
sembra di aver vissuto un'esperienza di morte temporanea: ho dormito
come un sasso. In altri tempi di fervore giovanile, mi sarei
imbestialita all'idea di aver già sprecato preziosissimi minuti di
luce: avrei già dovuto essere in marcia da un po'... Ma oggi ammetto
che tornerei volentieri a seppellirmi sotto il caldissimo piumone.
Eppure non si può: resta un allenamento da fare e tanta strada in
auto per tornare a casa, dalle belve.
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La graziosissima padrona di casa ci fa trovare una
lauta colazione, sorvolando sul caffè: in questo caso, essere in
Francia è un elemento di svantaggio. Più che altro, ciò che a me
manca è la componente salata della colazione: abituata come sono a
considerare questo il pasto principale della giornata, sento la
mancanza di un piatto di pasta o di una bella fetta di formaggio. Mi
accontento del pane, del burro e del miele, più un paio di gustose
marmellate, ben sapendo che la colazione dolce cederà presto il
passo alla fame. Su uno dei tavoli della splendida sala da pranzo,
sfoglio l'album delle fotografie che ripercorrono i lavori di
ristrutturazione del casolare in cui ci troviamo: da fienile
diroccato a splendido edificio a destinazione abitativa e turistica.</div>
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<br /><br />
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Il programma della giornata prevede di spostarci in
auto a La Palud. Da lì, partiremo entrambi, Matteo ed io, per il
giro della Route des Cretes, lui in bici ed io a piedi. Poi Matteo,
completato il giro e tornato a La Palud, proseguirà in direzione di
Digne, mentre io recupererò il furgone e lo seguirò, per poi
tornare in Italia passando dal Colle della Maddalena. A tornare dalla
Valle Roja, vista la via crucis dell'andata, non pensiamo nemmeno per
un istante.</div>
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La luce sfavillante del sole inganna: il termometro
del furgone segna due gradi. Due. Cominciamo bene. La faccenda non
migliora molto nella mezz'oretta scarsa che impieghiamo per spostarci
verso La Palud. Bando alle incertezze, tanto si parte in salita. Io
scendo al bivio con la Route des Cretes, circa un km prima di La
Palud: Matteo prosegue con il furgone lungo la strada alternativa che
permette di oltrepassare il blocco dei lavori nel centro
dell'abitato. Così, parto a piedi con un po' di vantaggio. Saranno
solo 21 km, una mezza maratona, ma con un dislivello di tutto
rispetto. Di corsa per i primi km, poi la salita si fa più seria:
non è il caso di sfinire le gambe, che pure stanno molto meglio di
quanto io potessi immaginare. Intanto il sole fa il suo dovere e
l'aria si fa tiepida. I primi turisti, rari, fanno capolino in auto e
camper, mentre io procedo a passo svelto e concentrato lungo i
tornanti di questo tratto di strada che, fin quasi al punto più
alto, è a doppio senso di marcia per i veicoli. Raggiungo il primo
belvedere e mi affaccio sul baratro, ma solo per un attimo. Poi
riparto di buona lena.
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<br /><br />
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Matteo mi arriva alle spalle dopo cinque o sei km
dal mio via. Giusto il tempo di rubargli un pezzetto di focaccia,
perché, come immaginavo, ho già fame. Poi ripartiamo entrambi. Ci
rivedremo lungo la strada per Digne o, alla peggio, proprio a Digne.
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEha3yr30Kv1_jIJGXjjH7p6thZxsjpYVY1wAImqOAyE0H5QftlJE41VysBNfBxSgCev8jwGe7GQ6uWqgPYK7y6pVRY68Rch98XQeogdGrUbJ6T2mqwD42rLb5XkQcIM4iguhyltPHF1-T7x/s1600/DSCF3898.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEha3yr30Kv1_jIJGXjjH7p6thZxsjpYVY1wAImqOAyE0H5QftlJE41VysBNfBxSgCev8jwGe7GQ6uWqgPYK7y6pVRY68Rch98XQeogdGrUbJ6T2mqwD42rLb5XkQcIM4iguhyltPHF1-T7x/s320/DSCF3898.JPG" width="320" /></a></div>
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Settecento metri di salita passano, tutto sommato,
più in fretta di quanto pensassi: tra un belvedere e l'altro,
raggiungo il punto in cui, oltre uno slargo, la strada diventa più
stretta ed a senso unico. Da La Palud, infatti, il giro si può
percorrere solo in senso orario. Decifro per sommi capi il panegirico
scritto su un cartellone: qui siamo oltre quota 1.200 m,mentre il
Verdon è a quota 500 m circa. Quindi, la parete verticale su cui
potrei affacciarmi se solo osassi avvicinarmi al bordo sinistro della
strada è alta più di 700 m. Mi fido, preferisco non controllare,
nemmeno ad occhio. Proseguo attraversando un breve tratto boscoso,
fino a raggiungere il punto più alto, da cui si apre una vista da
brividi su tutto: il canyon sotto di me, il lago, il Mont Ventoux
innevato, l'altopiano. E la strada che corre sull'altro lato delle
Gorges, rieccola. Da qui in poi, alcuni km di picchiata con vista sul
vuoto e l'ombra inquietante degli enormi avvoltoi che hanno preso
residenza qui e volteggiano lenti pochi metri sopra la mia testa. C'è
chi ha piazzato il camper proprio qui, per ammirare l'alba in un
luogo da sogno, e riemerge appena adesso tra lenzuola e cuscini; io
riprendo a correre svelta e decisa, approfittando del lungo tratto di
discesa fino allo Chalet de la Maline ed oltre. Un tornante dietro
l'altro, alcune gallerie scavate nella roccia, la luce del sole
abbacinante. Oggi non c'è un alito di vento; l'asfalto e le pareti
rocciose bianchissime riflettono il calore. Scatto parecchie foto,
prima di arrivare allo Chalet, dove la strada torna ad allargarsi ed
a consentire il transito nei due sensi di marcia. Il piazzale è
affollato di veicoli d'ogni genere, dalle moto ai camper grossi come
pullman granturismo. Da qui partono anche alcuni sentieri. Qui, a
quota più bassa, la strada si incunea nuovamente nella gola ed
alterna tratti di lieve discesa a brevi risalite molto blande.
Stanchezza e sete si fanno sentire: in tutto il giro delle Cretes non
ci sono fontane. Ma non voglio smettere di correre: il giro è breve,
tutto sommato; lo sforzo è sopportabile. Mi rassegno a camminare
solo nel tratto finale, una risalita di circa duecento metri di
dislivello che mi allontana dalle Gorges per tornare al piano di La
Palud, passando, quasi in cima, accanto ad un recinto con alcuni
lama. L'abitato compare, finalmente direi, dopo ventun km dal mio
via: mi concedo il viale d'ingresso al passo, per non arrivare al
furgone e fermarmi di colpo, inchiodando le gambe.
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Mi cambio, mi do una lavata artigianale con un
asciugamano e l'acqua di una bottiglia, faccio un po' di stretching.
Poi arriva la parte più inquietante dell'avventura: guidare il
furgone giù per le curve fino a Moustiers. E da lì fino a Digne, ma
dovrebbe essere più semplice. Secondo Matteo, il furgone è poco più
grande della mia Zafira, dove per “poco” si intende una decina di
cm in larghezza e ben quaranta in lunghezza. In verità, io adoro
guidare qualsiasi mezzo, ma sono molto in ansia quando il mezzo non è
mio...</div>
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Giro la chiave ed il furgone si avvia. Ottimo, chi
ben comincia è a metà dell'opera. Arrivo in paese e riesco,
all'incrocio, a far spegnere il motore, sotto gli sguardi perplessi
degli avventori del bar. Poi però fila tutto liscio, se si vuole
sorvolare sulla cosa spaventosa che creo dietro di me scendendo fino
a Moustiers alla velocità massima dei cinquanta all'ora. Da
Moustiers in poi, in qualche tratto oso addirittura i sessanta
all'ora: Puimoissons e poi via verso Digne.</div>
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Non mi stupisco di non raggiungere Matteo: in
effetti, io sono molto lenta sia a piedi che a motore, quindi è
perfettamente plausibile che a Digne arrivi lui prima di me. Mi
stupisco già un po' di più di non vederlo quando arrivo alla
periferia di Digne. “Sarà in centro, imboscato in qualche
boulangerie”, penso. Proseguo lentamente, scrutando le figure sui
marciapiedi: di lui nessuna traccia. Attraverso il centro di Digne in
direzione di Barcellonette: nulla. A questo punto, parcheggio e provo
a chiamarlo al telefono. Nessun segno di vita dall'altra parte: uno,
due, tre tentativi, nulla. Ok Gian, calma e sangue freddo, adesso
riparti e torni indietro per un po'. Con una certa ansia all'idea di
guidare il furgone nel traffico cittadino, con il mercato e l'isola
pedonale. Arrivo fino al confine della città: nulla. Torno indietro
ancora una volta e ancora nulla, nessuna traccia di Matteo. In
compenso, la Gendarmerie comincia a tenermi d'occhio. Un furgone in
luogo affollato, di questi tempi, è cosa poco rassicurante, ma io ho
intenti omicidi verso una sola persona in questo momento, sempre che
non gli sia già accaduto qualcosa.
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In preda allo sconforto, mi fermo di nuovo. Non so
che fare: l'unica idea che mi viene in mente, con i brividi lungo la
schiena ed i peggiori pensieri foschi, è rivolgermi davvero alla
Gendarmerie e chiedere se per caso abbiano notizia di un incidente
occorso ad un ciclista italiano. Tento ancora una volta di mettermi
in contatto con Matteo per telefono. Incredibile dictu, stavolta il
suo cellulare suona. E lo sciagurato risponde: mi spiega, col
fiatone, che sta pedalando e si trova una decina di km oltre Digne,
verso Barcellonette. Ma non ha potuto avvisarmi perché il suo
cellulare non funziona. Certo. Ovvio. Ci siamo dati appuntamento qui,
tu hai il cellulare che non funziona, quindi qual è la decisione più
razionale da prendere? Proseguire, ovvio, chi non lo farebbe. Riparto
per l'ennesima volta, ma senza più avere misericordia alcuna
dell'acceleratore, mentre tra me e me medito se passargli sopra
oppure passargli accanto e tirare dritto verso casa, lasciando che i
trecento km rimanenti soddisfino la sua voglia insaziabile di
pedalare. Sì, ecco, sarebbe splendido, la giusta vendetta, sadismo
allo stato puro. Passano parecchi km prima che io lo raggiunga,
nonostante la guida in stile curve su due ruote. Quando finalmente ce
l'ho nel mirino, solo per un estremo sforzo di autocontrollo riesco a
seppellire, almeno un pochino, l'ascia di guerra e fermarmi su una
piazzola, permettendogli di salire a bordo, ma non senza fargli
presente quel che penso della sua brillante iniziativa. Ci vorranno
parecchi km ed un bel po' di curve su per la Maddalena, prima che il
mal d'auto intervenga a placare e sovrastare l'istinto omicida, ed un
bel bicchiere di Moscato a casa per riportare la pace. Ma la prossima
volta non mi becca più! Da oggi in poi, l'auto non si schioda più
se non con a bordo tutti i passeggeri, parola mia.</div>
<br />casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-50866683190064903672018-04-12T00:13:00.005+02:002018-04-12T00:14:29.414+02:001-2 aprile 2018 – PASQUA E PASQUETTA IN VERDON - primo giorno<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZdVKWt6Rh7rY44cqoo5p3M1MowXBVz4vPrpoXe1Bd5dhVwpla77vA0FbbRlLikguIrdbQCpW9SLav-MPgFnKr1yllMCli-2qbcqm4LEeueAapkdgPkHkp_RN8VOnWyFHSliwThk5NB0q_/s1600/DSCF3874.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZdVKWt6Rh7rY44cqoo5p3M1MowXBVz4vPrpoXe1Bd5dhVwpla77vA0FbbRlLikguIrdbQCpW9SLav-MPgFnKr1yllMCli-2qbcqm4LEeueAapkdgPkHkp_RN8VOnWyFHSliwThk5NB0q_/s320/DSCF3874.JPG" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
“Non
stai bene?”.<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
“Figurati.
Per me, che patisco qualunque mezzo in movimento da chiunque condotto, questa
meravigliosa sequenza di curve, su da Limone e Vernante e poi giù per la Valle
Roja, con un migliaio di dossi talmente alti che solo Messner potrebbe
superarli senza l'aiuto delle bombole di ossigeno, è una vera goduria”. Lo
penso, ma non lo dico, anche se temo che il mio colorito verdognolo, gli
sbadigli continui ed irrefrenabili, i ripetuti cedimenti ad un sonno breve
quanto profondo lascino intuire qualcosa circa il mio stato confusionale del
momento. Io adoro guidare, davvero, guiderei qualunque mezzo su qualunque
strada, è un piacere quasi fisico, ma non posso pretendere di imporre sempre e
comunque la mia volontà, soprattutto se il mezzo di trasporto in questione non
è il mio. E poi, io amo guidare con la massima flemma, quella del pensionato
col cappello e l'acceleratore fisso sui 30 km/h: ma il viaggio di oggi è già
lungo... Quindi, alla fin fine, è meglio che guidi Matteo. Mi sacrifico.<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Un
breve tratto di autostrada mi concede di tornare temporaneamente allo stato di
coscienza. I gendarmi, schierati in forze al passaggio della frontiera, non
sembrano interessati al nostro furgone: probabilmente abbiamo la faccia di due
che vanno a farsi la vacanza pasquale. Per fortuna non ci fermano per chiederci
le nostre intenzioni: altrimenti, ci arresterebbero preventivamente, in attesa
di accertamenti, perché chi progetta un attentato terroristico è senza dubbio
un soggetto pericoloso, ma anche chi ha in animo di partire per il giro del
Verdon di corsa a piedi non scherza.<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
La
sosta all'autogrill è d'obbligo: scendere dal furgone è un'impresa per cui, in
questo stato, mi servirebbero una corda ed un imbrago. Toccare terra in
posizione eretta è un successo: ora tocca raggiungere le toilette. E qui, il
primo successo della giornata. Dal bagno sulla sinistra esce un omone che
biascica qualcosa facendo segno, sia a me che a Matteo, di entrare nel bagno di
destra. Quello degli uomini. Io rimugino a voce alta: “Quello delle donne non
funziona?”. E l'omone si illumina e ripete, in italiano molto stentato: “Non
funziona!”. E già qui, se io fossi nel pieno possesso delle mie facoltà
mentali, dovrei immaginare che, se un uomo sta uscendo dal bagno delle donne
per entrare in quello degli uomini, non è perché il bagno delle donne non
funziona: semplicemente, è lui che ha sbagliato porta. Ma io raramente sono nel
pieno possesso delle mie facoltà mentali, soprattutto dopo tre ore di viaggio
in dolce compagnia del mal d'auto. Il temutissimo “bergiabau”, come si chiama
dalle mie parti. Quindi, sia pur tra mille titubanze, vinta dall'urgenza della
vescica, entro furtiva come un ladro nella toilette degli uomini. Ma
immediatamente si materializza un inserviente, maschio, che mi cazzia in
francese e mi riconduce sulla retta via, nel bagno delle signore, perfettamente
funzionante. Il fatto che ci entri pure lui è un dettaglio...<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Insomma:
espletate le formalità corporali, riprendiamo il viaggio. Purtroppo. E
purtroppo, di lì a poco, abbandoniamo l'autostrada in quel di Grasse, per poi
affrontare, dopo quindicimila rotonde e relativo sbatacchiamento della
passeggera, la Route Napoleon verso Castellane. Come se non bastasse, Matteo,
di norma pilota calmo, riflessivo ed attento a minimizzare il consumo di
carburante, oggi dev'essere stato colto dal sacro fuoco del pilota di Formula
Uno e prende sistematicamente le curve su due ruote, mentre io non ho nemmeno
più la forza di protestare. Avremmo dovuto impiegare cinque ore di viaggio, ne
impiegheremo sei, sempre che noi si arrivi interi: pazienza...<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
La
mia agonia si conclude una dozzina di km prima di La Palud, al punto in cui la
strada che arriva da Castellane si biforca e, a sinistra, va verso Trigance
oltrepassando il ponte sul Verdon, mentre, a destra, prosegue diretta per La
Palud. Abbandoniamo il furgone su una piazzola: la temperatura, ormai da
parecchi km, non supera i 2-3 gradi, nonostante il sole sfavillante. Optiamo
quindi entrambi, io che partirò a piedi e Matteo che si avvierà in bici, per
l'abbigliamento lungo; io aggiungo anche la giacca antivento, perché sì, spira
anche un vento discretamente gelido.<o:p></o:p></div>
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<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Il
programma di viaggio per la giornata prevede questo: io percorrerò il giro
delle Gorges correndo prima lungo la Rive Droite e poi risalendo per la Rive
Gauche. Matteo partirà per il giro al contrario; mi incontrerà in un certo
punto, presumibilmente intorno al giro di boa geografico del mio itinerario;
poi farà il giro del Lac de la Croix, sempre pedalando; mi raggiungerà una
seconda volta e infine tornerà all'auto. Per me saranno circa 80 km di corsa
con, in sostanza, due punti di assistenza.<o:p></o:p></div>
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<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Sono
ormai le dieci quando ci salutiamo e ci avviamo per i rispettivi allenamenti.
Parto con un certo timore: fa parecchio freddo, tanto per cominciare, ed il
vento s'infila nella giacca. Poi, ho pochi allenamenti lunghi nelle gambe.
L'ultimo, da 77 km la scorsa domenica, è andato davvero bene, ma lì era un
circuito, con assistenza ogni due km. Oggi qui è tutt'altra musica. Quasi quasi
invidio un po' i pescatori appostati sulle rive del Verdon, che scorre alla mia
sinistra. Verdon di nome e di fatto: l'acqua ha un colore incredibile, non
sembra nemmeno reale. Un po', devo ammettere, è anche merito degli occhiali
fotocromatici, mia recente scoperta che ha un ottimo influsso anche sull'umore.
I colori rosso e verde, infatti, con le lenti scure risultano nettamente
accentuati e fanno vedere il mondo a tinte più vivaci del reale, cosa che io
adoro. Supero il ponte che abbiamo passato poco fa in auto: un cartello mi
avvisa che sono sulla “Rive Droite”. Il primo tratto, tutto curve come l'intero
giro del canyon, è di pianura, ma funestato dalle raffiche di vento che, quando
arrivano di fronte, hanno l'effetto di una mano appoggiata sul petto per
fermarmi. Poi la strada prende a salire, impercettibilmente, ma quel tanto che
basta per abbattere il mio morale già sempre provato dai primi km di qualsiasi
percorso.<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Un
cartello, dal ponte, avvisa che la strada è interrotta da lì a 12 km. Più o
meno a La Palud, quindi. Non credo di dovermi preoccupare: penso che la
chiusura non impensierisca chi si sposta a piedi. Alcuni km di salita appena
più marcata, una breve discesa, poi ancora salita, su cui per ora mi sforzo di
correre: ma ci rinuncio ben presto. Passo svelto, più svelto possibile, ma non
sprechiamo inutilmente energie. Il traffico di auto e camper si fa intenso, per
quanto possibile da queste parti: ma la strada sarà poi davvero interrotta?<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Dopo
l'Auberge du Pont Sublime, si comincia a salire, con ampie curve che fanno
guadagnare quota ma mi stroncano le gambe. Non ho ancora preso il ritmo, il
fiato, nulla. Cerco il lato della strada al sole, perché fa freddo anche in
salita. Non ricordo molto di questi chilometri che pure, in passato, ho già
percorso più e più volte in bici: e poi, in auto, in bici o a piedi, le strade
sono completamente diverse.<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Al bivio
per la Route des Cretes, un cartello nella direzione di La Palud ribadisce il
concetto: “Route barrée”. Ma vedo che le auto passano lo stesso, quindi
proseguo la mia stanca corsa. Di lì a poco, appare La Palud, con la malefica
salitella che porta in paese. E qui si svela l'arcano: la strada è interrotta
perché, in centro paese, è stato completamente rimosso l'asfalto. Vedo un
furgone ed un'auto arrampicarsi su per una stradina sulla destra, con pendenza
al limite del ribaltamento: ci sarà un'alternativa... Ma io passo a piedi senza
alcun problema, dritta e determinata verso uno dei punti segnati con vernice
indelebile sulla mia personalissima mappa mentale dei bagni pubblici: la
toilette appena all'uscita dell'abitato, sulla destra, subito dopo la grande
vasca in pietra della fontana. Una delle cose che adoro, dei Paesi confinanti
con l'Italia – perché sono certa che in Francia, Svizzera ed Austria sia così –
è la densità di toilette pubbliche, tra l'altro quasi sempre molto pulite. Da
noi non esistono: si presuppone che le persone siano puro spirito, scevre da
volgari bisogni corporali. E, se esistono, sono in condizioni tali che una
contaminazione da Ebola è il minimo che possa capitare a chi ci mette piede.<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgK7LX4mQL4WvLndM6aIJX9sYavwPh_h4uC8iHZp0WqB8vAUCKMv3KFxmTi8-bMxTacoMn2cZ7SCH-Bubme5ufpUMvDGVlb6CuCQDDseEgKJyxf45QVZEjIYm0uUvcH9COfLpXOWsYKs8np/s1600/DSCF3877.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgK7LX4mQL4WvLndM6aIJX9sYavwPh_h4uC8iHZp0WqB8vAUCKMv3KFxmTi8-bMxTacoMn2cZ7SCH-Bubme5ufpUMvDGVlb6CuCQDDseEgKJyxf45QVZEjIYm0uUvcH9COfLpXOWsYKs8np/s320/DSCF3877.JPG" width="240" /></a>Tappa
in bagno, con calma: ho macinato meno di 15 km, ma mi sento sfinita. Poi
riparto alternando corsa e passo svelto, perché la salita, sia pur blanda,
prosegue ancora per un po'. Nel frattempo, prendo nello zaino la mini-Colomba
pasquale che sbranerò non appena inizierà la discesa. Alla mia sinistra, il
canyon, profondissimo ed imponente, è sempre più vicino. Inizia, finalmente, la
picchiata verso Moustiers, quasi tutta a fianco del baratro, pareti
impressionanti di roccia che si stringono a picco sul fiume. E, all'orizzonte,
la vetta del Mont Ventoux, innevata. Una meraviglia da allargare il cuore.<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Sbocconcello
la colomba a piccoli pezzi: credo siano tre etti abbondanti, con il cuore di
crema di cioccolato. Ho una fame che ne mangerei tre... Intanto, la discesa mi
dà l'illusione di star meglio e procedere spedita, anche se son sempre le gambe
a sostenermi. Gli occhi fissi sul fondo della gola rocciosa e, ogni tanto,
anche sulle vetture che mi arrivano di fronte. Breve pausa alla grossa fontana
in pietra sulla destra, per riempire la borraccia: anche se la temperatura non
è alta, il vento e la corsa seccano la gola. E poi, devo cercare di non patire
la sete, ancor meno che la fame.<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Negli
ultimi km prima di Moustiers, la strada si allontana dal corso del fiume.
Guardando dall'alto, noto evidente un tratto di sentiero che si stacca, un po'
più avanti, dalla strada che sto percorrendo io e taglia drasticamente l'angolo
della rotonda di Moustiers, andando a scendere sulla strada di fondovalle,
proprio accanto al ponte sul Verdon, di fronte al verdissimo lago. Da quassù,
vedo nitidamente tutto il tracciato. Se lo imboccassi, mi risparmierei un bel
tratto di stradone: ma tra non molto dovrei incontrare Matteo che risale dal
fondovalle; rischierei di non trovarlo. Meglio non rischiare. Passo oltre il
bivio del sentiero, con un po' di rammarico.<o:p></o:p></div>
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<br /></div>
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La
parete di roccia lascia il posto al bosco, negli ultimi km prima di arrivare a
livello del lago. Proprio qui, intorno al mio 29° km di corsa, vedo comparire
Matteo che mi sale incontro, in bici. Approfitto per una pausa: da seduta, come
raccomanda sempre l'altra mia fida scorta ciclistica, Ivano. La pausa si fa da
seduti, a riposare le gambe mentre le ganasce lavorano. Uno yogurt, un po' di
focaccia, pane e maionese: e sì... Il tubetto di maionese mi fa compagnia nel
taschino dello zaino: anche se la sola idea fa inorridire quasi tutti i
podisti, io adoro questo alimento maialissimo, che leva la fame e la nausea,
almeno a me. Infatti ho già attinto durante la discesa, in verità. Sì, ho la
fortuna di uno stomaco che digerisce anche i sassi, nonostante lo sforzo.<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Ancora
un po' di the dalla borraccia di Matteo: poi la pacchia finisce. Ci congediamo:
io scenderò giù fino al lago e poi, dopo un tratto di strada più o meno
pianeggiante, attaccherò la risalita verso Aiguines e la Rive Gauche del
canyon; lui farà invece il giro del lago. Ci reincontreremo, probabilmente,
quando io sarò ad Aiguines.<o:p></o:p></div>
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<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Ripartire
dopo una sosta è sempre una tragedia: scricchiola tutto... Per fortuna, c'è
ancora qualche tornante in discesa che mi aiuta a riprendere il ritmo. Alla
rotonda, giro a sinistra. E qui comincio a patire un po' il caldo: sono vestita
con maglia a maniche lunghe, pantaloni lunghi e calze al ginocchio della
Compress, un esperimento. Sono molto comode, in effetti, ma indossarle per una
corsa di una decina di ore forse è stato un azzardo. Amen, ormai è fatta.
Esaurisco in fretta l'acqua della borraccia: qui la quota è bassa e l'asfalto
dello stradone riverbera il sole limpidissimo del primo pomeriggio. Alla mia
destra, il lago, sulle cui sponde sono assiepati camper e tavolini da picnic.
Mi sforzo di tener duro, nonostante la fatica cattiva: è solo un breve tratto,
poi si tornerà a salire e quindi a riposare un po', camminando a passo spedito.
Raggiungo il ponte, sul Verdon, con uno splendido colpo d'occhio dal basso
sulla strettissima gola: ci sono alcune canoe. Ormai al bivio per Aiguines
dovrebbe mancare un chilometro o poco più.<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
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Ci
sono, finalmente. Si svolta e si ricomincia a salire. E quindi, al passo. Su
questa pendenza, un occhio al Garmin, riesco a viaggiare intorno ai 5,5 km/h,
che tutto sommato non è neanche malaccio. Il dolore ai piedi che mi dà il
tormento da qualche mese è spuntato nel tratto di fondovalle ed ha tutta l'aria
di volermi far disperare: soprattutto il piede sinistro. Ogni appoggio è una
fitta sull'esterno: cerco di “storcere” il passo in modo da appoggiare la parte
interna del piede e, soprattutto, cerco di pensare ad altro. Fa ancora caldo e
la borraccia è ormai desolatamente vuota. Il punto critico del giro del Verdon
in effetti è l'acqua: ci sono pochissimi punti in cui è possibile riempire la
borraccia, soprattutto da questo lato del canyon. C'è una fontana ad Aiguines,
ce n'è un'altra prima del Col d'Illoire, ma le distanze a piedi sono lunghe.
Volendo percorrere il giro nella stagione calda, bisognerebbe trovare il modo
di portarsi dietro una bella scorta d'acqua, cosa che, per il podista, non è
facile.<o:p></o:p></div>
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<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Resto
a secco per i sei caldi km fino all'abitato. Ricordo che in paese la fontana c'è,
da qualche parte. Mi piacerebbe anche comprare una bottiglia di Coca Cola in un
negozio di alimentari: ma i negozietti sono chiusi. Sono aperti alcuni bar, ma
c'è troppa folla nei dehors. E' più forte di me: forse non è paura, ma certo il
mio è un profondo senso di disagio quando mi trovo in mezzo a tanta gente.
Preferisco, dopo qualche esitazione, tirare dritto, con la mia borraccia in
mano, a caccia della fontanella. Incrocio i passi di un omone dai tratti
marcatamente nordici, che mi chiede in inglese se io abbia bisogno d'acqua: in
tal caso, ne ha una scorta nell'auto parcheggiata proprio lì. Ringrazio, ma
vedo proprio in questo istante la fontana. L'omone mi chiede dove io sia
diretta: “Devo andare a Trigance”, gli rispondo. Vedo perplessità sul suo volto:
da qui a Trigance ci sono ancora 40 km...<o:p></o:p></div>
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<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Con
la borraccia piena, riparto. Per telefono ho sentito Matteo, che è in dirittura
d'arrivo. La salita qui si fa più ripida, ma ormai io ho il mio passo marziale
che mi porta su senza problemi, una volta placata la sete. Poche curve più su,
ecco Matteo alle spalle. Altra sosta, sempre da seduta, altro pasto caotico,
dal cioccolato al pane con la maionese, passando per gli amaretti ed il the. A
questo punto ho una tale fame che potrei incenerire qualsiasi cosa. 46 km ed un
bel po' di salita alle spalle. Ancora una volta, si riparte. Il programma, a
questo punto, prevede che Matteo raggiunga Trigance in bici entro le sei e
mezza, perché lì è il B&B prenotato per la notte; dovrà prendere le chiavi,
poi andare a recuperare il furgone, indi avvicinarsi con il furgone al B&B,
oppure venirmi incontro un pezzetto, visto che, a quell'ora, anche io non sarò
più molto lontana da Trigance. Programma complicatissimo e che presuppone una
velocità di crociera non indifferente per essere portato a termine, ma il bello
è che, in questo, Matteo è sempre una garanzia. E' sempre più veloce di
qualsiasi previsione.<o:p></o:p></div>
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<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Proseguo
a passo più veloce possibile, mentre, alle mie spalle, arriva una coppia di
ciclisti. Salgono a buon ritmo, ma si fermano ad ogni belvedere: del resto, da
quassù, lo spettacolo è impareggiabile. La strada che ho percorso prima,
dall'altro lato della gola, è talmente vicina che pare di poterla toccare
stendendo il braccio; le pareti rocciose sono impressionanti e paurosi sono i
salti di roccia verticali. Ho già percorso il Verdon più volte in bici, ma
girarlo a piedi è una scoperta, come non averlo mai visto.<o:p></o:p></div>
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<br /></div>
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La
temperatura è già scesa parecchio. Anzi, da questo lato delle Gorges, il sole
al pomeriggio su molti tratti di strada non arriva già più, lasciando il campo
libero al freddo portato dal vento: se non fosse che sono in salita e sto
cercando di menare i piedi il più in fretta possibile, in alcuni tratti avrei
quasi la tentazione di indossare la giacca. E' nettissimo il contrasto di luce
tra i tratti ancora al sole ed i tratti già in ombra. Il Verdon, là in fondo, è
un filo verdissimo, contorto.<o:p></o:p></div>
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<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Il
traffico è intenso, ma sempre cauto: pur con tante auto, tante moto e tanti
camper su una strada stretta e destinata a piloti arditi, oggi non ho corso il
benché minimo rischio. Ovvio: non è suolo italico, questo. Se fossimo in
Italia, avrei già fatto collezione di improperi e colpi di clacson.<o:p></o:p></div>
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<br /></div>
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Ormai
il Col d'Illoire è a poca distanza. Supero la grande fontana sulla mia destra,
ma questa volta non mi avvicino nemmeno, all'acqua: sono già abbastanza
intirizzita. Riprendo a correre, perché, oltre il colle, mi attende una lunga e
comoda discesa in cui sgranchire le gambe. Alla mia sinistra, davvero ad un
tiro di schioppo, abbarbicata sull'altro versante del canyon, la Route des
Cretes, la strada che compie un ampio e panoramicissimo giro partendo ed
arrivando a La Palud. Quello è il programma per domani. Adesso, la lunga
discesa mi porta ad allontanarmi pian piano dal tratto più aspro delle Gorges,
per raggiungere un bellissimo altopiano deserto, punteggiato da pochissime
costruzioni e da qualche gregge di pecore. Memorabile l'incontro con tre
meravigliosi pastori australiani ed un collie, di guardia ad un bell'edificio
in corso di ristrutturazione. I tratti di risalita sono brevi e molto dolci: mi
sforzo di correre comunque o, al limite, di alternare un tot di passi di
camminata ad un tot di passi di corsa. Il traffico è cessato all'improvviso, le
ombre si allungano. Sono io e solo io nel raggio di chissà quanti chilometri:
un silenzio quasi irreale, un paesaggio immobile, una meraviglia.<o:p></o:p></div>
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<br /></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUHDJmpOShQKMoDncf_DhcG8M_0nbKBgBv3DGDGesNBUXRFKzyvhayndeetlFZu22pRERqWohyphenhyphenxWcJUU_8zeKyBsiaufV7lMzRZSFnhx13y1cahu8sQWzZXC_EdVxG1VDmvZND1oXI-HI7/s1600/DSCF3887.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUHDJmpOShQKMoDncf_DhcG8M_0nbKBgBv3DGDGesNBUXRFKzyvhayndeetlFZu22pRERqWohyphenhyphenxWcJUU_8zeKyBsiaufV7lMzRZSFnhx13y1cahu8sQWzZXC_EdVxG1VDmvZND1oXI-HI7/s320/DSCF3887.JPG" width="240" /></a><o:p> </o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Raggiungo
il Pont de Soleils con le luci del tramonto: un gruppo di turisti si sporge a
guardare il vuoto sotto questa struttura eccezionale che congiunge due lembi di
terra separati da una profondissima crepa. Il corso d'acqua sul fondo non è più
il Verdon, rispetto a cui qui mi trovo parecchio spostata a destra, ma
l'Artuby. Scatto qualche foto, mi azzardo ad affacciarmi, ma per me, da sempre
terrorizzata dal vuoto e dalle altezze, non è spettacolo consentito. Ci sono
centinaia di metri di salto da qui al fondo: e pensare che, proprio da questo
parapetto, si pratica il bungee jumping. Esperienza che, nonostante la mia
paura, mi tenta moltissimo: ma tengo famiglia, madre e cani, non posso
rischiare così tanto per un capriccio.<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Meglio
tirare dritto. Oltre il ponte, la strada riprende a salire dolcemente e, da qui
in poi, alterna tratti di lieve risalita a tratti più lunghi di marcata
discesa. Oltre una curva, una folata improvvisa ed inaspettata di vento mi
inchioda, come se avessi picchiato la faccia contro un muro. Subito dopo, due
brevi tratti di galleria buia, che non mi è facile affrontare: le lenti degli
occhiali sono scure per effetto della luce e, senza occhiali, io non vedo un
tubo... Cerco di sollevare bene i piedi per non inciampare e di superare in
fretta l'ostacolo. Di lì in poi, davvero viaggio nel nulla, un paesaggio forse
per certi versi sinistro, silenziosissimo, di bosco e prati senza fine. Ormai
sono le sei e mezza, circa; Matteo non dovrebbe più essere lontano, secondo i
miei calcoli. Faccio i conti con la fame ormai costante e le scorte alimentari
ridotte: trangugio, sempre correndo, una barretta al cioccolato e cocco,
seguita dall'ultimo residuo di maionese che estraggo a fatica spremendo il
tubetto. La strada torna a salire ancora: la pendenza è dolce, ma le gambe
cominciano a sentirne il peso. Forse, più che delle gambe, è colpa di un po' di
sconforto che mi assale a seguito della stanchezza. Venti passi di camminata,
cinquanta passi di corsa, venti di camminata, cinquanta di corsa; mi concentro
su questo e non penso ad altro. Ed ignoro i morsi della fame ed anche della
sete. Ormai sono a quota 65 km: ad onor del vero, i muscoli non sono così
provati come avrei immaginato, però... Insomma, diciamolo pure, ne avrei anche
abbastanza. Ecco. Mettiamola così: potrei correre ancora per un bel po', ma
dovrei prima fare una robusta cena e magari una doccia.<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Coraggio,
Gian, tra non molto arriverà Matteo, con un mezzo o con l'altro. Tento di
capire fin dove la strada andrà a salire, mentre il sole si abbassa e le ombre
si allungano a dismisura. Qui siamo più ad ovest rispetto a casa, quindi il
buio dovrebbe concedermi un po' più di margine. E poi, mal che vada, ho la pila
frontale.<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Mi
superano un paio di auto. In lontananza davanti a me, mi sembra di scorgere una
figura che scende. E' lui, è Matteo, finalmente. Anche se non è molto gentile,
da parte mia, ammetto che, in questo momento, sono felice di vederlo
soprattutto nella sua qualità di portatore di cibarie e conforto... Ha fatto
tutto quel che doveva fare e poi, siccome i 180 km percorsi durante la giornata
non gli parevano sufficienti, ha pensato bene di lasciare l'auto a Trigance e
pedalarmi incontro. Gli chiedo subito dell'acqua: ha di meglio, una
graditissima bottiglia di succo di frutta che ha il sapore di un miraggio.
Basta questo a farmi sentire già meglio, mentre si avvicinano la fine della
salita ed i 70 km percorsi. Sta per calare il buio: Matteo riparte per
recuperare l'auto e venirmi un pezzetto incontro, in modo da farmi lo “sconto”
di qualche km, mentre io proseguo a piedi. In discesa e con lo stomaco
momentaneamente tacitato, sto molto meglio e riprendo a correre di gran
carriera. Qualche km dopo il colle, imbocco il bivio a sinistra in direzione di
Trigance: do fondo a quel che resta delle energie per approfittare della
pendenza favorevole. E' ormai quasi buio quando scorgo i fari del furgone che
si avvicinano. 75 km esatti, neanche a farlo apposta: per oggi possono bastare.<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
Il
B&B è una struttura semplicissima e meravigliosa, così come la camera,
anche se ci vorrebbe una laurea in fisica nucleare per capire come far scendere
acqua calda dalla doccia. E poi la cena, come ai bei vecchi tempi: due belve
affamate all'assalto delle scorte portate da casa, sul tavolino della camera.
Pane, formaggio, crema di cioccolato, insalata di riso in rigoroso ordine
sparso; opera di accurata pulizia delle briciole e perdita immediata di
conoscenza sotto al piumone. Il programma di domani sarà un po' più leggero, ma
si dovrà comunque correre.<o:p></o:p></div>
<div class="Standard" style="text-align: justify; text-justify: inter-ideograph;">
<br /></div>
<br />casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-69033380917447222072018-02-12T23:05:00.002+01:002018-02-12T23:05:51.451+01:0011 febbraio 2018 – SI TORNA A PEDALARE <br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Era da parecchio tempo
che non caricavo più la bici in auto e me stessa in sella alla bici.
Ho pedalato l'ultima volta ben sei mesi fa, proprio il giorno di
Ferragosto, peraltro con esito penoso per me stessa e per i due
tapini che quel giorno mi accompagnavano. Poi, la corsa ha assorbito
tutte le mie energie, anche perché, per la prima volta nella mia
vita, ho deciso di provare ad allenarmi con un po' più di metodo,
affidandomi ai consigli di chi, in materia, ne sa più di me. Non
l'avessi mai fatto: prima, l'euforia del miglioramento e poi, ahimè,
la dura sorpresa del primo, serio infortunio da quando ho coscienza
di esistere. Non certo per colpa dell'allenamento finalmente sensato,
ma della jella che, si dice, al contrario della fortuna, ci vede
benissimo. Ormai da due mesi trascino un fastidioso problema che, a
giudicare da quanto ho letto qua e là su internet, potrebbe
vagamente somigliare alla metatarsalgia: ho provato un po' di tutto,
anche a stringere i denti e continuare a correre, ma ultimamente il
dolore è davvero pungente e le uscite per gli allenamenti sono
diventate una pena. Da una parte, sono quasi sollevata: da che mondo
e mondo, un podista che si rispetti ha almeno un acciacco in corso,
sempre, di cui parlare con malcelato compiacimento e da brandire come
scusa per qualsiasi prestazione al di sotto delle aspettative. Io non
avevo mai avuto nulla, fino ad ora. Mi sentivo quasi un po'
discriminata, diversa. Ora che ho anche io il mio malanno sono
finalmente a posto con la coscienza. Però non riesco più a
correre... Tra qualche giorno andrò a farmi dare un'occhiata da
qualcuno che dovrebbe saperne un po' più di me. Nel frattempo, ho
pensato di sostituire la corsa con l'antico e forse unico vero amore,
la bici.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
In realtà, pedalare è
ciò che avrei continuato a fare con vera passione, se nel mio
percorso di vita e di sport non mi fossi imbattuta in alcuni
incidenti, l'ultimo dei quali avrebbe potuto lasciare conseguenze
molto peggiori di un trauma cranico e della rottura degli incisivi.
Sono passati ormai parecchi anni, ma la paura non è più guarita.
Soprattutto se si tratta di pedalare su strade con un certo traffico.
Oggi, però, potrebbe essere una buona occasione per un ritorno in
sella ovattato: lungo l'itinerario che ho programmato, se ne vedranno
ben pochi, di veicoli a motore.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il parcheggio di
Campetto, accanto al ponte sul Belbo, a metà tra Borgomale e
Castino, alle otto e mezza è deserto. Temperatura, zero gradi, tondi
tondi. Non è che io sia proprio convintissima, intendiamoci, ma
ormai son qui... Tre strati tra maglie e giacca invernale, pantaloni
Assos lunghi e spessi, guanti, calze spesse, plantari morbidi per
l'avampiede, nella speranza che le sollecitazioni dei pedali non
facciano ulteriori danni. Eh, brutta bestia, la vecchiaia. Acciacchi
che spuntano come i funghi in un piovoso autunno. A stento mi ricordo
come si salti in sella, non parliamo poi di ricordare come si
manovrino i rapporti. Ma intanto sono partita. Prima salita in
direzione di Bosia. Poche centinaia di metri bastano a ricordarmi il
motivo per cui, negli ultimi tempi, io mi sia sempre rifiutata di
pedalare in inverno: piedi gelati, irrigiditi e dolenti; mani, idem.
Comincio spasmodicamente a staccare dal manubrio una mano per volta,
aprendo e chiudendo le dita per riportare un'idea di circolazione
nelle falangi; nel contempo, cerco di muovere le dita dei piedi, che
però non hanno proprio più sensibilità. La salita è tutta in
ombra; la luce lambisce appena le cime delle colline dall'altro lato
della valle. Qui in basso è tutto bianco di brina, immobile, cupo.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Pedalo il più agilmente
possibile: l'itinerario di oggi sarà impegnativo e non posso
permettermi di irrigidire le gambe già adesso. Ma i piedi e le mani
fanno sempre più male. Quanto a circolazione periferica, io sono un
vero disastro: le dita non si limitano a diventare fredde, ma
gonfiano e si irrigidiscono, soprattutto quelle dei piedi. E sì che
non indosso più da tempo le scarpe che si agganciano al pedale: ho
un paio di scarpe da corsa, molto morbide sia sulla suola che sulla
tomaia. Con le estremità inferiori conciate male come in questo
periodo, non potrei sopportare nulla di vagamente più rigido.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La salita scalda il resto
del corpo, ma è una pena. Mi maledico mille volte per la mia
sciagurata idea: ma chi me l'ha fatto fare di venire a soffrire così?
Ma come facevo, tanti anni fa, ad uscire in bici in qualsiasi
condizione di temperatura, con ostinazione furiosa?</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mi superano in tutto tre
auto, prima di raggiungere l'incrocio con la strada che scende a
Torre Bormida. Prima, agghiacciante discesa, che affronto come se le
ruote viaggiassero su un tappeto di uova. Il mio terrore della
discesa ha ormai raggiunto il punto di non ritorno, soprattutto
adesso che, con mani e piedi insensibili, non ho sicurezza né
nell'appoggio sui pedali, né nella frenata. Nel dubbio, appena
riesco, afferro i freni e li tengo tirati. Scendo pianino, ma il
freddo penetra immediatamente nel collo, nel tronco, nelle gambe. Qui
un po' di sole arriva, ma è ancora troppo presto. Per ora non riesco
ad ammirare la bellezza della Valle Bormida che si apre qui sotto.
Anzi: un paio di volte mi fermo per scuotere con violenza i piedi, se
non altro per capire se sono ancora attaccati alle caviglie. Di
muovere le dita non c'è modo. E il ghiaietto e l'umidità
sull'asfalto mi incutono una gran paura.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'arrivo a Torre Bormida,
fine della discesa, è una liberazione. Mi immetto sulla strada di
fondovalle, tenendo la destra: pochi km e ci sarà il bivio per
Levice, sulla sinistra. Uno dei pochi tratti di pianura di questa
giornata. Al bivio, svolto ed attraverso il ponte sul torrente
Bormida: finalmente, si ricomincia a salire. Lentamente, con molta
fatica e ancora per lunghi tratti in ombra. Mi fermo ancora una volta
per riattivare la circolazione nelle mani e nei piedi. Il sole inonda
la vallata, man mano che si alza, ma il freddo è ancora pungente.
Breve e dolce la strada che, con alcuni ampi tornanti, sale a Levice:
uno dei pochissimi posti dotati di bagni pubblici puliti ed aperti.
Sarà che qui non c'è proprio mai anima viva... Sono tappe
strategiche, essenziali, soprattutto adesso che la salopette lunga
invernale costringe ad un mezzo strip tease per assecondare le
esigenze “interiori”.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Da Levice, conclusa la
tappa e l'ennesima sessione di massaggio e scuotimento dei piedi,
riparto in direzione di Bergolo. Si sale ancora, ma lievemente, per
alcuni km, in cui approfitto per mangiare la prima barretta della
giornata. Da Bergolo scendo verso Cortemilia, altro momento di gelido
dolore: ad un paio di km dal fondovalle, incrocio Matteo che, partito
da tutt'altra parte, mi pedala incontro. Carico come un mulo di ogni
sorta di mercanzia, tra cui tubo e telefono della doccia da cambiare
a casa mia ed un paio di scarpe da corsa per me, che chissà se e
quando potrò tornare ad usare. Ma lui non fatica, soprattutto se si
tratta di pedalare al mio ritmo. Mi accoglie con un entusiasta “Che
bello rivederti in bici”, a cui io rispondo con un ringhio:
“Tralasciando il freddo porco, il male alle mani ed ai piedi, il
dolore al culo, è bellissimo, senza dubbio”.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Da Cortemilia, inizia un
giro che ho provato domenica scorsa a piedi e che sono curiosa di
mostrare oggi al mio compagno di viaggio. Sperando di ricordarmi i
mille bivi. Superato il ponte sul torrente Uzzone, svoltiamo quasi
subito a sinistra, in direzione di Monte Oliveto. La salita è aspra,
sale con alcuni ripidi tornanti: in un punto, il Garmin di Matteo
segna addirittura il 16%. Breve tratto di requie prima di Perletto e
poi ancora rampe, in salita sulla via Piazze. Guai a tardare a
mettere il rapportino... Si va su per i boschi, con il sole basso che
abbaglia tra i rami degli alberi. Una stradina minuscola, con
pendenza irregolare, tra pochissime case abitate, cappellette e
costruzioni in pietra purtroppo diroccate. Un secco bivio a sinistra,
con direzione Serole, mostra le prime tracce di neve sulla strada:
già, non ricordavo più che in settimana ha nevicato...
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Da qui in poi, molti
tratti di strada sono ingombri di neve. Non per intero: ci si
passerebbe, volendo, comodamente in sella. Infatti, Matteo lo fa. Io
preferisco, in molti casi, scendere e spingere: soprattutto nel
tratto di pianoro più in alto, dove la strada diventa per un tratto
sterrata ed è coperta di neve per intero. Neve, per fortuna, gelata,
che sostiene quasi ovunque il mio peso. Tutto intorno, una distesa
bianca; lingue di bianco a segnare i rilievi dei muretti a secco sui
pendii. Perdo un bel po' di tempo a portare la bici a fianco, mentre
Matteo, alla fine del tratto nevoso, pazientemente attende. Però,
camminare mi aiuta a riportare un po' di sangue fino in fondo alle
dita dei piedi.
</div>
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<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPAPQtuX3qt1GpY42CuMOpsApBOSBuZi3c1RI9VKxIytmzz-UiAFNXsODw2_HsaWOiKUWX_QVDY-mVtzaZminaMvr9QySoM4LdAtIEZvBVAXi3epKWLTEUj2YncAwuEup267xbmHTyryuP/s1600/DSCF3713.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPAPQtuX3qt1GpY42CuMOpsApBOSBuZi3c1RI9VKxIytmzz-UiAFNXsODw2_HsaWOiKUWX_QVDY-mVtzaZminaMvr9QySoM4LdAtIEZvBVAXi3epKWLTEUj2YncAwuEup267xbmHTyryuP/s320/DSCF3713.JPG" width="320" /></a></div>
<span id="goog_484147580"></span><span id="goog_484147581"></span><br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'asfalto riprende in
condizioni migliori, anche se qui, in discesa, bisogna prestare
attenzione al ghiaccio formato sulla strada dallo scioglimento della
neve. Raggiungiamo la strada principale che da Cortemilia sale a
Serole, per due o tre km, non di più: ne approfitto per mangiare un
avanzo di panettone ormai secco. Imbocchiamo poi il bivio a sinistra
per Puschere, dove accumuliamo ancora un po' di dislivello in salita,
un paio di tornanti fino ad un gruppo di cascine. Altro tratto di
discesa: qui la strada, una poderale su cui tra l'altro potrebbero
passare solo gli aventi diritto, è in pessime condizioni. Alcuni
punti sono sterrati, altri hanno visto l'ultima riasfaltatura ai
tempi delle Guerre Puniche. Io, per non saper né leggere né
scrivere, faccio su e giù dalla bici. La strada arriva sul fondo dei
calanchi, sempre in condizioni precarie, ma migliora subito dopo il
ponticello in curva, quando si torna a salire, gradualmente, a
strappi. Soprattutto, si torna al sole. Olmo Gentile è ormai ad un
tiro di schioppo: superiamo alcuni gruppi di cascine e case in
pietra, dove si percepisce traccia di presenza umana – auto
parcheggiate, camini che fumano – ma non si vede né si sente anima
viva.
<br />
<br />
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Attraversiamo il
minuscolo paese di Olmo Gentile, per poi imboccare l'ultimo bivio a
sinistra prima della salita che porta alla torre. Discesa abbastanza
lunga e ripida, con fondo umido ed ingombro di ghiaietto, tanto che
persino Matteo la affronta a freni tirati. Scendiamo per alcuni km e
ci sembra di essere lontani da tutto, come se stessimo andando giù
in un pozzo. Finché la strada asfaltata finisce, ma lo sapevo già.
Due cagnetti bianchi ci tendono un agguato poco convinto. Da qui, un
km e mezzo di sentiero che, ovviamente, è anch'esso ricoperto di
neve. Affrontiamo il primo tratto, per forza, con le bici per mano:
le scarpette da corsa, per me, e le scarpe da bici di Matteo non sono
le calzature più idonee all'uopo... Speriamo di non scivolare. Anche
qui la neve è ancora in parte gelata. Attraversiamo un frutteto,
superiamo un guado: da qui, nella neve e su una pendenza non
trascurabile, è passata un'auto, ci sono le tracce degli pneumatici.
Complimenti per il coraggio e l'abilità di guida: l'avessi fatto io,
mi avrebbero ritrovata al disgelo...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Dal guado, il sentiero
diventa strada sterrata e quasi sgombra dalla neve, perché più
esposta al sole. Si risale ancora qualche centinaio di metri, Matteo
in sella, io sempre prudentemente a piedi con la bici per mano. Fino
all'asfalto. A sinistra, si raggiungerebbe Perletto per via diretta.
A destra, ancora una sequenza di rampe secche, impegnative, che
passano accanto ad alcune case in pietra, ristrutturate, una più
bella dell'altra. La torre di Perletto, sulla sinistra, è molto
vicina e ci dà l'idea dell'orientamento. Ma noi, salendo ancora un
po', arriviamo proprio sotto San Giorgio Scarampi, sulla strada che
da Roccaverano scende a Vesime. Ne percorriamo non più di duecento
metri, per imboccare immediatamente un bivio a sinistra. Lunga e
ripida discesa tutta a tornantini, insidiosa per il fondo stradale.
Qualche tratto decisamente ripido risveglia in me il terrore: lo
affronto a velocità appena sufficiente a tenere la bici in piedi:
anzi, in un punto, addirittura scendo di sella. Ho sempre avuto una
paura invincibile della discesa, sempre; però, andando avanti con
gli anni, la cosa è peggiorata. Oltre ad una certa pendenza, mi
sembra di percepire il ribaltamento in avanti: razionalmente è
impossibile, ma non ce la faccio. Ho davvero paura. Così, finisco
regolarmente per impiegare più tempo a scendere che a salire.
Infatti, per ora, la media del giro di oggi si aggira sui 10 km/h o
poco più...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ancora una volta siamo
sulla strada principale. Destinazione, Vesime, per la tappa
cioccolata calda. Nella speranza ardente che il bar sull'angolo sia
aperto... Matteo mi precede: quando lo vedo fermo davanti alla
vetrina, mi rincuoro. Una cioccolata densa e buonissima: peccato che,
anziché una tazza, ce ne vorrebbe una vasca da bagno colma...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ritemprate un pochino le
forze – io cominciavo ad avvertire furiosi i morsi della fame –
ci avviamo per l'ultima fatica, mentre il cielo, fino ad ora di un
azzurro prepotente, comincia a velarsi di grigio. Direzione
Cortemilia per un km, più o meno, e poi bivio a destra per Scorrone.
Salita ormai nota, assai cattiva, con rampe molto impegnative e pochi
tratti di recupero. La collina, con questa luce cupa, mostra il suo
aspetto più severo; nemmeno più il conforto di un raggio di sole...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il lupone meraviglioso, a
guardia del cortile di un'azienda agricola, mi accompagna con i suoi
latrati verso l'ultimo tornante in salita della giornata. Si
scollina, si svolta a sinistra, direzione Castino. Per arrivarci,
ancora qualche km di odiosa leggerissima salita: sarà che, per oggi,
ne ho proprio abbastanza... Ultimi tre o quattro km di discesa
decisa, su strada ampia ma per me un po' più angosciante perché,
qui, qualche auto passa. Stoicamente non ho più voluto fermarmi per
indossare la giacca antivento: arrivo giù che sono rigida come uno
stoccafisso. Circa 72 km e 1.800 m di dislivello: per oggi può
bastare. Non mi resta che portare la temperatura dell'abitacolo della
Zafirona al calor bianco e pazienza se Matteo ben presto comincia a
mostrare segni di disagio: chi osa protestare sarà scaricato ed
abbandonato lungo la via. Uomo avvisato...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-87762775855018490882018-02-04T20:38:00.000+01:002018-02-04T20:45:29.498+01:004 febbraio 2018 - DI CORSA TRA CORTEMILIA, PERLETTO, OLMO GENTILE<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Era già da qualche tempo
che, a furia di percorrere il giro Cortemilia – Serole –
Roccaverano – San Giorgio Scarampi – Vesime – Cortemilia, in
bici ed a piedi, scrutavo con curiosità i bivi con le stradine
laterali che si inerpicano su per la collina e spariscono nel fitto
dei boschi. Più volte mi sono ripromessa di andare a piantare il
naso nel misterioso interno del quadrilatero di strade.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'occasione è arrivata
per vie traverse. A gennaio ho tentato, con poca convinzione,
l'Ipertrail della Bora: gara di corsa in montagna che prevedeva, tra
le altre cose, di seguire il tracciato esclusivamente per mezzo
della traccia GPS. Non che fosse un obbligo di regolamento, ma era
una scelta obbligata, a fronte dell'assoluta inutilità pratica delle
cartine fornite per il percorso. Tralasciando il triste epilogo del
mio trail, mi è rimasta l'esperienza – molto traumatica sul
momento, per me completamente digiuna di navigatori da escursionismo,
ma decisamente interessante una volta elaborato il lutto – della
navigazione con GPS cartografico. Matteo mi aveva prestato il suo
Garmin 800 da bici, per l'occasione: beh, il giocattolino mi è
piaciuto così tanto che ho deciso di tenermelo, immaginando subito
una buona quantità di interessanti usi. Primo tra tutti, proprio
l'itinerario con partenza da Cortemilia ed esplorazione solitaria dei
meandri delle stradine più nascoste.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Elaboro il percorso, in
formato idoneo ad essere trasferito al GPS, sul sito Openrunner. Un
itinerario quasi circolare che prevede il passaggio a Perletto, da
lì alla frazione Cuniola di Serole, poi ad Olmo Gentile, fino al
confine con San Giorgio Scarampi, indi ritorno a Perletto e
Cortemilia, ma in modo da viaggiare sulle stradine che Google Maps
traccia come minuscoli spaghettini bianchi. Un azzardo, se vogliamo:
non so neppure se si tratti di strade asfaltate o sterrate, se siano
effettivamente percorribili o magari per qualche ragione sbarrate. Ma
non sarebbe un gran danno, in ogni caso: non sarò mai così lontana
dall'auto da non poter serenamente tornare indietro ed avrei comunque
sempre il riferimento del quadrilatero di strade principali. Il mio
giro dovrebbe prevedere 41 km per circa 1.100 m di dislivello, nei
limiti della precisione del sito internet.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Così, domenica mattina,
sempre più tardi di quanto vorrei, causa organizzazione, nutrimento
e sistemazione di tutta la caninità di casa, mi metto in viaggio per
Cortemilia. Eh sì, a casa ho il mio paradiso, in senso sia
paesaggistico che sentimentale, ma a meno di un'ora di auto ne ho un
altro, diverso ma altrettanto suggestivo. Il termometro segna 4 gradi
sotto zero mentre, da Alba, salgo verso Benevello, poi giù verso il
freddo pungente del fondovalle Belbo, ancora in ombra alle otto del
mattino, in questa stagione. Altra salita verso Castino ed ultima
discesa verso Cortemilia, mentre la radio passa una canzone che mi fa
drizzare le orecchie. Scoprirò poi che si intitola “Io voglio
vivere”, dei Nomadi: un ritornello che mi si incide subito in mente
e mi farà compagnia per tutto il viaggio.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
A Cortemilia, mi sforzo
di non dimenticare, come mio solito, qualcosa di fondamentale in
auto, con il risultato che chiudo la Zafirona, ripongo la chiave
nello zaino, poi la riprendo, riapro l'auto, ripetendo la litania per
ben quattro volte. Ora dovrei avere tutto: giacca, riserva alimentare
(panettone, fontina e cioccolatini assortiti), borraccia, batteria di
ricambio per il GPS, cavo per la batteria, guanti. E, al polso,
l'altro GPS Garmin, quello per rilevare il percorso fatto e creare la
traccia ex novo. Mai stata tanto tecnologica in vita mia! Parto con
la giacca Goretex sopra la tuta, che pure è già pesante: la
temperatura è gelida, sarò in ombra per un po' e tira una leggera
aria pungente. Traccia GPS avviata, si parte.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Supero il ponte sul
torrente Uzzone, poi imbocco la seconda via a sinistra. Breve tratto
in piano in mezzo alle palazzine, poi la salita comincia subito sotto
la Pieve di Monteoliveto, sede dell'Ecomuseo regionale dei
terrazzamenti e della vite. La stradina, via Perletto, prende quota
tra i muretti a secco su cui crescono gli ulivi: un'immagine più
ligure che piemontese, non fosse per la temperatura, anche se le
cascate gialle di forsizie fiorite fanno ben sperare per
l'avvicinarsi della primavera. La pendenza è significativa ed io,
l'ho già capito, non sono al massimo della forma, che poi, anche
quando è al massimo, è ben misera. Depongo subito le armi: in
salita, oggi, si cammina, sia pure di passo più svelto possibile.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Le abitazioni si diradano
man mano che sale la quota. La vista spazia sull'altro versante della
valle, dove riconosco la strada da cui sono scesa, quella che va a
Castino, ed anche la temibilissima salita di Castel Martino. Il sole
illumina già il mio percorso, ma è ancora pallido e freddo. Il GPS,
che tengo d'occhio, per ora mi conforta sulla direzione da prendere.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Poco più di tre km di
salita impegnativa mi portano a Perletto, che per la via principale
di fondovalle sembra molto più lontana. La sua torre a pianta
quadrata è già in vista, sul cocuzzolo della collina. Ma non entro
in paese: la traccia sullo schermo del GPS indica una brusca svolta a
destra, ad angolo retto, subito dopo un paio di meravigliose case in
pietra. Via Piazze: il cartello si vede solo una volta imboccata la
strada, che comincia subito con una ripida strada in salita.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La pendenza rimane
significativa per un buon tratto, mentre la stradina si fa largo tra
querce e faggi. I primi raggi del sole che si alza creano suggestivi
giochi di luce. Io continuo a camminare più che altro: percorro di
corsa i brevi tratti a pendenza minore o pianeggianti, ma il fiato
manca ed il petto duole. Non c'è verso. Godiamoci la giornata. Qua e
là, abitazioni e ciabot in pietra, purtroppo spesso abbandonati ed
in parte crollati, ed una vista splendida sulla vallata che sale a
Serole, in cui il colore dominante, in questa stagione, è il marrone
delle foglie secche. Bellezza aspra, severa, tutto intorno il
silenzio. Molti sosterrebbero con disprezzo che in questi posti non
c'è nulla: è vero ed è uno dei motivi più forti per cui li amo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La strada prosegue
seguendo le curve delle vallette, a volte ancora immersa nell'ombra e
ricoperta di brina, a volte già al sole. Fa un freddo che taglia la
faccia, al punto che, più volte, mi viene il dubbio di dover
indossare la giacca. Ma resisto: tra non molto, andrà meglio...
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
In alto, i boschi
lasciano il posto a pendii coltivati. Intorno all'ottavo km,
l'asfalto finisce. Rimane una bella strada sterrata, molto agevole,
in perfette condizioni di fondo, almeno per ora, con il terreno
gelato. Pozze di ghiaccio qua e là. Ma sono cinquecento metri, non
di più: oltre lo scollinamento, ricomincia l'asfalto. Si scende, si
attraversa una minuscola frazione in pietra, si percorre un lungo
tratto a mezza costa che porta sulla strada principale tra Cortemilia
e Serole. Pochi km di leggera salita, che mette a dura prova la mia
fiacca e soprattutto i miei piedi, da un paio di mesi doloranti nella
parte anteriore in modo parecchio penoso. Ogni passo, soprattutto in
salita, è una staffilata, anche se ormai mi ci sto quasi abituando,
non avendo trovato rimedio. Ho acquisito un'andatura in salita a
piede piatto che dev'essere orrenda a vedersi, ma più o meno mi
consente di procedere e limita un pochino la spinta sull'avampiede.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Appena prima dell'abitato
di Cuniola, un bivio sulla sinistra e l'indicazione per Puschere. Si
ricomincia a salire seriamente e, quindi, a camminare. Un paio di
tornanti, un gruppo di edifici, cascine. Nel cortile, c'è un uomo
che lavora. La seconda persona che incontro in una dozzina di km
abbondanti. Sulla mia destra, una cima costellata di antenne: sarà
quello il Monte Puschere? Controllerò sulla carta. Proseguo oltre le
cascine. Qui, la traccia GPS giunge utilissima: io avrei proseguito
dritto, mentre il marchingegno mi intima di girare a sinistra, in
discesa. E' una strada poderale con divieto di transito, esclusi soci
e residenti: pazienza, non credo di arrecare danni o fastidi passando
a piedi. Ora che sono in quota, davanti a me vedo la torre di Olmo
Gentile ed anche quella di Roccaverano. Sembrano entrambe molto
vicine, in effetti lo sono, in linea d'aria.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Anche qui, piccoli gruppi
di case e cascine, tutte rigorosamente con muri in pietra su cui si
inerpicano edera e glicini. Qualche traccia di presenza umana c'è:
finestre aperte, auto in cortile, camini che fumano. Ma non muove
nulla, non si sentono voci. Solo qualche latrato di cane. Rapidi
tornantini in successione, poi la strada piega verso destra , fa una
curva stretta su un ponticello: siamo sul fondo di una sorta di
canalone, con pareti quasi verticali. Il primo tratto, finora, in cui
ci si sente effettivamente lontani dal mondo ed un po' sperduti. Ma
qui si impone una sosta: ho bisogno di bere, visto che non ho ancora
toccato la borraccia, e di mangiare qualcosa. Un pezzo di panettone,
per esempio. Ma lo zainetto va riorganizzato, perché così non ci
siamo. Tiro fuori tutto e rimetto sul fondo la giacca, più in alto i
generi di conforto alimentare. Così, rinvengo anche una banana che
avevo dimenticato di avere nella scorta. Vada per banana e panettone.
Perdo un po' di tempo: purtroppo, con le dita intirizzite ed
irrigidite, anche le mosse più semplici diventano un'impresa.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
C'è una pace infinita
quassù. Quiete e silenzio. Mi risuona ancora in mente la canzone di
questa mattina: “Io voglio vivere / ma sulla pelle mia/ io voglio
amare e farmi male...”. Ecco, tutto questo per me è vivere. Ed
anche farmi male, senza dubbio. Non me ne andrei più.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Oltre il ponticello, con
l'asfalto un po' sconnesso, si torna a salire leggermente. Alterno
tratti di corsa e passo, maledicendo ogni tanto i piedi. Si risale
dolcemente tra bosco e rare abitazioni, sempre affascinanti, tutte
con lo stesso stampo, pietra, archi e muri severi. E muretti a secco
ovunque a sostenere le viti ed i noccioleti. Il cielo si sta
coprendo; il grigio avvolge tutto il panorama di boschi punteggiati
di piccole frazioni.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Un altro bivio che
azzecco grazie allo strumento. Vedo sulla sinistra un sentiero un po'
nascosto, che potrebbe essere utile per una sosta tecnica. Ma sì,
perché no? Qui non c'è anima viva, finora ho incrociato quattro
auto in quasi venti km... Abbandono la strada e mi sposto un po' nel
bosco. Improvvisamente, un suono di allarme: ossignur... Che succede?
Avrò mica invaso una segretissima base militare? Mi guardo intorno
cercando di capire cosa possa aver prodotto quel sibilo: ma è il
GPS... Sullo schermo campeggia la scritta perentoria: “Fuori
percorso”. Mamma mia, ragazzo... Sei utilissimo, credimi, mi piaci,
ma non cominciare a rompere le palle perché, parola mia, ti
catapulto nel Bormida, chiaro?</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Dicevo, appunto: fin qui,
ho incontrato quattro auto. La quinta, naturalmente, arriva proprio
mentre io sono lì con la parte migliore di me in esposizione. Va bé
che il fitto del bosco probabilmente mi nasconde ed il nero della
tuta mi mimetizza, ma... Provo un certo disagio, ecco. Quindi,
accelero le operazioni e mi rimetto in marcia.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Olmo Gentile è ormai ad
un tiro di schioppo. Un paio di rampe tra le case del minuscolo paese
e ci arrivo, proprio mentre sul sagrato della chiesa si riversa,
all'uscita della messa, credo l'intera popolazione: quindici persone,
ad occhio. Mi voglio rovinare, venti.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Rapido passaggio in
centro paese; imbocco subito il bivio a sinistra che picchia giù
verso il fondovalle, come ordina la mia guida elettronica. La
stradina è ripida ma con ottimo fondo: dovrebbe essere quella che
Matteo aveva tentato di percorrere in bici, salvo poi dover risalire
non potendo proseguire sullo sterrato. Ancora muri in pietra,
cappellette, archi, poche abitazioni. Quanche cane è l'unica traccia
di vita.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'asfalto, in effetti,
finisce all'interno del cortile di una casa. Ma la traccia GPS
prosegue su un tratto sterrato in mezzo ai noccioleti, sconnesso,
ghiaioso, poco più di un sentiero. Km 23,5. Vediamo quanto è lungo
questo pezzo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il fondo migliora dopo
circa cinquecento metri, diventando una bella strada sterrata fino ad
un guado in cemento. In questo pianoro sul fondo dell'imbuto, dove il
sole non arriva neppure adesso che è alla massima altezza, c'è una
splendida abitazione in pietra, a due piani, con un giardino molto
curato, ma al momento apparentemente deserta.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Oltre il guado, si
risale, ancora su sterrato, con un paio di rampe in mezzo al bosco.
Vedo tracce di pneumatici: probabilmente, più avanti si andrà a
sbucare su qualche strada. Infatti, così è: dopo poco più di un km
e mezzo di strada sterrata, mi reimmetto sull'asfalto, prendendo a
destra in salita. Si torna su, con alcuni tratti ripidi che percorro
al passo, prima tra le cascine e poi solo più tra noccioleti e
boschi, con qualche tornante, fino a superare una spalla di collina.
Sono un po' giù di morale, molto stanca, troppo per lo sforzo finora
affrontato, e tormentata dal male acuto ai piedi. Ma la vista di San
Giorgio Scarampi mi rincuora.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Non arrivo alla strada
principale tra Roccaverano e Vesime, che pure è lì a poche decine
di metri. Proseguo, oltre un bivio a sinistra, come raccomandato dal
GPS. Cinquecento metri quasi in piano e poi giù per una lunga e
sinuosa discesa, molto veloce, con la torre di Perletto in bella
vista sulla sinistra. Sono quasi al km 28. A questo punto, dovrebbe
finire la prima delle due tracce GPS. Ho dovuto suddividere il
percorso in due tracce perché, sul sito di Openrunner, la versione
gratuita del programma consente di utilizzare un numero limitato di
punti con cui tracciare il percorso... Ed un itinerario così
frastagliato ne richiede parecchi. Così, seleziono la seconda
traccia e riparto. O almeno, credo di seguirla... Il GPS mi chiede se
io voglia raggiungere il punto di partenza di questa traccia, che
secondo i miei calcoli dovrebbe essere proprio alla fine della
precedente. Ingenuamente, rispondo di sì e mi fido della freccia
bianca che compare lungo la strada, anche se avrei dovuto immaginare
che quella freccia bianca, assente nel precedente tratto di strada,
probabilmente non era lì per indicarmi la retta via.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Fino ad un certo punto,
la strada è giusta per forza: c'è solo questa... Scendo giù giù
fino a fondovalle, dove vedo un bivio che però ignoro, perché la
freccia mi guida altrove. In effetti, Perletto è così vicina sulla
sinistra ed io me ne sto allontanando... Qui so dove sono, strada
nota: percorro un paio di curve della strada principale tra
Roccaverano e Vesime e poi devio a sinistra, lungo la stradina che
corre a fianco del Bormida. Quanta acqua! L'ultima volta che sono
passata di qui era il periodo della grave siccità della scorsa
estate; il letto del torrente era asciutto.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Quando arrivo nei pressi
della strada che porta a Perletto, la freccia bianca mi intima di
girare a destra ed oltrepassare il ponte. E qui casca l'asino. Se
facessi così, andrei a finire sulla noiosissima strada principale
tra Vesime e Cortemilia: l'ultima cosa che ho intenzione di fare. Io
credevo soltanto di aver caricato la seconda traccia: in realtà, il
GPS mi sta portando alla partenza dell'unica traccia che “sente”,
cioè la prima, quella del percorso già completato, che partiva da
Cortemilia. Mi sta conducendo a Cortemilia dalla via principale.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Poco male. A sinistra si
va a Perletto. Probabilmente, avrei dovuto arrivarci da una strada
diagonale, ma non importa. Mi arrampico su per la via Ponte,
l'accesso primario al paese, con tanta fatica e pena nonostante la
pendenza davvero minima. Le gambe sono dure, pesanti, ed il fiato è
sempre più corto. Il cielo ormai plumbeo, minaccioso di pioggia, non
aiuta. Però, nell'angolino in alto a destra dello schermino, vedo la
traccia di questa mattina, che da Perletto dovrò ripercorrere a
ritroso fino a Cortemilia. E vedo la freccia che mi dice via via dove
sono io. Comodissimo. Anche in paese non incrocio più di un paio di
anime.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il nome di Perletto mi è
noto da molto prima che cominciassi a frequentare questi luoghi per
ragioni sportive. Ci abita una collega, o meglio una ex collega di
mia mamma di cui sentivo spesso parlare, da ragazzina. Erano
particolarmente in simpatia reciproca. Chissà dove abita di preciso.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Una rotonda, la bella
torre imponente alla mia destra e poi il cartello per Via Piazze.
Ecco, ci siamo. Mi allontano dall'abitato fino a raggiungere
l'incrocio in cui stamattina, giungendo da Cortemilia, ho svoltato a
destra in salita. Ormai manca poco a Cortemilia, quattro km scarsi.
Meno male, ammetto mestamente.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ancora una brevissima
risalita, poi giù, con pendenza decisa e passo molto meno. Incrocio
una signora in compagnia di una ragazzina e di un cagnetto: come mio
solito, non posso fare a meno di fermarmi ed accarezzare il cagnetto,
a cui faccio due complimenti. Riparto, niente più soste: rivedo
l'agriturismo sulla sinistra, il B&B poco più avanti, ricompongo
mentalmente tutti i dettagli notati all'andata, anche se ora non ho
più necessità di rassicurazioni. Anzi, posso anche spegnere il
marchingegno. Arrivo di corsa fiacca fin sotto Monte Oliveto e poi
fino al ponte sul torrente Uzzone. Basta, direi, per oggi. La
Zafirona è sempre lì in paziente attesa: si torna a casa, cinque
ore e mezza di marcia per 41 km e circa 1.100 m di dislivello totale.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
A casa, appena entro,
superato l'assalto in massa dei cani, mia mamma esordisce: “Ti
ricordi quella mia ex collega, la Michela? Quella che adesso abita a
Perletto? Mi ha telefonato poco più di un'ora fa. Ha detto di averti
incontrata mentre era a passeggio con la nipote ed il cane, ma ti ha
riconosciuta solo dopo che sei ripartita”. Ecco, per la serie, come
è piccolo il mondo. Ma soprattutto: meno male che oggi non ero
impegnata in una missione segretissima...</div>
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgDVXK5OnKwW4KfEliHKpJZkgAP8KDvkuTwUCVORrxOs2_JX9qgbAS-mFdARI3Qdj2VQ_L_z2sFTsrgOMXwstVshO7w5s1fAdgK5v22Y55zqRrctnclWeoUQ3r48y51WSjYDmc4lqjrcOV6/s1600/DSCF3679.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1200" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgDVXK5OnKwW4KfEliHKpJZkgAP8KDvkuTwUCVORrxOs2_JX9qgbAS-mFdARI3Qdj2VQ_L_z2sFTsrgOMXwstVshO7w5s1fAdgK5v22Y55zqRrctnclWeoUQ3r48y51WSjYDmc4lqjrcOV6/s320/DSCF3679.JPG" width="240" /></a></div>
<br />casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-13719461514291291712018-01-21T20:33:00.000+01:002018-02-04T20:39:08.483+01:0021 gennaio 2018 - DI CORSA TRA LE VALLI UZZONE E BORMIDA<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Inutile nasconderlo: lo
sanno anche i sassi, che io non ho mai avuto un buon rapporto con la
discesa. La temo. In bici, soprattutto, ma anche a piedi e talvolta
persino in auto. Quel che è strano è che la temo a volte più, a
volte meno, dipende dai giorni. Non tanto dalla condizione del
sentiero o della strada, dal meteo o da altri fattori che sarebbe
anche logico considerare, no, dipende proprio da me. Ci sono giorni
in cui non ci faccio quasi caso e giorni, come oggi, in cui una sorta
di ansia inspiegabile mi fa fare le curve, giù da Borgomale prima e
da Castino verso Cortemilia poi, ai quaranta all'ora, con le unghie
conficcate nel volante. Il fatto che la temperatura sia sotto zero
non giustifica la mia scarsissima fiducia nella stabilità della
Zafirona. Mi sembra di viaggiare sul sapone: la sento proprio, l'auto
che scivola, anche se in realtà non c'è un tubo che scivola. Come
potrebbe? Sono quasi ferma... Per fortuna, a quest'ora della domenica
mattina, da queste parti c'è ben poco traffico. Non c'è nessuno che
mi mandi al diavolo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
A Cortemilia, parcheggio
nella piazza principale del paese. Zero gradi, precisi.
Ciononostante, alle otto e mezza, c'è un discreto viavai dal vicino
supermercato: sono sorpresa, come se poi fosse normale partire, alla
stessa ora, per un giro di corsa da cinquanta km. A ciascuno il suo.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Indosso già in partenza
la giacca in goretex, perché fa davvero freddo. Ed io invecchio,
divento pigra e lamentosa, soffro il freddo ed il caldo come non mai.
Guanti, bandana, zainetto con le vettovaglie: tutto pronto. Si parte,
in leggera salita, lungo la strada della Valle Uzzone. Un bellissimo
cielo azzurro promette bene, nonostante qua in fondo il sole non sia
destinato ad arrivare presto. I primi venti km del giro, circa, mi
sono chiari: devo risalire la valle, sempre sulla strada principale,
in direzione di Cairo Montenotte, fino a scollinare al bivio per
Dego. Il resto sarà un'avventura. E' Matteo che mi ha proposto e
preparato l'itinerario: peccato che questa mattina, con il solito
tempismo, la stampante abbia rifiutato di collaborare. Così, tutto
quel che ho è un foglietto di carta su cui ho scarabocchiato, più o
meno, la traccia, i bivi da imboccare e quelli da evitare. Speriamo
basti.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
I primi chilometri sono
un'agonia. La leggera pendenza in salita non aiuta il morale né il
fisico. Mi porto dietro, da alcuni giorni, un senso di fiacca
imbattibile, che stamattina più che mai si fa sentire. Mi distraggo
con i panorami che, per me, sono di una bellezza struggente: boschi,
poderi coltivati, muretti a secco; il sole, proprio davanti a me,
basso e violentissimo. Ma le gambe sono pesanti e rigide, il fiato
manca. E ben presto si affaccia la fame. In effetti, né la cena di
ieri sera, né la colazione di questa mattina sono state all'altezza
delle mie pantagrueliche abitudini. Fame, di quelle serie. Ma ho
l'arma segreta, sperimentata solo di recente e subito promossa ad
alimento prediletto per le lunghe distanze. Continuo a correre e
sfodero dalla taschina sullo spallaccio un goduriosissimo tubetto di
maionese, come se fosse un gel: qualche ciucciata e lo stomaco, per
il momento, è fuori combattimento, con gran soddisfazione del
palato. Pezzolo Valle Uzzone, primo paese; Castelletto Uzzone, il
secondo. C'è purtroppo un gran viavai di cacciatori: speravo che la
caccia fosse già chiusa, invece pare di stare a Beirut. Non posso
evitare una sosta tecnica, ma mi apparto con circospezione e
rapidissimamente.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
I km scorrono e la fame
torna prepotente a farsi sentire. Il morale, nel frattempo, è
scivolato sotto i tacchi: faccio una tale fatica a portare avanti il
mio corpaccione, che più volte medito di tornare indietro e lasciar
perdere, per oggi. Mi incoraggio con un proposito: comprare un pezzo
di focaccia o un po' di pane, qualcosa di concreto e voluminoso, non
appena troverò una panetteria. Già: fosse facile. Un cartellone mi
appare, quasi per magia, con la pubblicità di un fornaio: peccato
che sia a Castelletto, cioè già alle mie spalle. Mestamente
proseguo, passi brevi e faticosi, corro per modo di dire. Pochissime
auto, quiete, silenzio, solo qualche abbaio qua e là dai cortili.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Alle prime case di
Scaletta Uzzone, mi fermo per togliere la giacca: il sole finalmente
è salito abbastanza da illuminare direttamente anche la strada; si
sta un po' meglio. Intanto, un anziano si avvicina alla recinzione di
un piccolo cortiletto ed allunga la mano verso due cagnolini, che
abbaiano festosi: ritiro la giacca, rimetto lo zainetto in spalla,
passo e li saluto, tutti e tre. Provo a deviare verso l'interno del
paese, casomai ci fosse una panetteria. Il mio stomaco incrocia le
dita. Macché: vedo solo una sorta di locanda, con alcuni avventori
che, al mio passaggio, battono le mani sui vetri e salutano: in
effetti, non credo si vedano molte podiste da queste parti, in una
gelida mattina di gennaio... Proseguo: all'uscita del paese, trovo un
piccolo negozio di alimentari, davanti a cui campeggia un cartello di
cartone con una scritta a pennarello nero: “Chiuso il 21/01
mattino”. Ma che fortuna. Pazienza. Mi terrò la fame. E poi, è
evidente che si tratta solo di una sensazione: non è possibile aver
fame, trangugiando maionese.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Al bivio, mi reimmetto
sulla strada principale, che comincia a salire più decisa. Per un
breve tratto, mi metto a camminare, per riprendermi un po' e mangiare
senza soffocare una chicca di altro genere: uno Snickers, barrettona
di cioccolato suino, caramello ed arachidi. Poi riprendo a correre,
per una questione di principio: piano, pianissimo, ma non posso
mollare già adesso...
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Man mano che prendo
quota, la temperatura diventa più confortevole, anche se i tratti di
strada in ombra sono ricoperti da uno strato di brina. Alcuni
tornanti mi fanno guadagnare rapidamente quota. Nelle poche case
sparse nei paraggi della strada, ora fervono le attività,
soprattutto di potatura. Rumori di motosega e falò accesi.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Arrivo al bivio:
proseguendo per questa strada, andrei a finire a Cairo Montenotte.
Invece, devo girare a sinistra, direzione Dego e Santa Giulia. Il
panorama che si apre allo scollinamento è spettacolare: una vista
ampia e limpidissima sulle montagne della Liguria, con le pale
eoliche sui crinali in piena attività. A vederle di qua, sono
tantissime.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Finalmente la strada
concede un po' di tregua. La salita, lunga e faticosa, mi ha
inchiodato le gambe, soprattutto perché, ultimamente, combatto con
un dolore ai piedi che mi costringe a correre, anche in salita, con
il piede piatto, per limitare al massimo lo sforzo sulla punta. E' un
movimento innaturale, goffo e faticoso, ma tant'è. In un tratto in
leggera discesa, supero un'auto parcheggiata, con una coppia ferma
vicino all'imbocco di un sentiero. Pochi passi e la signora esclama:
“Non le fa niente, eh!”. Non mi fa niente, cosa? Mi fermo, mi
giro: un meraviglioso lupone cecoslovacco sta correndo amichevolmente
verso di me. Mi basta fargli un cenno per vedermelo letteralmente
volare addosso: baci, coccole, un turbinio di peli. I suoi padroni
sono molto sorpresi: di solito, il loro cane incute timore... Può
darsi, ma non certo a me! Né il lupone, né il piccoletto che lo
accompagna, un botolo vagamente simile ad un Jack Russell. Mi stacco
a fatica e malvolentieri dall'abbraccio peloso: devo proseguire... Ho
percorso venti km o poco più; non sono nemmeno a metà. E chissà
che ora è. Il Garmin, volendo, me lo potrebbe rivelare, ma...
Preferisco non saperlo. Immagino di essere in clamoroso ritardo sulla
tabella di marcia, anche se una tabella di marcia non esiste. Mi
raggiungerà Matteo, partito in bici da Genova, più avanti, ma sa
Santa Giulia in poi saremo comunque sulla stessa strada; mi troverà
per forza.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Qui la strada alterna
parecchi saliscendi, correndo in mezzo a vallate di boschi fittissimi
e poche, sperdute, meravigliose cascine. Le gambe mal tollerano le
risalite. Sono sempre tra i cinquecento ed i seicento metri di quota,
con uno splendido panorama di cocuzzoli e torri in cima ai cocuzzoli.
Ora, quassù, fa decisamente caldo, persino troppo per lo spessore
della tuta che indosso, con maniche e pantaloni lunghi. Tra l'altro,
ho bell'e finito l'acqua, già da qualche km. Non sarà facile
trovare, in pieno inverno, qualche fontanella aperta.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Supero l'abitato di Santa
Giulia e proseguo. Almeno, mi sembra la cosa più sensata da fare,
per quel poco che posso capire dal mio geroglifico. Non ci sono molte
alternative. Certo, se avessi la cartina, saprei orientarmi un po'
meglio con i punti di riferimento nei dintorni, ma pazienza, speriamo
bene. Tengo la sinistra; attraverso la frazione Gorra e continuo a
salire. I muscoli delle gambe sono proprio stufi: induriti,
affaticati dal dislivello e dalla fiacca pregressa. La strada
prosegue deserta, bellissima, sempre in quota. Prendo nota,
mentalmente, di due bivi con stradine che scendono a Scaletta Uzzone
ed a Castelletto Uzzone, due paesi in cui sono passata prima: saranno
per forza strade che “tagliano” la collina, da andare ad
esplorare. Anche perché qui è bellissimo, non c'è un'anima.
Qualche rara cascina qua e là, ma non si percepisce segno di
presenza umana. E il sole, quassù, scalda anche in pieno inverno.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Arriva un messaggio di
Matteo: “Dove sei? Io sono a Dego”. Dove sono. Buona domanda. Mi
guardo intorno: sono nel nulla eterno, in questo momento. Ho passato
da poco la frazione Gorra, ecco, tutto quel che gli so dire. Nessuna
risposta. Avrà capito: del resto, se mi ha proposto questo
itinerario, significa che lo conosce, presumo. Ingenuamente presumo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La stradina d'un tratto
finisce, immettendosi su una strada appena più grande. Nessun
cartello che indichi alcuna località, né a destra né a sinistra. E
la mia cartina non è di grande aiuto. A sinistra si sale, a destra
mi sembra si scenda leggermente; il panorama, da qui, non mi aiuta a
capire dove mi trovo. Anche se so di non essere molto distante dalla
strada che scende verso Cortemilia con ampi tornanti. Che fare?
Proviamo a sentire Matteo; magari ha qualche dritta. Lo chiamo: non è
che ci si capisca molto, però, perché la strada da cui provengo, da
lui suggerita nell'itinerario, gli è ignota. Da qui la mia
ingenuità: avrei dovuto presumerlo... Beh, a questo punto tiriamo la
monetina. Vada per la sinistra. Mi incammino, un po' di corsa stanca,
un po' di passo. La strada sale ed io sono abbastanza fiacca, per non
dire cotta. Ho anche molta sete: non c'è stato verso di trovare
acqua.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Un tornante e qualche
curva più avanti, ecco svelato il mistero. Sono al Todocco. Però,
per quel che mi ricordo dalla cartina che non ho potuto stampare, e
per quel che mi ero segnata sugli appunti, al Todocco non avrei
dovuto arrivare. Richiamo Matteo: ora so dove sono, ma devo capire
dove andare per evitare che lui finisca in Valle Bormida ed io in
Valle Uzzone o viceversa. Responso: torno indietro al bivio, un paio
di km. Si doveva andare a destra. Ma la deviazione non è stata vana:
qui c'è una fontanella e c'è pure l'acqua. Riempo la borraccia,
mentre un morbidissimo micio fiducioso mi si struscia tra le caviglie
e va a bere nella vaschetta ai piedi della fontana. Tracanno un bel
po' d'acqua: come mio solito, ho dimenticato in auto la bustina di
sali e mi devo accontentare. Poi riparto, stavolta in discesa. Lungo
tratto prima in leggera discesa, poi in piano, fino all'incrocio con
la strada che, a sinistra, scende a Cortemilia. Ancora un incontro
sgradito con le squadre dei cacciatori, riunite a fine battuta:
passo, li ignoro. Proseguo in direzione Cortemilia per qualche
centinaio di metri: poi, l'itinerario prevede di imboccare un bivio a
destra, per Serole. Una stradina piccola, con una grata in metallo
all'inizio. Eccola, è senz'altro questa. Passo accanto ad alcune
cascine e proseguo, in leggera discesa, finché squilla il cellulare:
è Matteo che mi chiede dove sia. Arriverà tra pochissimo. Ripongo
il telefono nella tasca dello zaino e, come al solito, faccio
inavvertitamente partire un tot di altre chiamate, oltre a cambiare
la lingua del dispositivo da italiano a tedesco. La tentazione di
catapultare l'aggeggio in fondo a qualche burrone è fortissima.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Matteo arriva, in
effetti, dopo pochi minuti, in bici, carico come un mulo. Proseguiamo
insieme per qualche km di questa meravigliosa stradina ancor più
nascosta e sconosciuta, con vista a perdita d'occhio sulle colline,
finché si arriva ad un incrocio che già conosco: a sinistra si va a
Serole e poi Cortemilia, dritti si va a Roccaverano. Ecco svelato
l'arcano.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Breve pausa, da seduta,
mangiando un pezzo di focaccia ed uno di pandolce genovese che Matteo
rinviene nei bassifondi dei suoi bagagli. All'orizzonte si vedono le
pale eoliche, sul crinale. Poi si riparte ancora: dovrebbero mancare
circa dieci km alla conclusione del giro. Ci sarebbe stata, per la
verità, ancora una deviazione al Monte Puschere, ma direi che, per
oggi, ne ho abbastanza.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Scendiamo ancora insieme
a Serole, minuscolo grumo di case, un gioiellino, dove so che c'è
una fontanella. La scommessa è se sia aperta o meno. Attraversiamo
la piazzetta deserta: in una nicchia nel muro in pietra, eccola lì.
Matteo è scettico, ma la fontanella butta acqua. Provvidenziale.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Fatto entrambi il pieno,
torniamo sulla strada principale. Leggera salita, fino alla frazione
di Cuniola: mamma mia, mi sembra l'Everest... Va bene essere stanchi,
ma qui si esagera! A questo punto, Matteo prosegue: scenderà fino a
Cortemilia, risalirà a Castino, da lì giù fino al ponte sul Belbo
e ancora in salita fino a Benevello. Mi attenderà lì, dove io
arriverò comodamente in auto. Per me, a piedi, la discesa su
Cortemilia è ancora lunga. Però è dolce, accompagna il passo
piacevolmente e mi lascia godere ancora un po' del sole primaverile e
del paesaggio collinare. Mi intrigano le stradine che si staccano
sulla mia destra: mi riprometto di andare in esplorazione, prima o
poi, perché sono certa che conducano da qualche parte, non solo alle
frazioni sperdute su per i boschi.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La pendenza della discesa
si accentua negli ultimi km prima di Cortemilia. Incontro poche
persone a piedi, due passi per smaltire i pranzi domenicali: gli
ultimi tornanti, fino al ponte ed alla piazza centrale. Cinquanta km
tondi, neanche a farlo apposta. E, sulla piazza, il distributore di
carburante più economico che abbia visto nei paraggi. Come non
approfittarne?</div>
<br />casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-44468987502946530672017-08-06T21:48:00.000+02:002017-08-06T21:55:20.627+02:008-9 luglio 2017: GRANFONDO FAUSTO COPPI RUNNING (E LA BICI DOVE L'HAI LASCIATA?)<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'idea è nata all'alba
di un lunedì mattina di fine maggio in autostrada, in viaggio da
Cesenatico verso casa, con il sonno, la stanchezza e la soddisfazione
della mia settima Nove Colli Running consecutiva portata a termine,
sia pure per il rotto della cuffia. Mi si è accesa una lampadina,
anzi, un faro da stadio: “Perché la Nove Colli Running sì e la
Fausto Coppi Running no?”
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
A beneficio di chi non
bazzica di ciclismo, o di podismo, o di entrambi, mi sembra doveroso
spiegarmi meglio. La Nove Colli più conosciuta è senz'altro la
corsa ciclistica, su un percorso di circa 200 km ed oltre 3.000 m di
dislivello distribuiti su nove salite, con partenza ed arrivo a
Cesenatico. Sullo stesso tracciato e nello stesso fine settimana, si
corre anche, ormai da parecchi anni, l'omonima versione podistica, a
cui mi presento fedelmente da otto anni. Il mio primo tentativo, nel
2010, si è arenato al km 150 circa, ma i successivi sono andati
tutti a buon fine. Sommato tutto ciò alle mie due o tre presenze
alla corsa ciclistica, negli anni precedenti, direi che posso ambire
alla cittadinanza onoraria.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La Fausto Coppi è una
manifestazione solo ciclistica, per ora; si snoda su un tracciato di
177 km con quattro salite di tutto rispetto, tra cui il Colle dei
Morti, anche noto con il nome più “vendibile” di Colle Fauniera,
ad oltre 2.400 m di quota. Si parte da Cuneo, a pochi km da casa mia.
Da qui la domanda: “Perché la Nove Colli Running sì e la Fausto
Coppi Running no?”.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'idea mi è parsa subito
talmente squinternata che la mia sola capoccia, pure squinternata
assai, non sarebbe bastata. Sarebbe servito l'aiuto di un'altra
capoccia ancor più scombinata della mia, con il primo vantaggio di
qualche anno di esperienza in più nel ramo “follia e dintorni”
ed il secondo, pesante, vantaggio di un filo diretto con gli
organizzatori della granfondo ciclistica cuneese. “Senti Ivano...
Ma secondo te a quelli della Coppi potrebbe interessare una versione
podistica? Io sono disposta a far la prova, ben volentieri!”. E'
stato più o meno come buttare un cerino in una bottiglia di alcool,
ma non avevo dubbi. Ad Ivano invidio profondamente alcune doti di cui
io, purtroppo, non sono provvista: la faccia tosta e l'incrollabile
determinazione nel calpestare gli altrui attributi fino ad ottenere,
per sfinimento, quello che vuole. Non oso neppure immaginare la
persecuzione che abbia messo in atto nei confronti dei componenti
degli organizzatori della granfondo, non certo per ottenere un
impossibile riconoscimento “ufficiale” di una corsa a piedi di
tanta portata nel giro di un mese e mezzo – la Nove Colli Running è
a fine maggio, la Fausto Coppi nella prima metà di luglio) – ma
per far sapere, diciamo così, che ci sarei stata anche io, senza
bicicletta.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Sapevo inoltre che,
lanciata la palla ad Ivano, il mio compito sarebbe finito lì, fino
al giorno della gara. Avrebbe provveduto lui a tutto il resto. Così
è stato. Ivano il Terribile si è immediatamente arruolato come uomo
assistenza pre, durante e post corsa. Ha studiato il percorso per
un'ipotetica futura gara ufficiale a piedi, che io avrei dovuto
sperimentare con una sorta di edizione zero, sia sulla carta che di
persona. Ha scovato stradine alternative nei tratti iniziale e finale
di gara, per risparmiare ai podisti lo strazio ed il pericolo del
passaggio sugli stradoni principali senza tuttavia aggiungere km. Ha
elaborato un ipotetico programma orario dei passaggi nei punti
chiave. Si è persino procurato il mezzo di trasporto più adatto
alla situazione, un agile scooter estorto al legittimo proprietario,
non voglio neanche sapere con quale minaccia. E due maglie ufficiali
della granfondo...
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Così, alle otto e mezza
di sabato 8 luglio, eccomi in Piazza Galimberti a Cuneo, messa di
fronte alle conseguenze della mia pensata e del tutto inconsapevole
di ciò che andrò ad affrontare. Come sempre, del resto: se fossi
consapevole, non ci proverei nemmeno. In piazza fervono i preparativi
per la corsa ciclistica, che partirà domani mattina alle sette. Ci
sono già i gazebo dove verranno distribuiti i numeri di gara, gli
espositori di bici e materiale da bici, qualche ciclista ansioso che
già si aggira a chiedere informazioni. Avrei in programma di partire
alle 9, ma un quarto d'ora prima esaurisco la pazienza. Accendo il
Garmin, saluto i presenti che mi guardano con aria interdetta e
preoccupata per il mio stato mentale e parto.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Canotta e pantaloncini
corti, null'altro. Mi attende, secondo le previsioni meteo, una
giornata molto, molto calda. Del bagaglio non ho bisogno: tra poco mi
raggiungerà lungo la strada Ivano, che sta finendo di sistemare il
necessario per il viaggio, vestiario e cibo. Con passo cauto, mi
allontano dalla bellissima piazza cuneese verso il Viadotto Soleri,
in direzione di Cerialdo. Toh, guarda. Credo di aver percorso un
centinaio di volte il viadotto in auto e parecchie volte in bici, ma
a piedi mai. La vista è una meraviglia, peccato per le reti
metalliche, come se bastasse una rete a scoraggiare chi ha deciso di
buttarsi di sotto. Il traffico di auto è già intenso; per fortuna
c'è il marciapiede. Alla fine del ponte, svolto a sinistra e poi
subito a destra: comincia qui il lungo tratto di pianura, quasi
rettilineo, fino a Busca, con lo sfondo della corona di montagne
vicinissime, ma dai contorni sfocati per via della calura. Questo è
il primo dei tratti alternativi rispetto al percorso della GF
ciclistica. Le bici percorreranno domani la strada statale, che per
il loro passaggio sarà chiusa alla circolazione delle auto. In
previsione di una corsa a piedi, che per ora esiste solo nella mia
immaginazione e nelle mie gambe, occorreva pensare ad una variante
meno trafficata, onde evitare di passare dalla condizione di podista
a quella di birillo, vista purtroppo la disposizione d'animo
dell'automobilista medio nei confronti di qualsiasi altro occupante
della strada, peggio che mai se non dotato di almeno quattro ruote.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Per il momento il caldo
sembra tollerabile; si percepisce persino un alito di vento. Ben
prima della località Passatore, arriva alle mie spalle il rumore di
un motorino che rallenta. Eccola qua, la scorta. Mi ritrovo subito in
mano una bottiglietta d'acqua e ne “ordino” un'altra di the,
quando si arriverà alla prima fontana. Ho messo nel bagaglio alcune
bustine di the solubile, alla pesca ed al limone, risorsa utilissima
a cui non avevo mai pensato. Ivano riparte a caccia di acqua;
speriamo bene... Ha indubbiamente un talento innato per la guida di
qualsiasi mezzo a motore, ma sarà dai tempi ormai dimenticati della
scuola che non guida un motorino. Meno male che ci attende un
percorso con poco traffico.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Procediamo così, ad
elastico, per tutto il lungo rettilineo fino a Bosco di Busca, mentre
il sole si alza e comincia ad incattivire. Nei giardini delle case
affacciate sulla mia strada è tutto un fervore di tosaerba,
tagliasiepi e decespugliatori. Il rettilineo termina all'incrocio con
la strada tra Busca e Caraglio, dove svolto a destra sbocconcellando
il primo panino al formaggio della giornata, seguito da una
minilattina di Coca Cola. La mia scorta ha uno spacciatore di fiducia
di lattine che conterranno si e no un bicchiere di bibita.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Appena prima di Busca, ci
separiamo, per via di un senso unico che la moto non può percorrere.
E qui mi rendo conto che la mia disorganizzazione può diventare, per
me stessa, davvero pericolosa. Benché io abbia percorso queste zone
in lungo ed in largo, in auto ed in bici, chissà quante volte, non
mi sono minimamente preoccupata di dare un'occhiata alla cartina
della gara e mi sono fatta un'idea completamente distorta, nonché
assurda, dell'itinerario da seguire per raggiungere l'imbocco della
Valle Varaita. Attraverso Busca senza l'assistente, che ha deviato
alla ricerca di una fontanella per riempire la borraccia, ma poi,
anziché seguire la logica direzione per Costigliole Saluzzo, giro,
non so neanche io perché, verso Dronero. Macino così almeno un paio
di km, sempre più preoccupata perché non vedo arrivare la mia
scorta. Fuori dal paese, però, mi rendo visivamente conto che
qualcosa non quadra: mi ritrovo la montagna a destra, quindi dalla
parte sbagliata. E' bene che torni sui miei passi. Ma dove sarà
Ivano? Mi starà cercando. Non ho nemmeno il telefono, ho lasciato
tutto a lui. Che fare? Beh, non è che ci sia molta scelta. Torno
indietro, raggiungo la strada principale e rimango lì, sperando nel
colpo di fortuna di incontrarci.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La sorte è dalla nostra.
Proprio all'incrocio con la strada che va a Costigliole, ecco il
motorino bianco. La mia scorta è nervosa ed arrabbiata: ammiro il
suo sforzo per evitare di darmi della deficiente. Anzi, quasi si fa
colpa del fuori programma. In effetti, lasciata a me stessa, io
divento pericolosa... Decidiamo per una breve sosta, per calmare gli
animi e le gambe. I primi venti km, più la deviazione, sono andati.
Ivano è preoccupatissimo, teme che io abbia sprecato tempo ed
energie che comprometteranno il resto della corsa. Io no, per nulla.
180 km o 185, cambia poco, alla fine. Si riparte in direzione di
Costigliole, lungo una stradina in parte sterrata. Me lo raccomanda
in ogni lingua: “Devi solo andare dritto, sempre dritto. Io ti
aspetto all'incrocio”. Preferisce non cimentarsi sulla ghiaia con
lo scooter. Obbedisco. Andar dritto dovrebbe essere facile. Corro su
un tracciato parallelo alla strada statale, in mezzo ai frutteti; poi
la strada torna asfaltata e risale la collina, lentamente, tra le
prime case di Costigliole. Due cose catturano i nostri sguardi: per
Ivano, una bella podista in due pezzi da corsa con cui fa una gran
figura; per me, una Dacia Dokker parcheggiata. Ho la passione per le
auto “da carico e da nanna” e quel modello lì mi fa svitare il
collo. Se potessi comprare tutte le station wagon ed i furgoni che
ammiro con cupidigia, guai, dovrei avere almeno un hangar per
ricoverarli tutti!
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Alcuni tratti su e giù
per arrivare poi nel centro di Costigliole, tra i profumi dell'ora di
pranzo. Da lì, mi immetto sulla strada principale verso Piasco,
all'imbocco della Valle Varaita. Il caldo è ormai a livello di
crudeltà e lo stradone con l'asfalto nero e rovente non aiuta. Non
so quante borracce io abbia già vuotato. Sarà dura... La scorta non
mi perde d'occhio, sempre un po' avanti ed un po' dietro di me.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
All'ingresso di Piasco,
altra provvidenziale pausa alla casetta dell'acqua: mi siedo per
qualche istante, con la schiena appoggiata alla parete di legno, come
ordina Ivano perentorio. Una focaccina ed un paio di borracce di
acqua frizzante fresca mi rimettono in condizioni quasi decenti.
Mentre la scorta riempe un altro paio di bottiglie, io riparto, prima
lungo la pista ciclabile e poi verso il centro del paese. Un lungo,
sofferente rettilineo in leggera salita prima dell'incrocio per
tornare sulla strada principale; da lì, un altro lungo tratto,
sempre in salita appena accennata, fino a Venasca, tra auto,
capannoni e col riverbero del calore rabbioso dell'asfalto. Non sarà
facile... Avrò percorso una trentina di km e mi sento addosso tutta
la stanchezza del mondo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ivano mi attende alla
rotonda all'ingresso del paese. Superiamo il torrente e raggiungiamo
la piazzetta centrale, dove c'è una fontana con un getto gelido ed
abbondante. Altra pausa, all'ombra dell'ala del mercato. E' sempre
Ivano ad ordinare lo stop. Se fosse per me, probabilmente proseguirei
ad oltranza fino a sfinimento... E lo sfinimento arriverebbe ben
prima della mia meta. Ma ormai ho imparato a fidarmi di quello che ho
eletto come capobranco. Pur non avendo mai corso, ormai la mia scorta
mi conosce anche troppo bene e sa organizzare la mia marcia molto
meglio di quanto potrei fare io.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Sbocconcello un panino di
Ivano, dal contenuto non identificabile: una salsa color arancio, un
po' salata, un po' piccante, non capisco. “Stai tranquilla, è
edibile, l'ho mangiato anch'io”, mi rassicura la scorta. Mah.
Speriamo bene.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Prima di ripartire, tolgo
la canottiera e la bagno per bene sotto il getto della fontana. Me la
rimetto addosso con un urlo belluino per lo sbalzo di temperatura,
sotto lo sguardo allibito e divertito di due passanti, e riparto di
gran carriera lungo la via centrale, per non dire unica, di Venasca.
Da qui, seguo la strada parallela alla principale di fondovalle, che
corre dall'altra parte del torrente: c'è meno traffico, anzi, a
quest'ora non passa anima viva. Altro rettilineo, altra leggera
salita, altro caldo assassino. Brossasco, le botteghe per la
lavorazione del legno e la produzione di mobili. Non dovrebbe più
mancare molto al bivio per la prima salita, Valmala. Lo attendo con
ansia, perché finalmente avrò un'ottima scusa per smettere di
correre, almeno per un po'.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Qui, tra una curva e
l'altra, il traffico è più intenso. I merenderos motorizzati, in
questa stagione, in Valle Varaita non mancano mai. Mi preoccupano gli
spostamenti a zig zag di Ivano con lo scooter... Ma non oso fiatare.
“Oggi tu non devi preoccuparti per me. Devi pensare soltanto a
correre. A tutto il resto provvedo io”. Sue testuali parole, a cui
cerco di attenermi.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Sotto il sole rabbioso
del primo pomeriggio, abbandono finalmente la strada di fondovalle.
Recupero dalla scorta un paio di barrette, all'inizio della salita di
Valmala. Circa nove km: a correre, qui, non penso nemmeno. Mi metto
al passo, svelto sì', ma pur sempre passo. Una lattina di bibita
energetica e via, un passo dopo l'altro, tagliando le curve come i
maratoneti, con un po' di cautela. C'è un insolito traffico di
ciclisti oggi, forse impegnati a provare il percorso della granfondo
di domani. Tanto caldo e tanta stanchezza. Chissà se lo scooter
patisce quanto me? Pur avendola percorsa più volte in bici, in
questo momento non ricordo alcunché della salita che sto
affrontando. Provvidenziale, però, il bagnetto pubblico in
corrispondenza della borgata.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Curva dopo curva, la
temperatura si fa un po' più sopportabile. Alzo lo sguardo per
capire a che punto sono, ma tutt'intorno si vede solo verdissimo
bosco fitto. Il cielo si sta velando, finalmente.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La presenza della scorta
è vitale, ma se il mezzo di trsaporto è la moto, non c'è modo di
fare un po' di conversazione. Chissà se avrò pensieri sufficienti a
farmi compagnia da sola fino alla fine? Se ci arrivo, alla fine.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ivano mi precede al bivio
del Santuario: mette le borracce al fresco nella fontana. C'è
parecchia gente quassù: anziani che chiacchierano sulla panchina di
pietra, turisti, famiglie. Il tempo di bere qualcosa e riparto con la
bottiglia fresca in mano. Di corsa, perché ormai la salita è alle
spalle; rimane un paio di km o poco più di leggerissimo saliscendi
fino al bivio per Lemma. Il GPS mi ha abbandonata, o meglio: si è
rotto il cinturino... Lo lascio alla scorta e non ci penso più. Si
va a sentimento, d'ora in poi.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ivano mi precede al
bivio, dove mi fa trovare un meraviglioso tomino sciolto dal caldo.
Pura libidine, che però non so bene come affrontare... Lo mangio a
ditate, ritrovandomi in men che non si dica il formaggio fin sulle
orecchie. Lo finirò a Lemma: ora via, in discesa, approfittando
dell'improvvisa frescura in cui non speravo più. La discesa è
dolce, al fresco degli alberi. Qualche auto più del solito, ma credo
che, anche qui, si tratti per lo più di perlustrazioni del percorso
della granfondo. Le gambe vanno bene, sciolte, senza fatica; il
morale per il momento è alle stelle. Lo nota anche Ivano: “Guardala
lì com'è contenta”. E ci credo, che son contenta. Chi sta meglio
di me?</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Altra breve sosta a Lemma
per finire il tomino, poi ancora in discesa. Certo, a piedi la
discesa non è riposante come in bici, ma è comunque un bel
sollievo. E poi, un improvviso “Ciao Giancarla!” alle mie spalle
aggiunge un po' di allegria. E' Danilo, in bici, in perlustrazione su
una parte del percorso della gara. Sapeva da Facebook del mio
tentativo di oggi.Un bel tratto di discesa se ne va nella
chiacchierata a tre. La cosa curiosa è che viaggiamo in tre,
affiancati – non si scandalizzino i puristi del codice della
strada, che quassù non passa anima viva oltre a noi – con tre
mezzi di trasporto diversi: scooter, bici e piedi.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il cielo si è fatto
scuro, quasi minaccioso. Da un estremo all'altro. Potrebbe anche fa
comodo un bel temporale... Purché si esaurisca prima della salita
del Fauniera, perché salire a oltre 2.400 m di quota di notte e
sotto il fortunale non sarebbe la strategia migliore per diventare
vecchi. Pare quasi di sentire un bubbolio lontano. Danilo ci saluta e
ci augura buona fortuna. Ne avremo bisogno, entrambi.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Verso la fine della
discesa, un lungo rettilineo ci porta all'incrocio con la strada che
sale alla Colletta di Rossana. Lo scooter ci arriva a motore spento,
avendo finora sfruttato la pendenza. All'incrocio, svolto a destra.
Non sento il rumore del riavvio, ma lì per lì non ci do peso: Ivano
si sarà fermato a sistemare qualcosa nello zaino, penso. Di lì a
poco, mi affianca un'auto con a bordo due giovani, un ragazzo ed una
ragazza, bei visi puliti: “Signora, al suo amico si è fermato lo
scooter”. Frastornata, ringrazio ed inverto la marcia: qualche
centinaio di metri e trovo Ivano fermo, arenato, arrabbiatissimo. La
moto non dà più segni di vita. Si è scaricata la batteria. Sul
momento, non riesco a preoccuparmi: cerco invece di restare calma per
non peggiorare lo stato d'animo della mia scorta. Chissà se anche
per i motorini, come per le auto, funziona il trucco di ripartire in
discesa?
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Se c'è speranza di
rimediare al guaio, la si può trovare a Rossana. Quindi, piano
d'emergenza: io proseguo la corsa con un panino nella tasca, la
borraccia ed il telefonino; Ivano si avvia verso Rossana a spinta.
Riparto, appunto, un po' scombussolata e con mille pensieri scuri
come il cielo sopra la mia testa. Sarebbe davvero triste dover
rinunciare al giro per guasto meccanico. Ma, del resto, sarebbe
impensabile completare il giro senza assistenza, senza uno zainetto
in cui portare almeno l'essenziale, con la notte di mezzo. O meglio,
sarebbe impensabile per me. Telefono a Matteo per avere un po' di
conforto: “Ma secondo te c'è speranza che la moto riparta?”. Mi
assicura di sì. Speriamo. Intanto, in leggera salita, raggiungo la
colletta di Rossana ed inizio la discesa in direzione della strada
principale tra Busca e Dronero. Ivano ha tentato di spiegarmi la
strada da imboccare per evitare lo stradone, passando dalla località
Morra, ma io preferisco seguire la via di cui sono certa, perché ho
un'abilità tutta particolare nel perdermi.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Per il momento, sto bene.
Mi sforzo di restare ottimista. Senza dubbio la mia scorta troverà
una soluzione. Ne sa una più del diavolo... E soprattutto è
provvisto di una dose inesauribile di faccia tosta. Il cielo,
intanto, si fa sempre più scuro. Come il mio umore non appena vedo
il cartello: “Dronero 10 km”. Così tanti? Ne ricordavo meno...
10 km di questa orrida piattissima strada trafficata? Per la
miseria... Va bè, dai Gian. 10 sono tanti, ma sono pur sempre solo
10. Ma d'improvviso qualsiasi sciocchezza diventa un problema
insormontabile. Il cibo che ho messo nelle tasche posteriori della
maglia e che balla; la bottiglietta d'acqua vuota; il telefonino
nell'altra mano. Tutto è fastidioso. E cominciano a cadere i primi
goccioloni, senz'altro risultato che quello di aumentare a dismisura
l'afa. E Ivano non chiama. Buon segno... O no? Gambe pesanti, morale
a terra. Non ce la faccio più. Non ce la farò mai...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il telefono è
momentaneamente parcheggiato nel top. Non perché il contenuto del
top sia tale da piazzarci in mezzo il cellulare, a mò di supporto,
per carità... Solo perché l'indumento è molto stretto. Corro
piano, male, con immensa fatica. Ho caldo e sete. Ho anche fame, ma
non mi va di mangiare quel che ho con me. Ormai penso che tanto è
inutile, non potrò continuare; la moto non ripartirà e quindi...
Che senso ha patire così?
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il cellulare squilla.
Rispondo con un nodo in gola. Lo scooter è ripartito! Una decina di
minuti ed Ivano sarà qui. Una bella notizia... Il morale va un po'
meglio, ma la stanchezza è davvero tanta. Quando finalmente la
scorta mi raggiunge, sono al lumicino. Ci fermiamo ad un bivio. Io ho
disperatamente bisogno di una fontana e di una sosta. Ormai sarà
l'ora di cena... Ho perso il senso del tempo.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Abbandoniamo lo stradone
per raggiungere, con una piccola deviazione rispetto al previsto, una
frazione in cui troviamo una fontanella. Mi spiace perdere tempo, ma
non ce la faccio proprio più. Sono svuotata. Mi abbatto su una
panchina, mentre Ivano armeggia con le borracce e le cibarie. Ci
resto per un buon quarto d'ora, fissando inebetita le finestre di una
palazzina dall'altra parte della strada. Non devo avere fretta. Ma
ripartire si deve, prima o poi... Ed è un vero strazio. Male alle
gambe più rigide che mai, fiacca, spossatezza. Torniamo sullo
stradone, approfittando però di alcuni tratti da correre sugli
spiazzi davanti ai capannoni. La scorta si ingegna per tenere sveglia
la mia attenzione, chiacchierando e scherzando alla sua maniera. Io
sto marciando su un filo, in equilibrio precario. La pancia ogni
tanto dà segni di insofferenza. Per fortuna, ha smesso di piovere...
E siamo a Dronero. Un'altra piccola meta. Su istruzione di Ivano,
passo in centro e scendo al Ponte del Diavolo, per poi risalire verso
la rotonda del bivio per Montemale. Mi ci avvio di corsa... Ma la
minima pendenza iniziale è sufficiente a ributtarmi addosso tutta la
mia stanchezza. Proseguo al passo, più spedito possibile, ma
faticosissimo. Così non ha senso... Non ho alcuna speranza di
farcela.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ivano scatta foto, corre
sullo spiazzo del Santuario a fare il pieno di acqua fresca. Io
arranco in preda allo sconforto. Le forze sono davvero al lumicino.
Al bivio a destra per La Piatta, ancora una volta mi abbatto a
sedere. Sto perdendo troppo troppo tempo. E non mi riesce nemmeno di
piangere. Come ho potuto pensare di riuscirci? Non sono ancora
neppure arrivata al centesimo km, che secondo i miei calcoli dovrebbe
essere più o meno a Pradleves.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Riparto ancora una volta.
Gli strappi in salita sono un'agonia. Ivano non mi molla un attimo.
“Dai”, mi incoraggia, “fino alla Liretta è dura, ma lo sai,
poi spiana”. Lo so. Poi spiana. Ma io non ce la faccio più...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Con la luce della sera,
in un modo o nell'altro mi trascino su per la salita, fino al
fatidico bivio per l'agriturismo Liretta. Poi spiana. Ed è vero.
Provo, timidamente, a riprendere la corsa. Passo dopo passo, le gambe
legnosissime sembrano sciogliersi un poco. Il panino al gorgonzola fa
il resto. Alcuni tratti in piano, altri in leggera discesa. Si
riparte, con l'animo finalmente un po' più leggero. A La Piatta sono
già stati montati i gazebo del rifornimento per i ciclisti. Ci sono
una fontana ed una panchina; si impone una pausa seria, ristoratrice.
Mangio ancora, bevo, faccio i conti, con un filo di speranza in più.
Anzi, con un'esplosione di entusiasmo. Non conosco le mezze misure.
Mi attende il Colle di Fauniera: se ci arrivo, poi è fatta...
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mi avvio in discesa,
lungo i tornanti ripidi di questa stradina sconnessa in mezzo ai
boschi. Di lì a poco, mi raggiunge Ivano, con il motorino che dà
segni di sofferenza. Uno dei freni non funziona... “Ha i freni a
disco?”, domando, nella mia suprema ignoranza. “Sì”. “Allora
può darsi che siano surriscaldati. Succede anche sulla mia MTB”.
La scorta si rassegna a procedere in discesa fino al bivio, senza
aspettarmi. Un'altra nuvola scura passa nel mio cielo: “Speriamo
che la diagnosi sia giusta... Altrimenti, come se la caverà giù per
il Vallone dell'Arma?</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Non è solo l'illusione
della discesa. Le gambe trottano bene anche nel breve tratto in piano
prima del bivio per immettersi sulla strada tra Caraglio e Pradleves.
Trovo Ivano che mi rassicura: il mezzo meccanico è tornato in piena
efficienza. Indosso il giacchino rifrangente e riparto, ricordandomi
dopo pochi metri che avrei dovuto prendere anche la pila frontale...
Pazienza, non mi va di fermarmi ancora. C'è luce, per adesso, anche
se ormai è la luce della sera. Raggiungo Monterosso Grana, popolato
così come non l'ho mai visto nelle ore diurne. Supero camminando di
buon passo la breve salita successiva, godendomi anche un brano del
coro di canti di montagna nel cortile di un ristorante. Poi, l'ultimo
tratto di corsa prima di Pradleves. E' quasi buio. Ivano propone una
sosta caffé ed ultimo ristoro a Pradleves, prima di affrontare il
mostro. Va benissimo, ma... Troveremo un locale che ci faccia un
caffé alle dieci di sera in quel di Pradleves? Sono scettica.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La scorta mi precede in
paese, in perlustrazione. Io cerco di allungare il passo, perché qui
non si vede più un tubo e passano più auto di quanto potessi
immaginare, il sabato sera in Valle Grana. D'un tratto, il fanale
dello scooter si muove verso di me. Ivano ha trovato un locale ancora
aperto, appena prima di Pradleves. Al bar annesso al caseificio “La
Poiana” ci sono ancora alcuni avventori ai tavolini. Ammetto che la
sosta mi è di conforto. Il doppio caffé e la lattina di Lemonsoda,
pure. Ricaccio indietro la fretta e la smania di dover ripartire
subito. La mia scorta si veste per la notte: immagino che il freddo,
in moto, si percepisca ben più di quanto lo senta io, che per ora me
la cavo con le maniche corte. Riparto con l'incoraggiamento della
signora al banco del bar. Ora non c'è più santo che tenga: comincia
la salita del Fauniera.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Procedo al trotto finché
sono in paese. Con mia grande sorpresa, la serata ferve: addirittura
una cena di matrimonio in un piccolo ristorante del centro. Ma, oltre
il ponte, proprio dove un minaccioso cartello annuncia l'inizio
ufficiale dell'ascesa... Il buio. O meglio: il buio, ma con la luce
fioca della luna, più che sufficiente a permettermi di vedere dove
metto i piedi. Di qui in poi, vado al passo: passo spedito, il più
possibile, ma passo. Correre sarebbe un suicidio. La salita è lieve,
fino a Campomolino, ma c'è e lima i muscoli già provati.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Intorno a me è un
meraviglioso tripudio di lucciole. Tantissime, dappertutto. Per la
vista, le lucciole; per l'udito, lo scroscio continuo ed impetuoso
dell'acqua del torrente, di cui la strada più volte interseca il
corso. Riflessi e bagliori tra le piccole cascate e le rocce. Mi
sforzo di reggere un passo molto rapido: alla fin fine, il mio timore
è sempre per la mia scorta, che immagino si stia annoiando a morte.
Non che, correndo, io possa abbreviare molto i tempi... Ma camminare
sembra sempre un po' una resa. Eppure, qui, devo essere prudente. Ho
passato i 100 km; me ne restano circa ottanta, pesanti. Ivano non mi
perde d'occhio, si porta un po' avanti e poi mi aspetta; a volte mi
chiede se io abbia voglia di mangiare o bere, a volte me lo impone.
Curva dopo curva, i paravalanghe, gli strappi, le pareti di roccia.
Le luci di Campomolino e Castello, gialle, suggestive nella notte:
sembra di essere in mezzo ad un presepio...
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Tra i due tornanti ripidi
appena prima dell'abitato, la stanchezza mi crolla addosso tutta d'un
colpo. Mi abbatto a sedere su un muretto in pietra, subito accudita
dalla mia fedele scorta, che non lascia trapelare nemmeno una virgola
del suo scetticismo circa le mie probabilità di successo. Mangiare,
bere. Testa e schiena appoggiate. Sconforto profondo. Sfinimento...
Non ce la farò mai.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Indosso la maglietta a
maniche lunghe. Sopra, metto la maglia ufficiale della GF Fausto
Coppi. Si era detto di indossarla al mattino... Ma in fondo, chi mai
potrebbe vederla stanotte? Non c'è anima umana viva!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Con enorme fatica, mi
rialzo in piedi e riparto. Sempre al passo, consapevole che da qui,
per i prossimi sei km circa, mi toccheranno le rampe più dure, fino
al Santuario. Con la testa che pulsa e sembra sul punto di scoppiare,
con le gambe molli. Se arrivo in cima è fatta, si era detto. Sì,
ma... Arrivarci! La strada fin lassù è infinita. La meta si
allontana man mano che la stanchezza mi assale.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Pensieri cupi e lacrime
che premono per uscire. Passi stanchi e rampe. Non ce la faccio, ma
ancora un passo ce la faccio. San Bernardo da Mentone, la rampa più
dura. Le case ed i campanili di Borgata Chiotti. Il silenzio, le
stelle. Nel tornante successivo, ancora una sosta. Mi siedo, mi
sdraio per qualche minuto. Riparto ancora, quasi fosse una condanna.
Del resto, in cima devo arrivare. Non posso mica fermarmi qua! Sullo
scooter non salirei mai e poi mai, visto il mio terrore per i mezzi
motorizzati a due ruote.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Un brevissimo tratto di
respiro, poi l'ultimo abitato, appena sotto il Santuario. Si sentono
i campanacci delle mucche al pascolo. Il cielo è di una bellezza
struggente. Un'infinità di lucciole...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mi sembra che le forze
debbano sparire da un attimo all'altro. Non so nemmeno cosa sia che
mi porta ancora avanti. Ormai sono certa che non ce la farò mai. Dal
Santuario mancano otto km. Solo otto km... Ma ancora otto km.
Ennesima sosta. Mi accascio a bordo strada. Ivano, la scorta
perfetta, si siede accanto e mi offre una spalla su cui piangere. Ma
sono troppo stanca: invece di piangere, mi ci addormento. Qualche
minuto, ma potrebbero essere ore, non lo so. Mi sveglio irrigidita ed
intirizzita. Qualche boccone, qualche sorso di the. Ancora, dinuovo
in marcia. Qui si potrebbe correre, ma le gambe non ne hanno più. E
questo mal di testa feroce. Conosco ogni centimetro di questa strada.
Non posso illudermi che manchi meno di quel che so che manca. Non ce
la faccio. Sonno, sfinimento. Ivano spesso mi affianca, mi spinge a
parlare. Mi fa coraggio. Ma non bastano neppure le stelle e la luce
della luna che inonda i pascoli. Crollo, letteralmente, a terra
ancora due volte prima di arrivare al Colle Esischie. Da lì manca
poco più di un km. E solo da lì posso cominciare a sperare un poco.
Il vento rinforza, freddo. Siamo a quota 2.400 in piena notte. Povera
scorta, spero non iberni. Ultimi passi quasi in piano, spediti, in un
luogo meraviglioso, dove l'unica nota stonata ma necessaria è il
rumore del motore dello scooter. Ultima curva, la statua di Marco
Pantani, il colle. La gioia incontenibile che caccia via la
stanchezza. Mi abbatto ai piedi della statua e mangio con un appetito
che non immaginavo di avere: panino al formaggio e dolci, senza
ritegno. Ivano si siede a fianco, in modo da ripararmi dal vento.
Credo di essere parecchio debilitata... Il freddo mi entra subito
nelle ossa.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Indosso la mia giacca
Gore Tex, più quella di Ivano. Mi addormento, anche qui, per qualche
minuto, ma il vento soffia teso e gelido. Meglio andare, non prima,
però, di una foto con la luna piena sullo sfondo. Parto al trotto:
il morale alle stelle mi permette di ignorare, o quasi, il dolore
intenso alle gambe irrigidite. E di non pensare ai venticinque
lunghissimi km di discesa da qui a Demonte.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhJGp9wH8GKeVmCT_YLnGeD92zAT6qtFLYLZrVge51vw4Y8GQ9AY-hOHej4gr1iX2kUA4l6MSGcC7u_hH84rUcoOxwE5foWjBPwvdcfQDxpyN5CQj3iacKrfS8UY-1_VvcBlxF5thJ2LhW/s1600/19958939_10155455607553766_2530348505624738368_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="600" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhJGp9wH8GKeVmCT_YLnGeD92zAT6qtFLYLZrVge51vw4Y8GQ9AY-hOHej4gr1iX2kUA4l6MSGcC7u_hH84rUcoOxwE5foWjBPwvdcfQDxpyN5CQj3iacKrfS8UY-1_VvcBlxF5thJ2LhW/s320/19958939_10155455607553766_2530348505624738368_n.jpg" width="240" /></a></div>
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Basta perdere poche
decine di metri di quota perché la seconda giacca diventi già
superflua. Vedo le luci della moto al colle Valcavera: ci arrivo,
sempre al trotto, e consegno l'indumento. Poi giù, curva dopo curva.
La luna si nasconde dietro ai monti: qui, sì, in effetti la frontale
un po' servirebbe... Ma mi accorgo, solo adesso, che, nonostante le
ore di carica, le batterie rendono immediatamente lo spirito.
Pazienza. Verrà chiaro, prima o poi. Nel frattempo, cerco di
sollevare i piedi un po' più di quanto mi sentirei di fare. Ivano si
porta avanti un po', volta per volta: poi parcheggia lo scooter ed
accende una lucina a led, lampeggiante, verso di me che ho ancora i
bracciali rossi con le luci intermittenti accese. Non ci perdiamo di
vista. Procedo di buon trotto, con il favore della discesa e del
morale altissimo. Mi stupisco io stessa di come mi sia possibile
precipitare nel baratro dello sconforto con tanta facilità... E con
altrettanta facilità uscirne.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Di lì a poco, levo anche
la seconda giacca. Tutto si può dire, ma non che faccia freddo. A
qualche km dal colle, il buio del cielo si attenua. Primissime luci
dell'alba. E prima auto che sale verso il colle. Al Rifugio
Carbonetto è giorno fatto, anche se non c'è traccia di movimento
umano. Solo le mandrie al pascolo e due animali selvatici che ci
attraversano la strada d'improvviso e che, dalle corna, parrebbero
addirittura stambecchi... Possibile? Siamo al di sotto dei duemila
metri di quota... Mi sembra strano. Ma chissà, forse è l'effetto
del sonno.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Tornanti e tornanti,
l'aria frizzante del mattino, il tratto in piano. Le gambe sono
stanche e rigide. E la discesa, lo so bene, è lunghissima. In un
tratto quasi piano e rettilineo, vedo Ivano fermo a rassettare il
bagaglio. Anche per lui, anzi, soprattutto per lui il sonno è ormai
una compagnia scomoda ma fissa. Ed è pericolosa se si guida una
moto. Indugio forse un po' troppo, ma sono davvero stanca. Nuovi
dubbi mi assillano. A Demonte mancano ancora più di dieci chilometri
ed io sto procedendo così piano... Passo dopo passo, sempre più
fiacca. Arriviamo alla centrale idroelettrica ed alle frazioni
abitate. La prima, ancora deserta se non per il latrato di qualche
cane. Nella seconda, trovo Ivano impegnato, guarda caso, in
conversazione con una signora: se ce n'è una nel raggio di mille
miglia, a quest'ora dell'alba, lui la scova di sicuro... L'incontro
con un trattore che traina un rimorchio carico di cani, più un paio
di cani anche nell'abitacolo, mi mette di ottimo umore: un chiasso
che non finisce più, ma è musica per le mie orecchie.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il cielo del mattino è
nuvoloso. Cade persino qualche goccia di pioggia. La partenza della
granfondo in bici è prevista per le sette: mi lancio in ipotetici
calcoli per capire quanto impiegheranno i primi ciclisti a
raggiungermi. Quelli del percorso corto, prima, e quelli del lungo,
che dovranno percorrere tutta la mia strada.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Più ci avviciniamo a
Demonte, più la strada mi sembra ancora lunga. Le gambe sono a
pezzi, tutto il resto è dolorante e vuoto. Il traffico si fa più
intenso: penso che buona parte dei veicoli che stanno salendo verso
il colle sia legata all'organizzazione della gara. Ricordo di aver
visto stanotte, al Colle Esischie, un camioncino parcheggiato:
probabilmente è già lì per i rifornimenti.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ivano, ad un paio di km
dal fondovalle, parte e mi precede a Demonte. Con una mossa che
definire geniale è davvero riduttivo, nei giorni scorsi, ha pensato
bene di portare la sua auto sulla piazza del paese e lasciarla lì.
Il programma di viaggio, adesso, prevede di arrivare all'auto,
dormire un'ora e poi decidere il da farsi: proseguire, oppure
smettere.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Le brevi ma secche rampe
che accompagnano la fine della discesa mi lasciano perplessa e
demolita. Quando arrivo a Demonte, alla piazza, ho male dappertutto.
Trovo l'auto. Ivano è già addormentato sul sedile passeggero. Io
m'infilo nello spaziosissimo bagagliaio della Volvo Station Wagon. E'
tardi, speravo di arrivare qui un po' prima. Sono le otto. Ma non ce
la faccio più nemmeno a preoccuparmi. Sono distrutta, lurida,
puzzolente e sfinita. Voglio solo crollare... Poi si vedrà.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Galleggio per un tempo
indefinito tra il sonno ed una specie di veglia, sufficiente a farmi
percepire il male ed i crampi alle gambe. Cambio posizione di
continuo, ma serve a poco, visto che ogni virgola del mio corpo è
pesta e dolorante. Poi la sveglia pone fine all'agonia. Le nove. Sono
sveglia. Ora s'ha da decidere. Continuo o abbandono? “Quanti
chilometri mancano da qui?”, domando perentoria ad Ivano. E lui
comincia ad abbozzare conteggi parziali, con una flemma che mi
precipita in un'ansia senza fine. Poi, con la solennità di un
oracolo: “Trenta, forse trentadue”. Ok. Allora si fa. Ce la
faccio, si riparte. In realtà l'avevo già deciso... Ma mi serviva
un motivo per dare un senso alla mia risoluzione. Scendo, ignorando
di proposito il dolore a tutto. Faccio schifo anche a me stessa, ma
non è il momento di preoccuparsi di certe sottigliezze. Mi vien da
ridere al pensiero di certe fanciulle che corrono con trucco e
parrucco impeccabili: io sembro la sorella brutta di Maga Magò, in
questo momento... Ma vorrei vedere loro, in questa circostanza!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Una rapida tappa al bagno
pubblico sulla piazza. Poi afferro un paio di barrette, incurante,
questa volta, delle raccomandazioni di Ivano a mangiare. La fida
scorta mi spiega dove andare per raggiungere la strada militare oltre
il fiume, ma ormai non lo ascolto neanche più. Ci arriverò, in
qualche modo. In effetti, mentre lui risistema il bagaglio e si
riorganizza, io mi perdo un paio di volte tra le viuzze del paese. Ma
poi, grazie all'unico essere umano incontrato per caso accanto ad una
fontana ed alla mia conoscenza dell'idioma locale, trovo la retta
via. Mi raccomanda, l'anziano passante, di fare attenzione, perché è
in arrivo una gara... Già!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Rieccomi sul tracciato
ufficiale della gara: neanche a farlo apposta, cinque minuti dopo mi
raggiungono i primi corridori del percorso corto. Sono le nove e
mezza, più o meno... Significa che questi missili hanno impiegato
due ore e mezza ad andare da Cuneo a Pradleves, salire al Fauniera,
scendere ed arrivare qui. Inimmaginabile.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Non pensavo davvero che
le gambe potessero ancora correre così. Tutto, o quasi, merito
dell'entusiasmo. Ora che i ciclisti mi arrivano alle spalle, ora che
la presenza di una maglia della gara ciclistica indosso ad una
podista comincia a suscitare curiosità, ora che sento il traguardo,
è tutta un'altra cosa. Anche se in mezzo c'è ancora la Madonna del
Colletto, circa nove km di salita che non perdona.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ivano mi raggiunge, anche
lui con la maglia della gara. Anche questo, accorgimento quanto mai
strategico per consentire il passaggio senza problemi allo scooter
anche nei tratti in cui il traffico è bloccato per il passaggio
della corsa. Chi potrebbe dire che la moto non fa parte della
carovana della gara ciclistica?
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ancora qualche centinaio
di metri in piano, prima del bivio per l'ultima salita. Ho il
terrore, in verità, che lo scooter possa causare impiccio o, peggio,
cadute ai ciclisti che ci arrivano a frotte alle spalle: soprattutto
ai primi, che viaggiano spediti senza badare troppo ai possibili
ostacoli. Dovrei fidarmi un po' di più... Mangio ancora qualche
barretta, prendo la borraccia piena. Per adesso non fa caldo: il
cielo è velato e spero rimanga tale. Un caldo pari a quello di ieri
sarebbe letale.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Al bivio mi precede
Ivano, che ha già sparso la voce tra gli spettatori presenti: un
applauso di incoraggiamento è quel che mi ci vuole. C'è davvero
tanta gente, lungo la salita. Alterno passo e corsa, schivo gli
spettatori che invadono la strada, cerco di stare il più possibile
di lato per non dare fastidio ai ciclisti. Poi, quando le rampe si
fanno decise, mi rassegno a camminare, ma con tutt'altra andatura
rispetto a quella della scorsa notte. Molti ciclisti notano la
maglia: si sprecano le domande del tipo “Dove hai lasciato la
bici”, a cui di norma rispondo con “L'ho dimenticata” oppure
“Me l'hanno rubata”. Ma c'è anche qualcuno che, con mia grande
sorpresa, conosce il motivo per cui io sono lì. E poi ci sono i
compagni di squadra del Team Nordovest e gli amici di Facebook:
insomma, l'incoraggiamento non mi manca. Per tacere di chi, più che
la maglia color ciclamino, si fa distrarre dal pantaloncino molto,
molto sgambato. Mi ribalto dalle risate quando un ciclista mi chiede
di poter toccare con mano: “Se porta fortuna, fai pure”,
rispondo. “Se porta fortuna non lo so, ma è tanto bello...”. Che
volete farci, dalla vanità non sono certo immune.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Le rampe secche si
alternano a tratti quasi in piano. Il frastuono della musica al
ristoro sul colle si sente molto prima di arrivarci: mancano ancora
almeno un paio di km... Ed ' un coro di ciclisti che domandano,
estenuati, quanto manchi ancora alla cima. Io stessa, pur avendo
percorso più volte questa salita in bici, in questo momento non ne
ricordo quasi nulla. Ma ormai non può mancare molto. E comunque non
mi interessa, in cima io ci arrivo, a qualsiasi costo!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ultimo rettilineo prima
del colle. Musica a tutto volume. Io tirerei dritto senza fermarmi...
Ma Ivano mi intima l'alt, almeno per qualche minuto. Un panino,
qualche fragola e diversi bicchieri di Coca Cola. Mi sento una ladra
ad approfittare del ristoro, io che non sono nemmeno iscritta. Mentre
rifiato, seduta sul muretto di fronte alla chiesetta, presto orecchio
alle notizie che giungono dalla radio del punto di soccorso: pare che
più di un ciclista abbia avuto la sciagurata idea di schiantarsi in
discesa. Vuoi per la pioggia, vuoi per l'incoscienza. Più per la
seconda, a mio parere. Infatti, i sei km di discesa successivi sono
da brivido: mi tengo il più possibile di lato, addirittura fuori
dall'asfalto se c'è spazio, ma i proiettili che mi sfrecciano
accanto fanno paura. Ma che senso ha? Ormai i primi sono passati da
un'ora e mezza almeno... Ma perché rischiare così tanto? Perché
lanciare invettive se qualcuno osa scendere con un po' più di
cautela? Non posso che associarmi al rimprovero canzonatorio diretto
da un ciclista “normale” ad uno di questi pazzi: “Ma dove caxxo
vuoi andare?”.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Sei km di discesa sono
lunghi, soprattutto se le pendenze sono severe come in questo tratto.
E' una coltellata nelle gambe ad ogni passo. Ho raccomandato ad Ivano
di scendere direttamente a Valdieri, senza fare soste intermedie, per
limitare i rischi di incidenti. Mi aspetto di trovarlo là.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
A fondovalle arrivo dopo
un tragitto che mi sembra eterno: ormai Cuneo è vicina, ma non
ancora così vicina. Tocca portare ancora pazienza, perché gli
ultimi km saranno anche i più penosi. In paese seguo il percorso dei
ciclisti: Ivano aveva pensato un tragitto diverso, possibile a piedi,
per abbreviare il tracciato che conduce alla strada di fondovalle, ma
io preferisco evitare il rischio di sbagliare strada. E poi i
ciclisti, adesso, sono la mia compagnia ed il mio sprone.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Quando mi immetto sulla
strada statale, con l'incrocio ben presidiato da Carabinieri e
volontari, un militare mi chiede esterrefatto: “Non dirmi che hai
fatto tutto il giro”. Eccome, sono partita ieri...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Da qui, mi resta la lunga
galoppata finale. Dovrò attingere alle forze che non ho più ed alla
pazienza che ormai sta svanendo. Di Ivano nemmeno l'ombra, ma so di
essere sulla strada giusta. Arriverà...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mi ferma una persona a
bordo strada. Dice che il mio amico sullo scooter è già andato
avanti. Ok... Non so cos'abbia in mente, ma va bene. Quanto mancherà,
da qui? Da dodici a quattordici km, secondo i miei calcoli. Pianura,
leggera salita, leggera discesa. Calma, Gian, calma. Ormai è fatta,
prima o poi arrivi, anche se di qua in poi sarà puro supplizio.
Anche perché il sole ha fatto capolino ed ha tutta l'aria di voler
scaldare dinuovo.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Vedo Ivano che arriva
nella corsia opposta. Trafelato: gli avevano dato un'informazione
sbagliata, pensava che io fossi più avanti. Ha rischiato la sanzione
per aver invertito la marcia: in teoria, la strada sarebbe chiusa
alle auto... Anche se a me non sembra proprio, visto che, ad ondate,
le auto circolano in entrambi i sensi di marcia. Ma in questo
momento, nemmeno un colpo di fucile potrebbe fermarlo. E' quasi più
entusiasta lui di me...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Appena oltre Andonno, ci
sorpassano i primi ciclisti del percorso lungo, almeno così mi
sembra di capire. Intanto arrivano ancora concorrenti del percorso
breve, con andatura ed equipaggiamento via via più turistici. Quasi
tutti hanno una parola per me, che sia di incoraggiamento o
canzonatoria poco importa. Va bene tutto.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ancora una breve sosta su
un'ampia piazzola. Le forze sono, davvero, al lumicino. Solo qualche
minuto per sedermi e rifiatare, ma con ben altro spirito rispetto
alle soste agonizzanti della notte. Mi rialzo con un po' di fatica,
più che mai inchiodata. Riparto, ancora una volta.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
A Borgo San Dalmazzo, la
scorta mi conduce per un breve tratto fuori dal percorso della gara,
che segue un anello per evitare l'abitato, effettivamente poco
sensato per chi si muove a piedi. Ma si tratta di un km o poco più.
Ricomincia a piovere, goccioloni sparsi, che a me fanno solo piacere.
Ancora cinque o sei km: un'eternità... Devo tenere duro, perché
davvero non ne posso più. Sbotto: “Io ne avrei quasi le palle
piene...”. E Ivano non può che approvare. Insomma: la compagnia
dei ciclisti è preziosissima, ma se qualcuno mi chiede ancora dove
io abbia lasciato la bici, giuro che lo disarciono e lo butto nel
fosso... Un po' di fantasia, che diamine!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il percorso devia su una
stradina secondaria in mezzo ai campi coltivati. Si vedono le prime
propaggini di Cuneo. Non credo d'esser mai stata tanto felice di
scorgere il profilo del palazzone dell'Agenzia delle Entrate... Anche
se so che, dal centro, è ancora parecchio distante.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Quando ormai manca poco
all'imbocco del Viale degli Angeli, una voce nota alle mie spalle:
“Gian!”. E' Matteo, che sta per concludere il percorso lungo in
bici. “Ci vediamo al traguardo”, faccio in tempo a dire, mentre
lo sento spiegare al suo incredulo compagno di viaggio che io ho
seguito il loro stesso tragitto, ma a piedi. Ormai è gioia allo
stato puro, ma non so se ridere o piangere. Propendo nettamente per
la prima opzione quando Ivano mi raggiunge e mi racconta il dialogo
surreale con una madama seduta al fresco degli alberi del viale. La
madama sì è stupita di vedermi passare a piedi con la stessa maglia
dei ciclisti; la mia scorta, da buon filibustiere, le ha spiegato che
la mia bici era stata rubata... E che quindi io ero stata costretta a
far la gara a piedi. Accorata e sincera l'indignazione dell'anziana
signora: “Ma che ladri... Ma in che tempi viviamo!”.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La passerella del Viale
degli Angeli, per l'occasione chiuso alle auto, non me la leva
nessuno. Anche se ormai sono talmente sfinita che arrivo persino ad
odiare questo meraviglioso viale alberato ed a desiderarne, solo per
un momento, l'abbattimento totale... Ivano avverte per telefono gli
organizzatori del mio imminente arrivo. Intanto Matteo, che nel
frattempo ha tagliato il traguardo, torna indietro in bici. Così,
per l'ultimo chilometro agognato, il centoottantesimo o giù di lì,
di scorte ne ho ben due... E con entrambe arrivo, incredula, in
Piazza Galimberti. Passo sotto l'arco quasi con imbarazzo, come se
fossi un'intrusa... Ma la festa finale è anche per me, con tanto di
palco e di ricchissimo premio, quasi fossi un po' vincitrice anche
io. Infatti lo sono, anzi lo siamo, in due, visto che nulla di tutto
ciò sarebbe stato possibile senza l'aiuto di Ivano. Io ci ho messo
le gambe, ma la testa e tutto il resto ce li ha messi lui. Se si
proponesse in affitto come uomo scorta per le corse podistiche,
avrebbe prospettive di luminosissima carriera! Insomma: sono, anzi
siamo, ecco, siamo la prima persona ad aver percorso la granfondo
ciclistica Fausto Coppi, percorso lungo, senza bicicletta. Detta
così, sì, fa un certo effetto!<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8FTkAV3GB2Vt1nDZDAeDEqHSvzQp66zOlC_SANgbF4J3Zd2q0Gn8k7w8ltLPDORuryKsPURij_wGRwfamSfpWPYbhVD-vqjq8kTf_GOJGiJgGAVXTJoLOdodGljZqBApELf6kqBrLWSw4/s1600/19756574_10155455607598766_9160753341180010718_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="600" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8FTkAV3GB2Vt1nDZDAeDEqHSvzQp66zOlC_SANgbF4J3Zd2q0Gn8k7w8ltLPDORuryKsPURij_wGRwfamSfpWPYbhVD-vqjq8kTf_GOJGiJgGAVXTJoLOdodGljZqBApELf6kqBrLWSw4/s320/19756574_10155455607598766_9160753341180010718_n.jpg" width="240" /></a></div>
<br /></div>
casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-78798903402194153432017-08-05T23:00:00.000+02:002017-08-06T23:00:31.218+02:0020-21 maggio 2017 - NOVE COLLI RUNNING<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; page-break-before: always;">
Preparatori atletici e nutrizionisti, fatevi da parte... Non avete
speranza di competere con la MADRE, che alle cinque e mezza del
pomeriggio, al mio rientro anticipato per l'occasione dall'ufficio,
mi fa trovare una ciotolona colma di fonduta in cui galleggiano gli
gnocchi. “Devi fare il pieno di energie”, sentenzia. E chi sono
io per disobbedire alla mamma? Ammetto però che l'impresa è ardua:
ingollo metà del lauto pasto subito e metà qualche ora dopo. Come
sempre, la preparazione dei bagagli è avventura dell'ultimo minuto;
in più, prima di partire, devo preoccuparmi di organizzare tutto
affinché la genitrice ed i tredici cagnoni possano sopravvivere due
giorni e mezzo in mia assenza. Morale della favola, accendo il motore
della Zafira quando sono già passate le dieci di sera.
</div>
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<br />
</div>
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Il viaggio non comincia
sotto i migliori auspici. Sono parecchi mesi che non mi allontano da
casa per ben tre notti: mi assale un senso di angoscia e di disgrazia
imminente. Ma forse è solo colpa della stanchezza: sono in piedi da
prima dell'alba e non posso certo far finta di ignorare il sonno,
nonostante il caffé tracannato a litri. I riflessi fanno quel che
possono e la trasferta è, per forza, molto lenta e carica di
tensione. Il programma prevede di arrivare oltre Bologna, per evitare
il rischio di intasamenti il sabato mattina, e fermarmi in autogrill
a dormire, con il sacco a pelo. Ma getto la spugna poco dopo Modena:
è l'una e non riesco più a tener gli occhi aperti. Area di
servizio: giusto il tempo di puntare la sveglia alle otto del mattino
e crollo in un profondissimo sonno, da cui mi risveglio alle prime
luci dell'alba. Guardo l'ora e mi riaddormento, ma di lì a poco il
trillo imperioso del cellulare mi ricorda che la MADRE non dorme
mai... E già reclama mie notizie. Ok, ci rinuncio, tantovale che mi
rimetta in marcia.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
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Un incidente, segnalato
alla radio, mi costringe ad un tratto fuori autostrada. Raggiungo
Cesenatico ben prima delle nove, sotto un cielo che definire plumbeo
è ottimistico. La partenza della corsa è a mezzogiorno: meglio
provare a dormire ancora un po'... Ho la fortuna di poter quasi
dormire a comando. Mi risveglia, a tratti, il rumore degli scrosci di
pioggia sulla carrozzeria, ma riprendo piena conoscenza solo dopo le
dieci.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Pazienza, se non altro
non si patirà il caldo. E' ora che mi cambi e mi prepari per il via.
Soprattutto, è il momento di dare l'ultima occhiata alle sacche per
i cambi d'abito, da lasciare ai rifornimenti. Ho intenzione di
mandare l'abbigliamento per la notte al punto di ristoro del km 70
circa, al Ciola, e quello per il mattino, come gli anni scorsi, al
Pugliano, al km 130 circa. Nello zainetto che porterò sempre con me
infilo i documenti, la chiave dell'auto, la giacca impermeabile, un
tubetto di pasta di Fissan e qualche barretta. Dopodiché, con aria
da funerale e passo adeguato, mi avvio verso il Municipio.
</div>
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<br />
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Ormai mi sento quasi a
casa, qui a Cesenatico. Sono almeno dieci anni, tra granfondo in bici
e corsa a piedi, che mi ci presento puntuale a maggio. Potrei quasi
avanzare richiesta di asilo. Vero, non sarei il tipo da vita in una
cittadina turistica di mare; ho un livello di sopportazione dei miei
simili prossimo allo zero. Però, c'è anche da dire che i Romagnoli
sono, per la mia esperienza, persone con cui si sta bene... La
gentilezza proverbiale e la risata sempre pronta sono due fattori non
trascurabili per la qualità della vita.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il punto della partenza
brulica già di corridori, assistenti e spettatori. Qualche saluto e
poi ritiro il mio pettorale, numero 7: infatti, se ce la dovessi fare
anche stavolta, si tratterebbe della settima Nove Colli Running
conclusa. Se. Ma è troppo presto per pensare all'arrivo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il pacco gara contiene
una bellissima felpa ed una bandana, entrambi col marchio della gara.
Torno all'auto e deposito tutto nel bagagliaio. Per ora non piove...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il solito, interminabile
appello dei partecipanti, uno per uno. Momento di curiosità e di
ansia insieme. Si parte dal numero più alto... Quindi posso godermi
la sfilata di quasi tutti i partenti, visto che ho il numero 7.
Intanto, i primi goccioloni piombano sui crani. Ecco... Tempismo
perfetto. Le ultime raccomandazioni e la vana ricerca dell'unico
iscritto che non ha risposto all'appello: non si trova da nessuna
parte... Probabilmente avrà avuto un attacco di saggezza e se ne
sarà rimasto a casa.</div>
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<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Poi, quasi puntuale, il
via. Sotto uno scroscio di pioggia, si parte. Ed il pensiero è
sempre lo stesso: fino a domani pomeriggio, sarà lunghissima...
L'anno scorso, con me, c'era il buon Ivano, impegnato in
un'impeccabile ed assidua scorta ciclistica. Anche oggi avrebbe
dovuto essere qui, se un incidente in bici e conseguente frattura del
bacino non l'avesse immobilizzato a letto. E, ne sono certa, non
esserci gli rincresce quasi più che essersi sinistrato. Ecco un
ottimo motivo per cui ce la devo fare: non voglio causargli sensi di
colpa.</div>
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<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La pioggia ci accompagna
per i primi chilometri, poi cessa. Ho fatto bene a tener duro e non
indossare subito la giacca impermeabile: sarei già alle prese con un
irritante metti giacca – togli giacca. Non si può certo dire che
faccia caldo, adesso, con gli abiti umidicci, ma si corre e ci si
scalda.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Per i primi chilometri,
come sempre, mordo il freno ed inganno la fatica chiacchierando.
Ormai qui ci sono i fedelissimi della corsa; ogni anno è quasi un
raduno di compagni di scuola. E qualche nuovo arrivo a cui vengo
additata come quella da seguire per arrivare senza dubbio alla fine.
Vorrei averla io, questa certezza... Quattro ciance con Popof, con
Alina in bici al seguito della fortissima Brenda candidata alla
vittoria assoluta, con ABS alias Andrea. Quest'ultimo è ormai il mio
portafortuna; il gesto scaramantico di appioppargli un ceffone su una
chiappa è ciò che garantisce il successo della mia corsa. Anche per
questo, ero molto preoccupata di non aver visto il suo nome
nell'elenco iscritti: per fortuna c'è, anche se in versione ciclista
assistente. Speriamo che il palpeggio sortisca lo stesso l'effetto
sperato.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il cielo nuvoloso ci
regala, per ora, una temperatura più che sopportabile, rispetto al
caldo assassino degli anni scorsi in questo primo tratto
pianeggiante. Corriamo lungo un tratto di pista ciclabile sterrata,
tenendo a destra il letto di un torrente. Ad un tratto, lungo la
strada asfaltata dall'altra parte del corso d'acqua, da una moto due
persone si sbracciano verso di noi e suonano a tutto volume: che
cari, quanto entusiasmo, fanno il tifo... Macché: tempo qualche
istante e realizziamo che i due figuri non ci stanno salutando:
stanno cercando di farci capire che siamo sulla strada sbagliata!
All'ultimo bivio, il vigile di guardia all'incrocio ci ha fatti
proseguire anziché farci attraversare il ponte... Bisogna tornare
indietro! Beh, nel mio gruppetto non si manifesta grave irritazione:
in fondo, si tratta di recuperare poche centinaia di metri. Ma chissà
dove sono già arrivati i primi... Ululati di giubilo dai miei
compagni di viaggio, appena invertiamo la marcia: “Ragazzi che
culo... Siamo quasi i primi!”. E poi, suvvia... Se saremo in grado
di arrivare alla fine di 202 km di corsa, ce la faremo anche a farne
203! O no?</div>
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<br />
</div>
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Recuperata la retta via,
alla spicciolata veniamo raggiunti e superati da chi, già prima, era
parecchio avanti rispetto a noi, ma per qualche istante ci godiamo la
gloria della testa della corsa.</div>
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<br />
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A Cesena il primo bel
ristoro ricco, con tanto di fragole e ciliegie. Merita una breve
sosta, anche per riempire la bottiglietta di plastica che quest'anno
ho deciso di portare con me. Non sopporto le borracce nello zaino e
fatico a tollerare la sacca per l'acqua... Senza contare il fatto
che, se nello zainetto avessi messo la sacca, non avrei potuto
mettere altro o quasi. Ho comprato al supermercato una bottiglietta
di bibita lunga e stretta, che si potesse portare comodamente in
mano; spero di sopportarla per tutto il giro.
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Attraversata la città,
rimane l'ultimo tratto in piano prima dell'attacco della salita del
Polenta: anch'esso, per fortuna, in ombra. Fino a poco tempo fa amavo
molto il caldo. Ma ora, sarà l'età, lo tollero sempre meno. Vorrei
solo smettere di pensare alle mie gambe ed alla mia condizione. Se
non stessi bene, mi preoccuperei. Invece sto bene e mi preoccupo
anche di più. Forse ho esagerato fin qui? Vorrei non sapere che ora
è, ma naturalmente c'è l'inopportuno di turno che, ad alta voce, fa
sapere a tutti che i primi 21 km sono stati coperti in 2h e 10'. Un
po' troppo svelti, contando che siamo ad un decimo del percorso.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Rapida sosta al punto di
ristoro. L'errore di percorso ha fatto sì che l'affollamento, quando
arrivo io, sia maggiore del solito. Tempo di riempire la bottiglietta
ed afferrare al volo qualcosa da mangiare e riparto: non voglio
perdere tempo, non ancora.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La prima salita inizia
appena oltre il semaforo. Alla fontanina, due anziani giunti con
tanta buona volontà e la Panda carica di taniche da riempire d'acqua
sono costretti, loro malgrado, a cedere il posto ai corridori
accaldati, ma fanno buon viso a cattivo gioco.
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il Polenta è insidioso:
alterna strappi severi a tratti in piano ed addirittura in lieve
discesa, in cui si può correre. In salita non si può, o meglio, io
non può. Sono troppo pesante, dovrei perdere almeno dieci chili; ma
l'unica tecnica con cui potrei riuscirci sarebbe l'amputazione di una
gamba. Controproducente, direi. Cammino di buon passo ed osservo,
invidiosa, un podista che va su camminando, con i bastoncini da
montagna. Ero fermamente decisa anch'io a portarli: in salita, anche
su asfalto, sono di enorme aiuto. Il problema è che in quel caso,
sì, avrei avuto bisogno dell'assistente per scarrozzarli nei tratti
in cui a me non fossero serviti. Portarmeli dietro da sola per tutto
il percorso sarebbe stato gravoso: è noto che, oltre ad un certo
livello di stanchezza, ciò che prima era fastidio poi diventa un
macigno.
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Scruto il cielo. Per il
momento, le nuvole non destano grande preoccupazione. Il meteo,
tuttavia, annuncia temporali nella notte: la peggiore delle
circostanze possibili. Va bè... Godiamoci questo spettacolo di
colline nella luce bigia del tardo pomeriggio. Poi si vedrà.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Tra corridori ed
assistenti al seguito, chi in bici e chi in auto, siamo una bella
folla su questa strada che immagino, diversamente, quasi deserta.
L'allegria, per ora, regna sovrana. Al punto di ristoro, in cima alla
salita, birra e patatine: cosa si potrebbe chiedere di più dalla
vita? Ottimi antidoti contro la nausea da barrette e dolciumi in
genere; gradisco molto.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La prima discesa,
piuttosto ripida, va via veloce. Mi sforzo di lasciar andare le
gambe, di frenare il meno possibile. Il prossimo tratto, lunghi km di
falsopiano in salita, sarà un'ottima prova per capire come sto.
Intanto, Fratta Terme: punto di ristoro. Questa volta, patatine,
birra ed anche un paio di spicchi di limone, per tenere sotto
controllo l'attività della pancia, che per ora – prima volta dopo
anni ed anni di tribolazioni – non ha ancora dato segni di alcun
problema. Ottimo incoraggiamento.</div>
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<br />
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il tratto che segue, fino
all'attacco della seconda salita, è lungo ed insidioso. E noioso. E
faticoso, perché non è considerato una salita, ma costringe ad un
sacco di salita. Le gambe, per ora, vogliono correre... Ma con
cautela e senza mai vergognarsi a percorrere tratti al passo. Al
prossimo colle, Pieve di Rivoschio, km 57, è fissato il cancello
orario: vero, non ho mai avuto alcun problema a superarlo in tempo,
ma non si sa mai. Intanto, gli assistenti degli altri corridori fanno
la spola e non lesinano mai parole di incoraggiamento. Non ho la mia
scorta personale, ma è quasi come se l'avessi... C'è chi segue i
corridori in auto, con tanto di numero di gara e cartello “scorta
tecnica” appeso ai finestrini; chi preferisce la moto e addirittura
chi si è dotato di bici elettrica.</div>
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<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Proprio quando i primi,
subdoli segni di stanchezza cominciano a fare capolino tra le fibre
dei muscoli e soprattutto tra i pochi neuroni, ecco che si
materializza, provvidenziale come non mai, il fascinoso Andrea ABS,
il Mel Gibson di Sant'Ilario d'Enza, in tutta la sua ciclistica
beltà. Il vile, che fino all'anno scorso si è presentato a
Cesenatico in veste di podista, oggi si è saggiamente convertito al
ruolo di assistente in bici: non di qualcuno in particolare, però.
Assistente, in generale. Così, in questo noioso tratto, mi degna
della sua assistenza psicologica. Bene: mi farò quattro risate e mi
rifarò gli occhi. Mi chiede del mio viaggio da casa: non si stupisce
del fatto che io abbia dormito in auto la notte prima della gara...
Ma si scandalizza oltremodo, quando ammetto vergognosamente di aver
prenotato una stanza d'albergo per la sera e notte dopo la corsa. E'
vero, ha dannatamente ragione: sto invecchiando. Una volta non
l'avrei mai fatto. A fine gara, mi sarei tristemente trascinata fino
all'auto, mi sarei messa alla guida in condizioni, sia fisiche che
igieniche, disperate e mi sarei avviata verso casa combattendo una
battaglia impari contro il sonno. Ma si sa che, invecchiando, si
diventa saggi, o fifoni. Quindi, questa volta, mi concederò una
doccia e qualche ora di sonno civile, prima di ripartire.</div>
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<br />
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Attacco, si fa per dire,
la seconda salita con l'occhio fisso ai nuvoloni che incombono. Per
ora, il cielo è ancora in parte sgombro, ma i cumuli bianchi non
promettono nulla di buono. Si va su al passo. ABS ancora presente, ma
per poco: deve tornare a casa. Lo ammetto, un po' mi dispiace.
Chiacchierare tiene lontana la stanchezza, almeno finché possibile.
Ma me lo devo mettere in testa: quest'anno me la devo cavare da sola.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Un punto di ristoro a
circa metà salita: mangio qualcosa di dolce, anche se avrei piacere,
al contrario, di cibo salato. Quando la fame si fa brutta, il dolce
non basta più, anzi; nausea... Anche il corridore che arriva appena
dopo di me nota la mancanza di cibo salato. Brontolando
sull'argomento, ripartiamo insieme. Non avrei potuto essere più
fortunata: sono incappata in un corridore veneto, anzi, proprio
veneziano, io che adoro ascoltare il suono della parlata di quella
regione. Anche se a Venezia sono stata di passaggio solo un paio di
volte, all'arrivo della Maratona, e non amando né il caos né le
città, non tornerei. Mi faccio raccontare qualche aneddoto della
vita in un posto così particolare: molti aspetti che chi vive sulla
terraferma dà per scontati, laggiù, non lo sono affatto...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Così, tra una
chiacchiera e l'altra, raggiungiamo la cima della salita ed il punto
di ristoro, dove troviamo il boss Castagnoli con il suo inesauribile
entusiasmo. Mi sforzo di mangiare un po' più di quel che avrei
voglia, in ordine sparso, dal pane con la marmellata alle arachidi
tostate, ai pomodori con il sale, alla frutta secca. E naturalmente
l'immancabile goccio di birra. Primo cancello orario comodamente
superato: si riparte. Il mio compagno di viaggio veneziano si attarda
ancora un po', ma io ho una missione da compiere. So che, non molto
lontano dal punto di ristoro, prima che la strada cominci a scendere
decisa, sono piazzati i wc chimici destinati a chi correrà domani in
bici. Ne approfitto, di già che la pancia mi ha fatto la grazia di
non reclamare soste, fino qui.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il cielo è suggestivo e
minaccioso: si va verso la sera; la luce è di un giallo intenso che
dà al panorama di colline a perdifiato un aspetto quasi sinistro. Le
gambe, in discesa, reagiscono ancora bene. Appena prima del bivio,
alla fine della discesa, mi raggiunge il venessian. Ci attendono
pochi ma insidiosissimi km fino all'attacco della salita del Ciola:
due o tre, ma lungo una strada un po' più trafficata delle
precedenti e, soprattutto, in leggera logorante salita. Non dovrei
correre, ma mi sento quasi vergognosa a non farlo... Il rischio di
stancare troppo le gambe è altissimo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
D'un tratto, si leva
nell'aria una mitragliata di irripetibili bestemmie a volume
inaudito: nientemeno che un automobilista infastidito da una delle
auto scorta, che viaggia lentamente affiancata, per un attimo, ad un
corridore. Un pazzo furioso. Non mi viene neppure da ridere: al di là
del fatto che lo tirerei fuori dall'abitacolo e gli spianerei la
dentiera a calci, mi viene spontaneo pensare che magari un energumeno
del genere a casa ha una famiglia costretta a subire le sue
intemperanze... Chissà, spero di no.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Sono ben lieta di
raggiungere l'inizio della salita del Ciola. Mi sento autorizzata a
non correre più, almeno per qualche km. Continuo a viaggiare in
compagnia, condividendo, come spesso succede, un tratto di strada e
qualche pezzo di vita. Ma poi, tanto temuta, la pioggia arriva a
guastare tutto. Poche gocce, all'inizio: spero di riuscire a
raggiungere il punto di ristoro prima di essere costretta ad
indossare la giacca impermeabile... Non ho voglia di levare ed aprire
lo zaino, vestirmi ora, per poi giungere al colle, svestirmi
nuovamente e prepararmi per la notte. Così azzardo e proseguo, sotto
l'acqua che adesso vien giù a scrosci. La canotta è presto
fradicia; il vento che s'è alzato è gelido. Per quanto possibile,
cerco di accelerare. Ma dove diavolo è finito il ristoro? Quanto
manca? Ecco, ora sì, sono fradicia ed ho freddo, ma non ha più
senso indossare la giacca a questo punto...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Per la miseria. E' il
diluvio. Cominciamo bene... La notte si presenta sotto i migliori
auspici. Raggiungo il punto di ristoro, per accorgermi, con una certa
incredulità, che non c'è altro riparo che il gazebo del ristoro
stesso, sotto cui però sono già ricoverati i volontari ed i
tavolini con le derrate alimentari. Un rapido sguardo nei dintorni mi
fa capire che c'è poco da fare: se mi voglio cambiare, mi tocca
cambiarmi alla pioggia. Ed è qui che ho spedito lo zaino con
l'abbigliamento per la notte. Ok Gian. Questa è la situazione. O
molli e ti ritiri, oppure ti adatti, muovi le chiappe ed affronti la
dura – ed umida – realtà.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mi ricavo un angolino di
gazebo, in modo da avere la testa al coperto e le chiappe alla
pioggia mentre rovisto nello zaino. Così, la goccia che piomba
pesante dal bordo del gazebo mi coglie esattamente a metà schiena,
con precisione da cecchino sadico. Reprimo un improperio. Tiro fuori
la maglia con le maniche corte, i manicotti, i guanti, i pantaloni
3/4... Tutto drammaticamente umidiccio, per usare un eufemismo. Bene.
Via la canotta, mi rassegno ad indossare quel che c'è: sarà anche
bagnato, ma forse – spero – sarà comunque uno strato un po' più
spesso di quel che ho addosso fino adesso. E poi, suvvia... Sarei
comunque destinata a bagnarmi.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Semi ignuda alla pioggia,
rincaro la dose di pasta di Fissan nei punti critici. Le scorticature
nei punti critici di sfregamento, con la pelle bagnata, sono quasi
una certezza; meglio prevenire. Mi rivesto ed infilo, sopra a tutto,
la giacca impermeabile Gore Tex, con tanto di provvidenziale
cappuccio. Metto su la pila frontale ed il giacchino rifrangente: tra
poco sarà buio del tutto. Mi concedo, anche qui, una raccapricciante
accozzaglia di sapori che fanno a pugni l'uno con l'altro e bevo,
stavolta per dimenticare. Poi via di corsa sotto la pioggia battente.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Per fortuna, di lì a
poco, lo scroscio si attenua. Sta calando il buio. Delle lucciole che
di solito fanno compagnia in questo tratto, ovviamente, neanche
l'ombra. In compenso, arrivano i primi ciclisti della prova notturna,
incuranti del buio e della pioggia. Molti, a dire la verità, sono
dotati di luminaria anteriore e posteriore da far invidia ad un
camion, ma qualcuno è davvero invisibile, soprattutto per un
automobilista alle prese con il parabrezza bagnato. Speriamo bene.
Sono meravigliose le luci applicate ai raggi delle ruote o
addirittura ai cerchi; creano effetti molto suggestivi.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La situazione è critica,
almeno dal punto di vista della temperatura. La strada non scende
ancora, anzi, a tratti risale; piove, ma la giacca impermeabile tiene
caldo più del necessario. Toglierla, però, significherebbe
raffreddarsi troppo. La vita del podista notturno umido è tutta un
dilemma...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il mio collega veneziano
si lancia giù con una foga che non tento nemmeno di imitare. E' pur
vero che si scende, ma, a piedi, la discesa non costituisce né un
vantaggio né un'occasione di riposo. Calma e gesso. La pila frontale
mi aiuta un po' ad evitare le buche, anche se le lenti degli occhiali
bagnate sono una vera iattura. Curva dopo curva, sembrano
interminabili i km che portano a Mercato Saraceno. Mi distraggono un
po' gli scambi di saluti con i ciclisti, che sfrecciano via come se
l'asfalto fosse perfettamente asciutto. Chissà quanti di loro
parteciperanno anche alla granfondo, domani?</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
In paese, c'è vita,
tutta concentrata nei due bar sulla piazza. Il punto di ristoro degli
anni scorsi non c'è più... Trovo solo un tavolino con alcune
bevande. Poco male. L'ascesa al Barbotto è dura, ma è breve. Supero
il ponte, attacco la prima rampa. Un trio di ciclisti scatta foto con
il telefonino: “Ma tra noi – domando – chi è più malato?”.
E' una bella lotta. Salgo al passo, più rapido possibile. Ogni tanto
immagino qualche variazione sul tema: meglio passi brevi o molto
rapidi, oppure passi lunghi per fare più strada? La tecnica perfetta
non credo ci sia. La tecnica perfetta sarebbe perdere peso, ma nel
mio caso è più facile che un cammello obeso passi per la cruna di
un ago piccolo...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La fame si fa sentire,
prepotente. Mi tornano in mente le raccomandazioni di Ivano: fermati,
riposati, mangia da seduta ed appoggia la schiena”. Ha ragione da
vendere, pur non essendo podista. E' incredibile il beneficio che può
derivare per le gambe, in termini di recupero, sedendosi qualche
minuto. Peccato solo che io non abbia molti minuti da dedicare al
riposo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Cade qualche goccia
mentre affronto l'ultima rampa. Niente lumini quest'anno: sarebbe
dura tenerli accesi. Il grande punto di ristoro si è spostato: è
piazzato sulla destra, all'ingresso di un locale pubblico. Chiedo
subito un piatto di pasta: non mi pare ci sia coda, ergo non avrò
molto da aspettare. Detto, fatto; eccomi col piatto in mano, alla
conquista di una sedia.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Inforchetto le penne una
ad una, cercando di non ingozzarmi, mentre mi guardo intorno. Provo
un tale senso di calma che quasi, paradossalmente, mi preoccupa. La
bolgia dantesca di corridori infreddoliti e stanchi ed assistenti
volenterosi si agita frenetica, ma io son qui, seduta, gambe distese
in posizione tutt'altro che elegante e femminile, fiero cipiglio e
mascella in movimento. Nel frattempo, riprende seriamente a piovere.
Mi avvicino al banchetto, bevo e mangio ancora un po' di tutto in
ordine sparso, senza mai dimenticare birra ed arachidi salatissime,
poi riparto, sotto la pioggia.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Non ricordo mai con
precisione quanti km separino il Barbotto da Sogliano al Rubicone.
Quindici, forse. Tuttavia, so bene che sono km odiosi di perenne
saliscendi, che induce a correre e poi a pentirsene amaramente. Non
c'è panorama. Cielo coperto e leggera pioggia; tratto monotono ed
angoscioso, se non fosse per qualche ciclista che ancora ci
accompagna. Ma le auto dell'assistenza sono una presenza costante e
di conforto, anche se nessuna di loro è qui per assistere me. In
verità, non sopporterei l'assistenza motorizzata: non servirebbe per
tenermi compagnia e mi darebbe il patema d'animo di sapere che i
passeggeri si annoiano a morte... Ben altra cosa è la scorta in
bici; ovviamente, per una corsa come questa, deve essere affidata ad
un ciclista di tutto rispetto, che deve sì pedalare alla velocità
di una persona a piedi, ma per duecento km, con tutte le salite e con
il carico di bagagli.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ogni tanto, qualche
stella fa capolino tra le nubi, ma è una pia illusione. Per adesso,
pioviggina, ma per fortuna non fa freddo, nonostante gli abiti umidi.
Per ora.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Al ristoro di Sogliano,
un'abbondanza di scelta inaudita: tra le altre cose, anche alcune
barrette di cioccolato, che per adesso posso anche prendere, contando
sul fatto che non si scioglieranno. Ho voglia di mangiare qualcosa di
dolce, ma poi il dolce mi nausea subito. Breve visita di cortesia ad
uno dei miei adoratissimi Sebach, piazzati lì per la granfondo di
domani, e poi via, in discesa. Meglio non pensare che qui sono circa
a metà gara. Altri 100 km... Le gambe sono stanche, sentono il
bisogno di soste frequenti che però non mi posso permettere. Il
tempo massimo incombe.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
A Ponte Uso, in fondo
alla discesa, ultimo punto di ristoro prima di un lungo tratto di
solitudine. Ancora un po' di the, un po' di Coca Cola. Puntualmente,
prima di arrivare al banchetto, mi riprometto di mangiare questo e
quello e fare il pieno... E poi, quando sono lì, è quasi un senso
di rifiuto. Ivano, se sapessi quanto mi mancano i tuoi panini al
gorgonzola! Ne spazzolerei un paio volentieri.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Torno ad immergermi nella
notte. Poche parole con altri viandanti: menare la lingua è un
ottimo palliativo per la stanchezza e per il sonno, ma mi costringe
ad adattarmi al passo altrui, cosa che può rivelarsi molto
pericolosa. Quindi, in breve, sono costretta a lasciar allontanare i
miei occasionali compagni di viaggio. Alterno passo e corsa in questo
odiosissimo tratto che mi sembra sempre interminabile. E quando
finalmente attacco la salita di Monte Tiffi... Comincia a piovere sul
serio. Salita abbastanza breve, circa 4 km, buia e cupa. Le auto
delle scorte continuano a fare su e giù, podisti mi precedono e mi
seguono, ma su tutti è calata una cappa pesante di preoccupazione e
silenzio. Mamma mia... Se continua così, è ben difficile che io ce
la faccia, ad arrivare a Cesenatico.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La pioggia cade
abbondante; in pochi attimi, rivoli d'acqua corrono lungo la strada.
Con gli occhiali bagnati, vederci comincia a diventare un problema.
Beh, finché si sale, più o meno ci vedo... L'ascesa è breve, ma su
questo colle non ci sono punti di ristoro. Tocca arrivare fino al
Perticara. In cima, a bordo strada, si affollano ferme le auto delle
scorte, in cui si infilano podisti intirizziti alla ricerca di un
momento di sosta e riparo. Non so quanto sia di conforto, in realtà.
Credo che, se mi fermassi qui al riparo, difficilmente poi sarei in
grado di ripartire. Meglio non pensarci e tirare dritto. Il cappuccio
della giacca, sfregando contro le orecchie con il movimento, mi fa
sentire un brusio confuso dai goccioloni di pioggia che picchiano
insistenti sul tessuto. Che idea provvidenziale è stata mettere
nello zaino del ricambio i pantaloni ¾. Vero che si sono
infradiciati in pochi secondi; tuttavia, la sensazione sulla pelle è
meno penosa rispetto all'acqua diretta.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La discesa è un pianto.
Dovrei e vorrei correre, ma come faccio, senza veder nulla? Al buio
ed alle lenti bagnate si aggiunge la nebbia, contro cui la pila
frontale può poco o nulla. Provo a levarla dalla fronte ed a tenerla
in mano, ma la situazione non migliora di molto. Letteralmente, non
vedo dove metto i piedi. Conoscendomi, è una condizione
pericolosissima; io riesco ad inciamparmi spesso e volentieri anche
con la migliore visibilità... Se non corro, perdo tempo; se non
corro, mi congelo. Non vorrei lasciarmi prendere dall'ansia, ma non
ho difesa. Buche e crepe nell'asfalto sono un'insidia. Quanto manca
alla prossima salita? Almeno, lì, ci si scalda un poco e si
cammina...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Quando ormai sono certa
di essere lontana anni luce da tutto e da tutti, galleggiante nella
nebbia, ecco una voce. Allucinazione? No no, è proprio una voce
umana e persino conosciuta. Il buon Paolo mi raggiunge poco prima
dell'attacco del colle successivo. Devo dire che mi capita di rado,
molto di rado, di accogliere la vicinanza di un essere umano con
tanta gioia. Paolo sembra molto più tranquillo di me, come se per
lui la situazione non rappresentasse un problema. Per me, un po' di
calore, anche se solo psicologico. Se qualcuno ce la fa, allora si
può fare. Forse. E poi, con le lenti bagnate combatte anche lui...
In salita, ci distraiamo a vicenda a suon di chiacchiere, mentre la
pioggia ci sferza senza misericordia. La giacca Gore Tex ha fatto
quel che ha potuto, ma per i miracoli, come si suol dire, ci stiamo
attrezzando... Sono fradicia in ogni dove. Man mano che prendiamo
quota, si aggiunge il vento: è l'unico particolare da cui capiamo di
essere ormai vicini al colle. Rimangono un paio di km di strada in
falsopiano, oltre il bivio, prima di giungere al punto di ristoro di
Perticara. Coperto, per fortuna, ma ovviamente non riscaldato,
considerata la stagione.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Paolo ha saggiamente
mandato qui una borsa con abiti di ricambio, che, fortunatamente,
sono persino asciutti. E' molto più attivo e razionale di me: si
cambia, si sistema, organizza le sue cose con calma. Io non riesco a
far di meglio che inchiodarmi su una sedia a tremare. Tolgo la giacca
impermeabile, cerco di scuoterla per asciugarla un poco, se
possibile, ma lo sforzo è quasi vano. Intorno a me, un girone
infernale di podisti mezzi ibernati ed assistenti che si affannano a
portare in giro abiti asciutti e piatti caldi di pasta. Molti hanno
già comunicato di voler abbandonare la corsa. Io stessa sono in
dubbio. Come faccio a buttarmi fuori di qui in queste condizioni
meteo? E con il freddo che mi è già entrato nelle ossa da un po'?
Provvidenziale e salvifica è la maglia con le maniche lunghe che mi
offre Paolo. Calda e morbida, soprattutto asciutta. Quel che ho
addosso adesso, potrei strizzarlo. Mi cambio con gran fatica; mangio
un piatto di pasta. Mollare? Sto perdendo tempo, mi sembra di essere
qui ferma da un'eternità. Sarà bene che mi decida alla svelta. Un
piatto di pasta. Continuo a tremare; mi chiedono se voglia una
coperta o un the caldo. No... Devo ripartire a tutti i costi, subito.
Rimetto addosso la giacca, purtroppo bagnata. La maglia si inumidisce
subito... Ma almeno è spessa e mi aiuterà a scaldarmi un poco. Via,
di corsa, un gelido trauma. Non ci pensare, Gian, tra poco sarà
l'alba. Qualche km di stradone in discesa e la pioggia che sembra
voler cedere il passo. Qualche podista in più. Ho timore di aver
perso troppo tempo al ristoro, ma non avrei potuto fare altrimenti.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il primo chiarore
illumina il bivio alla fine della discesa. Un odioso tratto di brevi
strappi in salita tra le cascine, dove non posso fare altro che
camminare, e poi qualche km su uno stradone, con il traffico di
qualche automobilista molto mattiniero. Le gambe, irrigidite dai km e
soprattutto dal freddo, stentano a rimettersi in moto, ma qui bisogna
correre, a tutti i costi. Almeno fino all'agognato punto di ristoro
all'attacco della salita numero sette, il Pugliano. Qui si mangia,
purtroppo poco perché a questo punto, nonostante la fame, trovo
nauseabonda qualsiasi cosa. Ma soprattutto si beve, perché il goccio
di birra all'alba non me lo leva nessuno.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ogni anno mi sforzo di
fare un confronto con l'anno precedente. E' più presto dell'anno
scorso? E' più tardi? Impossibile dirlo, soprattutto per una come me
che viaggia senza orologio e con il cellulare spento imboscato in
fondo allo zainetto. Non pensarci, Gian, sali e vai. Passo svelto,
anche qui, almeno ci si scalda. Prima sui km di salita e poi sul
lungo, lunghissimo, interminabile tratto in piano, che ad ogni
edizione sembra più lungo. Provo a correrne qualche centinaio di
metri, ma le gambe non rispondono. Dopotutto, non sono l'unica tapina
che si trascina camminando stancamente. Il fatto è che, ad ogni
curva, il colle sembra lì... Ma non è lì, affatto.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Finalmente ci si arriva.
Purtroppo, come sempre, questo punto di ristoro è un po', per così
dire, approssimativo. Non c'è un minimo di riparo per potersi
cambiare completamente: va bene essere disinibiti, ma a tutto c'è un
limite... In più, questa volta, le borse devono aver preso parecchia
pioggia. Il contenuto è fradicio. Ma da queste constatazioni mi
distrae il dialogo tra un corridore ed un operatore dell'ambulanza:
pare che più avanti, a bordo strada, ci sia un capriolo ferito. Per
fortuna si è già provveduto a chiamare il servizio veterinario. In
effetti, riparto e, di lì a poco, vedo la povera bestiola adagiata
tra i cespugli. Vorrei fermarmi, ma non saprei cosa fare e rischierei
di spaventarlo ancor di più... Consapevole però che qualche anima
buona ha già provveduto, riprendo la mia marcia.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Siamo ormai al cospetto
della Rocca di San Leo. Il cielo continua ad essere nuvoloso; la
temperatura, fresca e confortevole. Nel lungo tratto di discesa,
piuttosto sconnesso, inganno la fatica guardando quel che resta
dell'imponente e terrificante frana che si è staccata qualche anno
fa, non ricordo esattamente quando. La lunga discesa è un calvario
per le gambe che fanno male, anche se per ora riesco ancora a
correre. Corro anche il tratto finale, sul ponte, e la breve risalita
verso l'abitato. Confido nel punto di ristoro, dove mi fermo per
qualche minuto. Seduta.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Passo delle Siepi. Salita
breve, ma non è quella a spaventarmi. E' la discesa successiva,
ottimo termometro di quel che accadrà poi nei lunghi km finali. Con
mia sorpresa, e solenne botta di fiducia, mi accorgo di riuscire a
correrla, sia pure con cautela. Intanto, la strada si affolla di
auto, moto, ciclisti e persone a piedi, tutti in attesa del passaggio
della granfondo. Infatti, nell'ultimo tratto della discesa, vedo di
fronte a me il serpentone multicolore delle bici che scendono dal
Barbotto. Ne incrocerò il tracciato, per un breve tratto, giù a
Ponte Uso. Poche centinaia di metri in cui tuttavia, neanche ci
fossimo dati appuntamento, incontro alcuni amici che mi salutano e mi
incitano con tutto il fiato che hanno in gola.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Da qui... Ancora 45 km.
Poco più di una maratona, da percorrere con le gambe stanchissime.
Il fatto che di mezzo ci sia un Gorolo è un dettaglio trascurabile.
Forse...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il lunghissimo tratto di
pianura e leggera salita è micidiale, anche oggi che il clima sembra
restare benevolo. Mi ci lancio al trotto, con grande entusiasmo...
Ma, ad un paio di km dal Gorolo, si spegne la luce. Niente più
fiato, niente più forze. Niente di niente. Il buio. Ahia... Questa è
la volta buona, anzi, la volta cattiva. E' la volta che a Cesenatico
non arrivo. Gli incoraggiamenti di ciclisti e spettatori non servono
più, anzi: ottengono l'effetto opposto. Non ce la faccio più...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
...la salita del Gorolo
s'ha da fare, comunque. Mi arrampico su per le rampe con passo stanco
e sfiduciato, masticando rabbia e lacrime, braccia e gambe vuote come
sacchi ed un mal di testa senza fine. Sfilano a frotte i ciclisti
della granfondo... A me pare di essere ferma, inchiodata all'asfalto.
Distrutta, sfinita, senza alcuna possibilità di giungere al
traguardo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Nel brevissimo tratto in
piano che precede la staffilata finale, vorrei abbozzare qualche
passo di corsa, ma le gambe non reggono proprio. Lascia perdere,
Gian. Cerca di trascinarti fin su in qualche modo. Poi ti fermi lì,
ti ritiri, basta.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Così faccio, o almeno,
credo di poter fare. Arrivo al ristoro con i lacrimoni e comunico di
volermi fermare. Caso vuole che lì, al ristoro, ci sia in quel
momento un concorrente che prende la cosa come se fosse un'offesa
personale. Ritirarsi, qua, non è neanche da pensare, è proibito,
anzi, è un reato da punire con l'immediata crocifissione. Ma io non
sento ragioni. So di non avere speranza alcuna di arrivare in tempo a
Cesenatico. Da qui ci sono trenta km, circa, ma sono trenta km
agghiaccianti. Ed affogo il dispiacere nella birra. Il podista, Luca,
però, non ammette di essere contraddetto. E quasi quasi, sarà
perché il soggetto in questione è anche quel che si dice un bel
manzo, mi viene la tentazione di credere che abbia ragione lui. Provo
ad alzarmi, faccio una tappa ai bagni e poi torno al ristoro:
convinta di voler ripartire, ma le gambe non mi tengono su. Mi
abbatto seduta per terra, con la testa appoggiata al bagagliaio di un
auto. L'aguzzino, però, è ancora lì e non mi molla. Tanto fa e
tanto dice che, alla fine, in un modo o nell'altro mi rimetto in
piedi e riparto.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Scopro, nel giro di
pochissimi metri, di non essere l'unica vittima delle sue angherie.
C'è anche un altro povero tapino, che non è solo stanco, ma deve
avere dolori alle gambe ed ai piedi tali da emettere lamenti
strazianti. Ma il Cerbero non ha pietà: si può dire che ci sospinga
fisicamente avanti con lo spostamento d'aria causato da potentissime
tonanti irripetibili bestemmie che, credo, si sentano già anche a
Cesenatico. Così, il mio tristissimo umore è scacciato, almeno per
il momento, da un accesso di risate che per poco non mi soffoca allo
stesso modo. Che dire: un motivatore sui generis, ma senza dubbio
efficace!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Corro per qualche
chilometro, con prudenza e sempre con difficoltà. Ma la stanchezza
presto torna ad avere il sopravvento. Purtroppo o per fortuna, avevo
assicurato a Luca che stavolta non mi sarei più fermata... Così, mi
tocca cavarmela da sola. E, siccome da sola non me la cavo, impiego
ben poco a sprofondare nuovamente nell'abisso del “non ce la farò
mai”. Tanto da percorrere gli ultimi km di discesa camminando e
convincermi, senza che la matematica me ne desse ragione, che il
tempo massimo non mi basterà per giungere al traguardo. Ancora
fatica, crampi e lacrime. Provo ancora a ritirarmi, ma dai punti di
ristoro mi cacciano via. E il caldo, alla fine, è scoppiato.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
I venti km finali della
Nove Colli sono un'esperienza mistica, sia per chi sceglie la gara in
bici, sia per chi li affronta a piedi. Sono generalmente torridi e
comunque lunghissimi, molto molto più lunghi di qualsiasi altra
ventina di km al mondo. Mi trascino senza forze e senza senso fino a
quando ne mancano circa dieci. Poi decido di prendermi a schiaffi da
sola. Allora, Gian. O muovi le tue grosse chiappe e ci provi, almeno
ci provi... Oppure butti tutto via da idiota e ti mangerai le mani
per il resto della tua esistenza. L'anno scorso, qui, c'era Ivano a
buttarmi in corpo la rabbia giusta per finire. Questa volta sono
sola. La decisione è nelle mie mani.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Chiamo a raccolta tutto
quel che resta delle mie forze e delle forze di qualcun altro, credo.
Riprendo a correre, piano, tribolando, ma corro. Km dopo km, incrocio
dopo incrocio, maledicendo me stessa perché credevo di essere più
avanti e invece sono ancora qui. Poi raggiungo qualche altro
concorrente e mi sembra di stare un pochino meglio. Quel maledetto
grattacielo sempre troppo lontano. Il traffico, l'asfalto, il caldo,
la sete maledetta. Rasente ai muri a cercare un po' d'ombra, la pelle
che brucia. E poi il viale. Gli ultimi due cavalcavia, dove i
ciclisti lanciano improperi in ogni lingua per l'inattesa fatica. Il
curvone finale, il tratto lungo la pista ciclabile. Il rettilineo
finale, dove la gente oltre le transenne ti fa un sacco di festa e le
gambe d'improvviso sembrano quelle di Varenne. Incredibile ma vero, a
quaranta minuti dalla fine del tempo massimo, per la settima volta,
l'abbraccio di Mario Castagnoli e la pesantissima medaglia da
finisher.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ormai veleggio verso i 36
anni: invecchio. Infatti, questa volta, ammetto di aver commesso un
grave atto di debolezza. Ho prenotato, per la notte successiva alla
gara, una stanza presso l'Hotel Anthos, convenzionato con
l'organizzazione. Ci arrivo con la navetta, ritiro i bagagli e, dopo
una birra in compagnia, con le ultimissime forze residue, mi butto
sotto la doccia e quindi sul materasso. Per mia fortuna, ho ancora la
lucidità necessaria per puntare la sveglia alle quattro del mattino
successivo, perché per l'ora di pranzo dovrò essere in ufficio. Per
fortuna: perché l'idea è di riposarmi un poco prima di andare a
cena in albergo. In realtà, piombo in un coma profondo da cui mi
sveglia appunto il cellulare, puntuale, alle quattro del mattino.
Ritorno faticosamente al mondo dei vivi, ricompongo zaini e borsoni,
me li carico in spalle, esco. Giusto per avere un'idea, controllo sul
navigatore la distanza tra qui e l'auto, parcheggiata nei pressi
della partenza della corsa. Quattro km e mezzo. A piedi, con le
borse, praticamente un'altra Nove Colli Running. Ma non importa,
respiro il profumo del mare e mi godo l'alba all'orizzonte. Inizia il
nuovo conto alla rovescia per la Nove Colli Running 2018.</div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-84461636142888998572017-04-25T21:52:00.000+02:002017-04-25T23:42:00.339+02:00Di corsa tra Neive, Mango, Coazzolo<div style="margin-bottom: 0cm;">
I sintomi della vecchiaia sono sempre
più evidenti. Fino a qualche anno fa, mai e poi mai mi sarei
permessa di sgarrare al programma che io stessa avevo stabilito per
la giornata sportiva. Se avevo deciso di partire di corsa o in bici
alle tre di notte, sarei partita alle tre di notte, senza alcuna
pietà per me stessa. Ora, l'età avanza e la volontà vacilla. Così,
la sveglia che suona alle 3,30 viene prontamente zittita,
accompagnando il gesto con espressioni che mal si addicono ad una
signora, e spostata alle 4.30. Ma la sveglia delle 4.30 viene
bellamente ignorata, o meglio, spenta in un momento di sonnambulismo.
Apro gli occhi alle cinque passate. Ai tempi d'oro, sarei schizzata
giù dal materasso inferocita con me stessa, cominciando la giornata
con un diavolo per capello. Ora, più anziana e forse un po' più
saggia, prendo atto della mia stessa pigrizia, sposto con delicatezza
un paio di cani che mi dormono addosso – e che non provano alcun
rimorso per il sonno prolungato – e mi alzo, ormai rassegnata a
cambiare un po' il piano d'attacco del giorno.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Dalla sveglia alla partenza trascorre
oltre un'ora, un po' perché la mia abituale colazione pantagruelica
richiede tempo e un po' perché, oltre alla preparazione della
podista, bisogna provvedere al nutrimento delle tredici belve. Li ho
svegliati ad un'ora per loro inammissibile... Il minimo che adesso
possa fare è dar loro la pappa. Rapida occhiata dalla finestra per
valutare il meteo: sembra nuvoloso, come del resto era stato
annunciato, ma non fa freddo. Ergo, maniche corte, gilet e
pantaloncino corto. Zainetto con sacca per l'acqua, perché starò in
giro qualche ora, quattro barrette, un gel e rotolo di papiro per le
soste d'emergenza. Telefonino da usare come lettore di musica,
cuffie, GPS per il reparto tecnologia. Cani sazi, bagaglio pronto, si
parte. Venti minuti di auto per trasferirmi da casa fin nei paraggi
di Neive: tutto ciò che rimane del mio rapporto con le discoteche,
al di là di qualche domenica pomeriggio trascorsa a ballare ai tempi
dei primi anni del liceo, è la consuetudine del parcheggio davanti
al Pepedoro, locale che, a giudicare dalle pubblicità martellanti
sulle radio locali, fa furore, ma che, come tutti i luoghi che vivono
di notte, con la luce del sole mette un po' di tristezza.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Fa freddo, ma non troppo. Aleggia una
nebbiolina che i raggi del primo sole cominciano a bucare. Non sono
ancora le sette: sistemo zainetto ed auricolari, smadonno per
districare il groviglio di fili e spallacci, ricomincio da capo.
Finalmente si parte. Con cautela: le gambe sono reduci da un penoso
tentativo di partecipazione alla 24h a circuito di Torino, tre giorni
fa, in cui ho percorso poco più di un centinaio di km prima che la
nausea del circuito da un km e mezzo prendesse il sopravvento su di
me. Non ce l'ho potuta fare: a tarda sera ho riconsegnato il chip di
cronometraggio, ho raccolto i miei stracci, sono saltata in auto e
son tornata a casa. Però, cento km di corsa son sempre 100 km e
lasciano il segno per qualche giorno. Mi avvio a passo lento tra i
noccioleti e la nebbia sospesa, lungo la strada secondaria che taglia
l'abitato di Neive e porta direttamente a Castagnole delle Lanze. Il
centro storico di Neive rimane sulla destra, lassù in alto. Qui,
solo nocciole, viti e qualche cascina. Subito un paio di strappi
severi, per gradire, e l'incrocio nell'interno di una curva cieca con
il camioncino della raccolta dell'immondizia. Mannaggia, ma oggi i
netturbini non fanno festa?
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
In effetti, per essere il 25 aprile di
primissima mattina, c'è parecchio movimento. E persone al lavoro
nelle viti: immagino che questa stagione non conceda requie a chi
vive di vigneti e frutteti, neppure nelle feste comandate. Qualche
saliscendi, una curva secca a sinistra ed ecco le prime case di
Castagnole delle Lanze, precisamente della località Farinere. Sono
per lo più gli anziani a spostarsi a quest'ora, per lo più alla
guida di una Panda e per lo più con il cappello in testa. La piazza
di Castagnole è inaspettatamente animata, soprattutto nei paraggi di
un bar. Il passaggio di una podista di un certo spessore, inteso
proprio nel senso di dimensione fisica, e parecchio desnuda rispetto
alla temperatura, suscita vivace curiosità. Ma è un attimo: supero
la piazza, giro verso Neive ed un centinaio di metri dopo imbocco il
bivio per Coazzolo. Di qui, una teoria di vetrine vuote, il vecchio
passaggio a livello della ferrovia in disuso, qualche condominio che
sa di vetusto e capannoni chiusi per via del giorno festivo. Poi,
dinuovo le colline. La strada sale dolcemente fino al bivio che
interessa a me: non ho intenzione di salire a Coazzolo per la via
diretta. Imbocco sulla sinistra una stradina che, dopo un paio di km
quasi in piano con passaggio vicino ad una fabbrica di piscine,
prende a salire decisa.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
A me, che adoro nuotare proprio per il
gesto del nuoto e quindi apprezzo le piscine vere, quelle lunghe e
con le corsie, l'idea della piscinotta domestica mette una gran
tristezza. Come fai a nuotarci dentro? E che te ne fai di una piscina
se non ci nuoti? Sguazzi in una pozza per i due mesi scarsi l'anno in
cui è climaticamente possibile farlo, almeno dalle nostre parti? Non
so... Mi sa di “volere e non potere”, di qualcosa da ostentare,
quindi per me privo di qualsiasi attrattiva. A meno che un giorno lo
zio d'America mi lasci i fondi necessari a realizzare una mia piscina
olimpionica privata. Anzi, solo una corsia di piscina olimpionica
privata. La piscina intera non mi serve, tanto sono un'asociale, ci
nuoterei comunque solo io.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Ora che mi sono tirata addosso l'odio
della lobby delle piscine private, passo oltre e comincio la salita,
a cui le gambe rispondono con insperato entusiasmo. Viti a profusione
e il paesaggio che si allarga, con i cocuzzoli delle colline che
spuntano da un'aureola di nebbia. Le Alpi no, mi sa che oggi non le
vedrò, data la coltre di nuvole scure che copre l'orizzonte, ma
posso accontentarmi.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Questa per me rimarrà per sempre la
strada dove, per la prima volta, ho visto dal vivo il cartello
stradale che vieta l'accesso ai mezzi cingolati. Ce ne sono ben due,
uno appena oltre il primo tornante ed uno più avanti, in
corrispondenza di un gruppo di vecchie cascine bellissime.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Man mano che prendo quota, sento più
intenso il soffio del vento e la maglia già bagnata di sudore che si
appiccica gelida alla pelle. Ville moderne e cascinali di una volta:
poi, la curiosissima chiesetta di Coazzolo. La prima volta in cui
l'ho vista è stata un fulmine a ciel sereno: qui, dove tutto intorno
non si vede altro che regolarissimi filari di viti ed un senso di
rigore, quiete e lavoro, spunta proprio sul crinale una piccola
chiesa ridipinta con colori e forme geometriche sgargianti e
decisamente inconsueti, soprattutto per un luogo di culto. Opera
recente di un artista britannico, David Tremlett, con il sostegno di
un imprenditore del luogo. Non posso fare a meno di scattare una
foto, anche se ne ho già a decine. Il vento, però, mi convince a
ripartire subito, per evitare di prendere un malanno.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5YCS0Sy3qDm7ba2WIk89Lc5sOypVFLDRQGm4YwIfFxKMGhIVqMyxNUMFMkVlnGbZG8QHA2qrENK2NrIae7jkGhNLahiev7vkEicwRzr0S0Yh1XZT7Ut5-F2BBFJY_7kaBssSfox6cuE4h/s1600/DSCF3422.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5YCS0Sy3qDm7ba2WIk89Lc5sOypVFLDRQGm4YwIfFxKMGhIVqMyxNUMFMkVlnGbZG8QHA2qrENK2NrIae7jkGhNLahiev7vkEicwRzr0S0Yh1XZT7Ut5-F2BBFJY_7kaBssSfox6cuE4h/s320/DSCF3422.JPG" width="240" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Ancora un km di lieve salita, fino al
bivio con la strada che, a destra, raggiunge l'abitato di Coazzolo e,
a sinistra, porta verso Santo Stefano Belbo oppure verso Mango. E' a
Mango che io sono diretta. Ancora qualche panoramicissimo km di
blanda salita, in cui lo stomaco comincia a rivendicare le sue
spettanze. Prima barretta andata. Non è che i garretti siano proprio
brillantissimi, oggi, ma non posso nemmeno pretendere più di tanto.
I 100 km... E l'età che rende più lento il recupero. Quando me lo
raccontavano, anni fa, non ci credevo. Facevo spallucce. Ma
ovviamente, come sempre, il monito era destinato ad avverarsi, prima
o poi.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Ancora un paio di tornanti prima del
bivio per Camo. La musica non mi distrae dal magnifico panorama di
colline tutt'intorno. Oltre la curva a destra, il profilo imponente
del castello di Mango. E ancora il vento, insistente. Un paio di km e
ci sono: mi lascio il paese a sinistra e scendo in direzione di
Neviglie. Il cartello di un sentiero che indica San Donato, sulla
sinistra del viale, mi incuriosisce: lo imbocco... Ma il sentiero
diventa presto una traccia mal segnata ed un tratturo che mi riporta
sullo stesso viale, qualche centinaio di metri più avanti, dopo un
giro nelle vigne. Un po' delusa, riprendo la marcia sull'asfalto e
svolto a destra per Neviglie.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Ancora lenta salita con vista, questa
volta, verso Neive, fino ad un gruppo di cascine in località
Ronconuovo; qui si scollina e si scende verso Neviglie. Area pic nic
sulla sinistra, rigorosamente deserta, e, appena prima del paese, un
bivio sulla destra con strappo secco in salita. E' il mio. Lo
imbocco, supero la rampa che le gambe, un po' rilassate, digeriscono
male, e poi in picchiata lungo una ripida discesa tra i vigneti, in
cui l'asfalto per qualche tratto lascia il posto al cemento. Ancora
un bivio a sinistra: qui, per districarsi nel groviglio di stradine,
bisogna prima perdersi qualche volta, ma è un capitolo che ho già
scritto. Punto decisa verso il fondo della valletta, dove qualche
solitario di buon gusto ha ristrutturato ad arte due meravigliosi
edifici in pietra; supero un ponticello e poi mi concedo una novità.
Di solito, qui, piego a sinistra e vado direttamente verso Neive,
lungo una splendida stradina che va a ricongiungersi al primo
tornante della strada principale tra Neive e Mango. Oggi invece ho
pensato di provare a girare a destra. C'è una strada che non ho mai
percorso e che, per ovvio obbligo geografico vista la conformazione
del luogo, non può che tornare a Mango o nei paraggi. D'altro canto,
potrebbe anche interrompersi in qualche frazione. Ergo, proviamo.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Altra salita, per un breve tratto su
asfalto. Poi, un cartello di legno attira la mia attenzione: “Mango”,
con la freccia rivolta verso un ampio sentiero tra i filari. E perché
no? Proviamo. Affronto con un po' di rassegnazione l'ennesima nuvola
di chissà quale intruglio chimico che alcuni lavoranti stanno
spandendo nelle vigne: se non altro, questi sono dotati di tuta e
mascherine... Non è affatto una precauzione comune, anzi. Io no, non
ho nulla di tutto ciò. Passo alla svelta ed un po' scocciata, anche
se in realtà non posso certo pretendere che queste persone
interrompano il loro lavoro al passaggio di una squinternata che
corre. Il sentiero, quasi una bella strada bianca, prosegue fino ad
un gruppo di case e ridiventa strada asfaltata. Un altro cartello di
legno ed un altro bivio a sinistra mi rimandano però su un nuovo
tratto di sentiero, prima ben segnato e poi più vago, prima in un
vigneto e poi attraverso i noccioleti, con Mango sopra la testa. La
terra grigia e sabbiosa è spaccata e come sfogliata dalla mancanza
d'acqua; le scarpe non lasciano quasi traccia.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Seguendo quello che mi sembra il
tracciato più logico del sentiero ben poco tracciato, sbuco
nuovamente nel viale di Mango già percorso prima. Torno su, ma
neppure questa volta entro in paese. Comincio la lunga discesa verso
Neive, mentre in cielo si addensano nuvoloni scuri ed il vento
rinforza ancora. Sono a circa 25 km di giro; ne mancherà una decina,
occhio e croce.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Scendo osservando la strada da cui sono
scesa prima, sull'altro versante della valle, alla mia destra. In
effetti è proprio ripida. Ci sono mezzi scavatori al lavoro per
l'impianto dei nuovi vigneti, su fette di collina nude e bruciate
dalla siccità. Incrocio qualche ciclista: in effetti, sono tutti ben
più vestiti di me. E poi, mentre procedo di buon passo, sopra
pensiero...</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
…la lapide. Quel pezzo di marmo
vagamente triangolare, con la foto di una ragazza bruna, davvero
bella, ed un nome scritto in elegante carattere corsivo, Alessia.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Negli ultimi anni ho percorso spesso
questa strada, più sovente in salita che in discesa, talvolta in
bici e talvolta a piedi. E' ormai da tanto che c'è, quella lapide.
Ma, sulle prime, non ci avevo fatto più di tanto caso. Un po'
perché, per natura, sono poco incline ai sentimenti nei confronti
dei miei simili, siano essi di affetto o di pietà, e un po' perché
ai bordi delle strade capita spesso di vedere lapidi, cippi
commemorativi, mazzi di fiori legati ad un sostegno qualsiasi. Ma
sugli altri cippi, spesso, le immagini e le dediche si coprono di
polvere che col tempo nessuno toglie più; i fiori prima freschi
lasciano il posto a quelli finti e, poi, anche i fiori finti si
sgretolano al passare delle stagioni, forse perché il dolore sfuma
in ricordo, forse perché non c'è più neppure chi si curava di
ricordare e far ricordare.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Tutto questo però non è accaduto alla
lapide di Alessia. Ogni volta che passavo, la vedevo sempre lustra,
ricolma di ninnoli, bella come può essere bello un monumento ad un
defunto, curata, immaginavo, dalla mano di qualcuno che non avrebbe
mai potuto darsi pace.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Un giorno, non so quanto tempo fa,
mentre scendevo in bici da Mango verso Neive, ricordo di aver visto,
già da lontano, un'auto ferma nei pressi del cippo. Ricordo di aver
rallentato molto: c'erano due persone, un uomo ed una donna, delle
cui fattezze non mi è rimasto impresso nulla, ma che senza ombra di
dubbio erano la mamma ed il papà, intenti a ripulire ed abbellire la
lapide. Ricordo di aver provato il fortissimo desiderio di fermarmi,
avvicinarmi, chiedere loro cosa fosse successo. Forse avrei dovuto
farlo; probabilmente quella mamma e quel papà avrebbero parlato
volentieri della loro figlia, chissà se unica. Sarebbero stati
contenti di sentirsi dire che era molto bella, perché questo è
tutto ciò che io so di quella ragazza, dalla sua foto. Non ho osato,
per timore che la mia fosse scambiata per curiosità morbosa. Ma,
soprattutto, non ho osato per vigliaccheria, perché ho avuto paura
di non poter reggere nemmeno una minuscola scheggia del loro immenso
dolore.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Se devo essere sincera, non ho mai
apprezzato l'ostentazione dei sentimenti, di qualsiasi natura essi
siano, nel bene e nel male. Non sono mai andata a trovare i miei cari
defunti al cimitero, perché è una cosa che ritengo del tutto priva
di senso, posto che lì non c'è altro che materia organica in
decomposizione e che le persone, semplicemente, non esistono più. E,
per quel poco che mi importa del “dopo di me”, vorrei che nessuno
venisse a cercare me quando non ci sarò più. Ma è una mia scelta.
E' anche vero che io non sono genitore, non ho mai desiderato nemmeno
per un istante un figlio e quindi non posso, né cerco di immaginare
neanche lontanamente quel che possa significare, per una madre o un
padre, perdere un figlio. Se non attraverso mia madre, la sua
preoccupazione e la sua paura ogni volta che per qualche ragione ha
temuto per la sorte delle figlie.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Alla lapide di Alessia non ho mai
neppure trovato il coraggio di scattare una fotografia. Ma qualcuno,
un inverno, lo ha fatto. Ho trovato in rete, questa immagine (scatto di Carlo Meazza).</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVXB8wkpfms1QYtq2qEcdwpzLQ3GEiMptCMTLIvX3bdiXCGE0hIEBOZ2Xk4HE3S70qHtliL52edUPKfqdeql2rAd7gPVYRb5QpZpWpj_dUoe3uNBswJurvKk4pn5xvDbe3nV8yFFSmk5BW/s1600/langhe.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVXB8wkpfms1QYtq2qEcdwpzLQ3GEiMptCMTLIvX3bdiXCGE0hIEBOZ2Xk4HE3S70qHtliL52edUPKfqdeql2rAd7gPVYRb5QpZpWpj_dUoe3uNBswJurvKk4pn5xvDbe3nV8yFFSmk5BW/s320/langhe.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Da poche notizie rinvenute su internet,
con il beneficio del dubbio dei resoconti di cronaca, ho letto che la
ragazza, appena diciottenne, è rimasta vittima di un incidente
stradale in una notte di novembre del 2010, sull'auto guidata da un
coetaneo. Mi è venuto spontaneo di pensare che diciotto anni siano
proprio pochi per guidare un'auto e mi sono domandata come possa un
genitore sopravvivere all'angoscia di sapere un figlio così giovane
in auto. Ci vuole troppo coraggio per essere genitori.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Da quel giorno, non passo più davanti
a quella lapide senza fermarmi almeno un brevissimo istante, per quel
nulla che può servire. Nemmeno oggi. Mi allontano come sempre con il
groppo in gola. La vita continua, quasi sempre, ma per le mani che
curano quella lapide sembra essersi fermata ad una notte di poco più
di sei anni fa.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Al trotto, supero gli ultimi due
tornanti in discesa. Altro attentato ai miei polmoni, da parte di un
anziano che sta bruciando sterpaglie usando come combustibile
qualcosa come uranio impoverito, a giudicare dall'odore... Mi salva
il sentiero sulla sinistra, che mi fa guadagnare ancora qualche metro
di dislivello, per poi scollinare al cospetto della bellissima torre
romanica del monastero. Ancora uno strappo alla periferia di Neive,
per superare la rotonda ed imboccare a destra la strada del cimitero.
Provvidenziale la fontanella: la sacca idrica nello zaino ormai è
vuota ed ho una gran sete... Oltre ad una gran fame. Ho consumato due
barrette, ma ormai non vale più la pena di attaccare la terza. Mi
avvio in direzione della località Albesani: passo oltre, sfilando
accanto ad una casa protetta da tre meravigliosi maremmani dall'aria
ben poco amichevole. Non mi resta che l'ultima discesa secca, prima
di tornare in vista del Pepedoro e della mia fida Zafira in attesa.
Avviso la Madre a casa: venti minuti ed arrivo, butta la pasta o
mangio le gambe del tavolo!</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi20_Qj1XFdzeOKU-ELRyqcpVwhReBhRFoQNbKzqY7z4MBvPh61UWR5WBb7fh7K8C0XdafQDD2SFiJYnlo8aVwSbMyoMOP_OppBUvY-c9UdldH07zgPIllDC1swhHFOJrF0Sw4nZaGjweGd/s1600/DSCF3420.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi20_Qj1XFdzeOKU-ELRyqcpVwhReBhRFoQNbKzqY7z4MBvPh61UWR5WBb7fh7K8C0XdafQDD2SFiJYnlo8aVwSbMyoMOP_OppBUvY-c9UdldH07zgPIllDC1swhHFOJrF0Sw4nZaGjweGd/s320/DSCF3420.JPG" width="240" /></a></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-14288693789353241972017-04-09T23:00:00.000+02:002017-04-26T07:06:49.313+02:00Ponte Belbo, Cravanzana, Feisoglio, Gorzegno, Levice, Bergolo, Cortemilia, Castino<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Chissà perché, quando
Matteo mi ha mandato via mail il tracciato dell'itinerario di corsa
che avrei dovuto seguire oggi, ho immediatamente pensato che qualcosa
sarebbe andato storto. Geograficamente parlando, intendo dire.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Partenza da Ponte Belbo,
nel territorio di Castino. Sono le sei del mattino, più o meno; è
ancora quasi buio. Il termometro della Zafira segna un grado e mezzo:
per la miseria, quando ho acceso il motore, a casa, ce n'erano dieci
in più... Va bene che nei paraggi del Belbo, quaggiù, fa sempre un
freddo suino, ma così è troppo! Sono qui in pantaloni e maniche
corte; che faccio? Domanda oziosa. Non ho molta scelta. Sono in
ballo, devo ballare. Mi carico lo zainetto, stracarico di cibo e con
camel bag sulle spalle, e parto. In salita, per fortuna.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il bar sull'incrocio è
già aperto. Supero l'unico distributore automatico di pellet che
abbia mai visto e comincio, con calma, la salita verso Bosia, in
attesa che la circolazione sanguigna torni a raggiungere le
estremità, naso compreso. La luce del giorno, fioca fioca, si sta
appena affacciando alla valle: per evitare di portarmi appresso tutto
il giorno la pila frontale, il giacchino rifrangente ecc, ho deciso
di confidare nella buona sorte e nella sobrietà mattutina dei pochi
automobilisti della valle. Ma sarò più tranquilla tra un po'.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La prima salita è
morbida ma lunga. Raggiungo e supero i tornanti di Bosia, scatenando
i latrati di un buon numero di cani, per la gioia dei padroni ancora
immersi nel sonno profondo. Ma, per il momento, né l'ascesa né
l'entusiasmo valgono a scaldare un poco le mie ossa intirizzite. La
luce illumina appena la parte alta dell'altro versante... E il freddo
pungente mi costringe alla prima urgente sosta idrica tra le
accoglienti fronde di un noccioleto.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Qualche auto, un paio di
furgoncini. La strada spiana appena prima del bivio per il centro di
Cravanzana e scende poi leggermente, per me che rimango all'esterno
del paese; passa tra un negozio di alimentari ed un'osteria dove un
pomposo “Wine Tasting” mi fa venire ancor più la pelle d'oca –
siamo a Cravanzana, santiddio, altro che “wine tasting”... Ma il
gas di scarico di un'Ape mi intossica i polmoni ed i pensieri.
Dovrebbero bandire l'Ape come arma di distruzione di massa...<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXeIKQuGKFfUG9n1DwrUSnpjsCVkHK1COKhtGB0-VkLulLLDi-HWz2AT7-86bY6jsMyttipw3dfxwllZCytIAT-wst3tXz-0pUQTmu-YTe2aTypopTlFJPYu4VImQdO79TvoYb-Alb_3ac/s1600/DSCF3408.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXeIKQuGKFfUG9n1DwrUSnpjsCVkHK1COKhtGB0-VkLulLLDi-HWz2AT7-86bY6jsMyttipw3dfxwllZCytIAT-wst3tXz-0pUQTmu-YTe2aTypopTlFJPYu4VImQdO79TvoYb-Alb_3ac/s320/DSCF3408.JPG" width="320" /></a></div>
<br />
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyURYXxvEoMYUrNwq87ZheIVq0xkvGjXnWR97QCuWF5Xx_6OqyYgGwB523lScPzzL6_rWiNFfUFu1ZEaZQhHwhKHHkAHZyOnTp2n5OkJb3_4Oge_uRVMYh3vdQ5AbC4sjsfXWcJgpPTj9y/s1600/DSCF3417.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyURYXxvEoMYUrNwq87ZheIVq0xkvGjXnWR97QCuWF5Xx_6OqyYgGwB523lScPzzL6_rWiNFfUFu1ZEaZQhHwhKHHkAHZyOnTp2n5OkJb3_4Oge_uRVMYh3vdQ5AbC4sjsfXWcJgpPTj9y/s320/DSCF3417.JPG" width="320" /></a></div>
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Quando la strada riprende
a salire, mi fermo ad ammirare e fotografare Cravanzana illuminata in
pieno dal primo, limpidissimo sole che colora i vecchi muri di
mattoni; pochi istanti prima di ripartire in salita, ancora per
qualche km in direzione di Feisoglio. Ancora ben poco movimento di
veicoli; quanto ad esseri umani in carne ed ossa, a parte gli
avventori del bar alla partenza, non ne ho ancora visti. E non ne
vedo nemmeno attraversando Feisoglio per tutta la sua lunghezza, fino
al magnifico viale con alberi carichi di fiori rosa.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Al bivio successivo,
svolto a sinistra sulla sonnacchiosissima piazza. Devo imboccare una
strada, già percorsa almeno due volte in salita, molto secondaria,
che scende in Valle Bormida, nei paraggi dell'incrocio con la salita
per Levice. Ci sono già passata, appunto: quindi, vado sicura.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Le mie certezze, però,
si infrangono dopo pochi metri di salita. C'è un bivio. Bene: ma io,
quando sono arrivata quassù in direzione opposta, da quale delle due
strade sono arrivata? Provo ad andare a memoria e sensazione; imbocco
a sinistra. Qualcosa però non mi convince. Salendo a Feisoglio avevo
il sole a sinistra; adesso me lo ritrovo completamente a destra...
Significa che questa strada torna indietro rispetto alla direzione
che ho tenuto finora. Non va bene; dovrei al massimo viaggiare in
direzione più o meno perpendicolare. E poi qui è un dedalo di
deviazioni verso le cascine, una strada minuscola devastata dalle
buche, dove l'asfalto è un lontano ricordo. Di certo non sono
passata di qui in bici. Non me lo sarei scordato, questo posto.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ergo, dietrofront. Torno
al primo incrocio dopo Feisoglio ed imbocco l'altra alternativa. Si
sale ancora un poco, fino ad una bella radura con alcune vecchie
case. Incappo in un altro bivio: l'arrivo di un cagnotto tutto
festante, probabilmente un cane da caccia, con i campanellini al
collare, mi distrae al punto che non ci faccio caso. Così, di lì a
poco, mi rendo conto che anche questa volta sto viaggiando lungo una
strada che non è quella giusta. Pazienza, mi dico. Senza dubbio sto
scendendo comunque in Valle Bormida. Senza dubbio una strada come
questa non va a perdersi nel bosco. Ma, soprattutto, questo posto è
bellissimo. Bosco fitto, le foglie degli alberi ancora minuscole e di
un verde chiarissimo; i raggi del sole che creano giochi di luci ed
ombre fra i tronchi. Dovunque io mi trovi, vorrei poterci rimanere...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La strada corre dapprima
in una sorta di gola, chiusa e stretta; poi, dopo un tornante a
destra, si apre sul panorama senza fine dei boschi: sembra di essere
in montagna, lontanissimi da tutto e da tutti, anche se ho lasciato
Feisoglio da pochi km. Non c'è traccia di anima viva fin dove lo
sguardo può spaziare. Solo il verde del bosco ed il blu sfacciato
del cielo limpidissimo di oggi. Ma, poco più avanti, spunta una vite
coltivata strappando il terreno alla collina, con muretti di pietra a
sostenere le piante e, poco sopra, una cascina che suscita la mia più
profonda invidia per la fortuna dei proprietari. Quassù non c'è
proprio alcun rischio di avere dei vicini di casa o dei visitatori
sgraditi...
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La discesa verso il
fondovalle è davvero lunga. Solo negli ultimi due o tre km compaiono
le prime abitazioni ed i campi coltivati. Non appena raggiungo la
strada di fondovalle, ecco la conferma di ciò che temevo. Non è qui
che volevo arrivare. E non riesco a capire esattamente dove sono
arrivata. Ora, per salire a Levice, dovrò seguire la principale a
sinistra o a destra?</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Nel dubbio, mi muovo di
buon passo verso destra, scrutando l'altro versante della collina. In
capo ad un km, arrivo nel territorio di Gorzegno. Qui, però,
s'impone una sosta: se non altro, per capire dove diamine sto
andando... Non avendo con me la cartina, che ho stampato e poi
utilmente lasciato a casa, mi affido alla funzione Googlemaps sul
telefonino. Incredibile dictu, qui ai margini del mondo c'è
connessione internet. Benissimo: per salire a Levice, avrei dovuto
svoltare a sinistra. Ma non tutto è perduto. La cartina mostra una
minuscola strada che da qui, da Gorzegno, sale per l'appunto a
Levice, tagliando il versante della collina con un lungo tratto in
diagonale. Ergo: mi dirigo verso il centro di Gorzegno, bellissimo.
Dopo un paio di tentativi infausti, imbocco la via del cimitero: lì,
proprio davanti al camposanto, campeggia un bel cartello blu per
Levice. In alto, i resti del castello, dall'aspetto quasi minaccioso,
da film dell'orrore.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Un vivacissimo cagnetto
bianco e nero interrompe la mia marcia: a stento la padrona lo
richiama all'ordine. Corro per un breve tratto in pianura lungo la
Bormida, dando finalmente sollievo alle richieste perentorie del mio
stomaco vuoto. Ho avvolto alcuni pezzi di fontina nella carta
stagnola, con il risultato che, ora, mangio fontina e frammenti di
stagnola... Ma non è il caso di andare troppo per il sottile. La
fame è brutta.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Supero un imponente ponte
e mi ritrovo dinuovo in salita, su una stradina tranquilla e
secondaria, tra noccioleti e ciliegi in fiore. A dire il vero, le
gambe danno segni di ribellione. Concedo loro qualche tratto al
passo, alternato a tratti in salita, e mi sforzo di bere il più
possibile. Il caldo adesso è arrivato, eccome. Proprio come si
vedeva dalla mappa, la strada prosegue con pochi tornanti e lunghi
traversi, fino allo strappo finale ed all'inserimento su una strada
più grande. Ed ora? C'è un tabellone di legno con la cartina. Dalla
mappa e dal punto in cui è segnato il “voi siete qui”, parrebbe
che, per andare a Levice, si debba girare a destra e salire. Ma non è
che la situazione sia chiarissima. Provo a far così: di corsa in
salita. Ma non sono convinta. Un paio di km dopo, riprendo in mano il
cellulare, pregando per la resistenza della batteria. Infatti: per
raggiungere Levice, toccava andare a sinistra, in discesa.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Dietrofront ed altro
pezzo di formaggio. Ho una fame che potrei assalire un cinghiale a
mani nude, nonostante sia vegetariana. E una fiacca... Mi lascio
portare dalla pendenza. Levice appare di lì a poco: un meraviglioso
grumetto di edifici, la bellissima piazza centrale tutta in pietra.
Ma non sarò in grado di apprezzare appieno tanto splendore se prima
non troverò qualcosa di consistente da mettere sotto i denti.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Un cartello indica un
negozio di alimentari in centro paese. Mi fiondo giù per la
ripidissima strada che porta alla piazza della chiesa, seguendo le
indicazioni del negozietto come se fossero la mia stella polare. Ma,
in piazza, non vedo alcun negozio: solo un bar, proprio in faccia
alla chiesa. Pazienza, qualcosa da mangiare ci sarà.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Entro con cautela: il
baruccio, più un loculo che un locale, è stipato di anziani e meno
anziani seduti lì a guardarsi in faccia e fumare, mentre fuori
tutt'intorno è bellezza e luce abbacinante. Mi sento immediatamente
tutti gli occhi addosso: soprattutto quelli di una ragazzina fasciata
in una gonna corta con calze velate, poco adatta sia all'età che al
luogo, che mi squadra da sotto in su e poi viceversa, con l'evidente
dispetto di chi si vede rompere le uova nel paniere. Tranquilla,
fanciulla... Tempo di comprare due pezzi di focaccia ed una lattina –
chiedendo un panino ho seminato il panico – ed uscire. Fatico a far
capire che voglio due pezzi di focaccia ed una sola lattina, perché
la focaccia è tutta per me... Ma esco trionfante ed un po' più
fiduciosa.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mi siedo su una panchina
piazzata, per lungo, sul tratto di piazza in discesa: vorrei fare i
miei personali complimenti a chi ha avuto l'idea geniale... Ma non è
il caso di stare a sottilizzare. Divoro il primo pezzo di focaccia e
la lattina, mentre la piazza si riempie delle auto dei fedeli per la
messa. Troppa gente per i miei gusti. Peccato che la fontanella non
funzioni: prenderò acqua a Bergolo... Nella sacca ne ho ancora un
po'.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Riparto su per la
ripidissima rampa che riporta alla strada principale. Direzione
Bergolo: ora va molto meglio. La salita blanda non è di ostacolo
alla digestione. Fa decisamente caldo... Sotto Bergolo, imbocco la
prima via sulla destra, in salita, che porta ad un bivio all'imbocco
del meraviglioso paese. Ora, da qui, secondo la carta di viaggio,
dovrei scendere a Pezzolo Valle Uzzone per una strada che, pure
questa, ho già percorso; da lì raggiungere Todocco e ricongiungermi
con la strada che scende a Cortemilia. Più o meno al Todocco dovrei
incontrare Matteo in arrivo in bici da Genova. Ma c'è un problema,
anzi due. Non sono affatto sicura di quale sia la strada che scende a
Pezzolo – anche se, a mente fredda, pensandoci dopo, capirò che
c'è una sola alternativa possibile – e, soprattutto, per arrivare
fin qui, tra errori di strada e deviazioni varie, sono già vicina ai
quaranta km. Riprendere il programma originario significa macinare
molti km più del previsto e, soprattutto, impiegare molto più
tempo, rinunciando per forza a rientrare a casa ad un'ora decente per
le varie incombenze. Ergo, decido di ripiegare sul piano B.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Attraverso il paese di
pietra e comincio la discesa verso Cortemilia, incurante dei messaggi
di disappunto di Matteo, che mi rimprovera pure di essere partita
troppo presto. Il caldo è davvero eccessivo per la stagione. E non
c'è un filo di ombra...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il tempo di una foto alla
torre e scendo l'ultimo km verso il centro di Cortemilia. Mi fiondo
alla fontanella, battendo sul tempo un marmocchietto e la madre; ci
butto sotto la testa e riempio la sacca, aggiungendo una bustina di
sali. Non amo affatto la sola acqua durante lo sforzo. Pochi istanti
di tregua, per poi ripartire attraverso la piazza gremita di
motociclisti e di gente vestita da cerimonia per chissà quale
evento. Appena oltre il ponte, di fronte al supermercato, imbocco a
sinistra la Via Salino e, poche centinaia di metri dopo, ad un bivio,
piego ancora a sinistra in direzione dell'Agriturismo Castel Martino.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Questa è una salita
cattiva, ma cattiva davvero. Nelle condizioni di gambe di adesso, con
tanti km e tanta salita già alle spalle, è inutile che io provi a
correre. Gli strappi sono troppo ripidi, il caldo è troppo
aggressivo. Cammino di buon passo per i pochi km, davvero pochi
rispetto al dislivello, che mi portano a scollinare tra ville
iperlussuose con tanto di sorveglianza ed un bellissimo agriturismo,
una rampa dietro l'altra, senza misericordia. Approfitto del fatto di
non poter correre per trangugiare il secondo pezzo di focaccia, ormai
mezza liquefatta dal caldo. Ma la focaccia va sempre bene, sotto
qualunque forma si presenti. La strada spiana nell'ultimo tratto, in
vista di Castino; qui diventa sterrata, ma comunque del tutto
praticabile. Sulla destra si vede la strada principale che collega
Cortemilia a Castino; si sente, in lontananza, il rumore delle moto.
Quel tracciato è molto amato dai motociclisti. Lungo il mio
itinerario, invece, non ho incontrato nemmeno un'auto.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Alla ripresa
dell'asfalto, in una bella radura inondata di sole, riprendo a
correre. E' ormai primo pomeriggio e so che, dopo un bel tratto di
rettilineo, ci saranno un paio di curve in discesa.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Arrivo ad un incrocio con
la strada che, da Castino, va diretta a Cravanzana restando in alto
sul versante della valle. Comunico a Matteo che prendo la direzione
di Cravanzana, tanto per allungare ancora un po': chissà che non
riesca a raggiungermi... Ma è ancora troppo lontano. Poco male:
svolto a sinistra e trotto lungo un tratto di saliscendi tra
noccioleti e splendide case ristrutturate, con vista sulla Valle
Belbo. Pochi umani e molti cani, incluso un Border Collie che mi
abbaia furiosamente e corre avanti ed indietro sul bordo di un
muretto a secco... Ma ben si guarda dal saltare il mezzo metro di
altezza che lo separa da me. Le gambe stanno bene, io mi sono
ripresa, tanto che in breve arrivo al bivio per Cravanzana. Che fare?
Tornare a Ponte Belbo dalla principale, oppure tornare indietro da
dove sono venuta, andare a Castino e scendere di lì? La seconda,
nella vana ipotesi che Matteo, informato dei miei movimenti, mi
raggiunga. Ogni tanto dimentico che, pur essendo molto veloce, non
viaggia in elicottero...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ripercorro a ritroso gli
ultimi tre o quattro km, causando un'altra arrabbiatura al Border
Collie. Arrivo nel centro di Castino e svolto a sinistra, per
l'ultima galoppata in discesa. Sfortuna vuole che mi superi, nella
discesa, l'intero raduno delle auto “tuning” o, come dico io,
“tamarrate”... Con annesso concerto di fracasso inaudito e gas di
scarico a volontà. Il caldo non molla. Raggiungo Ponte Belbo
abbastanza in fretta: per prima cosa, apro tutte le portiere della
Zafira e mi abbatto nel bagagliaio, stesa con le gambe in alto.
L'arrivo di Matteo e Mik, incontrato per la via, mi risveglia da una
pennichella che mi sembrava durare da giorni... 68 km, per oggi può
bastare.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-78980391798067053662017-03-17T21:48:00.001+01:002017-03-17T21:48:29.552+01:00Di corsa tra Vicoforte, Frabosa Soprana, San Giacomo di Roburent<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Le minilepri ed il gatto
li ho schivati con un buon margine... Ma il capriolo può davvero
ringraziare la sua stella e la mia abitudine di calcare poco
l'acceleratore, soprattutto quando è buio, quando conosco poco la
strada e quando sono, come stamattina, angosciata dalla spia della
riserva. Sveglia, però, a quanto pare sono sveglia: inchiodo
all'istante quando vedo l'animale schizzare sulla strada, a pochi
metri dal mio cofano; sterzo a destra per non investirlo e riesco
persino a non finire giù dalla riva, mentre il simpatico ungulato,
limortaccisua, risale leggiadro e beato il pendio alla mia sinistra.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ma lo spavento fin qui
provato è nulla rispetto allo sbigottimento che mi genera la figura
vagamente umana in gilet rifrangente, casco e pantaloni rossi,
crocifissa in mezzo alla rotondina in centro a Vicoforte. Strabuzzo
gli occhi e capisco: trattasi di un tipico esemplare di pirla.
Infatti è Ivano, già pronto per la partenza. S'era detto alle
quattro e sono, infatti, le quattro in punto. Cinque minuti in tutto
per parcheggiare l'auto, consegnare al mio assistente ciclista di
oggi il bagaglio e partire.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La mia scorta alimentare,
come sempre, è raffazzonata: ho buttato un una borsa di plastica a
casaccio le prime derrate che ho trovato aprendo la dispensa,
peraltro non rifornita da me ma dalla santa madre. Quattro o cinque
plumcake alla marmellata nella pietanziera di metallo per evitare che
si schiaccino; un Buondì, un pezzo di croccante alle mandorle, due
lattine di Red Bull. Manca il capitolo “salato”, ma a quello
confido abbia provveduto Ivano. Uomo all'apparenza cattivissimo,
cinico, inaffidabile, insomma un mostro: ma, quando si tratta di
sport, è una garanzia, per sé e soprattutto per me, che sono
decisamente meno affidabile di lui e per giunta anche pericolosa, in
primis per me stessa.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Maglia tecnica invernale,
maglietta a maniche corte da bici per la comodità delle tasche sulla
schiena, gilet, giacca impermeabile, pantaloni ¾, due paia di calze,
immancabili Hoka ai piedi e fascia per le orecchie. I guanti...
Ehm... Me ne sono ricordata all'ultimo istante, uscendo di casa: per
non frugare negli armadi e svegliare mia mamma, ho afferrato il primo
paio che mi è capitato a tiro, un elegante paio di guanti in pelle
che mia nonna indossava nei giorni di festa. Sono un po' stretti e
del tutto estranei al contesto, ma che importa. Basta che riparino le
mani, visto che la temperatura è di ben due gradi.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Anche Ivano è sepolto
sotto più strati di indumenti. Non lo invidio davvero: correndo, io
mi scalderò in fretta, ma lui, pedalando alla mia velocità, è a
serio rischio ibernazione. Per fortuna, è uno che in materia sa il
fatto suo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Si parte in leggera
discesa, giusto per scaldarsi un po'. Chissà quante maledizioni
piovono dalle case dei paraggi... Altissimi latrati di tutti i cani
del circondario, indignati dai nostri movimenti notturni. Meglio
allontanarsi, prima che, oltre a santi e madonne, qualcuno decida di
far volare anche un pitale. In effetti, non posso dar loro torto. La
gente normale, a quest'ora, dorme o guarda film a luci rosse, oppure
esce ubriaca dalle discoteche e si stampa in auto contro i platani.
Noi ci avviamo a piedi e su ruote lungo le strade deserte del
Monregalese, sotto lo sguardo benevolo di una splendida luna piena
appena velata. Attraversiamo la piazza deserta dell'imponente
Santuario di Vicoforte, sfiliamo nei pressi di un distributore di
benzina che mi ricorda l'incombente presenza della spia gialla sul
cruscotto della Zafira e poi via, sempre in un concerto di latrati,
finché le case cominciano a diradarsi. Il mio primo problema, come
sempre alla partenza, è trovare un luogo per una sosta tecnica,
ermeticamente protetto dalla vista di chiunque. Scrupolo quasi
superfluo nelle tenebre di quest'ora, si dirà: eppure, non appena
individuo un posticino che potrebbe fare al caso mio, in lontananza
appaiono i fari di un'auto. Se osassi fermarmi, sono certa che
arriverebbe immediatamente una carovana di pullman di turisti
giapponesi con i teleobiettivi. Lasciamo perdere, soffriamo in
silenzio.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La strada in leggera
salita porta conforto alle membra intirizzite. Il buio mi confonde le
idee: ho già perso l'orientamento rispetto alla partenza. Ad un
incrocio, in corrispondenza di una cappelletta illuminata da una viva
luce gialla, svoltiamo a sinistra. A sinistra per gli uomini,
specifica Ivano. Già, perché io spesso mi trovo in difficoltà
quando, a bruciapelo, devo decidere dove sia la destra e dove la
sinistra. Ho bisogno di un istante per ricordare qual è la mano con
cui scrivo. Dicono che sia un difetto non così raro nelle donne.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Si torna in mezzo alle
abitazioni e, ancora, si scatena il concerto canino. Posso solo
immaginare lo sbigottimento degli indigeni assonnati ed intuisco
occhi ansiosi dietro spiragli di tende appena spostate. Soprattutto
di questi tempi, quando i furti nelle case sono ormai lo sport
nazionale. Figuriamoci poi cosa possono pensare, i tapini, alla vista
di due oggetti semoventi non ben identificati ma molto luminosi. Ed
anche parecchio ciarlieri. Va a finire che tra un po' arrivano i
gendarmi! Basta che a nessuno salti in mente di imbracciare la
doppietta. Soprattutto nel momento in cui io, accanto ad una
provvidenziale catasta di legna, mi concedo il “minuto di
raccoglimento” tanto desiderato.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il percorso studiato dal
mio fido assistente, nonché guida materiale e spirituale, non
risparmia le sorprese. Persino un tratto di sentiero, qualche
centinaio di metri, che s'infila tra le cascine. “Non c'è fango
qui” - commenta Ivano – “quindi non dovremmo trovarne molto
nemmeno sulla strada sterrata che percorreremo più avanti, anche se
la quota sarà ben più alta”. Un brivido mi corre lungo la
schiena: chissà dove diavolo andremo a finire oggi... Incautamente
ho chiesto di architettare un percorso lungo ed impegnativo, senza
porre limiti di alcun genere, e conosco ben poco il Monregalese,
quindi sono costretta a fidarmi.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Tra un incrocio di qua ed
una svolta di là, posso dirmi in completa confusione. Ivano si
lamenta dell'ammutinamento del GPS: lo posso capire... Il GPS! Siamo
perduti nella notte tenebrosa e nel nulla eterno... Raggiungiamo, al
termine di una discesa, una strada che ha l'aria di essere un po' più
frequentata, almeno nelle ore canoniche del giorno. La percorriamo
per poche decine di metri, incontrando ben un'auto, per poi svoltare
a destra in strada della Galla. Una secca rampa iniziale in salita mi
fa capire all'istante che non ci sarà da scherzare. Anche qui, la
stradina corre ripida in mezzo a ville e villette che, a ragione o
più spesso a torto, si danno un certo tono. Ovunque cancellate che
sembrano fortificazioni, cartelli che avvisano della
videosorveglianza, luci che si accendono al nostro passaggio, spie
dei sistemi di allarme e latrati di cani grossi e minacciosi. Certo
la tranquillità non regna sovrana per chi abita qui.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La salita è irregolare
ma non concede tregua. Oltre una curva, si apre la vista su una
distesa di luci più in basso: Villanova Mondovì, mi informa il
Cicerone. E le sagome delle montagne, ben visibili alla luce della
luna. Questa notte, la pila frontale serve per farsi vedere, ma non è
davvero necessaria per vedere. Nonostante il cielo appena velato,
basta la luce naturale.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Per adesso, le gambe
sembrano promettere bene. Ci avviciniamo ad un paese proprio di
fronte a noi, al culmine della salita: è Monastero Vasco.
Imbocchiamo la via sulla destra: si scende. Il che non è affatto un
sollievo, per due buoni motivi: perché le gambe in discesa
patiscono, pur con meno fatica, e perché il freddo arriva subito a
mordere le spalle e le braccia. Ivano avanza il dubbio che questa
strada possa essere chiusa, ma secondo me vale la regola aurea per
cui a piedi, o in bici, si passa più o meno ovunque.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Al fondo della discesa,
incrociamo nuovamente la strada provinciale. La attraversiamo in
direzione di Niere e di un luogo dall'inquietante nome di “Madonna
delle Lame”. Appena oltre il bivio, un edificio dall'aria vetusta e
l'insegna di un ristorante che immagino abbia vissuto tempi migliori.
Si torna a salire, stavolta nel fitto del bosco. Cinguettii di ogni
tonalità ed il canto lontano di qualche galletto insonne. Ci si
allontana dalla civiltà, ma mai del tutto. Ancora salita ripida, ma
le gambe sembrano reggere bene. Il primissimo chiarore dell'alba
infonde un po' di fiducia in più. Ivano, preciso come un orologio
svizzero, ad intervalli regolari mi porge la borraccia, a cui
ovviamente ha pensato lui e non io: acqua e sali, oppure acqua e
sciroppo alla menta. Entrambi graditissimi, se non fosse per la
temperatura gelida. Ed è quasi ora di mangiare qualcosa. Fino a
pochi minuti fa non ne avrei avuto voglia, ma adesso il languorino
comincia a farsi sentire.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Questa salita, strada
Unie, è spietata. Infila una rampa dietro l'altra, senza
misericordia. Ma il premio non tarda ad arrivare: alla mia destra, la
luna che pian piano scende dietro il costone della montagna,
illuminando di mille sfumature di azzurro i pendii innevati. Una
favola ed una sferzata di gioia per la mente e per i garretti.
Evidentemente la pendenza non è solo una mia impressione: anche
Ivano fatica parecchio a salire in bici. La fatica è spezzata, e
spazzata via per un istante, dallo spettacolo di due agilissimi
camosci che attraversano la strada a pochi metri da noi.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Quando comincio ad
accusare la stanchezza, finalmente la salita si placa. L'alba
guadagna terreno e ci rivela lo spettacolo splendido di una stradina
deserta lungo un pendio punteggiato qua e là da poche case e qualche
cappelletta. I segni della presenza umana ci sono eccome... Ma tutto
tace, tutto è silenzio ed immobilità. I prati sono un tripudio di
fiorellini di ogni colore, soprattutto primule gialle, a profusione.
L'aria è frizzante, il cielo ancora leggermente velato. Dopo la
prima barretta Ciocovo, è la volta di una banana, con corollario di
disquisizione semiseria circa il modo corretto di afferrare la
banana. Da sempre io sostengo che questo frutto abbia sviluppato una
sorta di gambo che è fatto apposta, proprio apposta secondo i
disegni di madre natura, per essere tenuto in mano, aprendo la buccia
dall'altra estremità... Ma pare che io sia l'unica a pensarla così
e che il resto del mondo sbucci la banana spezzando il gambo. Non
importa, rifiuto l'omologazione e lancio la buccia in mezzo al bosco.
Tutt'intorno è montagna con qualche spruzzata di neve ed un cielo
color acciaio.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Un tratto di strada
sterrata, breve ed insolito, visto che l'asfalto ricompare dopo
qualche decina di metri. La strada corre quasi in piano per un lungo
tratto, fino a raggiungere, all'alba delle sette, come mi informa
l'orologio del bel campanile in pietra, il primo avamposto di
civiltà. Mondagnola. Qui, qualcosa muove. Incontriamo persino
un'auto. Ormai è giorno fatto, ma noi siamo ancora bardati ed
illuminati per la notte. Trottiamo ancora in leggera salita.
L'orientamento ormai l'ho perso del tutto, ma mi fido: finché le
gambe reggono... Il paese che vedevo sopra la testa è Frabosa
Soprana. Lo attraversiamo: mette un po' tristezza, come tutte le
stazioni sciistiche, con i casermoni, le insegne chiassose, gli ampi
parcheggi ricoperti di cemento. L'atmosfera, poi, qui, è quella di
un luogo che è stato fastoso e festoso in altri tempi, ma che oggi
sembra scivolare nell'oblio. Per carità, sarà anche la fine della
stagione sciistica... Ma siamo ai primi di marzo ed un po' di neve
resiste in qualche giardino, su qualche pendio ben più alto. Ha un
bel mostrarmi, Ivano, le piste da sci più in quota e le seggiovie in
funzione. Rimane la sensazione di qualcosa che non è più. Poi, in
realtà, io sarei ben felice di non vedere nulla, né casermoni né
impianti né piste. Dovrei essere, visto il mio lavoro, una convinta
sostenitrice dell'economia legata al turismo, in generale
dell'economia che gira, ma proprio non mi riesce. Trovo lo sci da
discesa e tutto ciò che vi gira intorno qualcosa di inutilmente
opulento, chiassoso, modaiolo, che poco ha a che fare con lo sport.
Oggi, tuttavia, c'è ben poca vita. Ma sarà l'ora.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La mia corsa si sta
appannando un poco. Procedo lungo la strada principale, ignorando un
bivio a destra, mentre il fido assistente si è fermato un momento.
Mi guardo intorno: tra i casermoni sopravvive qualche bella
costruzione in pietra. Molto bella la località di Straluzzo, dove
incontriamo il primo essere umano a piedi. Qui abbandoniamo la via
principale per aggredire, si fa per dire, un'altra rampa in salita.
Un paio di curve secche ci portano oltre una cascina; una splendida
baita in pietra apre un lungo tratto di strada tra pendii boscosi e
prati ricoperti di neve e di fiori. Il sole, pur leggermente velato,
è intenso e fa capolino qua e là oltre le curve. Siamo, occhio e
croce, non lontani da quota mille metri.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIX1wLCaeeV8NiHmNf-UXbGL_XCuhmzTLGtpCccCjy02WS2mAo_3p0IqujrPXU9x7gSBWR2Vval9aEX4O_s5aarvBK-nZfcEc9NDuKkqORHw5rNvy_MBqirfAcjh-8Su9POU2H-v3sJigJ/s1600/DSCF3382.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIX1wLCaeeV8NiHmNf-UXbGL_XCuhmzTLGtpCccCjy02WS2mAo_3p0IqujrPXU9x7gSBWR2Vval9aEX4O_s5aarvBK-nZfcEc9NDuKkqORHw5rNvy_MBqirfAcjh-8Su9POU2H-v3sJigJ/s320/DSCF3382.JPG" width="240" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ivano deve aver percepito
il mio attimo di scoramento, perché sfodera l'arma segreta: il
panino ripieno di gorgonzola, gustosissimo ed enorme. “Se non te la
senti di mangiarlo tutto, ne mangio un po' anche io”. Lo guato come
il mio maremmanone guata chi osa avvicinarsi alla sua ciotola quand'è
piena: “Tu me l'hai dato e guai a chi me lo tocca!”. Un boccone
dopo l'altro, il meraviglioso paninone va giù come se fosse acqua
fresca. Sarà effetto placebo, non so, ma basta questo a rinvigorire
le gambe.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Una lunga, morbida e
panoramicissima discesa tra i prati, ben esposta al pallido sole
mattutino, ci conduce fino all'abitato di Corsagliola, non prima di
un'altra sosta tecnica tra i castagni. Foto di rito davanti ai
cartelli stradali; bevo una lattina di Red Bull e mangio un boccone
del merviglioso cioccolato maialo che spunta fuori da una delle borse
appese alla bici di Ivano. Che uomo pieno di risorse alimentari.
Levo finalmente la pila frontale, ma tengo ancora indosso il
giacchino rifrangente giallo, perché di qui mi attende un tratto un
po' più trafficato – si far per dire: passeranno dieci auto
all'ora. Si torna a salire, ma in modo appena percettibile, per
parecchi chilometri: un tracciato per me tremendamente logorante.
Come se non bastasse, il tratto iniziale della strada è
completamente in ombra. Mi ero già abituata a quel bel teporino...
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Qui, ahimè, è crisi.
Nerissima. La leggera pendenza in salita mi distrugge, soprattutto
moralmente; mi sembra di dover sopportare una fatica davvero
esagerata e di non riuscire in alcun modo a procedere degnamente. La
scorta non mi perde d'occhio: sa benissimo cosa mi sta succedendo,
anche senza bisogno che io parli. Siamo vicini ai quaranta km... E
ciò che mi turba è che non ho idea di quanto sia lungo l'itinerario
architettato per oggi da Ivano. Avevo chiesto un giro lungo e denso
di salite... Non posso certo cominciare a lagnarmi adesso. Ma non mi
va nemmeno di chiedere: sarebbe un segno di debolezza. No no, non è
ancora il momento di cedere, stringiamo i denti.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Appena prima dell'abitato
di Corsaglia, Ivano si ferma per sistemare il vestiario. Il paesino,
con il torrente che scorre proprio accanto, a destra rispetto alla
strada, è un gioiello di case con i muri in pietra. A sinistra,
impetuosi piccoli affluenti saltano tra le rocce e passano sotto i
ponticelli in pietra che collegano le abitazioni abbarbicate sul
fianco della montagna. Un negozietto di alimentari, persino una
cantina.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Oltre Corsaglia, provo a
dare una telefonata a casa, per sapere se madre e beniamini pelosi
sono tutti in forma. Di lì a poco, mi raggiunge Ivano, poco prima
del bivio a sinistra con la strada che sale verso Prà. La
imbocchiamo: proprio di fronte a noi, ma parecchio più in alto, si
scorge un campanile. “Dobbiamo andare lassù”, sentenzia
l'assistente, sottolineando la solennità dell'affermazione con un
grufolio del maiale di plastica legato al manubrio, la nostra
mascotte. Un maialetto rosa a pois, di quelli che si trovano negli
autogrill, già compagno di tanti km. Finalmente la strada sale, ma
sale sul serio. Io non ho ancora capito per quale motivo una pendenza
ripida mi faccia soffrire molto meno di un lento estenuante
falsopiano: e questo per me vale a piedi come in bici. Almeno, qui,
ho la percezione anche visiva del motivo per cui fatico!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Un paio di tornanti
severi ci portano in vista della piccola borgata di Zitella, amena
località di cui merito la cittadinanza onoraria. L'occhio mi cade, a
sinistra, su una morbida massa bianca allungata sulla soglia di una
splendida cascina. Un istante dopo, le masse sono due, imponenti; si
lanciano verso di noi abbaiando furiosamente. E poi, tre, quattro,
cinque! Cosa vedono le mie fosche pupille, meraviglia delle
meraviglie, sono cinque splendidi pastori maremmani, due adulti e tre
cuccioloni. La mia reazione spiazza sia il padrone, che dal cortile
si affanna a richiamare i cani, sia gli stessi morbidissimi bestioni:
lancio un urlo, che non è paura ma incontenibile gioia, e mi ci
butto in mezzo, menando coccole a destra e a manca. Questo è il mio
paradiso, io mi fermo qui, voglio essere adottata qui, morire ed
essere sepolta qui!
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Gli adulti, più
sospettosi, tornano sui loro passi; i tre cuccioloni invece non
disdegnano le coccole. Me li ritrovo persino sulla schiena. Staccarmi
da qui e ripartire mi costa una fatica inaudita... Ma s'ha da fare,
ovviamente dopo la foto di rito sotto il cartello “Zitella”. Un
pugno di edifici in pietra, uno più bello dell'altro, con la cornice
di montagne appena un poco innevate.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhC6ee6O-KeceU_NyoDJgrTaZZQA6lgEKczHDyFKNUHRpM_bQ3KF6rgNl_wJiBrxy7Oc912hksyk7QETxnCHHfrjYbqyeogHgP3S7LcvS0DYS458O1_zx-ndYa9Fle3j1vyfFCJQ_HmdM3j/s1600/IMG-20170312-WA0026.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhC6ee6O-KeceU_NyoDJgrTaZZQA6lgEKczHDyFKNUHRpM_bQ3KF6rgNl_wJiBrxy7Oc912hksyk7QETxnCHHfrjYbqyeogHgP3S7LcvS0DYS458O1_zx-ndYa9Fle3j1vyfFCJQ_HmdM3j/s320/IMG-20170312-WA0026.jpg" width="320" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La salita prosegue a
rampe severe e tornanti secchi, ma le gambe corrono bene. In men che
non si dica ci ritroviamo proprio sotto al campanile. L'ultimo
tornante ci porta al minuscolo abitato di Prà, di fronte alla
chiesa. Un pannello con la carta dei sentieri è l'occasione per
Ivano di illustrarmi il prosieguo del nostro giro: seguendo con il
dito un percorso che io fingo di comprendere e memorizzare alla
perfezione, mi mostra l'itinerario che ci porterà a San Giacomo di
Roburent e poi a Serre. Razionalmente, so che questo tipo di carte ha
una scala tale per cui le distanze non possono essere più di tanto
lunghe; tuttavia, l'impressione è che si debbano ancora percorrere
parecchie decine di km. E sarei ben felice di poterlo fare... Ma non
sono del tutto sicura di riuscirci.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Proseguiamo tra le case,
di cui invidio di tutto cuore i proprietari. Se non dovessi
preoccuparmi di procurarmi da vivere, di certo vivrei in un luogo del
genere; per quanto il luogo in cui vivo effettivamente sia già
abbastanza fuori dal mondo per il comune sentire. Una rampa secca, là
dove non ne aspettavo più, mi fa un po' soffrire. In cima, l'asfalto
finisce; ci si immette su una strada ampia e sterrata. Il fatto che
io accenni a svoltare a destra, quando Ivano comanda imperiosamente
di girare a sinistra, dimostra che del pannello segnaletico io non ho
capito un beato nulla. Obbedisco, comunque.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Pochi metri dopo,
l'assistente attacca con le domande trabocchetto: “Giallo o blu?”.
La litania del “giallo o blu” s'è già sentita un paio di volte
oggi; lì per lì non avevo capito, ma neppure avevo indagato, ben
conoscendo ormai la passione di Ivano per le boiate a sorpresa.
“Blu”, sospiro. Ma questa volta non si tratta affatto di una
boiata, anzi. Ivano sfodera una formaggetta chiusa in un incarto blu
e ne spezza un grosso boccone. Il mio amatissimo formaggio grasso!
Ok, credo sia giunto il momento di una pausa, breve ma seria. Mi
siedo un momento a terra, distendo le gambe, mi godo il
voluttuosissimo boccone di formaggio morbido. Ma la sosta è davvero
breve: qui siamo appena oltre quota mille; il sole è velato e l'aria
è tutt'altro che tiepida. Annego la formaggetta in una sorsata di
acqua e menta – lo so, non c'è più religione – e riprendo la
corsa, un po' rinfrancata. La strada è sì sterrata, ma in ottime
condizioni; qua e là, tratti ghiacciati impongono cautela nella
falcata. Qualche chilometro di morbide curve, in cui corro di buona
lena soprattutto per vincere il freddo, ed ecco apparire il Rifugio
dei Vernagli, più volte citato oggi dal mio accompagnatore. Un altro
meraviglioso edificio in pietra, oggi ancora chiuso; aprirà il primo
di aprile. </div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2EPcxGP87FEFg_BaHyzrjAhr7kwIOD7OEG8I2FAssg1nusWB7R-r3mZsiL-cPeIyOMu6XYlk3Am9hunszpAeyZZNtCeGXDMuArphFNcdlhbMR-IX2XBQMKZw0mxj30fi8EmsbzyKnCewE/s1600/DSCF3406.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2EPcxGP87FEFg_BaHyzrjAhr7kwIOD7OEG8I2FAssg1nusWB7R-r3mZsiL-cPeIyOMu6XYlk3Am9hunszpAeyZZNtCeGXDMuArphFNcdlhbMR-IX2XBQMKZw0mxj30fi8EmsbzyKnCewE/s320/DSCF3406.JPG" width="320" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Brevissima sosta, cioccolato, una lattina di Coca Cola e
dinuovo di corsa. Da qui, la strada tende ad essere prevalentemente
in ombra; lunghi tratti sono coperti di neve ghiacciata. Si continua
a scendere, con una pendenza appena accennata. Ivano non sembra avere
alcun problema, con la bici che, pur essendo un comodo mezzo da
viaggio, non è certo una mountain bike. Io ho qualche problema di
equilibrio in più, ma me la cavo e mi godo il trotto. Una moto da
cross e, più avanti, tre persone a piedi sono il nostro unico
incontro con l'umanità: si aggiungono, appena prima di Roburent, due
auto che si sforzano di salire nonostante il fango ed il ghiaccio che
qui, appena più in basso, rendono il percorso davvero poco
praticabile. Dov'è che questi incauti piloti vogliano andare, lo
sanno solo loro, visto che il rifugio è chiuso; mi sa che saranno
costretti ad abbandonare le vetture e ad andarle a riprendere al
disgelo...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Man mano che ci
avviciniamo a San Giacomo di Roburent, proprio alle porte del paese,
vedo sempre più alberi con le radici all'aria e tracce di lavori in
corso per segarne i tronchi, ma lì per lì non capisco. Mi concentro
sulla rampa che conduce, nuovamente sull'asfalto, nel centro del
paese, per capire se e quanto io “ne abbia ancora”. Sono stanca,
questo senza dubbio.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ivano ordina una pausa.
Ci fermiamo nei pressi di un negozietto di alimentari. Mi siedo sul
marciapiede, accanto ad una fettuccia che delimita una ringhiera in
parte divelta. In paese c'è movimento; dovrebbe essere tarda
mattinata. Siamo a 53 km e circa 2000 m di dislivello già
accumulati. Mangio un paio di plumcake ed un po' di cioccolato,
osservando il passeggio dei presenti. Qui l'unica lingua che si sente
parlare è il genovese: questa zona è una vera e propria enclave di
Genova in terra piemontese. Qualcuno si aggira in divisa da sci,
anche se il verde del paesaggio stride con l'idea che si possa sciare
nelle vicinanze. Qualche tratto di pista si intravede, più in alto.
Mi avvicino alla bici, dove Ivano sta riorganizzando il contenuto
delle borse. L'occhio mi cade su un balconcino del condominio,
affacciato sul cortile più basso della sede stradale, anch'esso
divelto. Mi domando ad alta voce cosa sia successo: che un'auto sia
uscita di strada proprio qui, precipitando di sotto? “E' stato il
vento, ci ha portato via il tetto”, spiega, con spiccata cantilena
ligure, una corpulenta signora seduta sulla panchina. Alzo gli occhi
e capisco. E' vero: qualche giorno fa, nelle valli di Mondovì e fino
a Cuneo, si è scatenato un vento del tutto anomalo che ha combinato
guai di ogni genere. Ora si spiegano gli alberi rovesciati... In quel
momento, esce dal negozietto il commerciante: “Eh signora –
rivolto alla madama – lo ammetta, che voleva farsi il terrazzo per
prendere il sole, l'ha fatto apposta...”. Mi rimetto in marcia per
non assistere alla manifestazione della furia di un genovese colpito
da un grave danno pecuniario e per giunta preso in giro così, coram
populo. Nemmeno un chilometro di leggera salita, sotto un raggio di
sole; alla rotonda, la pendenza si inverte ancora. Si scende.
Passiamo davanti al punto di partenza di una seggiovia in funzione e
parecchio frequentata, a giudicare dalla quantità di auto che
affolla il piazzale del parcheggio. “Siamo noi quelli fuori
stagione – osserva Ivano – mica loro”. Sarà, ma a me va
benissimo così.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il fido compare mi
precede a Serra Pamparato, alla ricerca di una fontanella per
riempire la borraccia. Procedo tranquilla, di buon passo, un po' più
fiduciosa sulle possibilità delle mie gambe. Ancora alberi divelti,
crollati su lampioni, ringhiere a lato strada e persino sui tavolini
da picnic; tegole in pezzi ai piedi di edifici e tettoie. Che
disastro.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ritrovo Ivano sdraiato in
mezzo alla strada, che emette versi indecifrabili. Ormai non mi
stupisco più di nulla; basta solo che nessun mezzo a motore gli
passi sopra, perché non sono sicura di essere in grado, da qui, di
tornare a Vicoforte... Al centro dell'abitato di Serre, accanto ad un
edificio anomalo, tutto vetrate e fregi e purtroppo lasciato
all'abbandono, si stacca sulla sinistra una stradina che, superate
alcune cascine, subito riprende a salire in mezzo al bosco fitto,
catapultandoci in un attimo in un ambiente di montagna. Viene
spontaneo commentare come queste strade siano non solo sconosciute,
ma assolutamente inconcepibili per la maggior parte dei podisti e dei
ciclisti, abituati a calpestare sempre gli stessi chilometri di
asfalto, preferibilmente su stradoni pianeggianti e trafficati.
Davvero, a 99 ciclisti su 100 mai verrebbe in mente di imboccare un
bivio davanti a cui passano magari decine di volte, né sorgerebbe
loro il desiderio di sapere dove porti quella strada. Guai ad uscire
dal tracciato segnato ed arcinoto.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Per me quassù è il
paradiso, nonostante la stanchezza che ormai non riesco più a
celare. Continuo a correre, ma solo perché so che, da qui, dovrebbe
mancare al massimo una decina di km. Ivano ha colto la mia
condizione; mi tiene sveglia e distratta con il racconto delle
avventure e disavventure ferroviarie dei suoi innumerevoli viaggi
bici + treno. E' sorprendente, quasi preoccupante, il modo in cui
riesce ad intuire i miei stati d'animo durante la fatica. Tant'è
che, ad un certo punto, presa dalla sete ormai intensa, guardo la
borraccia e penso di chiedergliela: sono sicura, proprio certa, di
non aver proferito parola, eppure un secondo dopo Ivano prende la
borraccia e me la passa. Confesso che quasi quasi mi fa paura. Che i
poteri soprannaturali di Mel Gibson in “What Women Want” si siano
incarnati anche in lui?</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Lunga, bellissima discesa
boscosa, in direzione di Torre Mondovì. La stradina, dapprima
stretta, si allarga poi in un'ampia carreggiata con curve ampie e
morbide. Anche la discesa, ormai, mi costa fatica. E' circa l'una del
pomeriggio: sono in giro da nove ore, ma sono state nove ore molto
dense. La salita non è certo mancata. Ivano, che si era fermato poco
sopra, mi sfreccia accanto e passa oltre, alla ricerca della stradina
del 40%: un breve tratto di strada dentro l'abitato di Torre Mondovì,
lungo il quale un minaccioso cartello indica, appunto, una pendenza
davvero estrema. La troviamo, sulla sinistra. E va bè, se si tratta
di scendere... In effetti, forse 40% è eccessivo, ma in alcuni
tratti questo è quasi un sentiero di montagna, ripidissimo, che in
poche decine di metri ci porta giù, nel punto più basso del paese.
Non so se, in bici, avrei più timore ad affrontarlo in salita oppure
in discesa. Sarebbe ribaltamento sicuro, in entrambi i casi.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
In paese svoltiamo a
sinistra e, qualche centinaio di metri più avanti, alla rotonda, a
destra. Passiamo accanto alla cartiera. Cerco di capire come sto,
come reagiscono le gambe. Manca ancora una salita... Mi riesce
difficile mascherare lo sfinimento, ma mi sforzo di trottare ancora.
Manca poco. E fa caldo, nonostante il cielo velato. Qui, lungo questo
tratto, accanto alle cave, siamo già passati in occasione di un
altro giro. C'è una casa in cui abita un bellissimo border collie:
già quella volta avevamo notato il comportamento del cane che, pur
con il cancello aperto, non oltrepassava di un millimetro la linea di
demarcazione del cortile. Lo ritroviamo oggi: ci abbaia, ci osserva,
ma non esce dal confine della proprietà. Dev'essere il cane di un
geometra, di sicuro.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Nella borgata di Moline,
ultima breve sosta, seduta sul bordo in pietra di una splendida
fontana. Bevo, mi sciacquo la faccia. Di mangiare no, non ho più
voglia, non è più necessario. Ora si torna a salire, ma manca
poco...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ripartire sulla secca
rampa in salita mi costa uno sforzo notevole. Ivano lo sa e sfodera
l'arma segreta, l'ultima spiaggia. “Sei andata davvero bene, sei
molto avanti nella preparazione”. Funziona sempre, anche nei
momenti di crisi più nera, anche quando corro con il naso all'insù
alla ricerca disperata del punto in cui andremo a scollinare...
Eccoci, finalmente. Oltre una curva, il panorama cambia
completamente. Spunta il cupolone del Santuario di Vicoforte, inizia
l'ultimo blando tratto di discesa prima della meta. Il mio assistente
mi chiede se io desideri arrivare all'auto “da sotto” o “da
sopra”: arrivarci “da sotto” vorrebbe dire aggiungere ancora un
chilometro di strada ed un centinaio di metri di dislivello in
salita. No, mi spiace, non mi sono macchiata di alcun crimine tanto
grave da meritare simile punizione, almeno credo. Mi costa
ammetterlo, ma ne ho davvero abbastanza, per oggi. Non me la sento di
infliggermi ancora un giro di quelli “tanto per allungare”. Sono
al limite. Ma tanto, tanto felice.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mi riempo gli occhi del
panorama di Vicoforte nella luce del primo pomeriggio. Ultima,
leggera risalita, poi fermo il cronometro, già in mezzo alle case.
73 km e circa 2.400 m di dislivello in salita. Gambe sfinite, ma non
doloranti, almeno per il momento. Mi abbatto in auto, qualche minuto
per riprendermi, prima di ripartire. Giusto il tempo di realizzare
che, a casa, i cani mi accoglieranno, freschi e pimpanti, entusiasti
all'idea di fare, uno per volta, una bellissima passeggiata!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-10054912780250569392017-03-05T21:11:00.002+01:002017-03-05T21:27:31.395+01:00Il blog riparte sulla via del Moscato<div style="margin-bottom: 0cm;">
Il programma avrebbe previsto di
partire da casa alle 6. Tra colazione mia, colazione per le belve,
turni di coccole a tutti per non far torti, preparazione dello
zainetto, nonostante la sveglia alle 4 e mezza, accumulo quasi tre
quarti d'ora di ritardo. Beh, pazienza. In fondo non ho appuntamenti,
o meglio: l'appuntamento ce l'ho, ma è un appuntamento di massima,
adattabile alla necessità.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Il termometro segna esattamente zero
gradi, tanto per mettere subito le cose in chiaro. Parto con il
parabrezza congelato e la testa fuori dal finestrino: confido che, da
queste sonnacchiose parti, le prime ore del mattino della domenica
sono, come da definizione del buon Ivano, “un tempo che non
esiste”. Tutto tace, nulla muove. Infatti, raggiungo la cima della
salita di casa ed attraverso il paese, sempre con la capoccia fuori
dal finestrino, senza incontrare anima viva. Nel frattempo, un
francobollo di parabrezza si è scongelato: abbastanza per avere
almeno una vaga idea di dove sia la strada.
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
Raggiungo Canelli alle sette e mezza e
parcheggio nel piazzale dello stadio, piena di speranza: spero che
oggi non si giochi alcuna partita; se si dovesse giocare qualche
partita, spero che non sia prevista la rimozione forzata delle auto
che non appartengono ai tifosi ed anche che i tifosi del Canelli e
delle sue avversarie non siano troppo turbolenti ed inclini alla
distruzione delle vetture. Anni di frequentazione dello stadio
milanese di San Siro, sia pure in veste di spettatrice delle altrui
intemperanze e non di distruttrice in prima persona, hanno lasciato
il segno.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
La temperatura non è molto
più confortevole. Un grado e mezzo. Me l'aspettavo ed infatti mi
sono premunita con pantaloni ¾, maglia a maniche lunghe e collo alto
felpata e maglietta da bici sopra, per via delle comode tasche sulla
schiena. Zainetto, immancabili Hoka ai piedi, fascia protettiva sulle
orecchie e si parte. Immediatamente mi accorgo che qualcosa l'ho
dimenticato: i guanti... Via, le mani assiderano subito e non ci si
pensa più. Spero che, guadagnando quota, si spunti al sole.</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
Mi dirigo di corsa verso il
centro, ma dopo poche centinaia di metri svolto a sinistra, direzione
Cassinasco. E lì mi ricordo che potrei sfruttare al meglio le
potenzialità del GPS, se lo accendessi. Amen, conterò un chilometro
in più, tanto non siamo mica qui a spaccare il capello in quattro.
</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
Per fortuna, la salita
comincia subito. Prendo quota tra casette e ville con giardino: più
che le case, ammiro alcuni parchi con alberi che devono davvero avere
una bella età. Quanti cani ci potrei far vivere... Qualche cane, in
effetti, già c'è ed abbaia: l'unico segno di vita in una
sonnacchiosa domenica mattina. Primi sprazzi di sole; qualche curva e
mi ritrovo in vista di un bellissimo limpido panorama sulle Alpi. Sul
Monviso, in particolare, così diverso da come sono abituata a
vederlo da casa. Il sole è abbagliante ed è proprio di fronte,
ancora basso: speriamo che i pochi automobilisti in movimento mi
vedano. La torre di Cassinasco appare presto, ma è ancora lontana;
cinque o sei kn da Canelli, occhio e croce. I primi fiori sugli
alberi da frutto... E primule gialle fiorite su ogni zolla di terra a
bordo strada. Peccato che, al momento, io non sia in grado di
apprezzare al meglio la poesia. Come sempre, alla partenza e
soprattutto in giornate dal clima frizzante, la prima esigenza da
soddisfare con estrema urgenza è trovare un anfratto per un pit
stop... Ma la salita da Canelli a Cassinasco non si presta: troppe
abitazioni, troppa umanità, occhi che potrebbero vedere. A me serve
poco meno di un bunker antiatomico per poter sostare serenamente.</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
Il sole è ormai alto, ma in
quota soffia un venticello gelido. In preda alle mie preoccupazioni,
per così dire, idriche, raggiungo Cassinasco quasi senza
accorgermene. Anche qui, non muove foglia. Secondo le istruzioni di
Matteo, adesso devo seguire la strada principale e scendere a Bubbio.
Oltre il paese, l'ambiente sembra decisamente meno popolato, tra ampi
pendii e poche cascine. Una cagnolina con collarino rosa mi osserva
perplessa dal cancello aperto di una casa: qualche decina di metri
dopo, me la ritrovo accanto, che corre con me, silenziosa. Mi fermo,
le offro uno dei biscotti per cani che non manco mai di portarmi
appresso, ma non sembra affamata. Le raccomando di tornare a casa:
vero che qui passa un'auto ogni morte di Papa, ma è pur sempre una
strada. Bella, larga ed inondata di sole, anche se in discesa sento
decisamente freddo. Poi la vallata si fa più incassata; la strada
taglia un ripido pendio. Ormai prossima alla detonazione, finalmente
scorgo una traccia di sentiero che sale su per il bosco. I rovi ne
stanno prendendo possesso, ma pazienza... Qui non si può più
tergiversare.
</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
Finalmente rinfrancata, mi
rimetto in marcia. Primo piccolo pasto, una barretta di Ovomaltina.
Non posso dire di sentir fame: la colazione a base di polenta e
gorgonzola, wafer e caffé col mieie è stata più che soddisfacente.
Tuttavia, esperienza insegna che, quando la fame si fa sentire, è
già tardi per evitare conseguenze.</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
A Bubbio la valle si apre;
resto a margine del paese e raggiungo l'incrocio con la strada che va
a Monastero Bormida. Tre o quattro km con il sole abbagliante proprio
di fronte ed il fiume Bormida, scuro e limaccioso, alla mia sinistra,
fino al paese, in grande spolvero di annunci e cartelloni per
l'imminente manifestazione della “Polentonissima”. Sotto lo
sguardo perplesso di due anziani sulla panchina della piazza,
sfreccio, si fa per dire, al bivio per Roccaverano, e supero il
suggestivo ponte romanico, non prima di una breve sosta per scattare
qualche foto al castello.</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNZtWlLy0kIYKUzMGCI6HDSg-b-lHcG7mjA5VcuSFepY7Cx6R0_zH0jDYqVINKjX9uPgoh3dcw2k-mm7L4eODidDVEdTebeR4UmixgUWE5ZbKWBXpp1O6tXdoVA1-M9lMGM5gQ9lHDMDn0/s1600/DSCF3360.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNZtWlLy0kIYKUzMGCI6HDSg-b-lHcG7mjA5VcuSFepY7Cx6R0_zH0jDYqVINKjX9uPgoh3dcw2k-mm7L4eODidDVEdTebeR4UmixgUWE5ZbKWBXpp1O6tXdoVA1-M9lMGM5gQ9lHDMDn0/s320/DSCF3360.JPG" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Monastero Bormida</td></tr>
</tbody></table>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
Dodici km di salita mi
separano da Roccaverano. Salita blanda, ma che fin da subito mi mette
in difficoltà, soprattutto nei lunghi tratti di falsopiano che
sembra non salire mai ma mette a dura prova le gambe. Soprattutto
quando le gambe reggono un deretano extralarge. Una fiacca eccessiva
per la distanza percorsa fin qui, poco più di 15 km.
Paradossalmente, va meglio in qualche tratto un po' più ripido.
Speravo davvero che il malanno, influenza o forte raffreddore,
chissà, che mi ha tenuto compagnia per due settimane non avesse
lasciato strascichi... Ma ogni tanto mi prende un tale accesso di
tosse che, se qualcuno dovesse sentirmi, probabilmente mi vedrebbe
meglio in sanatorio che non a zampettare su questa bella strada quasi
deserta.
</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
Un corso d'acqua con muretti
che creano suggestive cascatelle accompagna la mia marcia, mentre in
alto domina la torre di San Giorgio Scarampi. Solo dopo un tratto,
per me interminabile, di falsopiano in salita, arrivano i primi
tornanti. Qua e là, cascine, capre e galline, cartelli che indicano
la vendita della toma di Roccaverano – e sì che ci farei un
pensierino.
</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
La fiacca non mi molla,
anche su tratti con pendenza irrisoria. Mi manca il fiato, ho male in
mezzo al petto. So benissimo che è il raffreddore e non un imminente
infarto, ma mi lascio prendere dallo sconforto. Non sono allenata,
sono pesante, sono irrimediabilmente culona, ergo non vado avanti.
Cammino per venti passi, corro per cinquanta, poi ripeto. Se mi
sforzo di allungare il tratto di corsa, rischio di stramazzare. Ah,
ma a Roccaverano... Manca poco, a Roccaverano c'è il negozietto di
alimentari. Mi ci compro una birra. O una Red Bull. O almeno una
Coca. Già, siamo alle solite. In tanti anni di corsa, io non ho
ancora scovato un modo men che fastidioso di portarmi qualcosa da
bere. La borraccia, dovunque la piazzi nello zaino o negli appositi
portaborraccia sugli spallacci, sussulta in modo insopportabile. La
bottiglia in mano dà fastidio. Il camel bag finora è il sistema
meno odioso che ho provato, ma si tratta comunque di correre per ore
con lo sciacquio nelle orecchie, soprattutto quando la sacca è mezza
vuota. E, se nello zainetto metto la sacca, non ci sta più quasi
nulla. Oggi, in verità, confidavo nel fresco e nel fatto che le
fontanelle fossero sufficienti. Non ho portato nulla da bere e
adesso, qui in mezzo al nulla, patisco la sete. E mi sa che buona
parte della fiacca e della nausea arrivano da lì. A Roccaverano i km
son già quasi trenta senza bere. Ma c'è il negozietto, sì sì,
coraggio.
</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
Nell'ultimo km prima del
paese, aggredisco il croccante alle mandorle, di solito un buon
rimedio contro la fiacca. Il panorama, da quassù, è meraviglioso;
la vista spazia sulle Alpi, con i primi fiocchi di nuvole che
nascondono le cime. Mi sforzo di correre fin su in paese, ma, appena
oltre il cimitero e la bella chiesetta in pietra, la pendenza della
strada mi convince a rinunciare. Salgo di buon passo, ma con il
morale sotto le suole. Poche centinaia di metri lungo la ripida
strada in centro paese ma... I miei sogni di gloria e Coca Cola si
infrangono contro le inferriate chiuse. Niente da fare, la domenica
qui si santifica il riposo. Eppure ricordo occasioni in cui,
arrivando quassù durante giri in bici in anni passati, si comprava
la focaccia anche la domenica mattina...</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
Coraggio, Gian, elabora il
lutto. Rapido sguardo alla piazza della torre. Gran folla che esce
dalla chiesa: beh, saranno venti o trenta persone in gran spolvero da
messa domenicale; comunque troppe per la mia limitatissima
sopportazione dei miei simili. Rinuncio a fare una tappa al bar e mi
accontento, mestamente, di prosciugare la fontanella davanti al
Comune. Poi riparto, confidando nell'aiuto della discesa, tra le
bellissime case in pietra di Roccaverano, in direzione di Vesime. Una
decina di km davvero panoramici sulla Langa e sulle Alpi sempre più
coperte dai nuvoloni. Breve tratto di salita fino al bivio per Serole, che
affronto con cauto ottimismo: sembra andar meglio. Poi, giù lungo
una discesa mai troppo ripida ed abbastanza gradevole per le gambe,
con vista sui gioielli di Olmo Gentile, prima, e di San Giorgio
Scarampi, poi. Ma il passo è stanco e la testa leggera. Avessi
almeno bevuto un buon bicchiere di Moscato, me ne farei una
ragione...</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-LZO4shcenFHuDLVmwOGaqf03sTWi58irkIGqj8fMRthx7pzs7G5ZmFeyfHdPQ-Vv6n69WC5ZcRaU-6WP_ISTAwStQUkl6KlmHEqEhJ3tE313kwtSoWmjG0BDvN1D5RtzPlERxBtyP3_q/s1600/DSCF3368.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-LZO4shcenFHuDLVmwOGaqf03sTWi58irkIGqj8fMRthx7pzs7G5ZmFeyfHdPQ-Vv6n69WC5ZcRaU-6WP_ISTAwStQUkl6KlmHEqEhJ3tE313kwtSoWmjG0BDvN1D5RtzPlERxBtyP3_q/s320/DSCF3368.JPG" width="240" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Olmo Gentile</td></tr>
</tbody></table>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
Cascine, frutteti, vigneti,
bovini che mi guardano con occhio fisso – bovino, appunto – da un
recinto. Una secca rampa in salita, un km prima di Vesime, mi riporta
alla dolorosa realtà: una fatica esagerata e quel dolore pungente al
petto. Penso alla salita che mi attenderà dopo... Un'ascesa tosta,
pendenze feroci, che adoro e che avrei voluto affrontare in altra
condizione. Ma che ci posso fare?</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
A Vesime c'è un bar,
sperando che sia aperto. É la mia ultima speranza. Qui, anche se mi
costa ammetterlo, ci vuole una sosta. E Matteo? A che punto sarà? E'
in arrivo in bici da Genova; a quest'ora, dovrebbe essere nei
paraggi. Infrango la legge non scritta che vuole che ci si telefoni
solo in caso di morte imminente, perché nessuno dei due tollera di
essere disturbato, quando pedala o corre, per ragioni men che di
sopravvivenza immediata. Se è qui vicino, al bar si va assieme.
Invece no: deve ancora arrivare a Roccaverano. Pazienza. Spingo
speranzosa la porta del bar deserto: si apre... Alleluja.</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
Lo sguardo si posa
immediatamente su una lattina, anzi lattona, di Red Bull. La mia
innata tirchiaggine fa sì che una parte di me si ribelli all'idea di
comprare una bibita al bar, dal momento che la stessa bibita,
comprata al supermercato e portata al seguito, costerebbe molto meno.
Ma portare una Red Bull nello zainetto è oltremodo scomodo nel
viaggio e potenzialmente devastante quando la si apre... Quindi,
rassegnamoci all'esborso. Lattona, cannuccia, bevo con l'avidità
dell'assetato nel deserto, tant'è che il contenuto finisce troppo
presto. Mi levo il gilet, ora che comincia a far seriamente caldo.
L'inevitabile conseguenza della bibita molto gassata, tracannata a
velocità record, è una rumorosa emissione gassosa che per un attimo
inverte lo scorrere del Bormida e provoca un'onda anomala su cui si
materializza all'istante una squadra di fighissimi surfisti
californiani. Rimedio forse poco elegante, ma quanto mai risolutivo.</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
Riparto con cautela per un
breve tratto della strada principale che va verso Cortemilia, per
imboccare il primo bivio a destra, appena fuori paese. Dal giardino
di una casa schizza una cagnolina poco più che cucciola, che si
fionda fin quasi al mio tallone per poi invertire bruscamente la
marcia a tutta velocità e cominciare una folle corsa a cerchio sul
prato. Così ci scappa una seconda sosta, non programmata, a
chiacchierar di cani con il padrone ed una bella setterina. Noto un
lampo di perplessità dietro gli occhiali scuri dell'uomo, quando,
rispondendo alla sua domanda, gli dico di aver lasciato l'auto a
Canelli. Il lampo diventa di terrore quando gli spiego che, a
recuperare l'auto e me stessa medesima, provvederà Matteo in arrivo
da Genova. Prima che imbracci il fucile, saluto e riparto, solo per
inciampare, poche decine di metri dopo, in un botoloso can da pajè
che chiede, anche lui, la sua dose di coccole.</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
Lasciata tanta caninità, mi
preparo ad affrontare le rampe della salita di Scorrone, che mi
porterà a scollinare in Valle Belbo. Il GPS segnala un rapido
aumento di quota... E, in effetti, la pendenza è davvero
impegnativa. Ma la Red Bull, non avevo dubbi, ha posto rimedio ai
miei patemi. Le gambe vanno su come se fossi appena partita. Beh,
insomma, quasi. Di vigneto in vigneto, tra splendide case in pietra,
prendo quota in fretta. Intanto butto l'occhio alla strada sotto di
me: Matteo dev'essere andato come un disperato, in discesa e poi in
salita, perché ben presto fa capolino oltre la vigna. In bici, su
queste salite, non c'è molta ressa. Mi raggiunge mentre sono ferma
ad una grossa vasca di pietra, a bere avidamente dal getto d'acqua
che in verità non sono così certa sia potabile. Pazienda, mi sembra
buona, questo basta. Gli consegno la chiave dell'auto. Proseguiamo
insieme fino alla fine della salita, che, con un altro paio di rampe
secche, ci porta a scollinare in Valle Belbo. Il trucco psicologico
di farmi i complimenti per l'andatura in salita, Matteo ormai lo sa
bene, funziona anche stavolta, meglio di qualsiasi doping. Qui ci si
separa: lui svolta a destra, verso Canelli; io procedo a sinistra
verso Castino, per poi imboccare una stradina che scende a
fondovalle. “Prendi ancora un po' del mio cibo, io ne ho troppo”,
mi raccomanda. E poi l'elenco del menù disponibile nel borsello da
manubrio, dal vitello tonnato alla peperonata al tiramisù... In
fatto di cibo, non si fa mai cogliere impreparato. Rimedio un grosso
biscotto con il cioccolato, tipo bacio di dama: nello zaino ho ancora
due Buondì, ma ormai sono al punto in cui scatta l'effetto
inceneritore. Potrei mangiare qualsiasi cosa ed avere ancora fame...</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
Breve tratto sulla strada
che da Cossano Belbo conduce a Castino e poi piego a destra, giù
lungo una discesa ben più ripida della precedente. Anche qui, un
trionfo di primule. Qualche nuvola però a tratti oscura il sole e mi
ricorda che la temperatura è pur sempre ancora quella di un giorno
di inizio marzo. Colline, torri e campanili tutt'intorno; il colore
dominante è ancora quello scuro degli alberi e dei vigneti senza
foglie, ma per poco ancora.
</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
La strada si incassa in
fondo a due pareti boscose, per poi spuntare al paese di Rocchetta
Belbo. Oltrepasso il ponte e prendo a sinistra: qualche km della
strada di fondovalle, con il sole che torna a scaldare e, qua in
fondo, si fa sentire sul nero della maglia e dei pantaloni. La sete
morde ancora, ma so che non ho più molta strada da percorrere. Anche
per questo, mi sforzo di tenere un buon passo, per quanto possibile.
Ben poco traffico, poche auto ed i primi motociclisti della stagione.
Ignoro, a malincuore, la salita di San Bovo sulla destra, quella che
porta alla Cascina Pavaglione: forse ce la farei ancora, ma per oggi
basta così.</div>
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<br />
<div align="LEFT" style="margin-bottom: 0cm;">
A Ponte Belbo faccio una
breve sosta alla fontanella, ma questa volta le mie speranze sono
deluse: è chiusa. Nemmeno un goccio d'acqua. Pazienza. Riparto. Uno
sguardo appena oltre l'incrocio, nella direzione di Bosia: lì c'è
un bellissimo pastore tedesco che di solito se ne sta sulla soglia
del cortile di casa, a controllare la situazione traffico. Io temo
comunque per la sua incolumità... Ma lui è lì, come sempre; mi
lancia uno sguardo da lontano, come a dire “Tranquilla, conosco il
fatto mio”. Attraverso il ponte sul Belbo ed inizio la salita verso
Borgomale. Insidiosa, sempre, benché non molto ripida: quando il
sole è alto, ci fa sempre molto caldo. E poi ormai manca pochissimo
al cinquantesimo km. Parto con brio, sia pur con la sete, ma con
l'orecchio teso al rumore del motore delle auto che salgono. Qui c'è
un po' più di viavai, è la strada che congiunge Alba a Cortemilia.
Ovviamente, quando, appena prima di Borgomale, mi raggiunge la
Zafira, non la riconosco se non dal clacson. E non posso che
ammettere di essere, per oggi, soddisfatta. Neanche a farlo apposta,
cinquanta km esatti e 1.400 m di dislivello in salita. Da qui a casa,
si va a motore. </div>
casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-44549321044290681962016-07-04T11:27:00.000+02:002016-07-04T11:27:27.026+02:00<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Erano anni che non scrivevo sul blog, per i più vari motivi. Tanti cambiamenti, poco tempo, soprattutto mancanza di ispirazione. Ci ritorno ora con un racconto di fantasia, che nulla ha a che vedere con il passato di questo blog, scritto già parecchio tempo fa, in un momento "così" che speravo fosse ormai alle spalle. Ma ci sono fantasmi che non si lasciano cacciar via così facilmente. Buona lettura.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
_______________________</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
"Diametro due centimetri, va bene?"</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Anita esitò. Si rivide sulla porta di casa, armata di righello: aveva pensato, sì, che per fare un bel lavoro sarebbe stato opportuno prendere la misura... Ma all'ultimo aveva prevalso il timore che qualcuno potesse scorgere i suoi movimenti e capire. L'avrebbero vista, certo: nel piccolo borgo in cui viveva, l'apparente assoluta immobile quiete che regnava dall'alba al tramonto e poi dal tramonto all'alba nascondeva occhi ed orecchie mimetizzati tra le pieghe della corteccia dei tronchi e tra le crepe dei mattoni sbrecciati delle vecchie case, sotto le tegole o dentro i comignoli. Non si spiegava altrimenti la velocità con cui le notizie, anche le più minute, vere o meno, si propagavano da un angolo all'altro, concentrandosi poi, come attratte da una sorta di forza di gravità, al centro anziani sulla piazza ed al minuscolo negozio di alimentari. Non che Anita se ne crucciasse, anzi: non aveva mai dato peso a ciò che il resto del mondo potesse dire, narrare o pensare di lei. Si era trasferita in paese da poco più di un anno, una donna sola, sulla trentina e con la passione per la</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
o sport, in un luogo che dalla media umanità cittadina potrebbe essere preso in considerazione solo per l'eterno riposo: era naturale che la sua presenza suscitasse una certa curiosità.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'avrebbero vista di certo... E forse avrebbero capito. Forse. Di questo non era affatto sicura, ma aveva preferito non rischiare. Prendere quella decisione aveva richiesto tanto sforzo, una fatica immensa, sia pur tutta concentrata e nascosta nella sua scatola cranica. Se qualcuno avesse capito, avrebbe potuto tentare di metterle i bastoni tra le ruote... Per carità.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Neppure la frettolosa commessa del negozio di ferramenta sembrò sfiorata da alcun dubbio. A fine giornata, di certo attendeva l'ora di chiusura; chissà, forse era ansiosa di raggiungere a cena la famiglia, forse di cambiar l'ora sul disco orario nell'auto parcheggiata malamente davanti al negozio. La fronte aggrottata era comunque segno di un pensiero altrove. Pose con mala grazia un cumulo di monetine sul bancone, il resto; rivolse un saluto meccanico e con lo stesso tono assente servì il cliente successivo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Anita mise in una borsa di plastica il lungo pezzo di tubo di plastica arrotolato ed il nastro adesivo nero. Lanciò uno sguardo di sottecchi alla fila di persone in attesa: elettricisti, idraulici, artigiani di vario genere, a giudicare dai brandelli di conversazione che aveva udito mentre aspettava il suo turno. Tutte persone che avevano imparato un mestiere, un lavoro vero di quelli che si fanno con le mani, e che di quel mestiere vivevano. Con una certa soddisfazione, anche: non le pareva possibile che un lavoro fatto con le mani non dovesse dare soddisfazione. Provò, ancora una volta, vergogna. Le sembrava che tutte quelle persone la osservassero con un ghigno canzonatorio, carico di disprezzo. Neppure uno di loro l'aveva notata, probabilmente, ma di questo Anita non poteva più rendersi conto. Lei era "dottoressa": avrebbe voluto stracciare quel pezzo di carta e tutti quelli che, successivi, avevano certificato per lei un avvenire da professionista in un ufficio. Certo, era stata una studentessa brillante, senza dubbio, adagiata nelle comodità della famiglia che l'aveva spinta verso quella strada: "Fai la professione - le dicevano - lavorerai quanto vorrai, guadagnerai quanto vorrai". Ma non poteva certo prendersela con chi, in perfetta buona fede, aveva fatto l'impossibile per spianarle la strada davanti. L'errore madornale era stato suo e solo suo: si era adeguata passivamente a studiare qualcosa di cui non le importava nulla, si era avviata ad un lavoro che di certo non l'appassionava più di una macchia di muffa sul muro, in nome della comodità e del quieto vivere. Tutto bene, finché la campana di vetro che proteggeva la sua esistenza aveva resistito. Ma prima o poi tocca prendere il posto di guida... E lì erano cominciati i guai.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Anita guidò fino alla piazza del paese senza quasi rendersene conto. Era buio pesto ormai. La mamma, avvertita per telefono, era già in attesa accanto al monumento ai Caduti; le parve di vederle sul volto un'ombra di stanchezza più marcata del solito. Era abitudine che Anita parcheggiasse la vecchia auto lì, dopo il lavoro - quando ce l'aveva, un lavoro - per poi raggiungere casa a piedi in compagnia della madre. Cinquecento metri che d'inverno, data l'ora, percorrevano sotto un bel cielo stellato, luminoso come solo si può vedere lontano dalle luci delle città. Tutt'intorno, il silenzio umano e qualche fruscio di piante, spesso il grido stridulo del barbagianni. Un luogo meraviglioso, il più bello del mondo. Anita, quella sera più che altre, aveva un groppo in gola, un profondo rimorso verso questa mamma che aveva per lei un'adorazione smisurata... E che continuava a farsi in quattro per la figlia, con l'aiuto materiale in casa e con l'aiuto economico, senza mai farlo pesare. La spesa, il frigo sempre pieno, tanti altri acquisti piccoli e grandi, con la scusa che "tu lavori, sei già sempre impegnata, posso andare io che non ho nulla da fare". Anita non poteva negare che tutto questo fosse, per lei, prezioso ed indispensabile come l'ossigeno, per vivere. Sì, aveva qualcosa da parte, quel che i nonni le avevano lasciato sul tradizionale "libretto". Ma non aveva un lavoro degno di questo nome, non era stata in grado di tenersene uno. Quello che avrebbe dovuto essere il suo lavoro, il suo percorso, non le entrava in testa né per dritto né per traverso, neppure a costo dei più caparbi sforzi: pativa la vita sedentaria dell'ufficio, la reclusione tra quattro mura per tante ore; non era in grado di concentrarsi, di lavorare di cervello, di prestare attenzione e conciliare più variabili. Per quanto si sforzasse, finiva sempre per tralasciare qualche particolare di fondamentale importanza e, per giunta, ovvio, evidentissimo, impossibile da ignorare. E, peggio che mai, era drammaticamente negata per le relazioni con i suoi simili. Ci aveva provato più e più volte, ricominciando ogni volta da capo con un nuovo ufficio, un nuovo titolare, talvolta provando a lanciarsi per conto proprio. Il risultato, sempre il medesimo: una scia di pasticci, un'inadeguatezza che non poteva essere nascosta, un fallimento dietro l'altro. E certo nessun attestato di stima da parte di chi si fosse trovato a lavorare con lei.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mentre camminavano verso casa, la madre ragguagliava Anita sugli accadimenti del pomeriggio. In una casa popolata da otto cani, non passava giorno senza qualche avvenimento, talvolta comico, spesso disastroso. L'allegra leggerezza della chiacchiera era qualcosa di cui ciascuna avrebbe voluto convincere l'altra, ma Anita non poteva scrollarsi di dosso il peso di quella vergogna. Era il suo unico pensiero, giorno dopo giorno più assiduo e martellante. Aveva avuto la strada spianata, da subito, dal primo giorno di vita... Ma non aveva saputo combinare nulla di buono. Non si era fatta una posizione, non era in grado di guadagnarsi da vivere, non aveva una prospettiva per il futuro. Nemmeno per il futuro più vicino, per il domani. Il lavoro, la sicurezza economica, i punti di riferimento con cui era cresciuta: beh, nel suo caso, un disastro su tutta la linea, una biografia più o meno simile a quella del Titanic.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La madre non gliene aveva mai fatta una colpa: mai o quasi. Solo in qualche rara occasione, nei dei rarissimi alterchi tra loro, l'aveva accusata di non preoccuparsi abbastanza del lavoro, di avere la testa altrove, di essere, in parole povere, una pelandrona. E Anita non aveva potuto replicare: sapeva di essere in torto. Era certa che il lavoro per lei esistesse: qualcosa che le permettesse di vivere all'aria aperta, di sfruttare i muscoli più del cervello, di muoversi. Ma chi l'avrebbe mai voluta, una manovale donna e per giunta oltre i trent'anni? Idee, ne aveva tante, le più disparate, qualcuna anche valida, forse. Ma dal dire al fare le pareva ci fosse sempre una voragine che lei proprio non aveva neanche idea di come poter attraversare. Avrebbe dovuto chiedere aiuto, ma chiedere come, a chi? Proprio lei che ogni giorno di più si allontanava da qualsiasi forma di vita sociale. Non le interessava apparire, non era in grado di millantare capacità che sapeva di non avere, non era in grado di mentire neanche passabilmente, tant'è che persino uno dei suoi ex datori di lavoro, un po' più paterno degli altri, l'aveva rimproverata: "Insomma, Anita, se proprio non vuoi saperne di raccontare qualche bugia, almeno cerca di non spiattellare sempre tutta la verità...". Vedeva intorno a sé un brulicare di persone che si lanciavano in ogni genere di iniziativa, spesso sostenute da allegra assoluta incoscienza. Incoscienza? "La vera incosciente sono stata io - si crucciava - a seguire la strada che sembrava più comoda e logica". Adesso era in panne... E nessun carro attrezzi all'orizzonte.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
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La casetta in collina era stata la più bella conquista della sua vita: conquista per modo di dire, perché, anche lì, mai avrebbe potuto comprarla, se non fosse stato per il lascito dei nonni. Loro, sì, avevano lavorato una vita senza far della filosofia, avevano guadagnato con infinita fatica il benessere per i figli. Chissà come avrebbero giudicato un simile fallimento di nipote. La "plandrasa", quella che vuol tutto e subito senza sacrifici. Aveva pensato di poter cambiare vita, di trovare una strada, partendo dalla casa nuova. Eppure, adesso, anche i muri le ricordavano di non essere davvero suoi. Persino le riviste, sul tavolo della cena. L'articolo che magnificava le luminose carriere di dieci trentenni di successo in giro per il mondo. Sembrava che tutti avessero fatto fortuna, che l'unica fallita fosse lei. E l'unica certezza che le era rimasta era questa: nessuna via d'uscita. Prima o poi avrebbe dovuto ammetterlo a se stessa, alla madre, al resto del mondo. Intanto, non rispondeva più al cellulare ed ai messaggi di posta elettronica, per paura dell'ennesima lamentela contro di lei. Alcuni ex clienti erano stati davvero poco teneri...</div>
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Cenò con appetito, con le melanzane grigliate ad opera della mamma che sedeva al tavolo. Riuscì a comportarsi come sempre, almeno così le parve: ormai sapeva indossare la maschera più o meno con tutti, sempre. Tempo prima, le riusciva di indossarla anche con se stessa, ma ormai non era più possibile. Leggeva sul volto della mamma i segni di una vecchiaia troppo marcata per la sua età. Ne aveva passate tante... Ed Anita non la stava certo aiutando. Troppe rughe, su quel viso, erano opera della sua penna. Sapeva che la madre non sarebbe sopravvissuta. Aveva pensato di parlargliene, avrebbero potuto andare insieme, forse. Ma era troppo vigliacca... Anche per questo.</div>
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La madre, come sempre, andò a letto abbastanza presto. Anita finse di trattenersi al computer, per qualche lavoro da finire. Lasciò sul tavolo, in bella vista, un foglio bianco, poche righe, un grazie. Aveva riempito fogli e fogli di carta, li aveva strappati e ne aveva riempiti altri, ma non le sarebbero bastati cento anni per tradurre in parole il suo perché. Accarezzò a lungo ciascuno dei suoi adorati cani. Con loro, sì, aveva un legame profondo, viscerale. A loro parlava e ne comprendeva le risposte, nei loro sguardi trovava corrispondenza perfetta, che mai avrebbe potuto intuire in alcun paio di occhi umani. Sapeva che le amate belve sarebbero state in buone mani, aveva già disposto per loro. Si infilò il giaccone pesante, la sciarpa, il berretto: la notte in montagna sarebbe stata gelida, ben più che tra le morbide colline. Aprì silenziosamente la porta ed uscì nel buio. I cani, abituati a vederla andare e venire da casa ad ogni ora del giorno e soprattutto della notte, non fiatarono.</div>
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Riprese il cammino a ritroso, verso l'auto, con la calma inattaccabile di chi ha deciso. Avrebbe ancora potuto cambiare idea. Ma per cosa? Per andare dove? Avesse avuto anche solo una vaga alternativa. Per trascinare altri giorni senza volontà, senza prospettiva, senza entusiasmo. Certo, un'infinità di persone sarebbe stata felice di vivere al posto suo. Ma forse quelle persone avrebbero saputo fare onore alle eccezionali carte che il destino aveva messo loro in mano. Lei, le carte, le aveva sprecate tutte, dalla prima all'ultima. Chi ha il pane non ha i denti, chi ha i denti non ha il pane, recita un proverbio, azzeccatissimo nel suo caso. Non poteva certo sperare nell'ennesima possibilità. Ne aveva già avute più di quante ne avesse mai meritate.</div>
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Uno sguardo abbracciò i tetti della borgata, appena accennati alla luce della luna. La neve azzurrognola e le linee scure, nette, delle costruzioni e dei rami nudi. Il motore, un po' offeso per il freddo, sbottò un paio di volte e poi partì.</div>
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Aveva tempo da vendere. Nessuno sapeva dove fosse diretta e nessuno avrebbe potuto rintracciarla sul cellulare, spento. Non sapeva se davvero fosse possibile localizzare un telefonino, come si legge nei romanzi polizieschi, e se l'operazione richiedesse poco o molto tempo, ma... Non si sa mai.</div>
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Lenta, sotto un bellissimo cielo stellato, l'auto si lasciò dietro le colline, attraversò la pianura, giunse alle pendici del Monviso. La radio suonava, Anita di tanto in tanto l'accompagnava con i suoi stonatissimi vocalizzi. Non era del tutto consapevole di ciò che stava per fare e tuttavia era certa di doverlo fare. Non incrociò anima viva sulle curve per Paesana, né più avanti, risalendo la Valle Po. Le sagome delle montagne si stagliavano nette nel buio del cielo. Amava la montagna, senza compromessi, le strade asfaltate da percorrere in bici, i sentieri per arrancare faticosamente a piedi. Amava soprattutto il Monviso, in fondo la montagna di casa, anche se ora, dalla piazza del paese in collina, poteva scorgere il Rocciamelone, il Cervino, il Monte Rosa, ma per il Monviso doveva spostarsi un po', salire ancora, per superare con lo sguardo la cornice delle Rocche del Roero.</div>
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Curva dopo curva, raggiunse il bivio per Ostana. Qui la pendenza della strada si impenna: sperò che gli spazzaneve avessero prestato, anche qui, la loro opera. Per quanto di neve non se ne fosse vista molta, quell'inverno, neppure in montagna. Avanzò con prudenza, sorridendo a se stessa per il paradosso: "E che mi può capitare? Alla peggio, se esco di strada, mi ammazzo..."</div>
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Curva dopo curva fino ad Ostana e oltre, con la strada sempre più stretta ed i tornanti sempre più ripidi. Sperò di riuscire, tra una buca e l'altra, un sasso ed un cumulo di neve rotolato sul suo percorso, ad arrivare fin su, dove finisce l'asfalto. In altre circostanze, sarebbe inorridita all'idea di salire quella strada con un mezzo a motore: guai, si sale a piedi o in bici, da che mondo è mondo. Ma quella notte l'auto era indispensabile.</div>
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Chissà se qualcuno abitava quelle case nella brutta stagione. Chissà che stupore avrebbe destato il rumore di un'auto, al buio, lungo una strada che non porta a nulla.</div>
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Arrivò a destinazione, con fatica. La discesa non sarebbe poi stata un problema... Lo sarebbe stato, anzi, per altri, non più per lei.</div>
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Parcheggiò sullo spiazzo, in faccia al Monviso. Scese dall'auto: l'aria era appena mossa, gelida, ma lo spettacolo era incantevole. Era quasi certa che il posto fosse quello, un luogo che conosceva bene per esserci salita più volte in bici. Lo stesso luogo in cui, qualche anno prima, una coppia di conoscenti, marito e moglie, si era tolta la vita. Li avevano ritrovati nell'auto, l'abitacolo ben sigillato e saturo di gas di scarico. La notizia aveva turbato Anita nel profondo e, di tanto in tanto, tornava a galla nella memoria. Ovviamente, poi, intorno all'evento erano fiorite le più articolate supposizioni; avevano problemi economici, uno di loro era malato, erano malati entrambi, chissà. Anita aveva conosciuto quelle due persone solo di sfuggita, in particolare il marito, un omone dall'aspetto gioviale e buono; non aveva idea di quale fosse stata la ragione del gesto. Ma spesso si era scoperta ad immaginarli seduti in auto, l'uno accanto all'altro, le portiere appena chiuse, la consapevolezza che ci sarebbe ancora stata, per qualche minuto, forse più, la possibilità di tornare indietro, buttarsi fuori, salvarsi... E d'altro canto la determinazione incrollabile, doppia, tale da annientare persino l'ultimo barlume di istinto di sopravvivenza. Erano rimasti lì entrambi, decisi, ciascuno per se stesso e per l'altro. Chissà qual'era stata l'ultima espressione sui loro visi, una lacrima o un sorriso.</div>
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Rimase un poco a pensare, in faccia al Monviso, con il naso congelato e le mani in tasca. Poi diede un calcio ad una pietra, tornò all'auto, aprì il bagagliaio. Ne estrasse il tubo di plastica ed il rotolo di nastro adesivo nero. Quando aveva preso una decisione, Anita non era tipo da tergiversare. Pur con le dita intirizzite, sistemò il tubo incastrandovi l'estremità della marmitta e sigillò tutto nel modo più accurato possibile, con il nastro. Non aveva fatto alcuna prova, ma poté verificare in quel momento che il tubo era lungo abbastanza per entrare nell'abitacolo. Lo sistemò attraverso il finestrino, lato passeggero, e chiuse la fessura con una vecchia edizione de La Stampa ed una generosa dose di nastro.</div>
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Le dita delle mani erano ormai quasi insensibili per il contatto con i vetri gelidi. Il più, comunque, era fatto. Risalì in auto, frugò nello zaino, ne trasse una busta con un biglietto, poche righe per chi avesse avuto il fastidio di trovarla l'indomani. Lo pose sul cruscotto, come il tagliandino del parcheggio.</div>
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Avviò il motore. Aveva sempre detestato l'odore del gas di scarico. Soprattutto, sapeva di non essere coraggiosa a sufficienza. Un'ansia improvvisa l'aveva assalita in quell'istante. Convulsamente frugò in un'altra tasca dello zaino, prima che la situazione le sfuggisse di mano. Trovò una piccola scatola, ne ingoiò il contenuto. Erano pastiglie di un blando sonnifero che però, in quella dose e su una persona come lei che mai ne aveva fatto uso, certo avrebbe svolto il suo servizio. Nell'aria già irrespirabile dell'abitacolo, reclinò il sedile ed accese la radio, a basso volume, sufficiente però per udirla. Non aveva mai potuto soffrire di avere nelle vicinanze una radio spenta. "Chissà cosa si dirà di me, dopo", pensava. "Aveva problemi economici, era malata, aveva combinato qualcosa di losco". Non si riteneva tanto importante da poter vantare dei nemici, ma certo qualcuno avrebbe accolto la notizia con un po' di soddisfazione "e questo - concluse - è un vero peccato". Sapeva per certo che una sola persona non si sarebbe mai consolata e questo le rendeva penoso l'addio. Ma di tutto il resto che tanto l'aveva tormentata non vide più nulla. Ebbe davanti agli occhi i panorami in bici ed in montagna, i cani, tutti i suoi affetti, sempre più confusi in un'unica immagine... E poi il buio. Alla radio, in quell'istante, giungeva agli ultimi versi una bella canzone di Guccini: "Ed il ritmo del tuo respirare / che pian piano si ferma / e scompare".</div>
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<div align="JUSTIFY" style="-webkit-text-stroke-width: 0px; color: black; font-family: "Times New Roman"; font-size: medium; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; letter-spacing: normal; line-height: normal; margin: 0px 0px 0cm; orphans: auto; text-indent: 0px; text-transform: none; white-space: normal; widows: 1; word-spacing: 0px;">
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casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-76531389663034880032013-12-22T22:34:00.000+01:002013-12-22T22:34:09.202+01:0021 dicembre 2013 - UN COMPAGNO INATTESO
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Un abbaio insistente e
perentorio risveglia il neurone intorpidito dal sonno arretrato e
dall'umidità appiccicosa della nebbia. Corro da un'oretta, le gambe
ancora ingessate nonostante i saliscendi; lungo la schiena, brividi.
Ho appena attraversato la minuscola valletta tra la chiesetta di
frazione San Bernardo e la località Lazzarino, entrambe in
territorio di Monteu Roero: breve ma ripidissima discesa, altrettanto
breve e ripidissima salita; in fondo, un gelido tuffo nella nebbia,
che solo un centinaio di metri più in alto si è già diradata.
Tutt'intorno, le prime colline del Roero, congelate in uno scatto in
bianco e nero, i due soli colori di cui tocca accontentarsi in queste
malinconicissime giornate invernali.
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Intravedo a malapena la
fonte dell'imperiosa emissione sonora: la sagoma di un cagnotto, a
circa un centinaio di metri da me. Scuro, snello, qualcosa che
somiglia ad un pastore tedesco. L'abbaio è potente, ma la coda
sventola in segno di buona intenzione. Mi fermo, mi chino, allargo le
braccia: "Ciao piccolo... Vieni qui!". Il cagnotto, ancora
lontano, resta per un secondo immobile, la coda dritta: solo un
istante, poi parte a razzo verso di me. Poche falcate e mi trovo le
sue zampone addosso: mi ci vuole un bello sforzo per evitare di
ruzzolare per terra. La gioia del piccolo, piccolo per modo di dire,
è incontenibile: lo copro di coccole e lui, orecchie basse, quasi mi
striscia intorno. Poi si lancia, di corsa, nella direzione in cui
stavo andando io. Mi rialzo, scuoto via il fango delle sue zampe,
riparto anch'io. Raggiungo il bivio: il percorso che avevo pensato
per oggi prevede di svoltare a destra, in direzione di San Grato e
poi, più avanti, Monteu Roero. Il peloso mi segue, anzi, mi precede.
"Poco male", penso. "Arriverà alla fine del suo
territorio e tornerà a casa". Ma, un chilometro più avanti, il
lupone è ancora con me. I casi sono due: o questo personaggio è un
latifondista, ha un concetto molto ampio di territorio... Oppure ha
deciso che gli sono simpatica. Ma a me sale l'ansia. Qui, per adesso,
siamo lungo una stradina che è proprio solo di servizio tra le
cascine; passerà un'auto ogni morte di Papa. Ma tra poco c'è
l'incrocio con una strada già un po' più battuta... Troppo
pericoloso per il lupone!</div>
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Il bellissimo peloso,
incurante delle mie preoccupazioni, mi corre davanti, con ampie
variazioni sul tema in mezzo alla boscaglia ed ai noccioleti. C'è
una gioia incontenibile nel suo modo di correre e saltare. Sembra
distratto da tutto, ma mi tiene d'occhio. Infatti, quando giungiamo a
ridosso dell'incrocio, mi fermo e gli faccio un fischio: dietrofront,
torno indietro. Una massa di pelo scuro mi sfreccia accanto e torna a
precedermi, cento metri avanti. E va bene... Mettiamola così: adesso
ci facciamo un bel giretto tra i boschi... Però poi torni a casetta
tua, ok?</div>
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Detto, fatto. Imbocchiamo
la stradina sterrata che va verso la località Caratto dei Boschi:
l'ultima neve si scioglie e lascia uno strato di fango
scivolosissimo. Confido nel potere delle suole delle La Sportiva. Il
lupone non ha problemi: con le sue quattro zampe motrici, la forza e
l'entusiasmo di un cagnotto giovane e ben nutrito, saetta come una
lepre da destra a sinistra. Di tanto in tanto sparisce tra le
frasche; un gran crepitio ed eccolo che spunta da un'altra parte. Ho
un po' di timore, questa è zona di caccia... Ma finora non ho ancora
sentito spari.</div>
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Un pallido sole cerca
spazio tra la foschia, ma il freddo continua ad essere pungente.
Sulla neve restano le orme delle mie scarpe e delle zampe del lupone,
che ha una falcata, ad onor del vero, un po' sconclusionata.
Arriviamo alle poche case di località Caratto: da qui, imbocchiamo
una deviazione che scende giù, nel fondo della valletta laterale, e
lì muore in mezzo ai campi coltivati. Qui siamo sul versante in
ombra della collina; la neve resiste e mi costringe ad una corsa più
impacciata. Il lupo non ha problemi... Pianta il naso nella coltre
bianca, segue chissà quale pista.Di tanto in tanto si ferma, come
folgorato: immobile, in una curiosissima posizione con una delle
zampe posteriori che rimane sospesa in aria; il naso al vento. Per
terra, orme di lepri e tracce di cinghiali, rami spezzati. I colori
cupi fanno contrasto con i sottilissimi fili verdi che spuntano nel
campo coltivato; nella mia ignoranza, presumo sia grano.
</div>
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<br />
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Vieni lupo, si torna su!
Accanto alle case, ripercorriamo la strada sterrata. Ancora una
deviazione, un'altra discesa verso il fondo della valletta: ombra e
freddo pungente, cosa non si fa per accumulare un po' di dislivello.
Il cagnone asseconda ogni mio cambio di direzione: ha deciso di
concedermi l'onore di essere il suo capobranco, per oggi. Quando mi
fermo per un, ehm, pit stop, addentrandomi un poco tra gli alberi,
lui si volta e non mi vede più: è un attimo, naso a terra, me lo
ritrovo accanto, è il caso di dirlo, nel momento del bisogno.
Approfitto della pausa per accarezzargli il testone e guardare quegli
occhioni scuri dolcissimi, prima che questo cavallino riprenda la sua
corsa. Ripassiamo davanti alla cascina da cui il piccolo è uscito:
spero che, a questo punto, sia soddisfatto della corsa e se ne torni
a casa... Macché: siamo dinuovo sull'asfalto, sulla stessa strada
già percorsa prima; io proseguo e lui... Per un attimo, lo vedo
puntare in direzione di casa. Allungo il passo: vuoi vedere che ha
deciso di tornare alla cuccia? Macché. Qualche minuto e sento alle
spalle un galoppo forsennato. Il peloso mi sorpassa, si ferma, si
volta, mi guarda come per dire "Hai visto, sei contenta? Sono
tornato!". Piccolo mio, ascoltami, io ti adoro; fosse per me, ti
porterei a casa subito... Ma tu hai una casa, sei un bel cagnotto
curato e gioioso; fammi questo favore, torna da dove sei venuto... Ho
troppa paura di vederti correre così sulla strada! E' vero, qui non
passa quasi mai nessuno, ma basta anche un solo veicolo per rischiare
troppo...</div>
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<br />
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Dinuovo, all'incrocio con
la strada per San Grato, torno indietro. Il lupotto immediatamente si
adegua al dietrofront. Ha energie da vendere, schizza dentro e fuori
dalle sterpaglie; ha il pelo ricoperto di foglie secche e rami...
Intanto, la temperatura sembra farsi un po' meno rigida.
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Questa volta, direi che è
il caso di riconsegnare il lupo al legittimo proprietario. Mi
avvicino al cortile della cascina: due uomini, presumo papà e
figlio, sono al lavoro in un'aiuola. "Chiedo scusa... E' vostro
questo cane?". Sorridono: "Ti ha seguita?". Eh sì,
parecchio... Provano a richiamarlo: "Pluto, ven si, Pluto!".
Ma Pluto – adesso so come si chiama! - se ne guarda bene,
dall'avvicinarsi. Quasi sorride, beffardo. "A lui piace
correre", mi dicono. Già, me ne sono accorta! Va bene, cedo...
"Gli faccio ancora fare una corsa fino al Caratto, poi ve lo
riporto". Alè, altro giro, altra corsa: strada sterrata, la
stessa di prima; la neve si è sciolta un po' di più; c'è un po'
più fango. Sento in lontananza un paio di colpi di fucile: quei
maledetti... Li sente anche Pluto, che si ferma pensieroso. Poi
riprende a correre, ma senza più allontanarsi molto da me. Ho il
cuore in gola, non certo per la fatica della corsa: Pluto, ti prego,
non infilarti più nel bosco... Quei dannati, che venga loro un
accidente, sparano a qualsiasi accenno di movimento; non potrei mai
perdonarmelo, se qualcuno ti facesse del male!</div>
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<br />
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Questa volta, al Caratto,
attraversiamo la frazione e proseguiamo per un tratto lungo la
stradina che torna asfaltata, intavolando un paio di accese
discussioni con i cani a guardia dei giardini. Poi torniamo, per
l'ennesima volta, sui nostri passi. Non so se sia intimorito dai
colpi di fucile o se sia semplicemente un po' stanco, ma Pluto non si
allontana più molto da me. Quando raggiungiamo i paraggi della
cascina, il suo padrone è già fuori e lo chiama. Pluto sembra,
questa volta, volersi rassegnare: saluto, proseguo la mia corsa. Ma
non faccio in tempo a tirare un sospiro di sollievo, che...
L'inconfondibile galoppo alle mie spalle. Eccolo dinuovo... E il
padrone che continua a chiamarlo, inutilmente. OK Pluto, ho capito,
dai. Ti accompagno a casa. Mi fermo: il lupone si avvicina; gli
accarezzo la schiena, lo prendo per il collare. E' riluttante; quasi
si nasconde dietro le mie gambe... Mi si spezza il cuore. Il padrone
quasi si scusa: "Lui ama correre, ma sa che adesso lo devo
chiudere nel recinto...". Beh, quel che è certo, dalle quattro
parole che scambio con lui, e dal modo delicato in cui lo vedo
afferrare il collare, è che quest'uomo ha molta cura per il suo
cagnotto. Se solo avessi avuto mezzo dubbio, me lo sarei già portato
via, questo lupetto... "Di notte lo faccio dormire in garage,
perché fuori fa freddo. Al mattino però lo libero, perché un cane
sempre chiuso soffre...". E' senz'altro vero, anche se io, dal
mio punto di vista di mamma iperprotettiva, fatico moltissimo ad
accettare che un cane sia libero di girare solo per la campagna.
Anche se c'è poco traffico, anche se è una zona tranquilla. Ai miei
bestioni non permetto di muovere nemmeno mezzo passo senza
guinzaglio, e già così ho comunque l'angoscia che possa accadere
loro qualcosa... Un'ultima carezza: "Vai a casa, Pluto. Prometto
che torno per portarti a correre un'altra volta, adesso che so dove
abiti". Ma la mia coscienza rimorde: ci siamo fatti due ore di
buona compagnia, ma lui vorrebbe stare ancora con me...</div>
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<br />
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Riparto di corsa in direzione di
San Grato. Andrò ancora fino a Monteu, poi dietrofront: occhio e
croce, tenendo conto delle varie deviazioni dedicate a Pluto, questa
mattina dovrei racimolare più o meno 35 km. Poi mi tocca rientrare,
perché a casa le tre bocche canine sono in attesa della pappa.</div>
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casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-29388005381649144742013-10-13T20:32:00.003+02:002013-10-13T20:32:48.512+02:005 ottobre 2012 - PUNT DEL DIAU ULTRATRAIL
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A pochi giorni dal via
della gara, risultano in elenco, occhio e croce, trentacinque
iscritti. Chissà perché, mi domando. Forse perché a questa
manifestazione non è stato dato alcun risalto pubblicitario, forse
perché ad ottobre sono pochi i corridori che hanno voglia di
cimentarsi su settanta km di corsa ed oltre tremila metri di
dislivello. Un'occhiata ai dati dell'anno scorso rivela più o meno
lo stesso numero di iscritti, ma una quindicina scarsa di persone
giunte al traguardo.
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ammetto di essere un po'
preoccupata. Percorso molto selettivo? Maltempo che ha scoraggiato i
partecipanti? Mah. Anche Matteo non è così fiducioso...
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
A Lanzo, alle cinque e
mezza, siamo quattro gatti bardati da corsa, sulla piazza centrale
del paese. La distribuzione dei pacchi gara dovrebbe aver luogo qui
nei paraggi... Ma per ora non ce n'è traccia. Fa freddo, ma non
troppo: il cielo è nuvoloso; per oggi si prevede acqua a catinelle.
E di certo il mio umore non ha tratto beneficio da questa
informazione. Una decina di minuti e, nel buio, si materializza uno
dei componenti dell'organizzazione: il piccolo drappello di corridori
lo segue in un edificio proprio accanto alla piazza. Siamo pochi
intimi: ciascuno ritira il proprio pettorale di gara; poi, ci si
riunisce in una saletta per il riepilogo delle informazioni
essenziali sulla gara.</div>
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<br />
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il road book che ci è
stato consegnato è molto minuzioso, ma chiunque abbia un minimo di
dimestichezza con la montagna sa che, al limite, per orientarsi
servono bussola e cartina, se non un GPS... A patto, ovviamente, di
conoscere la propria destinazione. Spero vivamente che, come in tutti
i trail degni di questo nome, il tracciato di gara sia segnalato, ma
non mi sento affatto tranquilla in proposito. La sensazione è che ci
sia una buona dose di approssimazione dietro a tutto ciò...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
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</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La partenza è sulla
piazza, accanto all'ala in pietra. Il tempo di alcune foto e poi via,
lo sparo. Saremo, alla fine, meno di trenta persone, occhio e croce.
Partono tutti come saette dietro ai due ciclisti in MTB che ci
guideranno nel tratto in città, fino all'attacco del primo sentiero.
Manco fosse la partenza di una gara di cento metri piani... Sputo
l'anima per non restare distaccata; qui, di segnaletica, nemmeno
l'ombra. Devo mantenere almeno il contatto visivo con chi mi precede.
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Buio pesto e qualcuno è
senza pila frontale: vero che il regolamento specificava che sarebbe
stato bene portarla se si fosse previsto di arrivare al traguardo
all'imbrunire... Ma non ci vuole un fisico nucleare per capire che,
se si parte alle sei e mezza ad ottobre, per giunta con le nuvole,
non ci si vede un tubo! Corro a perifiato, prima tra le case di
Lanzo, poi in un parco lungo il fiume, poi ancora un ponte. Quando mi
trovo a pestare il primo sentiero, comincio a realizzare il dramma.</div>
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<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Dietro di me ci sono
altri tre corridori. Io sono in testa, con la pila frontale ed il
fascio luminoso che si infrange senza misericordia contro la nebbia
fitta e torna indietro. Bosco e prato; il sentiero è una traccia
nell'erba, appena accennata. Primo errore sull'itinerario, sia pure
di pochi metri, richiamati dalla voce del volontario di guardia.
Comincia un pellegrinaggio che ha il sapore di un'odissea... Siamo in
quattro, in fila, e chi c'è in testa a battere la traccia? Proprio
io, che già in condizioni meteo eccellenti sono cieca come una
talpa... Tra la nebbia e gli occhiali bagnati, ogni tre passi son
ferma a cercare di capire dove passi il sentiero. Chiamarlo
"sentiero", poi, è un complimento del tutto immeritato.
Spesso si riduce davvero ad una vaga idea.</div>
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<br />
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All'inizio, individuiamo
qualche freccia segnavia blu. Ma dico io... Chi è il genio che ha
avuto l'idea di usare il blu? Come può venirti in mente, con la
partenza notturna ed il rischio di pioggia, di scegliere per i
segnavia il colore blu? Non si vede un accidente! Poi più nulla,
solo le tacche di vernice bianche e rosse. Ma i sentieri CAI sono
segnati tutti con tacche bianche e rosse, che io sappia. Quindi, in
sostanza, potremmo essere su un sentiero qualunque. In effetti, a
furia di addentrarci nel bosco, di passaggi malagevoli, di rami in
faccia, di fango, giungiamo tutti alla conclusione di essere
completamente fuori strada. Qualcuno ha la sensazione di udire delle
voci, ma forse sono solo versi di animali... O gli echi degli ululati
di Belzebù. Un barlume di luce filtra e ci permette di spegnere le
frontali: nebbia, foglie umide e pietre scivolosissime. Un
affascinante quadretto autunnale, non fosse che non abbiamo idea di
dove ci troviamo. Boh, una traccia di sentiero c'è... Andiamo a
vedere dove finisce; alla peggio, ci saremo fatti una gita.</div>
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<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Uomini e donne di poca
fede: all'improvviso, la selva oscura ci rigurgita su una strada
asfaltata. Miracolo, riappaiono le frecce azzurre! Anzi, qui ce n'è
talmente tante, dappertutto, che se non fai attenzione te ne ritrovi
una conficcata in luogo indicibile... Diligentemente seguiamo le
istruzioni: ripidissima salita verso sinistra. I miei colleghi
camminano svelti, tanto che io non riesco a star loro dietro pur
corricchiando. Raggiungiamo un abitato; da lì, altro tratto di
sentiero, passando accanto ad un obbrobrio architettonico che pare
essere un centro benessere o qualcosa del genere. Una SPA per me
rimane una Società Per Azioni, ma a quanto pare sono retrograda.</div>
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<br />
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Graditissimo il conforto
del primo punto di ristoro: crostata, the caldissimo e qualche
lamentela sulla tracciatura del percorso. I tre colleghi prendono il
volo, approfittando del mio momento di debolezza: sto combattendo
contro i torcetti di cui mi son riempita le mani al ristoro. Il
passaggio sul ponte in legno scivolosissimo e la successiva discesa
su sentiero lastricato di pietre liscie ed umide fanno il resto: non
c'è verso di trovare un appoggio stabile... Cammino come se fossi
sulle uova. Nemmeno le efficientissime La Sportiva Raptor, in questo
caso, bastano a far presa. Comincia qui la mia lunga galoppata
solitaria, sognando la salita e masticando invece infiniti saliscendi
nel bosco fitto. Complice anche la giornata nebbiosa, qui di panorama
si vede ben poco. Funghi, gocce che piombano in testa e sugli
occhiali dalle foglie, la nebbia che sfuma i contorni dei tronchi
lisci dei faggi. La salita "vera" arriva molto più avanti
ed è davvero impegnativa, grazie anche al fango, che fa sì che si
faccia un passo avanti e due indietro. Capita ogni tanto di doversi
fermare a controllare la direzione: qui i segnali latitano dinuovo.
Ormai so che mi devo aspettare poco aiuto dalle indicazioni
dell'organizzazione; quindi, non mi preoccupo se per diverse
centinaia di metri non vedo nulla che mi faccia capire che sono sulla
strada giusta.</div>
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<br />
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D'un tratto, il bosco
intorno a me sparisce: spunto in una radura; una figura umana si
muove: "Sta arrivando uno degli ultimi tre!", annuncia a
gran voce. "Grazie per l'incoraggiamento", sibilo. Ancora
un po' di salita e mi ritrovo sotto la tettoia di un rifugio, ad un
punto di ristoro. Qui dovremmo essere a circa 1.600 m di quota e
dovremmo andare a 2.000: tuttavia, mi annuncia il responsabile del
ristoro, si è deciso di deviarci lungo una strada più o meno in
piano, perché "su al lago si son persi tutti", commenta
sconsolato. Tra me e me, non fatico a crederlo: se le indicazioni
lungo il percorso sono dello stesso tenore di quelle che ho trovato
io finora, con questa nebbia campa cavallo! Pare che la vernice usata
per tracciare la retta via dieci giorni fa sia stata lavata via dalla
pioggia caduta in abbondanza in settimana: ma... Possibile che
nessuno abbia controllato ieri o ieri l'altro? E, se qualcuno invece
ha controllato, possibile che si sia deciso di mandare su gli atleti
lo stesso, con le previsioni meteo che annunciavano per oggi
tregenda? I miei sospetti circa il numero esiguo di iscritti si
concretizzano...</div>
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<br />
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Al volo, il responsabile
del ristoro mi spiega dove devo andare, mentre accarezzo uno dei cani
del rifugio. Seguire la strada... In effetti, c'è una bella strada
sterrata, molto comoda, in leggera salita. Qui non c'è proprio
nemmeno un barlume di indicazione; per quel che ho capito, però, il
tracciato di gara originale dovrebbe andare a passare su un colle più
avanti, a cui anche questa strada dovrebbe arrivare. Quindi, ai bivi,
decido di tener la destra e continuare a salire. In un tratto
pianeggiante, mi metto a correre: la decisione non piace ai tre
maremmani a guardia di una mandria, nel pascolo alla mia destra ma
ben più in alto di me. I tre cagnoni si lanciano ventre a terra
verso di me, incuranti dei richiami dei pastori: li vedo venir giù
dal pendio erboso come una valanga... Mi immobilizzo: i tre arrivano
al limitare della strada, inchiodano interdetti, mi si avvicinano con
circospezione. Mi annusano le mani abbandonate lungo i fianchi;
riesco persino ad azzardare una carezza. Soddisfatti, tornano sui
loro passi... Ed io sui miei. Di lì a poco, un bivio, un altro
chilometro di leggera salita ed il colle. Presumo, almeno, che sia
questo il colle che devo raggiungere.</div>
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Un gruppo di volontarie
di guardia resta interdetto: "Hai tagliato il percorso? Gli
altri sono arrivati tutti di là", mi fanno. Ehi, un momento,
che taglio e taglio... Me l'ha detto il responsabile al rifugio, di
passar di qua! OK, aggiudicato... Via di corsa in discesa. Di qui è
tutto un susseguirsi di tratti nel bosco e passaggi in borgate e
paesini: ancora una volta, una caccia al tesoro. Ormai abituata alla
solitudine, quasi mi preoccupo quando sento delle voci alle mie
spalle: una coppia di corridori mi sorpassa in discesa. Ma, meno di
un'ora più tardi, li vedo nuovamente alle mie spalle: "Abbiamo
sbagliato strada...". E chissà come mai.
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<br />
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Approfitto di una delle
tante, brevi risalite per controllare il telefonino. Un messaggio di
Matteo mi annuncia che la sua gara è già conclusa: era quarto in
compagnia di Franco Collè, il terzo classificato al Tor des Geants
2013... Ma si sono persi nella nebbia e, dopo lunghissima
peregrinazione, sono tornati al ristoro del km 20, dove hanno dovuto
ritirarsi perché già al di fuori del cancello orario in quel punto.
Tutto ciò mi sembra davvero fantozziano... Matteo annuncia che
tornerà all'auto a piedi, tanto per aggiungere una ventina di km ai
quaranta già percorsi. A questo punto, a me non resta che sperare di
trovare il traguardo, prima o poi!</div>
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Raggiungo un altro punto
di ristoro nei pressi di una chiesetta: occhio e croce, dovrebbero
mancare circa 25 km... Me lo confermano i volontari. Via ancora,
sempre nel bosco, interminabili saliscendi con strappi talvolta anche
severi. La nebbia s'è diradata; addirittura sembra comparire qualche
sprazzo di cielo. Nei rari tratti in cui la vegetazione si dirada,
finalmente si può ammirare un po' di panorama nei colori
dell'autunno.</div>
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Arrivo, senza saperlo, al
ristoro prima dell'ultima salita. Sono convinta di essere ultima, ma
non è così: dietro di me ci sono ancora alcuni dei malcapitati,
magari anche forti, che però hanno sbagliato strada... L'ultima
salita è una strada sterrata, troppo ripida per correre e troppo
poco per procedere di passo con una velocità soddisfacente. Per la
verità, nel primo tratto di salita io seguo il sentiero attraverso
il bosco: ripidissimo, ostico, spaccagambe... Ma le tacche bianche e
rosse sono qui! Mi tocca pure attraversare, vicino ad alcuni ruderi
di baite, la ragnatela di proprietà di un bestio orrendo e grosso...
Glielo faccio presente, al bestio; quello, giustamente, replica: "Ma
ti sei guardata allo specchio?". Poi sbuco nuovamente sulla
sterrata e cammino, cammino, cammino... In preda ad una profondissima
fiacca esistenziale ed al freddo che torna a farsi pungente, insieme
alla nebbia, afferro un Mars. Non tanto per l'energia che ne posso
ricavare, quanto per il conforto psicologico che deriva da simili
maialate alimentari. Invio una caterva di improperi all'indirizzo di
chi ha piazzato nel percorso questo tratto... Finalmente, si scollina
in un romantico panorama di antenne. Purtroppo, la discesa, se
possibile, è anche più odiosa. Un disastro di pietre scivolose, una
discesa rognosa che più non si può: sarà la stanchezza, saranno i
mille dubbi circa il tracciato, ma sto perdendo la pazienza... Man
mano che perdo quota, la nebbia si dirada, ma la luce del giorno si
sta ormai affievolendo. Mi assale la paura: e se il buio mi
sorprendesse qui? Tra la foschia, gli occhiali bagnati e gli occhi
inutili, mi troverei in un bel guaio... Cerco di accelerare, ma più
ci provo e più mi inciampo. Occhio Gian, non puoi proprio
permetterti di sinistrarti le gambe. Non finisce più questa
discesa...</div>
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<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Finalmente, un essere
umano, che annuncia il mio arrivo cantando a squarciagola. Ancora
qualche centinaio di metri ed incontro l'ultimo banchetto del
ristoro: ancora dieci km ed una salita, durissima ma molto corta...
Uhm. Lo sapevo che non sarebbe mancata la carognata finale. Sono
pronta a scommettere che la salita non sarà l'unica e non sarà
nemmeno così breve. Via di corsa: strada sterrata, deviazione,
sentiero, deviazione... Su, in verticale. Non c'è che dire, ripida è
ripida... Mi arrampico con le unghie e con i denti in mezzo alla
vegetazione. Ho il sospetto che questo passaggio sia stato creato per
noi, per puro sadismo. Un bel salto di dislivello, per arrivare su
una strada sterrata e da qui, di corsa, fino ad un paese. All'uscita
dall'abitato, un dubbio: le frecce bianche per terra sembrano
indicare una svolta a destra... Per mia fortuna, alle mie spalle
arriva un altro concorrente, spuntato dal nulla. Un capannello di
madame sulla strada ci indica di proseguire lungo la via maestra. Il
collega di sventura è parecchio arrabbiato: era nel gruppo di testa
ed è stato uno dei tanti che, a quota duemila nei paraggi di un
lago, ha sbagliato strada e macinato un'infinità di km nella
direzione farlocca... Ammirevole, da parte sua, la scelta di
continuare comunque con le sue gambe fino al traguardo. D'altro
canto, a me non può che far piacere l'improvvisa ed inattesa
comparsa di un simile gnoccolone, biondo, capelli lunghi, occhi
azzurrissimi, alto e con un bel fisicone robusto. Evidentemente il
malcapitato riesce a percepire, in qualche modo, il tenore dei miei
pensieri... Perché, di lì a poco, evidentemente terrorizzato, mette
il turbo e se ne va di corsa. Io, su falsopiano in salita, non posso
che lasciarlo andar via. Scoprirò poi, leggendo varie testimonianze
su Internet, che dietro di me sono ancora arrivate al traguardo sei
persone: tra loro, gente che di norma mi dà ore di distacco... A
condizione di capire dove passa la corsa!</div>
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<br />
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Un tratto di strada
asfaltata è preludio all'ultimo sforzo: il passaggio sul suggestivo
Punt del Diau, a Lanzo, ma soprattutto la salita successiva per
rientrare in paese. Aspra e poco gradita alle mie gambe ormai stufe.
Ora sì, sta calando il buio; per fortuna ormai è fatta o quasi...
Il "quasi" è d'obbligo, visto il giro tortuoso che mi
tocca ancora seguire per giungere al traguardo. Quando sei stanco ed
infreddolito, bastano pochi metri a far saltare i nervi. L'abitato,
una piazzetta, una via stretta... Finalmente: ecco l'ala da cui siamo
partiti. Un tavolino, un computer e due volontari: stavolta è
davvero finita. Il tempo di ritirare il diploma, bere una birra che
sognavo da troppo tempo, saltare in auto, andar via. Anzi, no. Si
avvicina al finestrino il bel biondo: urca, che voglia chiedermi un
passaggio? Che si sia perdutamente innamorato di me e voglia pregarmi
di non andar via? Niente di tutto ciò: semplicemente, ha ritirato il
pacco gara, uno scatolone gonfio di ogni leccornia, e mi raccomanda
di andare a prendere il mio. Io non ci pensavo neanche più, al pacco
gara... Spengo il motore, torno al locale del ristoro finale, ritiro
il mio scatolone. Questa volta, davvero, via verso casa: poco più di
sessanta km, circa tremila metri di dislivello, dodici ore e mezza,
un supplizio! E domani si parte per correrne altri 51 in Lomellina,
questa volta piatti o quasi. Coraggio, a casa, a nanna!
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casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-89338423508911993402013-10-03T23:08:00.001+02:002013-10-03T23:08:22.854+02:0015 settembre 2013 - VALLE MAIRA SKYMARATHON
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; page-break-before: always;">
All'alba delle sei, qui a Canosio, tutto tace. L'unico rumore è il
ticchettio della pioggia sui vetri del parabrezza: potrebbe anche
essere un contorno romantico, se non fosse che tra un'ora mi toccherà
partire di corsa... E il ticchettio della pioggia me lo ritroverò
sulla capoccia. Tra l'altro, manca un'ora al via e qui intorno tutto
tace: il parcheggio è pieno, non c'è più spazio neanche per un
francobollo, ma che fine han fatto tutti? Al bar, davanti al caffè
fumante, ci siamo solo GP, la barista ed io. Fuori, buio, freddo
pungente ed un silenzio irreale.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mistero presto risolto:
basta trovare il coraggio di uscire dal calduccio del locale
riscaldato a stufa ed avviarsi verso l'altro edificio, quello
destinato a dormitorio e colazione, che io manco avevo notato. Sarà
che è più buio di quanto dovrebbe... In cielo non si vede neanche
un'idea di stella.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Fioche luci si muovono
per il prato. Il viavai dalle brande alle tavolate della colazione:
peccato che io abbia già provveduto alle libagioni a casa... A veder
quelle invitanti pagnotte, mi verrebbe voglia di fare il bis.
</div>
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<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Tra i tanti visi noti,
faccio finalmente la conoscenza reale di due personaggi incontrati
finora solo a distanza, grazie all'ormai onnipresente Facebook. Paula
e Marco... Entrambi corridori, ma lei oggi in versione di assistente
preoccupata, reduce com'è da una caduta in gara qualche giorno fa.
Quattro risate per stemperare la tensione: per me, oggi, alla paura
della gara si aggiunge il terrore del meteo. Vero, sono "solo"
45 km o giù di lì, con "solo" 2.500 m di dislivello... Ma
la pioggia ed il freddo possono renderli eterni.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Son già bell'e pronta,
ma attendo i preparativi degli altri corridori rannicchiata in auto.
Mi sono ostinata ad indossare il micropantaloncino, la solita vanità,
ma qui si schiatta di freddo: gambe scoperte sì, ma almeno quattro
strati a proteggere il tronco. E, imbecille come sempre, ho
dimenticato la bandana. Avrò in premio orecchie congelate ed un
solenne mal di testa. Amen.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Qualche decina di metri
più avanti, sotto l'arco della partenza, si affollano già i
corridori. La voce dell'altoparlante risuona già da qualche minuto.
A malincuore, scollo il mio ingombrante posteriore dal sedile
dell'auto e mi butto fuori: s'ha proprio da fare.. Qualche goccia di
pioggia, ancor più odiosa di uno scroscio: mi tiene lì, in sospeso,
pioverà, non pioverà... Per ora, preferisco indossare la giacca
impermeabile. Sempre meglio bagnata di sudore, che almeno è caldo,
piuttosto che fradicia di pioggia e con la pelle esposta al vento!
Non posso neanche guardare quelli che partono in canottiera...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
GP mi lancia il solito
gesto di incoraggiamento: quanto invidio la sua imperturbabile
flemma... Per me, ogni partenza è un'angoscia. Una volta partiti,
poi, via, si va... Ma quegli attimi che precedono lo sparo d'inizio
sono un'agonia! Finalmente, anche oggi, si corre, ma senza che il
sole abbia voluto darci nemmeno il minimo cenno della sua presenza.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Sembra il via di una gara
di 100m in pista... Schizzano tutti come biglie del flipper. Il mio
destino, invece, è quello dell'ultima ruota del carro... In ogni
caso, faccio del mio meglio per correre tutto il corribile, almeno
finché siamo sull'asfalto. La pianura, poca, ed anche la salita. Per
fortuna, il tratto di asfalto è lungo, anche se a tratti ripido: per
me, è l'ideale. Adoro correre sull'asfalto. In capo a pochi km, le
posizioni diventano più o meno stabili: "noi delle retrovie"
ci ritroviamo, più o meno lo stesso gruppo di persone per un bel
po'. Chi accelera nei tratti di falsopiano e poi cammina in salita,
chi è più costante, chi trova il fiato per chiacchierare e chi
procede in silenziosa meditazione. So che rischio, ad ostinarmi a
correre anche i tratti ripidi – o meglio, a fare il gesto della
corsa, che poi sulla velocità di progressione ha influenza minima e
in compenso disintegra le gambe: mi ritroverò i polpacci duri come i
chiodi... Ma in fondo, ogni tanto, bisogna osare. Se non altro, mi
scaldo e posso riporre la giacca impermeabile nello zainetto.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Attraversiamo alcune
borgate, una più bella dell'altra, alternando tratti di asfalto a
tratti di sentiero talvolta anche ripido, prima di approdare su una
bella e lunga strada sterrata, un leggero saliscendi che mi fa venir
voglia di percorrerlo in mountain bike. Ce la metto tutta, ma sempre
con un occhio alla prudenza: conoscendomi, so che qui per me, su
terreno davvero comodo, paradossalmente è facilissimo inciampare.
Intorno non c'è più bosco né costruzioni, solo il pendio e la
vista sui pascoli. Le gambe procedono bene, agili: me ne stupisco...
Speriamo che duri; speriamo, soprattutto, che Giove Pluvio abbia
deciso di concedere una tregua duratura.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Quando meno me l'aspetto,
una bella discesa, in buona parte su asfalto, mi catapulta giù a
fondovalle, a superare un ponticello, per riprendere poi la salita
dall'altro lato della valle, lungo una strada ripida che presto
diventa sterrata. Molto bella, però, anche qui, percorribile in
bici. Ci provo, a correre ancora, ma stavolta è davvero troppo.
Sarebbe un inutile massacro. Mi rassegno al passo svelto, ma non è
svelto a sufficienza: mi sembra che tutti, ma proprio tutti, vadano
su senza peso, mentre io mi sento arrancare e soffro, come se le
gambe avessero deciso di irrigidirsi, e per giunta troppo in fretta.
Il morale precipita a livello dei talloni. Dai Gian, non mollare
così... Fino ad ora sei andata bene, hai fatto un buon tempo. Calma
e sangue freddo, qui puoi solo camminare. Se c'è chi corre, beh,
buon per lui...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Brevi tratti di sentiero,
alternati alla strada, mi portano proprio sul piazzale
dell'Agriturismo La Meja. Qui non c'è più un albero a pagarlo,
siamo in alto ormai; il cielo è livido e soffia un vento gelido. Le
orecchie, come previsto, sono talmente ibernate che potrebbero
staccarsi da un attimo all'altro... La testa, investita dalle
raffiche fredde, batte come un tamburo. Insomma, tutto procede per il
meglio. Un po' di corsa e un po' a passo svelto, mi sforzo di far la
voce allegra scambiando due parole con una collega di gara. Se non
altro, finalmente compare la Rocca La Meja...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
I chilometri di strada
sterrata sono davvero tanti. Più che un trail, questa è una gara da
maratoneti... Non che io me ne lamenti, anzi, la trovo comodissima!
Solo, mi rammarico di non avere le gambe per correre... Qui sì, ci
sarebbe da correre ogni metro. Se uno non fosse in perenne lotta con
la forza di gravità. Troppo lardo da portare su... Riserve per
l'inverno!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il morale, però, stenta
a risollevarsi. Va di pari passo con la stanchezza delle gambe, del
tutto ingiustificata dopo pochi km. Quanti ne avremo alle spalle?
Quindici o giù di lì... Ancora strada, quattro anime che camminano
in pochi metri, silenziose e quasi ignare le une delle altre. Il
vento rinforza, gelido. La pioggia, per ora, non si fa vedere...
Incrocio le dita. Grigio, freddo, sassi. Di corsa attraverso un
prato, poi un'idea di sentiero, quasi una traccia che si perde tra le
zolle smosse e l'erba. Ce la metto tutta, ma la testa non va...
Preoccupazione, paura. Di cosa? Chissà...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il Rifugio Gardetta
compare all'improvviso, dietro una collinetta. Non immaginavo di
trovarmelo già di fronte, anche se, poco fa, una volontaria
dell'assistenza l'aveva annunciato. Una bella tenda a cupola ospita
il primo punto di ristoro: non mi par vero... The caldo, sali a
volontà, un po' di frutta secca. Ho una gran fame, dovrei sforzarmi
ma non riesco a mangiare. Ma basta questo a farmi riprendere un po'
di coraggio. Ce ne vuole tanto, per ributtarmi fuori dalla tenda. Di
buon passo lungo l'acciottolato che poi diventa sentiero e sale su al
Colle della Gardetta: chissà poi dove ci fanno andare... Passo
svelto, più che posso, due chiacchiere con tutti e il colle arriva
in fretta... Ma non si svalica? No: si prosegue in falsopiano, fino
ad una casermetta, per poi scendere lungo un sentiero sconnesso e
ripido. Si torna a passare a pochi metri dal Rifugio: un anello, ecco
cosa abbiamo descritto. Giù di corsa, a rincorrere le bandierine ben
disposte lungo un tracciato altrimenti incomprensibile, in mezzo
all'erba. E sembra quasi che le nuvole vogliano provare ad aprire un
varco... Ce la metto tutta per correre, qui e soprattutto sulla
strada sterrata a cui si approda di lì a poco. Questa, finalmente, è
una strada nota: ci sono già stata più volte, sia a piedi che in
MTB. Un lunghissimo nastro di terra bianca, ghiaia e a volte anche
pietroni, almeno una decina di km, fino a raggiungere il bellissimo
punto di osservazione su Rocca la Meja. Da lì si distacca il
sentiero per il Colle del Mulo.</div>
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<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mi ostino a voler correre
tutto il possibile, anche quando l'economia del gesto non lo
suggerirebbe. Di tanto in tanto, un'occhiata alla Rocca, che "di
lato" sembra un enorme punteruolo e di fronte un'imponente pala.
Si vedrebbe anche il Monviso, se solo la giornata fosse un po' meno
tetra e nuvolosa. Ma, a furia di contemplare l'infinito e non
guardare dove appoggio i piedi, in un nanosecondo mi ritrovo spalmata
a terra. Un attimo di oblio e poi un dolore fortissimo: in una sola
caduta, sono riuscita a sinistrarmi entrambi i gomiti ed entrambe le
ginocchia, per tacere delle mani. Al ginocchio destro, soprattutto,
un dolore lancinante... Impiego parecchi minuti a ricacciare indietro
le lacrime, vincere il male e rimettermi in piedi; parecchi altri
minuti a riprendere un'andatura decente e non zoppicante... Una
colata di sangue va giù lungo il polpaccio, ma quello non mi
preoccupa, è solo una sbucciatura. Mi preoccupa invece, e molto, il
rischio di aver danneggiato il ginocchio. Le mie fide ginocchia che
hanno sopportato, fino ad oggi, i più turpi maltrattamenti... Non
possono sopportare anche questo!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il dolore da acuto
diventa presenza costante ma più sopportabile. Si fa sentire ad ogni
passo, mi ricorda che c'è, ma mi permette di correre. E, di già che
conosco bene questa strada, meglio che presti attenzione ai pietroni
sporgenti, spesso di taglio, insidiosissimi. Riprendo a correre, ma
con molta prudenza. Ora che forse sono un po' più vicina al sogno di
diventare istruttrice di spinning, non posso rischiare le ginocchia!
Cautela, attenzione a dove metto i piedi. Ad uno dei volontari,
appostati in una curva, che mi chiede se io sia caduta, alla vista
del mio ginocchio pesto, rispondo " Nulla, solo un graffio"...
Fa molto donna d'acciaio la striscia di sangue colato sul polpaccio.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'altopiano è
meraviglioso, peccato non potersi guardare intorno. Il cielo offre
persino qualche minuscolo sprazzo di azzurro. O forse è colpa della
botta... Eppure non mi pareva di aver picchiato la capoccia. Vorrei
ammirare la Rocca la Meja, i pascoli, ma se solo oso staccare lo
sguardo da terra sono rovinata. Meno male che il colletto è ormai in
arrivo... Brevissima discesa su sabbia gialla e ciottoli, breve
risalita ed ecco il tendone del ristoro. Mi basta poco, solo qualche
bicchiere di sali ed un po' di frutta secca, poi via: un po' di
salita su sentiero, quasi non ci credo... Sentiero sconnesso,
probabilmente scavato dall'acqua in questo terreno molto sabbioso.
Raggiungo qualche compagno di corsa: parecchi, da qui alla fine della
risalita, al Colle del Mulo. Un panorama mozzafiato.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'ultimo che acchiappo,
appena prima del colle, è il buon Filippo, che mi accompagnerà
pazientemente da qui al traguardo. Prima un bel tratto di discesa su
sentierino, più che mai ostica anche se ormai ho quasi imparato a
domare le discese: poi, già in vista dell'alpeggio sulla strada
asfaltata, il tracciato si fa più comodo. Ci lanciamo nella
chiacchiera selvaggia... E addio competizione.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Breve sosta al punto di
ristoro, proprio di fronte all'alpeggio: coccole ad un cuccioletto di
cane, qualche boccone e via. Per alcune decine di metri, procediamo
sull'asfalto, direzione fondovalle. Poi deviamo a destra per il
prato, lungo il torrente, in mezzo ad una vegetazione sempre più
fitta ed umida man mano che scendiamo. Le nuvole sembrano voler
tornare proprietarie esclusive del cielo: pazienza, adesso può
succedere quel che vuole... Mancano pochi km all'arrivo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Maledico più volte
questo sentierino che corre più o meno lungo la strada asfaltata, ma
spesso in mezzo alle ortiche, alle piante umide e scivolosissime,
alle pozze. Ormai abbiamo perso quota: siamo immersi nel bosco. E la
chiacchiera, nonostante tutto, non si placa. Quanto agli argomenti,
meglio che intervenga la censura. Almeno fa un po' meno freddo... Di
corsa e ancora di corsa, ma senza troppa convinzione, spesso
incespicando e tirando giù un buon numero di santi. Come sempre, gli
ultimi km si allungano a dismisura... Una fanciulla bionda ci
sorpassa come una moto; poco oltre, arriviamo ad un ponticello
presidiato da un paio di volontari. Ultimissimo tratto di risalita
oltre il ponte, condito da approfondita discussione sul tema del
fallimento del matrimonio. Chi per fede, chi per esperienza, entrambi
ce ne teniamo alla larga e facciamo il possibile per avvicinarci,
invece, al traguardo. Il sentiero corre in mezzo al bosco fitto, fino
a confluire nell'ennesima strada sterrata. Infine l'asfalto: solo qui
riconosco il terreno calpestato di corsa alla partenza. Una goccia,
due gocce: ad un chilometro dal traguardo, comincia la pioggia. Non
avrei osato sperare tanto. Pazienza se adesso diluvia. Ultimo sprint
e siamo al traguardo, missione compiuta. Ma...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
...afferro il telefonino
per cercare GP, che non vedo nei paraggi. La mia borsa per la doccia
è nella sua auto e qui fa troppo troppo freddo... "Solo
chiamate di emergenza". Ma che caspita dici, solo chiamate di
emergenza? Stai scherzando, sottospecie di rottame? Ma se stamattina,
qui, mi hai permesso di chiamare! E adesso? Dove lo trovo il marrano?
Soprattutto, lo troverò prima di ibernare? Sporgo il naso nel locale
del pasta party, niente. In zona arrivo, niente. Non mi resta che
avvicinarmi all'auto e sperare che sia lì... Mi rifugio sotto la
tettoia di fronte al bar, smanettando invano sul telefonino che
rifiuta ogni collaborazione. Fortuna vuole che GP sia lì dentro e mi
raggiunga. Poverello... Ha un polpaccio grosso due volte l'altro,
gonfio a dismisura, per uno strappo o qualcosa di simile, capitato
proprio alla partenza... A pochi metri dal via! E zoppica
vistosamente... Ciononostante, ha impiegato quasi un'ora meno di me,
che pure ho concluso in sette ore e un quarto, per me quasi un
miracolo.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ma la vera sfida della
giornata deve ancora arrivare. "Com'è l'acqua?", chiediamo
all'ingresso del locale docce. "Guarda, se fosse fredda sarei
già contento...". Ecco, mi mancava. GP rinuncia fin da
subito... E non posso dargli torto. Io però mi faccio proprio
ribrezzo, con tutto il fango che ho imbarcato negli ultimi km. Prendo
il coraggio a quattro mani. Perfetto: doccia gelata, porta che non si
può chiudere e finestra con ampia vista sul parcheggio. Vista
reciproca, ovvio.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'acqua gelata è un
trauma tremendo. Eppure non ho scelta: dirigo il getto un po' di
sbieco, mi insapono in fretta e furia, mi risciacquo con gran pianto
e stridore di denti. C'è di buono che, quando esco al freddo di
questa giornata uggiosa a oltre mille metri di quota, quasi quasi
percepisco un senso di tepore. Torno all'auto, dove trovo GP intento
a curare il polpaccio con il ghiaccio... E con l'aiuto del papà in
divisa da volontario, di assistenza alla gara. Cavoli: ed io che
credevo che il figlio fosse la creatura più bella sulla faccia
maschile della terra... Devo ricredermi, il papà lo batte!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Pasta party con polenta e
formaggio, per me il non plus ultra: poi si riparte verso casa. Ma
non prima di aver fatto tappa a vedere una casa meravigliosa sepolta
in mezzo ai boschi di castagne della montagna sopra Dronero e,
soprattutto, una splendida cucciolata di dieci bellissime palle di
pelo, con una mamma simil pastore tedesco giustamente fiera dei suoi
piccoli... Ed un'altra cagnotta ancora a fare da zia. Riparto a
malincuore, me li porterei via tutti...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-83196958816712068182013-09-06T23:07:00.002+02:002013-09-06T23:12:36.255+02:001 settembre 2013 - TOUR MONVISO TRAIL<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Solo io posso esser
capace di cotanta idiozia. Imbecille, imbecille, imbecille: imbecille
al cubo. Solo io posso dare appuntamento all'uomo più bello e
fascinoso che si sia mai visto sulla faccia della Terra, in una
città, ad un indirizzo e ad un'ora che ho deciso io stessa, e
riuscire a non trovarlo. Solo io posso mettermi a girare in auto come
una trottola alle quattro del mattino, senza capir più nulla, in
preda al panico, in un paese che conosco come le mie tasche, mentre
il tapino continua a ripetermi al telefono che lui è proprio lì
dove gli ho detto di trovarsi... Che per giunta è l'indirizzo di
casa di mia sorella! Solo io posso perdere del tutto il lume della
ragione, lasciarmi assalire dal terrore di non arrivare in tempo alla
partenza della gara – fissata due ore e mezza dopo, in un luogo
raggiungibile da qui in mezz'ora – e concludere desolata al
telefono "meglio che ci troviamo là", dove "là"
sta per Crissolo... Tra il buio e le lacrime di rabbia e vergogna che
cerco invano di ricacciare indietro, guidare fin lassù diventa
un'ardua impresa. Fa brutti scherzi la tensione pre gara: beh, forse,
ad essere del tutto sincera, non è tutta colpa della gara... In ogni
caso, lo è in buona parte. Sono giorni che penso a questo trail ed
alla possibilità di provare ad affrontarlo, per una volta, in modo
un po' più deciso del mio solito. Però, cavolo... Manco la mia
fosse una lotta per il podio! Ad andar bene, la mia vittoria sarà
riuscire a rientrare entro il tempo massimo...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il meraviglioso è già
arrivato. Vorrei potermi seppellire sotto una tonnellata di terra,
per non dire altro... Sono un'incommensurabile idiota. Lo so da
tempo, di essere un'incommensurabile idiota, solo che ogni tanto
cerco di dimenticarmene... Ma poi capita qualcosa che mi riporta
brutalmente alla consapevolezza. Quasi non oso scendere, è lui che
si avvicina alla mia auto e cautamente bussa, con la faccia di uno
che ha il dubbio di avere a che fare con un pazzo alla Jack Lo
Squartatore, con sembianze femminili però. Rassegnati, Gian. Anzi,
rassegnati, Gianca, così almeno evitiamo confusioni, visto che è un
Gian pure lui. Non hai difesa... Tantovale che ti accetti per quel
che sei. Un'idiota. In fondo lui è un animo buono, non te lo fa
neanche pesare.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Sono le cinque o poco
più, si parte tra due ore. Le volontarie sono già ai posti di
combattimento per distribuire i pacchi gara: pettorale, chip ed
un'infinità di cose buone, dalle merendine al succo di frutta alla
confettura... E, luce dei miei occhi, una bellissima maglia tecnica
da indossare alla pelle, di quelle che non restano bagnate, una
meraviglia. Caffè e quattro parole, mentre in piazzetta, al buio,
fervono i preparativi per il via. Ma io qui non resisto, preferisco
la solitudine: rintanarmi in auto e cercare un recupero di sonno che
tanto non arriverà; controllare mille volte il marsupio e
l'equipaggiamento. Per oggi, visto che 43 km sono una distanza
abbastanza contenuta, ho deciso di "osare": niente
zainetto, solo il bel marsupio che ho ricevuto nel pacco gara del
Tartufo Trail, niente bastoncini e niente borraccia. La mancanza
d'acqua al seguito non mi preoccupa, sia perché di solito bevo
pochissimo, sia perché lungo l'itinerario si trova acqua quasi
ovunque. Rinunciare ai bastoncini invece è un azzardo.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il brulichìo di atleti
ed accompagnatori cresce e, con esso, la mia agitazione. In auto non
resisto più: prendo il marsupio, mi lego le scarpe, esco. Decido per
una cioccolata, ancora: peccato che il portafoglio sia rimasto in
auto... Altra corsa, vai, torna; meno male che Crissolo è un
paesetto grande un pugno e le distanze sono minime... La barista deve
aver avuto più o meno la stessa impressione di me del pover'uomo
bellissimo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Finalmente arrivo alla
partenza, intruppata tra decine di altri corridori. Ne conosco tanti
e quasi non ne riconosco nessuno, per la tensione che mi annienta
anche quel poco di vista da miope. Beh no, il bellissimo lo
riconosco, meno male che decide prudentemente di allontanarsi... Ci
manca anche che mi si surriscaldi l'ormone, già peraltro
discretamente agitato, e sono a posto. Capace che percorro il giro al
contrario. L'attesa per la partenza mi sembra eterna...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il via esorcizza tutte le
mie paure. Parto di corsa, sì, proprio così. Non l'ho mai fatto,
anzi, me ne sono sempre ben guardata... E invece oggi parto di corsa.
Supero il bivio con la strada asfaltata di Pian del Re e seguo la
massa su per il sentiero che si stacca sulla sinistra, oltre il
ponte. Saliscendi in mezzo al bosco, sentiero ora strettissimo ora
quasi una strada; foglie verdi, acqua ovunque, intorno ancora tanto
fiato per chiacchierare. Il fiato è corto, ma non come pensavo.
Calma. Ce la faccio: non devo esagerare; correre sì, ma senza
strafare; piano, regolare, un po' più lenta di quel che mi sento.
Piano, concentrata, non inciampo. Brevi discese, strappi in salita:
un percorso nervoso ed irregolare che ci porta a sbucare a Pian della
Regina, proprio di fronte alla Baita della Polenta. Un pastore ci
osserva, evidentemente perplesso per i nostri visi stravolti: in un
bel piemontese di montagna, osserva "Ma, se andassero un po' più
piano, faticherebbero meno...". Come dargli torto?</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Un bicchiere di the e si
riparte, destinazione Pian del Re. Accendo il lettore Mp3, cuffie
nelle orecchie. Si comincia con le note di Cher. Il sentiero sale
blando fino al pianoro; non ci sono più alberi intorno, solo prato,
rocce e tane di marmotta. Poi s'inerpica tra rocce e pietrisco per
superare il salto della cascata: tornantini stretti e strappi secchi.
Sono ancora in mezzo alla massa: mi compiaccio, di norma a quest'ora
sarei già rotolata in ultima posizione o quasi... Altro ristoro
idrico, altri due bicchieri di the al rifugio: altra partenza, guai a
perdere tempo. Arrivo di corsa al sentiero che sale al Colle
Traversette: dobbiamo percorrerne un buon tratto, prima di imboccare
a sinistra la traccia per il Rifugio Giacoletti. Calma Gian che
scoppi... Calma che scoppi... Ma stavolta non ce la faccio. Mi prendo
una lepre di riferimento, la inseguo, ne scelgo un'altra ed inseguo
ancora... Ci sono un bel sole ed il Monviso sopra la mia testa, ma io
non ho ancora alzato gli occhi da terra.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il primo bivio è il
nostro. Ci ritroviamo su per una vera salita da capre: prima sentiero
stretto e molto ripido, poi sentiero ancor più ripido, dove usare le
mani, dove salire facendo un passo avanti e due indietro. Salgo bene,
supero gente, mi gaso a dismisura: va a finire che prima o poi
scoppio... La salita non molla, supera una balza dopo l'altra; ci
vuole un bel po' perché il colle si individui contro il cielo, là
dove sventolano le bandierine del rifugio, ed un altro bel po' per
arrivarci. Nonostante manchi l'aiuto dei bastoncini, per ora le gambe
sono ben reattive. Ma sarò capace di correre in discesa? Quello non
l'ho proprio mai mai fatto...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Al ristoro del Rifugio
Giacoletti, breve pausa a base di pane, marmellata, formaggio e
barrette Kinder, un orribile misto che a me però sembra manna dal
cielo. Alzo il volume della musica e mi fiondo in discesa: il minimo
che possa aspettarmi è di sfasciarmi la faccia al primo salto...
Invece no: riesco a correre, a saltare, ad appoggiare sicura, e
pazienza se mostro la leggiadria di un cinghiale intasato. Mi lascio
persino qualche avversario indietro. La conosco, questa discesa, so
che non è uno scherzo. Eppure in breve arrivo in vista del primo
lago e poi del secondo: non so mai quale dei due sia il Fiorenza...
Breve risalita e ancora giù, a valanga; sono ancora in piedi e non
me ne capacito... Merito delle scarpe, questo è poco ma sicuro... Ma
non solo!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
A ruota di alcuni
colleghi, mi ritrovo sul sentiero che sale al Rifugio Quintino Sella.
Si torna a lottare contro la gravità, eppure oggi mi sembra tutto
troppo facile... Prendo il mio passo, mani dietro la schiena e su, un
piede avanti all'altro, poco poco ma inesorabilmente. Gentilissimi,
gli escursionisti si fanno sempre da parte, salutano, incitano.
Risaliamo la pietraia: anche da qui, la vista sul Monviso sarebbe uno
spettacolo... Se solo si alzassero gli occhi da terra. Un'altra
volta, magari, adesso bisogna andare. Inseguo Domenico, già
sorpassato in discesa, che mi ha appena risorpassata: è un onore
riuscire a restare nei paraggi di un personaggio che corre la
maratona in tre ore ed un quarto... Per adesso, è lui il mio
riferimento.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Anche la pietraia... Mai
affrontata così. Di solito è il mio spauracchio. Ma non oggi.
Scollino in vista del lago: sul tratto in piano e leggera discesa,
metto le ali ai piedi. Lo so, son sicura che, non appena le gambe
cominceranno ad accusare la stanchezza, ruzzolerò per terra. Ma
Gian, non fasciarti la testa prima d'essertela rotta... Provaci! Alla
peggio, poi, scoppi...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Al Quintino Sella, ottimo
ristoro e tanta gente venuta fin su a vedere la gara. Mi strafogo di
barrette Kinder e bicchieri di sali, tutta contenta d'essere ancora
in buona posizione, che per me significa non proprio ultima e
reietta. Pochi istanti e via: da qui al Passo San Chiaffredo, è
corribile. E questa volta devo correre. Mi fiondo, infatti: non mi
capacito di quanto le gambe siano sciolte ed ubbidienti, oggi. Che
sia l'effetto degli ormoni in circolo? Ma allora devo prenotare
l'assistenza del bellissimo a tutte le gare possibili ed immaginabili
future... Devo ordinargli di piazzarsi ignudo nei punti strategici
dove per me è più probabile andare in crisi!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Un salto dopo l'altro, in
lontananza torno a vedere Domenico, che però ha una falcata
assassina. Lo inseguo, ma senza riuscire ad accorciare la distanza.
In compenso, come previsto, arriva il primo capitombolo. Meno male
che la salita riprende, almeno un po', fino al Passo Gallarino: la
testa comincia a girare... Devo dare il tempo alla pappatoria di
entrare in circolo. Brividi: sarà stanchezza o il freddo quassù?
Siamo quasi a quota 2.800 m dopotutto. Il sole comincia a velarsi,
qualche nuvola qua e là. Quanta gente a fare assistenza ai
corridori: nugoli di angeli custodi dappertutto! Mi salutano al Passo
Gallarino. Via, di corsa verso il Passo San Chiaffredo: è proprio
lì, nel tratto in piano che scorre accanto al laghetto, che riesco
finalmente a raggiungere il buon Domenico. Mi sento un po' carogna:
questa volta sono io a sfruttare l'altrui difficoltà in discesa...
Ma io oggi ho nelle vene un doping tutto naturale e potentissimo. Mai
e poi mai mi sarei sognata di affrontare la discesa dal Passo San
Chiaffredo verso la Val Varaita così. Di corsa! C'è da dire che un
gran vantaggio arriva, inaspettatamente, dalla mancanza dei
bastoncini... E soprattutto dello zaino. Il senso di libertà di
movimento, quando ho la schiena libera da pesi, per me è impagabile.
Basta anche uno zainetto piccolino e leggero a darmi fastidio...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Sono davvero tanti gli
escursionisti che salgono di qua. Mi sembra, ogni tanto, di fender la
folla. Raggiungo altri tre corridori un po' più impacciati, passo
oltre, entro nel bosco, giù a perdifiato tra sassi e radici.
Continuo a non credere a me stessa. Sono allibita e felice... Ma
durerà?</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
A Plan Meyer, altro
capannello di assistenti in giubba rossa. Qui si abbandona il
sentiero che scende in Val Varaita e si imbocca quello che raggiunge
il Rifugio Bagnur. Lo aggredisco con molta baldanza: il minimo che mi
possa succedere, di conseguenza, è di appoggiare incautamente il
piede su una roccia viscida, superando un torrente, e di rovinare
pesantemente al suolo, picchiando proprio l'anca destra sulla pietra.
Per qualche istante, non vedo e non capisco più nulla: il dolore è
violentissimo, da piangere. Poi, pian piano e bestemmiando in ogni
lingua nota e sconosciuta, mi rimetto in piedi: ma ci vuole ancora un
po', prima di potermi raddrizzare del tutto e poter ripartire...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il dolore è forte ma,
con il movimento, pian piano si attenua un po'. Brucia, anche: si
vede che mi son portata via un po' di pelle. Non voglio neanche
saperlo. Zoppicon zoppiconi, riprendo la corsa, un po' più incerta e
preoccupata: mi sento fiacca, adesso, forse per lo spavento, forse
per la fame o per entrambe le ragioni. Questo bosco, che poi è il
meraviglioso bosco dell'Alevè, non finisce più e mi mette
l'angoscia... Corro con meno convinzione; quasi patisco la breve
risalita nel fitto del bosco. Per fortuna, il Rifugio Bagnour appare
come un miraggio: desideratissimo, il ristoro.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Dalle parole di uno dei
volontari, capisco che ho impiegato cinque ore e mezza ad arrivare
fin qui: ed io che temevo di sforare il cancello delle sette ore...
Mi concedo qualche minuto di tregua, pane, marmellata, acqua e sali:
riparto, in effetti, piena come un uovo. Meno male che la salita
comincia subito: novecento metri di dislivello, stavolta del tutto
sconosciuti. Il Passo Calatà è ignoto: so solo che mi riporterà
sul Passo Gallarino. Pare, a detta di molti, che toccherà spargere
lacrime & sangue per arrivare lassù... Non riesco a rendermi ben
conto di come sto. Affronto con cautela i primi passi: le gambe mi
sembrano un po' tese e stanche. Passo regolare, ma già sufficiente a
riacchiappare qualche avversario. E, di conseguenza, a gasarmi per
bene.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Si sale per un po' in
mezzo al bosco, tra pietroni e radici che impediscono di prendere una
falcata regolare. Poi la quota spazza via gli alberi: resta un bel
sentiero che sale su fino ad un pianoro. Superata quella balza,
sollevo lo sguardo e... Davanti, un'altissima parete scura,
un'infinita pietraia. Lassù... Ma dove? Mamma mia... Non ci riesco,
sono stanca... E più lo penso, più mi metto a correre. Gli applausi
di un gruppo di escursionisti appollaiati su una collinetta fanno
l'effetto di un fiammifero su una tanica di benzina. Di qui, la
salita si fa quanto più possibile cattiva: si sale sulle pietre,
spesso tocca aiutarsi con le mani per restare in equilibrio, e poi su
per la pietraia, il fiato sempre più corto, il petto che fa male, i
muscoli che urlano. Non voglio mollare. "Ma tu sei Giancarla?
Vai Giancarlaaaa", un urlo che mi dà la scossa, ancora su per
la pietraia ormai ripidissima, e qui sì che vorrei i bastoncini...
Com'è nera questa parete; forse è l'effetto della nebbia che
incombe appena più in alto dei duemilanovecento metri del colle. Un
altro volontario di guardia: "Un quarto d'ora e sei su",
come, un quarto d'ora, io non ce la faccio più già adesso... Ancora
pietre, ancora sforzo, mani sulle ginocchia, dai Gian forza... Non
mollare... Il gruppo di volontari lassù sul colle, sempre più
vicini, dai che ormai è fatta...
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Scollino in un'atmosfera
da film horror, una sterminata pietraia nera, la nebbia grigia, il
vento freddo. Paesaggio che stride con i sorrisi e le urla entusiaste
di chi veglia su di noi, quassù. Il primo tratto di discesa, beh...
Sfido chiunque, a correrlo. Non c'è nemmeno un sentiero, solo una
fila di bandierine da seguire alla bell'e meglio. Poi, pian piano, la
faccenda migliora, anche se un paio di voli rischio di concedermeli.
Altri volontari, sul pianoro: un bicchiere d'acqua, graditissimo,
anche se adesso qui fa quasi freddo. Via, di corsa, lungo un sentiero
finalmente bello e praticabile che, con impercettibile salita, mi
riporta al Passo Gallarino senza che io quasi me ne accorga. Ha avuto
coraggio, colui che ha deciso di inserire il Passo Calatà nel
percorso: guai se lì fosse calata la nebbia... Hai voglia a metter
bandierine: si sarebbe trovata gente sparsa per tutta la pietraia!
Per fortuna, è andata bene ed è stato un fantastico colpo d'occhio.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ali ai piedi, Gian, ormai
è fatta o quasi. La salita è quasi tutta alle spalle. Il lettore
Mp3 suona "The Final Countdown", mai colonna sonora fu più
azzeccata. Devi proprio solo sbrigarti: possibilmente, senza
schiantarti al suolo proprio adesso... Chissà, magari la meraviglia
in forma di masculo è ancora a Crissolo... Chissà da quanto tempo è
già arrivato, chissà se avrà pazienza.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il sentiero verso il
Rifugio Alpetto è bello, agevole, senza pendenze impossibili. Solo
in qualche tratto, il pietrisco diventa insidioso. Il rumore della
cascata, quando ci arrivo di fianco, è tale da coprire quasi il
volume della musica nelle orecchie. Al bivio per il Quintino Sella,
"cinque minuti", mi dicono: beh, forse un po' di più...
Ma, curva dopo curva, alla fine anche l'Alpetto compare. Ultimo
ristoro: ancora barrette Kinder, le adoro, e persino un pezzo di
anguria. Un paio di minuti, non di più. Il cielo è plumbeo, le
frange delle nuvole arrivano fin quasi a lambire la mia strada, ma
che importa? Otto chilometri, tutta discesa, sostiene il volontario.
Al che, mi metto una mano sui gioielli di famiglia, metaforicamente
s'intende: quando sento dire "tutta discesa", minimo minimo
c'è ancora una parete da superare con una scalata di settimo
grado...
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<br /></div>
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Corro lungo il torrente,
sul pianoro; un po' di saliscendi e poi una splendida picchiata giù
per un sentiero che scende addossato alla parete nera. Sarà questa,
immagino, la Rocca Negra che non conoscevo. Nelle orecchie gli
Stadio, "Un disperato bisogno d'amore". E poi... Un
lunghissimo, interminabile traverso in leggera salita – altro che
tutta discesa – taglia il pendio erboso, in certi punti anche
parecchio ripido in caso di inopportuno volo. E poi ancora chilometri
di prato da attraversare, correndo lungo il filo che delimita il
confine per il pascolo dei bovini. Un tratto che, in altri tempi ed
in altre circostanze, mi avrebbe gettato nel più nero sconforto per
la monotonia e la difficoltà, così vicina alla fine della gara...
Non oggi, sembra che le gambe non vogliano più rassegnarmi al passo.
Sembra che oggi le gambe non siano le mie. Raggiungo ancora,
inaudito, qualche concorrente; riesco a non farmi staccare dagli
altri – pochi, inaudito – che ancora mi raggiungono. In vista di
Serre Uberto dall'altra parte della valle, passiamo accanto ad un
alpeggio; ancora prato, rognosissimo, tutto buche e sassi insidiosi
sotto l'erba: calma Gian, mantieni il controllo... Prima o poi
finirà, deve per forza finire! Infatti, finalmente, curva secca a
sinistra e ci si butta nel bosco. Finalmente si perde quota. Accelero
ancora, incurante delle raccomandazioni di cautela per il fondo
scivoloso nel sottobosco; le voci di Crissolo: incontro ancora
qualche escursionista, poi finalmente i primi tetti, l'asfalto, il
ponte... Gli ultimi metri nel centro di Crissolo, l'arrivo. Confusa e
contentissima, nove ore e dieci per 43 km e poco più di 3.000 m di
dislivello, lungo un percorso parecchio rognoso; un'eternità, in
assoluto, ma un tempo più che lusinghiero per me. Percorso splendido, tra l'altro, meglio ancora del tradizionale giro del Monviso.<br />
<br />
Accolgo con molta
gratitudine la confezione di Estathe: sono talmente suonata che quasi
non riesco ad infilar la cannuccia... Poi mi avvio, un po' stordita,
verso l'auto, parcheggiata proprio lì vicino. Talmente stordita che
solo quando ci arrivo, mi ricordo di spegnere il lettore Mp3. Nessuna
traccia della meraviglia in giro... Beh, sarà già partito. Mando un
messaggio: "So che non ci credi, ma sono già qui".
Incredibile dictu, è ancora nei paraggi: sta a magnà, tanto per
cambiare...
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<br /></div>
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Il mio desiderio più
forte, in questo momento, è la doccia. Di mangiare non se ne parla.
Le docce sono messe a disposizione dall'albergo sulla piazzetta:
fantastico, troppo gentili! Un po' di coda e poi il meritatissimo,
questa volta sì meritatissimo, scroscio d'acqua bollente sulla
pelle... Somma goduria, levo via un chilo buono di polvere. Quando
scendo, il portatore sano di quasi offensiva bellezza è lì al
tavolino, davanti ad un bicchiere di Coca Cola: ma sì...
Concediamoci ancora quei dieci minuti di contemplazione.
Evidentemente deve aver deciso che non sono pericolosa, nonostante la
performance psicopatica di questa mattina. Non adesso, di sicuro...
Mi gira troppo la testa per essere minacciosa; ci vuole il soccorso
di un caffé con lo zucchero. Mi gira per colpa della gara,
intendiamoci, anche se, davanti a questo personaggino qui, qualunque
fanciulla rischia qualcosa di simile alla sindrome di Stendhal... In
trentadue anni di poco onorata esistenza, un simile esemplare di
masculo non l'avevo ancora mai veduto, parola mia. Non me lo sarei
certo dimenticato, altrimenti.</div>
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Se poi proprio mi
concentro ed immagino di avere davanti un mostro inguardabile, riesco
persino a passare oltre ed a concentrarmi su quel che dice: è anche
simpatico, il marrano! Sette ore e mezza per lui.. Porcaccia miseria.
Inarrivabile. Gnocco e pure forte, ha tutte le fortune.</div>
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<br /></div>
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OK Gian, è ora di
tornare con i piedi per terra. E il deretano in pianura, a
Carmagnola. Quei dieci minuti di tentativi per far partire la Zafira,
che oppone strenua resistenza all'avviamento... Malgrado i commenti
scettici dei viandanti, il rottamone ce la fa. Si parte: almeno fino
a Paesana dovrei arrivare, è tutta discesa. Arrivo invece fino a
casa, sia pure combattendo con il mal di testa, i morti di sonno al
volante delle utilitarie ed il caos carmagnolese per la Fiera del
Peperone. Mi restano un livido enorme, nero, sull'anca destra, e lo
stupore per aver corso così come ho corso. Tra due settimane, tocca
alla Valle Maira Skymarathon: e se provassi a fare il bis? Per la
gara di oggi, il premio per il vincitore era il barattolone da cinque
chili di Nutella, ma l'ho saputo soltanto dopo... Se il 15 settembre
sarà in palio lo stesso premio, allora lotterò per la vittoria!</div>
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<br /></div>
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casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com212030 Crissolo CN, Italia44.6981738 7.159702000000038419.1761393 -34.148891999999961 70.2202083 48.468296000000038tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-21843431065895583692013-08-15T23:12:00.002+02:002013-08-15T23:12:56.330+02:0010 agosto 2013 - LOMBARDA, BONETTE, MADDALENA IN COMPAGNIA
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Vorrei porgere di persona
i miei complimenti a colui che ha progettato l'autostrada per Cuneo,
perché un giro più arzigogolato di questo sarebbe stato ben
difficile da concepire. Il buon Walter è scusato, è forestiero, non
è pratico della strada statale... Ed io non oso troppo insistere, ma
in questo caso la strada statale sarebbe senz'altro più rapida, pur
con tutti i limiti di velocità. Carmagnola, Marene, Fossano, Cuneo,
voilà, altro che questi mille rovelli di curve e controcurve e
svincoli che ci portano a casa del diavolo! Mi ci vuole un bel po'
per raccapezzarmi e capire dov'è che siamo sbucati... In pieno
centro a Borgo San Dalmazzo: geniale, non c'è che dire!
Malimortacci...
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Per fortuna, si
preannuncia una giornata splendida, con un cielo blu da far
dimenticare i disguidi automobilistici. Il tempo di un caffé a
Demonte e si riparte: il punto di partenza per oggi è Vinadio, sulla
piazza "dei camper". Saremo in tre: Walter, Alessandro ed
io, l'Armata Brancaleone all'assalto del mitico giro dei tre colli.
Gruppo perfettamente omogeneo, direi: Alessandro dotato di bici da
corsa d'ordinanza e fisico tiratissimo, senza un filo di grasso, il
polpaccio tutto un muscolo guizzante; Walter ed io in mountain bike,
sia pure con assetto stradale, e fisico... Ehm diciamo diversamente
asciutto. Beninteso, i muscoli guizzanti li abbiamo pure noi, solo
che li teniamo adeguatamente al sicuro sotto un morbido strato
isolante. Però una cosa l'abbiamo in comune, tutti e tre: sfoggiamo
orgogliosamente la divisa bianca, nera ed arancio del Team Nordovest.</div>
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<br />
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Sbrigati i preparativi,
l'Armata Brancaleone si mette in marcia in direzione del bivio per il
Colle della Lombarda: trascinata dall'entusiasmo, per poco non mi
faccio stirare da un autoarticolato già al primo colpo di pedale.
Breve tratto di illusoria discesa, che sarà un calvario in risalita
alla fine della giornata, e poi subito a sinistra: via dal traffico
dei camion che affollano la Valle Stura, ma in compenso tormentati
dal traffico di auto e moto di turisti, pellegrini e compagnia
cantante. Attacchiamo la salita, 21 km per 1.400 m di dislivello,
entusiasti e baldanzosi, ben sapendo che solo uno di noi potrà
permettersi entusiasmo e baldanza anche dopo i primi due chilometri.
Abbiamo ancora il fiato per chiacchierare tra noi e salutare a gran
voce chi sale a piedi, trascinandoci nel contempo su per il primo
"scalino" a tornanti oltre l'abitato, per il tratto lungo
il torrente, per la risalita verso le baracche diroccate. Per me il
tornante è sempre un toccasana: anche dal punto di vista
psicologico, una salita a tornanti è mille volte più domestica di
una lunga rampa, a parità di dislivello. L'ombra scura copre ancora
buona parte delle montagne intorno; solo le cime brillano di una luce
viva ed intensa. L'aria è ancora fredda, troppo per levare via il
gilet. E' Walter, alias il President, a dettare il ritmo su questa
prima ascesa: devo dire che faccio una certa fatica a stargli dietro.
Mi tocca spendere parecchio tempo in piedi sui pedali, almeno finché
mi ostino a non voler usare la coroncina anteriore più piccola, ma
ho come la sensazione che pagherò la mia audacia.</div>
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<br />
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Il tratto centrale in
falsopiano offre a tutti l'occasione di rifiatare. Ci si scruta a
vicenda: Alessandro probabilmente preoccupato per la possibile
prematura dipartita dei suoi compagni di viaggio, causa fatica e
stenti; Walter ed io impegnati a non cedere l'uno all'altra la
posizione di coda nella carovana. La maglia nera è sempre stato un
titolo ambitissimo tra noi paracarri DOCG!</div>
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<br />
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Oltre il bivio per il
Santuario di Sant'Anna, possiamo sperare di esserci liberati di una
bella fetta del traffico d'auto, anche se i viandanti a motore non
mancano nemmeno quassù. Le forze per menar la lingua ci sono ancora.
Mi stupisco di come Alessandro riesca a resistere a quest'andatura da
bradipo stanco, lui che è capace di concludere una Nove Colli in
poco più di sette ore... Eppure non si allontana di un metro e
riesce persino a mascherare il disgusto!</div>
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<br />
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Finalmente, usciti dal
bosco, ci ritroviamo con un po' di sole e tepore sulla schiena.
L'ambiente è da cartolina: prati, laghetti, cielo terso, nemmeno un
batuffolo di nuvola. Gli ultimi cinque km concedono un po' di respiro
ma infliggono anche qualche rampetta traditrice... Proprio su una di
queste, il President fa un allungo e si invola verso il colle. Pochi
metri ed Alessandro ed io scopriamo il motivo: Walter ha immolato i
suoi polpacci per arrivare prima, afferrare la macchina fotografica e
scattare un'istantanea ai suoi due compagni di viaggio. Quasi quasi
c'era da inscenare uno scambio di borraccia in stile Coppi &
Bartali...</div>
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<br />
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Approfitto dell'appetito
dei due colleghi per portarmi avanti con il lavoro in discesa. Lenta
come sono, se non mi avvantaggio un po', rischio di costringere i
tapini ad un'attesa eterna giù ad Isola: beh, eterna ma neanche
troppo, da quando viaggio in MTB. In effetti la discesa in Francia
per la strada della Lombarda, con il potente mezzo ed i freni a
disco, è divertente persino per me: strada larghissima, asfalto
impeccabile, tornanti ampi. Il tratto verso il fondovalle è un
imbuto ancora tutto in ombra e ben poco confortevole quanto a
temperatura...
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<br />
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ad Isola, tappa obbligata
per svestizione e pieno alle borracce, nonché la mia immancabile
visita all'adorato "wc public". Poi mi tocca affrontare
l'incubo: quella decina di km o poco più verso St Etienne...
Odiosissimo tratto con leggeri saliscendi dove io di solito mi pianto
come un paracarro. Infatti, i miei due compari si avviano con
cautela... Ma io resto subito parecchio indietro. E che barba. Le
gambe, in pianura o simile, non girano, non ne vogliono sapere. Io
sbuffo, impreco in silenzio, ma non c'è verso. Quando i colleghi si
accorgono del vuoto alle loro spalle, passano in modalità di marcia
"carro funebre" e mi permettono di riavvicinarmi.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Nei pressi di St Etienne,
suggerisco di imboccare la strada sulla destra, dotata di pista
ciclabile, abbandonando la principale, perché "c'è meno
traffico": infatti, l'unica auto che incontriamo è quella che
invade la pista e per un pelo non ci fa volare tutti e tre per aria
come birilli, scatenando le sacrosante ire del President. Appena
oltre il paese, poi, inizia la lunghissima ascesa alla Bonette. 25
km, circa: blandi, all'inizio, poi sempre più severi, complice la
quota. Si arriverà a superare quota 2.800 m. Il caldo ora è
adorabile: per alcuni senz'altro una temperatura da forno; per me,
freddolosa inguaribile, si sta appena appena bene.</div>
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<br />
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Procediamo più o meno
insieme, a parte qualche inevitabile distacco mai comunque eccessivo.
Il President accusa un po' di malessere, dovuto, dice lui, alla
pressione: preferisco tenerlo d'occhio, questo soggetto pericoloso;
sarebbe capace di arrivare lassù anche se gli piombasse un meteorite
sul cranio, tosto com'è... Se lo si aspetta, almeno non c'è il
rischio che si affanni per andar più forte di quanto si senta. Bivio
per St Dalmas Le Selvage: la tentazione è di girare di lì... Anche
per quella via si arriva alla Bonette, ma gli ultimi km sono su
strada sterrata. Per oggi no, restiamo sul classico. I tornanti, un
po' d'ombra, il pianoro con il rifugio e poche case; ancora un paio
di km e siamo a Bousieyas, con una bella fontana in pietra a
disposizione. Nel frattempo, ci sorpassano alla spicciolata altri
compagni di squadra, partiti parecchio più tardi di noi da Vinadio e
che faranno lì ritorno molto prima di noi: tempo di un saluto e sono
già lontani. C'è chi può. Anche Alessandro potrebbe, probabilmente
più di tutti, ma sceglie di restare con il President e con me.
Secondo me c'è un secondo fine nel suo gesto altruistico: gli ho
accennato di un'eccellente boulangerie a Jausiers... E' costretto ad
aspettarmi, se vuole che lo conduca in tale luogo di perdizione.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ancora quattordici km,
anche se la vetta ormai si vede. Saliamo con calma, in pieno sole, un
po' di vento che rinforza man mano che prendiamo quota. Walter appena
dietro, controllato a vista: brontola di non essere in forma, ma non
molla una pedalata. Io "me la tiro" tornando indietro, ogni
tanto, per controllare che sia tutto ok... In effetti però, quassù,
le gambe sono davvero in condizione eccellente. Riesco persino a
tirare un rapporto molto più duro della norma, per questa pendenza,
per rallentare quanto basta da adattarmi all'andatura del President.
Mi sento un po' in colpa: probabilmente, buona parte della sua fatica
è data dalla scelta della MTB in luogo della bici da corsa... Scelta
che non avrebbe mai fatto se non per solidarietà nei miei confronti!</div>
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<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Gli ultimi sette km,
oltre le baracche di Camp des Fourches, sono per lui un bel calvario.
Il testone quasi non si lamenta, ma la sua fatica è evidente.
Confesso di essere parecchio preoccupata: se dovesse capitare
qualcosa di storto quassù... Ok, so bene che sto esagerando; la
cotta sulla salita della Bonette è la norma, anzi ciò che è fuori
del normale è giungere in cima indenni. Però... Conto i chilometri,
i metri, le pedalate. Dai che ce la fai... Dai che manca poco...
Pochissimo, infatti. Raggiungo il colle, dove Alessandro, che si è
portato avanti quel tanto che gli è bastato per fare il "tour"
della cima, siede in paziente attesa. Walter è subito dietro. Non
sono un medico, ma, nella mia ignoranza, credo che, se il problema è
la pressione alta, sia opportuno andare giù prima che subito...
Quindi, bando al giro della cima: se avessi un po' più di
confidenza, gli darei una pedatona nel didietro e lo scaraventerei
direttamente a Jausiers, ovvio a fin di bene. Con più diplomazia,
invece, mi limito a sollecitare una rapida partenza. Alessandro non
se lo fa ripetere due volte; il richiamo dello stomaco è ormai
fortissimo. Giù, in discesa: qui sono io che, come al solito, mi
faccio attendere. La bontà di Walter è tale da impedirgli di
insultarmi pesantemente ad ogni curva... Che ci posso fare? La MTB ha
già migliorato moltissimo la mia sensazione di stabilità e la mia
velocità in discesa, ma le curve ed io non abbiamo proprio un buon
rapporto. Un amico, tempo fa, mi sgridava perché "faccio le
curve quadre" e non aveva affatto torto!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Se posso trovare un
difetto alla MTB, è il senso di formicolio alle mani nelle lunghe
discese. Infatti arrivo alle porte di Jausiers con le dita
addormentate. Fontana, pieno alle borracce, poi finalmente l'agognata
meta: la boulangerie. Soddisfazione per tutti: anch'io ne approfitto
per prendere due pezzetti di croccante alle mandorle. Uno è
immediatamente fagocitato, l'altro servirà da colazione domani. Il
President mi sembra in buone condizioni... Ormai il più è fatto.
Ogni volta che percorro questo itinerario, quando raggiungo Jausiers
mi sembra di aver concluso la fatica. C'è ancora la Maddalena, ma
non è salita tale da impensierire. 16 km per 700 m di dislivello.</div>
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<br />
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ancora in sella: qualche
km lungo il torrente Ubaye, superiamo La Condamine e finalmente diamo
l'assalto all'ultima ascesa. Sarebbe vietatissimo salire in bici dal
versante francese, così come minacciano parecchi cartelli, per via
di una vecchia frana che ogni tanto dà segni di vita e movimento. Ma
noi, da buoni italiani, non ci siamo e se ci siamo dormiamo...
Alessandro ed io approfittiamo di una sosta ai box del President per
prendere un po' di vantaggio; tanto ormai io sono così gasata che
farò inversione al primo abitato, Meyronnes, per tornare a
controllare che sia tutto ok. Sulla Maddalena, persino io posso
permettermi gli scatti. Lascio andare Alessandro, recupero Walter,
tira e molla fino a Larche: sulle nostre teste, un cielo ancora
sfacciatamente terso; la valle prende i colori della sera. Anche se
non ho idea di che ora sia... Ho perso la nozione del tempo.</div>
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<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Da Larche, mi lancio
baldanzosa in una progressione che vorrebbe coprire tutti e cinque i
km mancanti al colle; in effetti, sputando i bronchi, per i primi tre
pedalo davvero spedita... Poi, un muro di vento, improvviso,
insormontabile ed ovviamente contrario. Congelamento istantaneo e
sforzi improvvisamente vani: non si procede, o meglio, si va avanti a
velocità di lumaca. Non c'è speranza che la sua violenza si
attenui, prima del colle: anzi, sarà vento contrario fino a
Vinadio... Le auto degli escursionisti se ne vanno alla spicciolata,
le ombre si allungano, il verde dell'erba è più intenso. Con immane
fatica raggiungo il colle e levo le ragnatele di dosso al povero
Alessandro, seduto in paziente attesa. Lo invito ad andar giù,
prendere l'auto e partire, lui che "tiene famiglia" e
rischia di fare davvero tardi stasera. Ma, da quel signore che è, il
compare rifiuta. Mi vesto, torno indietro per un breve tratto finché
non incontro Walter: 'rcamiseria... Io ho sputato l'anima per
arrivare su il più in fretta possibile e lui, bel bello, è già
qui!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Tappa al bar lungo il
lago; il President agogna una bottiglia d'acqua frizzante. Lo
capisco, è cosa che capita spesso anche a me, sia pure non oggi.
Attendo fuori, godendomi lo spettacolo del luccichio sulla superficie
del lago appena increspato e degli ultimi caldi raggi di sole. Si
riparte: via il pianoro, poi giù per i tornanti fino ad Argentera.
Il traffico di auto e moto è sostenuto, ma al semaforo rosso in
paese si fermano tutti. Io, manco a dirlo, passo... Ho perso i due
compari e devo sbrigarmi!
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il pianoro appena prima
del Villaggio Primavera è un calvario, con il vento contrario ed i
merenderos che sciamano lungo la strada. Poi la pendenza torna
favorevole: la galleria, le Barricate meravigliose al tramonto,
Pietraporzio, Sambuco. Faccio del mio meglio per mantenere un ritmo
appena decente, anche quando la strada risale un po' o viaggia in
piano oltre il bivio per le Terme di Vinadio: tutto ciò mi costa una
gran fatica... Ma i miei compagni hanno misericordia ed evitano di
infliggermi l'umiliazione di un sorpasso col sorriso sulle labbra.
Grazie... Ne sarei psicologicamente distrutta.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'ultima asperità della
giornata è la risalita a Vinadio: breve, dolce, ma non per chi ha
già nelle gambe quasi 160 km e 4.000 m di dislivello in salita.
Superato anche quest'ultimo scoglio, la nostra avventura si conclude
al parcheggio, dove l'auto di Walter, per fortuna, c'è ancora. Ci si
saluta, ci si dà appuntamento alla prossima mattana; si fa il
possibile per rendersi vagamente presentabili e poi via. Sono le
sette e mezza, cavoli, non mi ero resa conto che fosse così tardi,
ma non importa. Vorrà dire che, per questa sera, le tre belve che mi
attendono a casa dovranno tenersi il languorino per qualche ora in
più.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-76917449822241896702013-06-30T19:47:00.000+02:002013-08-13T19:50:21.527+02:0029 giugno 2013 - LES FONDUS DE L'UBAYE<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Proprio il periodo
ideale, climaticamente parlando, per dimenticare a casa il sacco a
pelo. Benché sia fine giugno, l'estate non ha la minima intenzione
di farsi viva: fa un freddo ignobile in pianura... Figuriamoci in
mezzo ai monti. Come mio solito, preparando il bagaglio, ho poi
cacciato con ignominia l'unica idea intelligente che si fosse
affacciata al nulla eterno della mia scatola cranica: portarmi dietro
la vecchia tuta da sci imbottita. Almeno per i momenti di vita
"borghese" giù dalla bici. Ma ormai so che è più forte
di me; non riuscirò mai a mettere in borsa quel che davvero serve
per la trasferta del momento. La valigia ed io viviamo su mondi
paralleli.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Pantaloni corti e
sandaletti. Ci saranno dieci gradi stasera qui a Barcellonette.
Parcheggio la Zafira alla bell'e meglio, in pieno stile italiano, in
divieto, poi raggiungo Matteo nel salone in cui è in corso la
presentazione della randonnée di domani. Il locale è già gremito
di ciclisti: occhio e croce, direi che Matteo ed io siamo gli unici
italiani. Una pingue fanciulla declama con innata allegria gli ultimi
dettagli e le raccomandazioni sul percorso della manifestazione, che
si perdono nell'eco del capannone; poco male, di francese capisco
poco... E poi so già quel che serve. La rando prevede la possibilità
di scalare uno o più colli, a seconda del percorso scelto. A noi
toccherà la versione "cinque colli": nell'ordine, Vars, St
Anne La Condamine, Bonette, Cayolle, Allos. Un po' più di duecento
km, occhio e croce. Ci sarebbe anche la versione "sette colli",
che prevede di proseguire in direzione del lago di Serre Ponçon ed
aggiungere le salite del Col St Jean e del Col de Pontis: però...
Però in mezzo ci sono troppi km di falsopiano, da percorrere in
discesa prima ed in salita poi. Io odio tutto quel che è pianura e
falsopiano. La coscienza ciclistica mi impedisce di rinunciare già a
priori al percorso più lungo possibile, quindi quello da sette
colli: non mi resta che sperare di essere abbastanza lenta da
"sforare" il cancello orario tra il quinto ed il sesto
colle. Così non sarei io a rinunciare, ma il fato avverso a
costringermi alla resa.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mi distrae un cagnolino
che fa di tutto per conquistarsi un briciolo di attenzione e due
coccole. Occhio e croce, direi che all'altro capo del guinzaglio c'è
la consorte di qualche ciclista, annoiata e ben poco entusiasta della
situazione. A momenti perdo Matteo che va di filato al tavolo delle
iscrizioni. Numero di pettorale, carta di viaggio, abbiamo tutto; non
ci resta che ricacciarci fuori, con somma goduria delle mie gambe
nude. Il palco su cui l'organizzazione ha sistemato i tavoli ed i
computer per le operazioni burocratiche è parecchio più in alto del
resto della sala: mi soffermo un momento a guardare la folla di
atleti... Era tanto, troppo tempo che non assaporavo l'emozione dei
momenti pre – gara, anche se questa in realtà non è una gara, non
è – o non dovrebbe essere – competitiva. E' un'emozione che mi
mancava moltissimo e che, purtroppo, mancherà ancora... Per il
momento, devo dire grazie a Matteo che mi ha coinvolta.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Alcuni ciclisti si
accalcano al bancone delle cibarie; molti sciamano fuori, noi
compresi. Adesso si tratta di andare a caccia di un campeggio, se non
altro per avere a disposizione doccia e bagno civili. Sono
terrorizzata al solo pensiero: fa un freddo inimmaginabile... Gira e
rigira, non c'è più traccia del campeggio vicino al centro del
paese. Ci rassegnamo a rivolgerci ad un'altra struttura poco
distante: ci arriviamo pochi minuti oltre l'orario di chiusura. Non
ci resta che osare: Matteo suona il campanello dell'abitazione del
gestore, che si trova sopra la reception. Esce un energumeno che pare
la controfigura di O.J. Simpson, dai modi tutto fuorché cortesi,
scocciatissimo per il disturbo fuori orario. Poco male: abbiamo
ottenuto la nostra piazzola.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Contengo a stento il
disappunto e la sofferenza di aggirarmi per il campeggio con questo
abbigliamento stile Rimini ad agosto: del resto, con chi potrei
prendermela se non con me stessa? Si consuma una frugale cena a pane
e formaggio: Matteo, come sempre, ha anche un'abbondante dotazione di
pasta e si dedica alla "haute cuisine"... Ma io sono già
distratta: ho scoperto che il campeggio è dotato di calcio balilla,
con tanto di pallina! Suo malgrado, Matteo è costretto ad
abbandonare i fornelli per concedermi una partita, una seconda
partita e la "bella"... Finché anche l'ultimo barlume di
luce del sole sparisce e la pallina diventa invisibile. Non mi pare
in effetti il caso di continuare alla luce delle pile frontali: OJ
Simpson e gli altri campeggiatori potrebbero spazientirsi... Non vola
una mosca.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Io mi rifugio in auto e
non mi muovo più. Poco male se il mio compare ha montato la tenda:
schiatterò di freddo stanotte, lo so già, ma continuo comunque a
preferire la struttura protettiva metallica dell'auto a quella
inconsistente della tenda. E poi il sedile è mille volte più comodo
del materassino.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Nella notte, mi sveglio
un'infinità di volte, mezza congelata. Ho indossato tutto quel che
avevo, felpa, giacca, ma non basta... Ogni volta è ancora buio
pesto. La partenza è prevista per le cinque e mezza, la sveglia
un'oretta prima. Più o meno in contemporanea con il trillo del mio
telefonino, il fantasma di Matteo esce dalla tenda e s'infila sul
sedile passeggero: a quanto pare, la sua nottata, pure con il sacco a
pelo, non è stata molto più confortevole della mia...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ci vuole tutto il
coraggio di cui disponiamo ed anche di più, per scendere dall'auto e
trascinarsi verso i bagni, l'unico luogo un po' meno gelido per
cambiarsi e vestirsi da bici. La stellata meravigliosa sopra le
nostre teste sembra quasi prenderci in giro. Colazione per me quasi
inesistente; il mio compare trangugia quella schifezza di pasta che
credo abbia ormai la consistenza del Vinavil. Rapido controllo della
bici e del bagaglio; si parte, disgraziatamente in discesa: poche
centinaia di metri, ma è già un trauma.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
A Barcellonette, nello
stesso salone in cui è avvenuta la presentazione della prova,
fervono i preparativi per il via. C'è persino la possibilità di
bere un the o un caffè quasi caldi, lasciando da parte il gusto.
Siamo imbacuccati come tanti omini Michelin... Le nostre bici sono
rimaste fuori, ma non credo corrano alcun rischio: se proprio qualche
malintenzionato volesse colpire, c'è l'imbarazzo della scelta tra
bici che valgono uno sproposito.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ad occhio, direi che sono
l'unica concorrente dotata di mountain bike, sia pure in versione
stradale con i copertoncini slick. Ci sono un paio di bici "ibride";
gli altri sono tutti puristi della bici da corsa.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ci raccogliamo tutti
nello slargo accanto al salone, dove è in corso una punzonatura
parecchio disordinata. Altrettanto approssimativo è l'ordine di via:
in un modo o nell'altro, comunque, siamo in marcia. In fondo al
gruppo, inutile dirlo: pochi km di pianura e mi han già superata
quasi tutti. Si viaggia in direzione di Jausiers: la temperatura alla
partenza è esattamente di 1°C, a detta del termometro di Matteo e
della sensazione delle mie mani. Terribile... Posso solo sperare che
presto faccia capolino un po' di sole, anche se ho poca fiducia: le
montagne tutt'intorno terranno lontana la luce ancora per un bel po'.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mentre io litigo con il
cambio – la catena non vuol saperne di stare sulla corona anteriore
più grande – scorriamo lungo il torrente Ubaye alla luce delle
frontali che non serve quasi più. Ombra, silenzio, si sente solo il
ronzio delle ruote, quelle poche che sono ancora a portata del mio
orecchio. Qualcuno osserva perplesso la mia bici, scettico sulla
buona riuscita dell'impresa. Non preoccupatevi, gente: se solo
sopravvivo al congelamento, ce la faccio...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Jausiers, La Condamine,
bivio per il Vars. Finalmente un po' di salita, anche se molto
blanda, per i primi km. Tutto tace per la strada, nei cortili delle
poche abitazioni. Il cielo prende un po' di colore, ma già le prime
scie di nuvole fanno capolino. Chissà perché, non mi aspetto nulla
di buono. Meglio comunque, superate le prime due gallerie, fermarsi a
levare uno strato di abiti, per evitare di ritrovarsi fradici in
discesa. Finalmente, dopo il bivio per St Paul, la salita diventa
degna di questo nome: si va su a strappi irregolari fino al
ponticello del minuscolo abitato a cinque km dalla vetta; da lì in
poi, la pendenza diventa severa ma regolare. Il sole è un'illusione:
il cielo si vela sempre più. Primo, secondo, terzo tornante, molto
distanti l'uno dall'altro. Pedalo con prudenza: so benissimo che le
mie forze sono davvero limitate... L'ultima uscita seria in bici
risale a fine maggio e non è comunque paragonabile all'itinerario di
oggi. Matteo si allontana solo nell'ultimo km: non appena arrivo in
cima anch'io, si prodiga per sistemarmi il cambio riottoso, mentre io
trangugio un caffè orribile ma, se non altro, caldo. Grazie ai
volontari che attendono quassù, ci possiamo permettere anche questo
lusso! Mi avvio in discesa con l'animo di un condannato al patibolo;
non oso immaginare il gelo... I ciclisti rimasti dietro di me, che
ancora salgono, sono davvero pochi; alcuni di loro mi sorpassano
prima che io arrivi in fondo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Archiviato l'inospitale
Col de Vars, ripercorriamo a ritroso un tratto di strada lungo
l'Ubaye, fino a La Condamine. Da qui, imbocchiamo la breve ma
"robusta" ascesa verso St Anne La Condamine, in
corrispondenza degli impianti da sci: parecchi tornanti e rampe con
pendenza sostenuta. Una marea di colleghi sta già scendendo. La
temperatura è salita di pochissimi gradi... Cinque o sei km dopo,
arriviamo al banchetto del punto di controllo. Davvero non invidio
questi tapini costretti a restare qui, immobili, al freddo e al
gelo... Stanno peggio di me, poco ma sicuro.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Altra discesa, ostica non
solo per il freddo ma anche per il pessimo stato dell'asfalto. Siamo
dinuovo a La Condamine: ancora una volta sulla strada di fondovalle,
veleggiamo verso Jausiers. Qui il primo vero punto di ristoro, con
succhi di frutta, frutta secca varia, pane, affettati. Ovvio, questi
ultimi non fanno per me... Finisco per mangiarmi il pane asciutto,
visto che non c'è formaggio e che i dolci, a lungo andare, nauseano.
Riparto infatti con due o tre fette di pane in mano: impiegherò
parecchi km della salita per finirli, perché non è così semplice
masticare qualcosa di tanto asciutto in salita. Matteo prolunga
ancora la sua accanita opera di saccheggio della tavola imbandita:
prima o poi arriverà...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Affronto la Bonette con
un certo timore reverenziale. E' vero che conosco questa salita come
le mie tasche, ma forse è proprio per questo che la temo... So
benissimo di non essere allenata a sufficienza per il percorso di
oggi. Un po' di sole, troppa grazia, mi incoraggia, ma cerco di
essere prudente, prudentissima. Anni di bici da queste parti hanno
fatto sì che ormai io conosca ogni metro di questo asfalto, dalla
prima parte in mezzo alle case, al tratto di tornanti con vista su
Jausiers e Barcellonette, al passaggio a quota 2000 m con il rifugio
"Halte 2000". Qui, altri tornanti tra i laghetti, qualche
breve tratto in piano per rifiatare. Tanta neve imbianca ancora i
pendii delle montagne intorno. Infine, l'ultimissimo tratto oltre le
casermette militari, quando la Bonette ormai si vede ma è ancora
molto lontana. E la coltellata finale nelle gambe, il giro della
cima. Ciclisti di ogni ordine e grado affollano la salita, oltre a
quelli che partecipano al brevetto; purtroppo, non manca nemmeno il
traffico di altro genere, auto e moto a profusione. Bellissimo
quassù... Mangio un boccone, mi godo i pochi istanti, un bicchiere
di Coca Cola. Bisogna scendere. Fan quasi tenerezza le Ferrari
riunite per il raduno proprio quassù: i proprietari, griffati e
decappottati, stanno visibilmente schiattando di freddo...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Si torna giù a Jausiers,
ventidue km di una discesa interminabile, molto più penosi che
nell'altro senso. Le mani, anche se protette dai guanti, sono
paonazze e rigide. Tocca poi fare i salti mortali per evitare le auto
e le moto dalla guida un po' troppo sportiva. E' ormai primo
pomeriggio: saranno all'incirca le 14 quando raggiungiamo Jausiers.
Si torna a Barcellonette, ancora senza sole o quasi. Ci siamo
meritati una sosta un po' più lunga al ristoro: un buon piatto con
un'insalata di pasta, un paio di uova sode, un po' di Coca. Ci
attendono il Col de la Cayolle ed il Col d'Allos. Ecco, ho sempre
accuratamente evitato di scalare la Cayolle da questo versante: dal
bivio son quasi trenta km, in buona parte di falsopiano, non finisce
mai. Ma oggi s'ha da fare, quindi via, gambe e ruote in spalla. Si
riparte: breve tratto nella periferia di Barcellonette, lungo i
campeggi, e poi al bivio si va a sinistra. Non mi è ben chiaro il
senso del punto di ristoro piazzato qui, a pochissima distanza da
Barcellonette dove ci siamo appena rimpinzati come otri... Ma Matteo
lo afferra molto meglio di me e spazzola anche qui tutto lo
spazzolabile.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La strada corre lungo il
torrente, attraversa le belle "gorges", ma impiega
un'eternità a guadagnare quel po' di quota. Tra le curve strette e
cieche, bisogna prestare molta attenzione, perché ormai la maggior
parte dei colleghi di corsa sta arrivando in discesa. Tengo d'occhio
il cielo che, verso la testa della valle, è sempre più grigio;
sguardo di penosa ansia ai parabrezza delle auto che scendono, per
capire se lassù piove. La valle si apre e rivela una fetta di cielo
ancor meno incoraggiante; appena prima del ponte che segna l'ultimo
cambio di versante e l'inizio del tratto di salita un po' più
decisa, ecco le prime gocce. Faccio finta di non sentirle, ma se n'è
accorto anche Matteo... Il freddo si fa pungente; tira vento di
fronte e porta via il mio già misero coraggio. Lassù è nero...
Gelido e nero. Possibile che io abbia sempre questo terrore del
freddo e della pioggia? Rabbrividisco man mano che il vento rinforza.
A me la scena pare apocalittica... No no, se le cose si mettono così,
io non vado più sul Col d'Allos. Mi dispiace ma quando è troppo è
troppo. Poi verrà buio lassù...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Matteo si porta avanti
con il lavoro; raggiunge il colle un po' prima di me. Lo trovo
seminascosto nel furgoncino dei volontari, in cima al colle, dove c'è
solo più un goccio di the caldo. Sono in preda allo sconforto:
timbro il cartellino, mi vesto come posso, riparto sotto la pioggia,
con la paura di quel che sta per succedere, meteorologicamente
parlando. Siamo pur sempre sopra quota 2000, stanchi... E piove.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La pioggia mi accompagna
per una decina di km, poi sembra voler concedere una tregua. Quel che
basta per regalarmi un po' di fiducia: la discesa "finta",
spesso da pedalare, fa il resto e mi infonde un po' di calore. Si
torna al punto di ristoro a Uvernet: da lì, comincia l'ultima
salita. Beh, formalmente potrebbe non essere l'ultima: se si
riuscisse a tornare a Barcellonette entro le 22, si potrebbe
proseguire aggiungendo gli altri due colli "minori". Ma, in
tutta franchezza, con questo freddo, la minaccia di pioggia e sì,
anche la stanchezza, non ne avrei proprio voglia. Le gambe faticano
molto già sulla salita del Col d'Allos, che è tutto fuorché
micidiale... 17 km, molto regolare, mai davvero ripida. Le luci
della sera, le ombre sempre più lunghe. Non mi sarei mai aspettata
che il sole si facesse vivo proprio adesso, appena prima del
tramonto. Le nuvole si diradano, si dissolvono in un tripudio di
sfumature gialle e rosa. La temperatura rimane rigida, ma a questo
punto poco importa... Lungo tratto sul versante destro della
montagna, poi qualche tornante che ci fa superare l'ultimo scalino.
Un gregge di pecore, l'abbaiare dei cani... C'è ancora un collega
con noi: siamo proprio gli ultimi. Chissà se in cima ci sarà ancora
qualcuno ad attenderci.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La strada è ricoperta da
uno scivolosissimo tappeto di sterco di pecore: cadere qui sarebbe
una vera, imbarazzante, puzzolentissima tragedia! Osserva Matteo, in
discesa sarà bene andar piano onde evitare di ritrovarsi imbrattati
fin sui capelli... Povero Matteo, avrebbe potuto chiudere il giro
parecchie ore prima, se solo non mi avesse fatto da fedele gregario
per tutto il viaggio; avrebbe potuto aggiungere gli altri due colli
senza la minima difficoltà. Invece è qui... Mi "abbandona"
solo negli ultimissimi km, quando la strada si perde alla vista
contro il cielo e il vento rinforza. Lo ritrovo all'ultimo punto di
controllo, dove, sorpresa, ci accolgono due madame a dir poco
entusiaste. Forse lo sono perché, con noi, si conclude la loro
fatica... In realtà risulterebbe esserci ancora un concorrente che
deve arrivare quassù, ma probabilmente è un errore... O c'è un
disperso. Non c'è più traccia di altri, dopo di noi. Un caffè
bello caldo; mi vesto, indosso i guanti, mi lancio verso l'ultima
discesa. Incurante del tappeto di guano ovino, vado giù il più in
fretta possibile per sfruttare quel poco di luce naturale che rimane:
la mia vista, anche con la potente pila frontale che ho, al buio vale
quasi nulla. Preferisco andar giù un po' più lercia, magari, ma più
sicura. Matteo invece tiene fede alla promessa: mi preoccupo
parecchio a non vederlo arrivare...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Percorriamo insieme gli
ultimi km alla luce della sua pila frontale, che è davvero
avveniristica. Per me, più che un "percorrere", è un
trascinarmi... Sono letteralmente congelata. Altro che aggiungere due
colli... A stento raggiungo Barcellonette. Al punto di controllo, il
volontario ci guarda con terrore. "Vi fermate... Vero?". Lo
posso capire: guai se decidessimo di proseguire... Gli toccherebbe
aspettarci fino a chissà che ora, domani! No no, non c'è
pericolo... Io di qua non mi schiodo più.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ci tuffiamo entrambi al
tavolo del ristoro finale: mannaggia ai Francesi, che razza di
menù... La pasta col ragù per me è proibita; resta solo la zuppa
di cipolle. E vada per la zuppa di cipolle, doppia dose: almeno è
calda. Spazzoliamo famelici le nostre razioni, così come siamo,
sporchi e sudati; accanto a noi, i fenomeni già puliti, lavati e
cambiati discutono di tempi e prestazioni. Mamma mia. Io non riesco a
pensare ad altro che all'agghiacciante idea di andare in campeggio,
cambiarmi e lavarmi con questa temperatura... La zuppa di cipolle è
rovente ma non vale a togliermi i brividi di dosso. Il brusio
tutt'intorno dà alla testa. Il povero Matteo, dopo aver consumato le
derrate alimentari delle prossime sei edizioni della rando, deve
faticare non poco per convincermi ad alzarmi e ad uscire. Non
parliamo poi del trauma di rimettere il deretano sulla sella dopo 220
km e 5.300 m di dislivello in salita, quando non sei più abituato a
passare tanto tempo in sella... Quasi diciassette ore, nel mio caso.
Un ciclista mi ferma appena prima di uscire; indica la mia bici,
chiede se io abbia fatto tutta la strada con quella... Sì, certo. Ma
per me non è affatto un problema: attrezzata così, la MTB è forse
un po' meno scorrevole della bici da corsa in salita, ma dà una
sicurezza impagabile in discesa, dove recupero tutto il tempo perso.
Non tornerei alla bici da corsa, nonostante anni ed anni di onorata
"carriera".</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Per fortuna, la strada
per il campeggio, in discesa prima della partenza, adesso è in
salita: ci si scalda un pochino. Poi raccolgo quel barlume di
lucidità che mi resta per prendere dall'auto tutto quel che mi serve
per la doccia ed il cambio d'abito. Ci fiondiamo nottetempo nelle
docce: sarà contento il sosia di OJ Simpson, che ha casa proprio al
piano di sopra, di sorbirsi il rumore del getto d'acqua. Data la
temperatura confortevolissima dell'acqua e la quantità di gelo
siberiano da lavare via, la nostra doccia diventa lunghissima.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Passiamo quel che resta
della notte entrambi in auto, sistemati alla meno peggio con l'unico
sacco a pelo di Matteo, che per fortuna si apre a libro e ci copre
entrambi. In effetti, va un po' meglio della notte precedente... Al
mattino, il rito dello sgombero della tenda mi ricorda ancora una
volta, se ce ne fosse bisogno, quanto sia più comodo dormire in
auto, senza bisogno di aprire, montare, piantare picchetti, smontare,
piegare,... Si riparte per l'Italia, ma non ancora per casa. Verso le
nove siamo a Vinadio: giù le bici, destinazione Colle della
Lombarda. Una luminosa e fredda mattina ci accompagna su per i
tornanti, lungo il pianoro, passando accanto al Santuario di
Sant'anna, e poi per i chilometri finali oltre al bivio. Anche oggi
il sole ci inganna e si nasconde presto dietro alle nuvole: qualche
goccia di pioggia, ma ormai siamo al colle; Matteo ci arriva due
volte, prima da solo e poi dopo essere tornato a raccattare me.
Ammetto di aver faticato molto, dopo la sfacchinata di ieri, e un po'
mi dispiace... Ma è fatta; si torna giù lasciandoci la pioggia alle
spalle, via in auto. Questa volta, destinazione casa.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com004400 Barcelonnette, Francia44.3863 6.650462999999945244.2955025 6.4891014999999452 44.4770975 6.8118244999999451tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-14794530790804731802013-05-20T17:15:00.000+02:002013-08-14T17:16:14.044+02:0018 maggio 2013 - NOVE COLLI RUNNING 2013<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; page-break-before: always;">
Quest'anno, le premesse sono davvero le peggiori possibili. Per
carità, non che io sia mai partita con ambizioni di classifica: non
me le posso permettere... L'unica ambizione è sempre stata quella di
giungere al traguardo; ecco, è proprio questa, che oggi sarà messa
in serio rischio.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Non ho l'allenamento
sufficiente, non ho collezionato i lunghissimi allenamenti che avevo
messo in saccoccia nelle scorse stagioni; sono parecchio a terra
fisicamente, e parecchio anche moralmente, per vicissitudini varie
familiari e lavorative. Mi manca quell'entusiasmo assassino degli
anni scorsi, anche se ho fatto carte false per essere qui, oggi.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Vorrei dormire un po' più
a lungo, ma non c'è verso; prima delle sei sono già sveglia. Provo
a riaddormentarmi, accendo la radio, cerco qualche canale noioso, ma
nemmeno Radio Maria basta a farmi riprendere sonno, o perlomeno a
farmi svenire dal disgusto. Basta, tantovale che mi alzi. Anche
stamattina fa freddino... Però il cielo è terso. In effetti, mi
accorgo solo ora che il campeggio è quasi deserto: questa primavera
folle non invoglia certo i turisti, nemmeno quelli abituali di ogni
stagione.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mi preparo con calma,
godendomi il raggio di sole che finalmente colpisce l'auto. Le borse
con i cambi d'abito e qualche derrata alimentare, da mandare lungo il
percorso, sono già quasi pronte. Sarà lunga l'attesa, fino a
mezzogiorno. Cincischio, provo a dormicchiare ancora un po';
sconfitta, verso le nove lascio il campeggio e mi avvio verso il
centro. Approfitto per una "toccata e fuga" nella stessa
panetteria di ieri sera, a caccia della colazione: immancabilmente,
focaccia, più un pezzo di crostata all'albicocca. Beh, se non altro
avrò tempo di digerire...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Alla partenza, davanti al
Municipio, c'è giò fermento. Malgrado io preferisca restare lontana
dalla confusione, oggi ho un bel po' di persone da salutare, tra
corridori, assistenti e simpatizzanti. Ormai, tra pazzi furiosi ci si
conosce un po' tutti. Infatti è un gran sorridere e stringere mani;
va tutto bene, pur di mascherare un po' la paura. Alla tensione delle
edizioni precedenti, si aggiunge quest'anno un motivo di
preoccupazione in più. Se dovessi giungere al traguardo in tempo,
sarei la prima donna ad aver concluso tre edizioni della Nove Colli
Running, per giunta tre di fila. Per carità, non è che sia chissà
quale record... Ma ci terrei molto.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ormai il rito si ripete
sempre uguale: la spunta dei nomi, uno per uno, la foto di gruppo, la
corsa dell'ultimissimo secondo in bagno... Il cielo resta terso, solo
qualche nuvola di passaggio; la temperatura è decisamente più bassa
rispetto agli anni scorsi. Ho persino qualche dubbio a partire in
canottiera... Mal che vada, nello zainetto ho il necessario.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'attesa si conclude,
finalmente, a mezzogiorno in punto. La tensione si scioglie con i
primi passi... Chissà quanti passi si muovono in una corsa da 200 e
rotti km?
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Le gambe non fanno
mistero di risentire un po' della prova di ieri in bici. Niente
panico: ormai so bene che i primi venti km sono sempre un calvario.
Se riesco a superarli senza cedere alla tentazione di mollare tutto e
ritirarmi, sono già a buon punto...
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Gli sguardi degli
automobilisti incolonnati e fermi per la presenza dei corridori
stanno a metà tra l'esasperato e l'incuriosito. Tra noi e le auto
sciamano poi centinaia di ciclisti, già pronti per la granfondo di
domani; è un tifo sfegatato, persino dai balconi delle case e dai
giardini. Peccato solo per il traffico infame: alla fine, buona parte
dei veicoli che ci passano accanto sono quelli dell'organizzazione,
nonché degli assistenti personali di molti corridori. In effetti sì,
i primi km di gara fino a Cesena sono un bel calvario.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Come sempre, commetto
l'errore di lasciarmi prendere dall'entusiasmo: chiacchiera di qui,
chiacchiera di là, a Cesena arrivo troppo in fretta. Meno male,
però, che nei miei paraggi c'è qualcuno: altrimenti, difficilmente
mi sarei accorta del cambio di percorso, che quest'anno ci porta a
passare fuori dal centro storico. Continuo a seguire i miei punti di
riferimento, fino ad imboccare l'ultimo caoticissimo rettilineo che
termina al punto di ristoro di Settecrociari. Vado a caccia di
qualcosa da bere; per costrizione, prendo anche un paio di biscotti.
Non ho fame, ma è importante buttare giù qualcosa ogni tanto,
perché prima o poi la pancia comincerà a ribellarsi... E a quel
punto sarà opportuno aver già fatto scorta.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La mia sosta, come
sempre, è brevissima. Mi lascio alle spalle un bel po' di corridori
intenti ad affrontare la pasta... Io preferisco attaccare la prima
salita. Di passo, ovviamente. Lo stacco tra la pianura e la collina
qui è nettissimo: un attimo fa eravamo giù sul piatto, in mezzo ai
vigneti... E adesso ci arrampichiamo sulla prima rampa. C'è chi
insiste a correre anche in salita: sono pochi, però, quelli che se
lo possono davvero permettere. Io non ho questa fortuna e non ci
provo nemmeno. Ho un didietro così pesante che stroncherei i
garretti senza rimedio. La voglia di scherzare e chiacchierare, qui,
è ancora vivace, ma non c'è nessuno con cui io possa scambiare più
di qualche veloce battuta; vanno tutti troppo forte...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Soffia un venticello poco
confortevole. Razionalmente, so che il caldo eccessivo è nemico
della prestazione sportiva, ma vorrei tanto i trentacinque gradi di
qualche edizione fa... Il passo per ora è svelto; raggiungo il
Polenta senza troppa fatica. Giù in discesa, di corsa: i polpacci
avrebbero anche qualcosa da ridire... Li zittisco, penso ad altro,
scruto le curve della discesa. Mi sorpassa di gran carriera una
fanciulla minuta, che corre in gonnellino e saluta gentile: scoprirò
poi che si tratta della vincitrice.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
A Fratta, si torna per un
breve tratto in pianura: qui le gambe mostrano i primi segni di
difficoltà. C'è poco da fare: la mancanza di allenamento sulla
distanza pesa, eccome. Qui saremo poco oltre i trenta km e già il
corpaccione presenta il conto. Calma, Gian. Breve sosta al ristoro,
prendo da bere ed un po' di frutta, poi via per l'interminabile
tratto di falsopiano verso l'attacco della seconda salita. Correre,
piano ma correre. Non posso pensare di mettermi al passo, già qui.
La seconda salita incombe; con essa, il cancello orario al km 57.
Bisogna passarci entro sette ore e quarantacinque minuti dal via. Io
non ho idea di che ora sia, come sempre, e non lo voglio neanche
sapere... Corro per quanto posso, finché la strada non prende a
salire decisa; allora mi rassegno al passo spedito, con l'occhio
ansioso di scorgere, dietro ogni curva, il culmine di Pieve di
Rivoschio. Ma lo sento, che il mio passo è faticoso.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Al punto di ristoro, mi
lasciano passare. Tutto ok, quindi: sono in tempo. Giù in discesa,
sfruttando l'onda dell'entusiasmo, per quel poco che può servire.
Sono scettica nei confronti di chi sostiene che conti moltissimo la
testa: conta, è vero, ma se i muscoli non rispondono...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La salita del Ciola,
puntualmente, è un calvario. Ormai non mi spavento nemmeno più. Si
va verso sera; cala il buio, mentre l'aria si fa ancora più
frizzante. E la debolezza pian piano mi assale: a nulla serve mandar
giù qualcosa da mangiare, perché non c'è più nulla che vada giù.
La debolezza si trasforma in nausea, fa girare la testa, a tratti mi
rende persino difficile stare in piedi. Le gambe quasi si trascinano,
anziché camminare come si deve. Angoscia... Calma, Gian. Ti è già
successo gli anni scorsi. E' la stessa identica cosa. Stai male da
cani... Ma poi passa. Fidati.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Arrivo al ristoro quasi
barcollante, in cima al colle. Cerco di darmi un tono; scorro
disperatamente i cibi sulla tavola, ma non ce n'è uno solo che non
mi faccia rivoltare lo stomaco alla sola idea. E sì che son tutte
cose che, di norma, adoro, dalla frutta secca alle uova sode, al
grana... Trangugio a forza qualche nocciolina, bevo un po' d'acqua e
un po' di Coca sperando nel noto potere "sgorgante" di
quest'ultima... Poi via, riparto, Frontale a portata di mano, perché
ormai è quasi buio: si vedono già le luci di Mercato Saraceno, ma
lontanissime... Dai Gian, calma e sangue freddo. Non pensarci, vai
giù. Goditi la milionata di lucciole, chissà perché così tante,
solo qui. S poi son già in arrivo i ciclisti del percorso
notturno...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Corro con la testa da
tutt'altra parte, probabilmente nemmeno del tutto cosciente. Mi
risveglio solo quando, in lontananza, intuisco dalle luci che ci sono
dei corridori fermi. Vuoi vedere che... Sì, è il banchetto del
ristoro "privato", quello allestito da una gentilissima
famiglia che abita proprio qui... Con tanto di macchinetta del caffè,
di cui approfitto volentieri. Un attimo e dinuovo in marcia, fino a
Mercato Saraceno, a sconvolgere il tran tran del sabato sera nei
locali. Mi lancio in un'atletica corsa attraverso la piazza, compresa
la risalita per uscire dal paese; poi, quando sono certa che nessuno
più mi osservi... Mi accascio al passo sulle prime rampe del
Barbotto. Va meglio: almeno la nausea sembra passata. Cammino
spedita, ma i muscoli non rispondono come dovrebbero. Beh Gian, di
che ti stupisci? Al Barbotto, i km alle spalle saranno già
ottanta...
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il freddo ghermisce le
gambe, le braccia, la schiena. Un po' di stelle in cielo, ma non è
del tutto sereno. Silenzio assoluto, solo le foglie mosse dal vento;
non c'è altro corridore intorno, almeno finché io riesco a vedere.
Alla spicciolata passano i ciclisti della notturna; ogni anno sono
sempre più numerosi. La testa pesa... Il sonno, la stanchezza.
Coraggio... Manca poco al grande ristoro sulla vetta. L'ultimo
tornante, poi le candele che illuminano il percorso, dritti verso la
cima.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Per tutti noi c'è un
applauso. E quest'anno c'è anche la sorpresa: nientemeno che lo
spettacolo delle danzatrici del ventre... Bravissime e molto belle,
ma non le invidio, poverette, così desnude quassù! Che freddo! E
poi, che diamine, perché le danzatrici e non i danzatori? Va bene
che noi donne siamo una sparuta minoranza, ma che diamine, un po' di
attenzione anche per noi!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mi fiondo a caccia della
borsa che ho mandato qui, alla ricerca della maglia pesante per la
notte. I pantaloni restano cortissimi, in ossequio al mio
esibizionismo: ci tengo a mostrare la parte migliore di me... Anche a
costo di prender freddo.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Saluto l'inossidabile
Luciano: sembra che ci si dia appuntamento... Come l'anno scorso, ci
si ritrova proprio sul Barbotto! Poi vado a vedere se c'è qualcosa
di interessante da mangiare: ci sarebbe la pasta, ma ho troppa fretta
per aspettare... Di tutto il resto, non c'è quasi nulla che vada
giù. Trangugio un sacco di Coca Cola, qualche popcorn, qualche
patatina fritta, poi via, ancora di corsa, nel buio. Di corsa dove la
strada è piana o scende, desolatamente al passo nelle infinite e
penose risalite prima della vera discesa. Nelle orecchie le cuffie
del lettore Mp3, come aiuto morale.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Nemmeno al punto di
ristoro del km 100 c'è verso di mangiare qualcosa di solido. E sì
che sul banchetto ci sono leccornie appetitose... Lascia perdere
Gian, fila, sbrigati, non perdere tempo. Si scende, in un'eternità
di chilometri, fino a Ponte Uso. Nonostante la maglia e la giacca, ho
freddo... E nausea. Altro ristoro una decina di km dopo, proprio a
Ponte Uso. Ormai mi rassegno ad andare avanti a Coca Cola. Ma sfodero
un sorriso sicuro, falso come Giuda, mentre mi allontano.
Destinazione la salitella di Monte Tiffi, blanda ma comunque da
camminare, e alla svelta. Chissà che ora è. Chissà se sto andando
meglio o peggio degli anni scorsi... Beh, questa è una domanda
retorica. Peggio, mi pare ovvio. Ho le gambe in uno stato pietoso,
cominciano ad irrigidirsi. Ce la devo fare...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Giù da Monte Tiffi, la
salita successiva ricomincia subito. Mi perdo rimuginando di tempi,
di chilometri, di colli, quando non ho alcun riferimento nemmeno
circa l'ora. Buio pesto; alti corridori nelle vicinanze, ciascuno
perso nella propria notturna follia. Qui sono fortunati gli
"assistiti", ai quali i compagni di viaggio raccontano
persino le favole pur di tenerli svegli. Noi viandanti solitari ce le
dobbiamo raccontare da soli...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Dai, dai, dai, coraggio.
Ascolta la musica, prendi un ritmo, pensa a quello che vuoi, basta
che tu vada avanti. Il Perticara è vicino, il ristoro grande pure.
Attraverso il paese sonnacchioso e deserto: sulla piazza, ferve
invece l'attività dei volontari. Qualcosa qui riesco a buttare giù:
un po' di brodo caldo, uno spumotto, il caffé. Non è molto, ma
vediamo di farcelo bastare. Siamo a circa 115 km: appena superata la
metà. Lo dice anche il boss, il buon Marione Castagnoli: le crisi
vengono e passano. Già... Il problema è che per me non si tratta di
crisi; è proprio la mancanza di allenamento adeguato, che mi riduce
in questo stato. I muscoli delle gambe sono sempre più rigidi.
Pazienza, Gian, farai quel che potrai. Intanto, vedi di non perdere
tempo. Giù, in discesa. Cerco di tagliare tutte le curve per
abbreviare di un infinitesimo l'agonia; alle spalle, adesso, non
dovrebbero più arrivare ciclisti. Quanto alle auto, a quest'ora
nulla muove. Altro banchetto del ristoro sulla sinistra; bando alle
raccomandazioni, c'è la birra, faccio festa. Vero, l'alcool durante
lo sforzo non è il massimo, ma due bicchieri di birra sturano lo
stomaco e mettono allegria. Sperando che non mettano anche sonno.
Poco più avanti, il bivio a destra; si risale tra le cascine, su e
giù in un'irregolare sequenza che sfianca i garretti. Discesa fino a
Secchiano, un lungo tratto su strada trafficata; comincia a fare
chiaro: ma questa volta, nemmeno la luce del sole vale a rinfrancarmi
un po'. Mi sa che stavolta non ce la faccio. Quanto male ad ogni
passo...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Raggiungo stravolta il
bivio per la settima salita. E' solo la settima ed è dannatamente
lunga... A mangiare non ci provo nemmeno. Cerco almeno di bere, poi
su, in salita, cincischiando con la giacca e lo zaino per capire se
sia già il caso di svestirsi. Cielo velato, aria pungente. Dai Gian,
trascinati su, che questa è lunga... Sono dodici km, circa, anche se
la parte finale è un lunghissimo falsopiano. Provo a correre dove
possibile: tentiamo il tutto per tutto.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Al punto di ristoro sul
Pugliano, trovo la seconda borsa, mi cambio la maglia, mi do una
pulita alla bell'e meglio. Anche chinarsi, a questo punto, è
operazione ad altissimo rischio di irreversibilità. Indosso la
maglietta del Team Nordovest, la mia squadra ciclistica, in omaggio
ai compagni che oggi pedaleranno alla Nove Colli "classica"
e magari riusciranno a vedermi nel marasma. Trangugio anche un paio
di antiinfiammatori, pur sapendo bene che serviranno a poco in questo
caso. Dolore forte quando riprendo la corsa, muscoli sempre più
legnosi. La Rocca di San Leo vigila, immobile, ma chissà cosa pensa
di tutte queste formiche multicolori che le girano intorno.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Per un inspiegabile
effetto di sconvolgimento del sistema metrico decimale, i chilometri
cominciano ad allungarsi man mano che il dolore aumenta. A questo
punto mi riesce di corricchiare in discesa, ma già la pianura mi
crea non pochi affanni. Infatti, il ponte al fondo della discesa,
appena prima di arrivare in paese, è una coltellata nelle gambe, pur
essendo perfettamente piatto.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Al banchetto del ristoro,
come sempre mi fermo pochi istanti e non mi siedo, altrimenti chi si
rialza più. Passo delle Siepi, penultima ascesa. Fervono gli ultimi
preparativi per l'arrivo dei ciclisti della granfondo: gli addetti
preparano i banchi dei pantagruelici ristori; tifosi e spettatori si
contendono i migliori punti di osservazione. Qualcuno si accorge dei
corridori, ma sono pochi in realtà i presenti al corrente
dell'esistenza di una "corsa parallela" a piedi.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Monte Tiffi non ha una
vera e propria "cima"; la strada ad un certo punto inverte
la pendenza. Parecchi tornanti più in basso, si arriva dinuovo a
Ponte Uso, punto già toccato dopo la discesa del Barbotto. Di qui,
lo spettacolo è meraviglioso, soprattutto per chi ha il cuore da
ciclista almeno per metà: si può ammirare un immenso serpentone
colorato che scende giù dal Barbotto, proprio sulla collina di
fronte, e sciama via al fondo della vallata. Sono i corridori della
granfondo. A questo punto, ci si può attendere l'arrivo dei primi
alle spalle, credo tra un'ora o poco più.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
A Ponte Uso c'è un
piccolo punto di ristoro con il furgoncino. Brevissima sosta. Chissà
se dietro di me c'è ancora qualcuno dei corridori? Ben pochi,
credo... Ormai chi aveva intenzione di ritirarsi l'ha già fatto da
un pezzo; quelli forti sono già lontani; resta solo il gruppetto dei
"barcollo ma non mollo", di cui mi onoro di far parte... E
di cui spero di far parte fino a Cesenatico, anche se ho davvero poca
fiducia. Non mollo, ma barcollo parecchio!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Da qui all'attacco
dell'ultima salita, i chilometri sono infiniti. Li percorro, un po'
al passo un po' di corsa, in un continuo tira e molla con Roldano,
altro inossidabile, fedelmente assistito dalla sua Sonia in bici.
Siamo entrambi al limite dell'umana sopportazione, eppure tentiamo
entrambi di comportarci come se niente fosse, come se corressimo da
dieci km scarsi. E secondo me ci riusciamo pure!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il Gorolo è l'ultima
delle coltellate. Meno male che nel frattempo sono arrivati i
ciclisti: almeno ci si distrae un po'... E si è obbligati a prestare
la massima attenzione, vista l'andatura folle dei più assatanati,
anche in salita. Corro sul ciglio della strada ed anche così rischio
di essere travolta. Qualcuno di loro trova persino le forze per
incitare noi tapini a piedi... Passata la buriana dei primi gruppi
che si contendono la testa della classifica, man mano la furia dei
pedalanti si attenua; quando arrivo alle ultime rampe, c'è già
qualcuno che sale un po' a zig zag. Per loro, però, è quasi
finita... Al culmine della salita, e dei lunghi su e giù successivi,
troveranno comunque un po' di requie in discesa. Per chi corre non è
così, anzi.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Al ristoro in vetta mi
fermo qualche istante di più. Sono davvero disfatta, ho un male
indescrivibile alle gambe. Riparto con il cuore in fondo ai calzini:
mai come adesso mi è chiaro che non ce la farò. Non ce la faccio
stavolta... Mi dovrò ritirare a trenta km dalla fine. Precipito in
uno sconforto infinito: voglio correre, ma le gambe non rispondono
più, sono dure come i chiodi. Provo ancora e ancora; i ciclisti
sorpassano, salutano, ma ho ho solo voglia di piangere. La terza Nove
Colli è lì a portata di mano ed io la sto distruggendo con le mie
mani... Mi rassegno al passo svelto, sperando che questo serva a dare
alle gambe un po' di fiato. Risalite, ancora risalite; corro, poi
torno a camminare. Trovo Walter, il presidente del Team Nordovest: un
viso amico mi è immensamente d'aiuto in questo momento, anche se
davvero avrei avuto tanta speranza di fare una figura migliore. Mi
scatta qualche foto, mi dà appuntamento all'arrivo: già,
all'arrivo... Non ci sarò, non con le mie gambe. Chilometri e
chilometri di lacrime solitarie e calvario: non faccio altro che
ripetermi in testa i conti dei km e delle ore che mancano, assurdi
calcoli sulle medie per capire se, anche camminando, ce la posso
fare... Come se non bastasse tutto il resto, ci si mettono anche i
crampi. Mi tocca mettermi a saltare su un piede solo,
alternativamente sulla gamba senza crampi. Non riesco proprio a
gioire di tutto l'entusiasmo che i ciclisti mi urlano addosso...So
solo che non ce la farò, prima o poi le gambe si bloccheranno del
tutto. E non riesco a mangiare nulla ormai da troppe ore...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il grattacielo di
Cesenatico svetta all'orizzonte come un incubo. Alla fine della
discesa, ancora venti infiniti km di piattissima pianura; ora che
sono stravolta, patisco anche il caldo, che pure di norma amo. Ormai
a correre ho rinunciato; cammino più svelta che posso. Di lì a poco
compare il buon Giorgio: partito da Torino in treno, con la chiave
della Zafira, è passato a prendere la mia bici e si è fiondato in
soccorso. Tutto perché già ieri sera sbraitavo al telefono che non
ce l'avrei fatta... Non so nemmeno io se essere contenta o
arrabbiata; non riesco più a connettere. Beh, già in condizioni
normali non è che io connetta granché. Ero angosciata all'idea che
il mattoide arrivasse prima e risalisse la discesa del Gorolo contro
il senso di marcia della granfondo: la strada non è chiusa al
traffico, nemmeno a quello delle auto, ma il rischio da correre
sarebbe stato alto. Qui in pianura, invece, la strada è larga. E poi
la folla delle bici ormai è già più sfilacciata.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Sotto una cappa di
calura, approfitto volentieri della bottiglietta di Coca che Giorgio
estrae dallo zaino. Di mangiar la banana, invece, non c'è verso: il
primo boccone va giù a forza, il secondo nisba. La focaccia non la
tocco nemmeno. La compagnia mi è preziosa per sfogarmi, anche se il
malcapitato finisce per fare da parafulmine. A furia di ripetermi che
ce la farò, rischia davvero di essere catapultato in cima al
grattacielo... Quando sono arrabbiata, ho un modo curioso di
dimostrare gratitudine verso chi mi sta aiutando.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Quindici km, dieci km...
Sei km. Che disastro, che disfatta. Avrei voluto arrivare correndo a
braccia alzate... Invece nisba. Pian piano mi convinco che ce la
farò: km mancanti e tempo, se la matematica non mente... Avviso
Walter che non mi aspetti, sto strisciando come una serpe, ma lui è
irremovibile. Meno cinque, meno quattro... E' vero, sarà un arrivo
ben poco glorioso, ma cavoli, son pur sempre 202 km camminati tutti
sulle mie suole. Le suole delle Hoka, tra l'altro: esperimento
perfetto. Giorgio fa del suo meglio per farmi chiacchierare e per
ignorare le mie rispostacce. Il mio umore migliora davvero solo in
vista degli ultimi cavalcavia... Puro dolore nelle salite e nelle
discese. L'ultimo curvone, finalmente la zona del traguardo: ancora
qualche giro, qualche svolta e poi... Il rettilineo finale, la folla
ai lati che incita come se fossi la vincitrice, lo speaker che
annuncia il mio nome... Seconda donna, nientemeno. A correre non
riesco proprio più, nemmeno per finta, per onorare la linea del
traguardo. Ma almeno adesso riesco a sorridere... Questa volta è
stata dura davvero. C'è mancato poco che saltassi per aria... E
invece è fatta. E' finita, conquistata! Il prezzo pagato per tutto
questo non conta già più... E' troppo bello ricevere i saluti di
tanti che sono rimasti apposta per aspettarmi, Michele, Best,
Walter... E mi spiace non riuscire a connettere quel tanto che basta
a ringraziarli come si deve. Sono troppo confusa.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
In attesa di ricevere il
mio trofeo, mi accascio sotto un gazebo, in cui vegetano già altri
compari di corsa e volti noti. Man mano che la tensione si attenua,
faccio più fatica a restare in piedi; mi accascio per terra, con la
testa appoggiata alla sedia. Resto così per una mezz'ora, prima di
rimettermi in marcia per la più devastante fatica della giornata.
L'auto è a qualche km da qui, in pieno centro, e com'è ovvio ci si
deve tornare a piedi.
</div>
casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-86515868496312477272013-05-19T21:05:00.000+02:002013-08-13T21:05:42.039+02:0017 maggio 2013 - LA NOVE COLLI IN BICI... PRIMA DELLA NOVE COLLI A PIEDI
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; page-break-before: always;">
L'anno scorso, qualche mente folle aveva partorito l'idea della
doppia Nove Colli: in aggiunta alla Nove Colli a piedi, il sabato e
la domenica, una banda di sinistrati, di cui mi onoro di aver fatto
parte, ha completato anche la Nove Colli in bici il venerdì. Giusto
per mettere le gambe nelle migliori condizioni per la corsa.
Quest'anno, l'iniziativa non è stata riproposta... Ma a me la
doppietta del 2012 è rimasta impressa come un faticosissimo ma
splendido ricordo. Non mi va di rassegnarmi all'idea di rinunciare.
Beh, in fondo non c'è problema più semplice da risolvere: vado a
Cesenatico giovedì sera, parto venerdì mattina presto in bici... E
me la pedalo per conto mio. Per la corsa, sabato e domenica, qualcosa
mi inventerò. E sì che quest'anno non ho allenamento decente né
per l'una né per l'altra delle due discipline: colpa di
vicissitudini varie familiari e lavorative, senza contare l'arrivo
del piccolo Pablo, il mio cagnotto paraplegico. Non ho alcuna
certezza di riuscire nell'intento, anzi... Ma ci voglio provare.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il giovedì sera,
disgrazia vuole che mi tocchi un'assemblea di condominio, a cui
partecipo non come amministratore, una volta tanto, ma come delegata.
Per quanto io faccia il possibile per uscire presto, rientro comunque
a casa alle dieci: tempo di sistemare la bici in auto e caricare i
bagagli, va a finire che mi metto in viaggio mezz'ora dopo. La
Zafirona mi porta spedita fin dopo Bologna: qui, però, è bene
fermarsi per la notte, quel poco di notte che mi resta da dormire,
visto che ho stabilito di partire in bici alle 6 o anche prima.
Comodissimo, l'autogrill, per le toilette al mattino e per il caffé;
la colazione me la son portata da casa, come tutti gli altri pasti,
così come prevede il manuale del perfetto viaggiatore tirchio.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'indomani, venerdì,
sono puntualissima sulla mia tabella di marcia: a Cesenatico,
parcheggio di fronte alla Coop, sono le sei del mattino quando salto
in sella. Avrei preferito viaggiare con la MTB, attrezzata con
copertoncini da strada, ma poi ho optato per la bici da corsa:
siccome sabato e domenica la bici dovrà restare incustodita in auto,
preferisco non rischiare. Potrei sopravvivere forse al furto della
bici da corsa ma non a quello dell'altra bellissima bici.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La temperatura è
tutt'altro che tiepida; il cielo bigio non promette nulla di buono.
La primavera, quest'anno, latita. Indosso una maglia con le maniche
lunghe sotto la maglietta da bici con le tasche; pantaloni 3/4,
scarpe in goretex. Il bello di usare pedali "da bici da
passeggio", oltre al resto, è che si possono indossare le
scarpe da corsa in montagna impermeabili... Oggi mi sa che ne avrò
bisogno.
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Mi avvio per il primo,
lungo tratto di pianura, circa 20 km, prima di arrivare alle colline.
Interminabile in bici: mi domando come io abbia potuto percorrerlo a
piedi e come farò domani... Traffico, incroci, rotonde, caos, anche
in centro a Cesena, dove si stanno disponendo i banchi del mercato.
Puntualmente, come sempre a Cesena, sbaglio strada: vado però a
finire su una strada che corre proprio ai piedi delle colline; a
rigor di logica, proseguendo verso sinistra rispetto alla mia
direzione di viaggio in città, dovrei intercettare il percorso
giusto della manifestazione. Infatti è proprio così: raggiungo
l'incrocio di Settecrociari, svolto a destra per la prima salita, il
Polenta. Ormai potrei davvero disegnarle, queste salite, andando a
memoria. Ne ricordo ogni metro. Parola d'ordine, oggi, è "prudenza":
non importa quale sia la pendenza, io ingrano il rapporto più agile
di cui dispongo e vado su così. E guai ad alzarsi sui pedali, guai a
forzare minimamente. Ogni guizzo di fantasia di oggi sarà
amarissimamente pagato domani...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Sette, otto chilometri di
salita blanda per raggiungere il Polenta, là dove, nella gara in
bici che si correrà domenica, la maggior parte degli innumerevoli
ciclisti – qualcosa come 14.000, mi risulta – sarà costretta a
metter piede a terra per l'ingorgo. Sì, in effetti la Nove Colli
ormai è declinata in parecchie forme: la classica granfondo
ciclistica, che si correrà domenica; la corsa a piedi, che partirà
domani a mezzogiorno per concludersi domenica entro le 18; infine la
Nove Colli ciclistica notturna, in versione non competitiva, con
partenza il sabato sera alle 18.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Il verde intorno è
rigoglioso, ma oggi manca la luce; freddo alle mani in discesa. Da
Fratta, tocca sorbirsi un tratto di falsopiano abbastanza lungo e
noioso prima di raggiungere la seconda, vera salita, quella di Pieve
di Rivoschio. Cadono le prime gocce: cominciamo bene... Per fortuna,
Giove Pluvio non è ancora così convinto del da farsi. Lungo la
seconda salita, affrontata con la stessa cautela maniacale della
prima, le gocce si diradano e cessano. Ogni tanto si apre qualche
raro sprazzo di azzurro, ma è un attimo. Poco male, io "studio"
la strada per domani, come se ne avessi bisogno. A Pieve, brevissima
sosta per riempire la borraccia; altra fredda discesa. Ed io che
speravo di venir qui sulla Riviera Adriatica, o almeno nei paraggi, e
sollazzarmi con un clima un po' meno odioso del prolungato freddo
carmagnolese... Ho fatto male i miei conti.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Terza salita, il Ciola;
quella che puntualmente, nella gara a piedi, mi infligge la crisi di
sconforto. Durante la corsa, ci si arriva all'imbrunire, se si è
lenti come me. Una decina di km di discesa, fino a Mercato Saraceno:
il Barbotto mi attende. Ed è un guaio, perché qui, per quanto si
possa scegliere un rapporto agile, non c'è santo che tenga... Le
rampe cattive ci sono, tocca affrontarle. Il cartello al bivio, che
descrive le caratteristiche della salita, non lascia speranze.
Antopatico, il Barbotto; è vero, la salita propriamente detta è
breve, solo quattro km, ma il tratto che segue, prima della discesa a
Ponte Uso, è una sequenza di venti km di continue risalite, neanche
poi così blande. Tocca cambiare ritmo di continuo ed io non sono
certo un asso nei rilanci...</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Dal bivio, una decina di
km di vera discesa fino a Ponte Uso. Qui, a destra e poi ancora a
destra oltre il ponte: quinto colle, Monte Tiffi, davvero brevissimo.
Il sesto è il Perticara, già più lungo ed impegnativo: ricomincia
a piovere. Ci ha provato un po' di volte, finora, ma questa volta
sembra una cosa seria. Metti la giacca, leva la giacca... E basta!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La salita al Pugliano è
la mia preferita: lunga, ma mi porta in vista della zona più bella
dell'intero percorso, con la Rocca di San Leo che domina parte della
salita e l'intera discesa, fin giù all'abitato di Secchiano. Ci si
fa, di fatto, il giro intorno: peccato solo per il fondo stradale
disastrato per buona parte della discesa. Meglio che io badi a dove
metto le ruote, anche perché comincio a percepire un certo qual
dolore al soprasella... Meno male che domani almeno quella parte non
mi servirà!</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Penultima salita, il
Passo delle Siepi: poco più di un dosso, direi. Mi ha sempre dato
quest'impressione, anche nella corsa. La tragedia è la discesa,
però: lunga, quasi sei km, e con l'angoscia del cancello orario in
fondo... Oggi però non c'è alcuna barriera. Solo quella del vento
contrario nel noiosissimo tratto di falsopiano, quasi venti km, da
Ponte Uso all'attacco dell'ultima salita.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Anche il Gorolo non
risparmia i garretti. Salita breve, ma con le rampe più severe
dell'intero percorso. Mi tocca rassegnarmi al fatto che i muscoli
delle gambe restino indolenziti. La discesa successiva, anche qui,
per parecchi km è un inganno: tocca risalire di continuo. Il cielo
su Cesenatico è plumbeo; il blu del grattacielo si distingue
appena... Ma qui non piove più. Con santa pazienza, mi sorbisco gli
interminabili km di pianura finali, soprattutto gli ultimi
cattivissimi cavalcavia, fino a ritrovare la Zafirona in paziente
attesa. Ancora una tappa in panetteria, per procurarmi due tranci di
focaccia per la cena; poi via al Campeggio Zadina, già collaudato.
Non me la sono nemmeno portata, la tenda; dormo in auto... Quel che
conta è avere a disposizione servizi e docce. Ah, dimenticavo, non
ho male alle gambe, non ho le gambe stanche, no no. Me ne devo
convincere, perché domani a mezzogiorno si ricomincia il giro... Ma
stavolta di corsa a piedi.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-11257514846324146602013-05-13T21:31:00.000+02:002013-08-13T21:06:03.126+02:0012 MAGGIO 2013 - DI CORSA DA CORTEMILIA A CASA<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Appuntamento
a Cortemilia, ore 9.30. Non è da me, partire a correre così tardi,
o meglio, non lo era, prima che arrivasse Pablo... Ora che nella mia
vita c'è lui, tocca adattarsi. E poi, suvvia, da qui al tramonto ho
tutta la giornata a disposizione per correre: il buon Matteo, partito
in bici da Genova, farà da babysitter al mio piccolo vivacissimo
quattrozampe. Speriamo bene: Pablo ha due sole zampe funzionanti, ma
in compenso ha tutti i denti in piena efficienza e sta mettendo su un
bel caratterino!</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Arrivo
sulla piazza del paese proprio a filo dell'ora stabilita. Già sono
partita in ritardo, per colpa di tutte le incombenze necessarie al
mio piccolo canile; in più, lungo la strada mi sono imbattuta in
tutte le possibili ed immaginabili lumache motorizzate. Dal momento
che non sono una gran pilota, mi limito all'invettiva e raramente mi
lancio in sorpasso.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Matteo
è già lì, appoggiato alla bici. Facciamo cambio: a lui la Zafira,
a me le scarpe nuove per correre, un paio di Hoka One One modello
Bondi B, calzature non certo belle all'aspetto ma con una suola
spessissima ed iperammortizzata. Ideale per corridori ciccioni dal
passo pesante, categoria alla quale mi pregio di appartenere a pieno
diritto. Poche frettolose raccomandazioni ed abbandono Matteo al suo
destino canino. Non ha neanche idea del favore che mi fa: con Pablo,
almeno finché non sarà cresciuto un po', non posso allontanarmi da
casa per più di tre, massimo quattro ore; il "piccolo", si
fa per dire visto che a soli cinque mesi ha già passato la boa dei
20 kg, non cammina se qualcuno non gli sostiene la parte posteriore
del corpo, paralizzata, e si sa che i cuccioli hanno bisogno di
sporcare di frequente. Non che per me sia un sacrificio; l'ho voluto
io stessa, volando fino a Catania e ritorno per adottarlo, ma una
giornata di tregua è un immenso regalo.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Mi
avvio di corsa verso Castino. La Zafira mi sorpassa e se ne va: poco
più di un'ora e Matteo dovrebbe essere a casa. Speriamo bene, c'è
anche mamma, qualcosa combineranno. Oggi dopotutto i cani a cui
badare sono solo due, Pablo e Céline che però ha tutte e quattro le
zampe in piena efficienza; Skipper, alias Tittone, è in montagna con
mia sorella. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Imbocco
il viale alberato con l'animo leggero leggero: la giornata si
annuncia splendida e calda. Oltre i capannoni, si comincia a salire,
con una pendenza accettabile che mi permette di correre sempre; ampi
tornanti, tanto verde, un bellissimo panorama sulla vallata ed
un'infinità di motociclisti. Passo dopo passo, cerco di capire che
intenzioni abbiano, per oggi, i muscoli ed il fiato: amichevoli,
pare, per ora. La prossima settimana correrò i 200 e rotti km della
Nove Colli, il venerdì in bici in assetto turistico, il sabato e la
domenica a piedi in gara: non sono affatto preparata, né per la
frazione ciclistica - quant'è che non tocco la bici da corsa? - né
per quella a piedi - non ho quasi corso su percorsi lunghi, complice
anche il ginocchio ballerino all'inizio dell'anno. Oggi è l'ultimo
giorno utile, e pazienza se siamo a ridosso della gara.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Sotto
un bel sole limpido e luminoso, curva dopo curva arrivo in vista di
Castino, un gioiellino di paese proprio in cima alla collina. Il
negozietto nella strettoia, che vende di tutto dal pane ai detersivi,
è in piena attività; un capannello di motociclisti sosta sulla
piazza. Approfitto della vasca in pietra per bere e riempire la mia
piccola borraccia, poco più di un bicchiere d'acqua: è il massimo
che io sopporti, in fatto di borracce. Quelle più grandi, siano
nello zainetto oppure legate in vita, "ballano"; il
camelbag è poco pratico quando si tratta di estrarlo dallo zaino per
riempirlo. Meglio andare di borraccetta e fontanelle. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Di
corsa giù in discesa; ne approfitto per sgranocchiare una barretta
di cioccolato e nocciole. La mia riserva oggi prevede, oltre a
questa, anche qualche Mars, nella versione taroccata del Lidl. Il
panorama, da quassù, è una meraviglia; colline a perdita
d'occhio... Oltre le curve, la vallata del Belbo. Comodissime queste
scarpe, anche in discesa: sembra di correre sulla gommapiuma. Solo,
devo evitare di trascinare i piedi rasenti al suolo com'è mia
abitudine; con le suole così spesse, inciamparsi è un attimo.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Al
ponte sul Belbo, giro a sinistra, in direzione di Bosia, e riprendo a
salire, sempre corricchiando, per un chilometro o poco più, fino al
bivio per una delle stradine note come "Salite dei Campioni",
quella dedicata a <span style="font-size: x-small;">Marco Pantani</span>. Breve discesa fino ad attraversare il fiume:
ci sono, qui, alcune bellissime case con giardini su cui lascio il
cuore... Sarebbe un posto stupendo per i miei beniamini pelosi.
Vecchi casali ristrutturati con ottimo gusto, senza svolazzi di
architetti dalla fantasia troppo produttiva. Immagino che qui regni
la quiete; probabilmente non ci arrivano nemmeno i temibilissimi
Testimoni di Geova. Mi turberebbe un po' solo la presenza del Belbo a
pochi metri, visto che siamo nel fondo dell'incavo. Ma basta
inerpicarsi un po' su per l'aspra salita, per imbattersi in altre
abitazioni altrettanto rustiche, belle, dall'aspetto solido. Quassù
l'acqua non arriva, almeno dal fiume. Ma il fianco della collina
terrà? A giudicare dalle crepe nella strada, anche qui ci sarebbe da
riflettere... Beh, insomma, Carmagnola è indubbiamente una vera
schifezza per viverci, ma bisogna ammettere che ha i suoi lati
positivi; piatta pianura, niente smottamenti, niente valanghe, alla
peggio qualche cantina allagata. Ma il cambio con uno di questi
cortili, di questi fienili ormai vuoti, di queste vecchie case
affacciate sulla vallata lo farei volentieri.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">La
pendenza qui è troppo severa per correre. Sulle rampe, cammino di
buon passo, tra ricci di castagne e foglie secche che pare autunno,
se non fosse per la luce e la temperatura mite. Non c'è anima umana
qui nei dintorni; si sente solo il latrato dei cani. Curve e ancora
curve nel fitto del bosco, la strada sempre più stretta e la
vegetazione che fa una bella ombra, fino a sbucare su, in alto, in
vista di Lequio Berria. La salita è ancora lunga ed irregolare,
alterna strappi cattivi a tratti quasi in piano in cui mi impongo di
correre. Ho finito la scorta d'acqua; bisogna che passi dentro il
paese, per vedere se c'è una fontanella. Il sole è ormai quello del
mezzogiorno passato da poco. Peccato che non ci sia ancora nemmeno
una ciliegia, né una mora...</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">A
Lequio è il coprifuoco. Mi infilo in paese su per una strada che
passa tra ville e villone parecchio pretenziose, passo in centro
paese; neanche l'idea di una fontanella. Forse più su, verso la
chiesa... Ma non ho voglia di far deviazioni. Incontro un paio di
anime nel silenzio assoluto; proseguo, sono già fuori dell'abitato.
Un ciclista ha tutta l'aria di essere alla ricerca, pure lui, di
acqua... Si aggira perplesso, poi riprende la strada principale e se
ne va. Lo seguo e vado a sbucare sulla strada alta che va verso
Bossolasco. Anche qui, niente fontanella; in compenso, un tripudio di
motociclisti d'ogni ordine e grado.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Mi
avvio a sinistra, in direzione di Albaretto Torre e Pedaggera; supero
la rotonda, proseguo lungo il tratto quasi in piano. Incontro anche
qualche ciclista. Quassù una leggera brezza mitiga la temperatura;
il sole, di per sé, è limpidissimo e caldo. Il parcheggio della
trattoria alla rotonda è colmo di macchinoni: mamma mia, mi vengono
i brividi all'idea di spendere una giornata così bella con le gambe
sotto il tavolo... Per la verità, non spenderei così nemmeno una
giornata uggiosa di pioggia. Piuttosto, come si suol dire, "pan
e siula a mia cà", pane e cipolla a casa mia, posso mangiare
con lo stile del suino nel trogolo senza che nessuno mi guardi
schifato.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Chissà
come se la cava Matteo a casa con Pablo? Mah, non è il caso che mi
preoccupi... Lui se la cava sempre. Speriamo non gli tocchi
sacrificare qualche falange. I dentini del piccolo sono micidiali...</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Leggera
risalita verso Pedaggera. Anche i tavolini del bar al bivio
straripano di avventori, motociclisti stavolta. Giro a destra,
direzione Roddino. Qui il caldo comincia davvero a farsi sentire: la
borraccia, sempre desolatamente vuota... Supero la borgata di
Cerretta, con la chiesa. Da qui a Roddino saranno all'incirca quattro
km, prevalentemente in discesa. Forza e coraggio! Il panorama di
Langa è stupendo, colline a perdita d'occhio e le Alpi sullo sfondo.
Supero il bivio per Valle Talloria; un paio di tornanti, i ruderi di
vecchie costruzioni in mattoni, lo scheletro spezzato delle travi dei
tetti. Un chilometro di risalita, più o meno, per giungere in paese;
lungo il rettilineo ci sarebbe l'area picnic con la fontanella...
Chiusa. Ovvio. Proseguo verso l'abitato; anche lì, basterebbe
cercare con un po' di pazienza, non può non esserci una fontana, ma
preferisco tirare dritto. E' lungo, il viaggio... Ottanta,
ottantacinque km, mal contati; ora che più o meno ho delineato il
mio itinerario, posso azzardare una stima. E allora avanti. Dalla
trattoria arriva qualche saluto gaio: mi sa che l'alcool è già
entrato in circolo.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Imbocco
la strada per Serralunga d'Alba. Se non ricordo male, poco oltre il
bivio dovrebbe esserci una chiesetta... Ed una fontanella. Infatti:
una mini area picnic, due tavolini e due ciclisti non più
giovanissimi, dall'aspetto decisamente nordico, seduti sulla panca in
pietra. Ci salutiamo, poi mi tuffo sulla fontanella: finalmente, qui
l'acqua c'è. Bevo a garganella, stile assetato nel deserto: quando
riparto, sento la pancia gonfia come un otre ed un sonoro "blub
blub" a ritmo con i miei passi. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Lunga
discesa in vista del bellissimo castello di Serralunga e, purtroppo,
dell'orrido edificio di una "spa"... Pensare che, per me,
le SPA sono sempre state nient'altro che Società Per Azioni. Beata
ignoranza. Le SPA sono anche centri benessere o qualcosa del genere,
immagino ipercostosissimi. Quello che si vede da quassù è un
obbrobrio edilizio, un informe ammasso di cemento che deturpa la
collina quasi quanto le distese di pannelli fotovoltaici. Spero che
un provvidenziale terremoto, prima o poi, faccia giustizia di cotanto
scempio...</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Breve
risalita, ma tosta, sotto un bel sole caldo. Arrivo in paese,
sorvegliato dall'imponente mole del minaccioso castello. Sulla piazza
c'è un'altra fontanella ma... Chiusa, anche questa. Possibile? In
Langa sono diventati tutti parsimoniosi con l'acqua? E vabbuò,
pazienza, vorrà dire che non avizzirò per questo... Forza e
coraggio, si scende verso Gallo. Le gambe cominciano a dare segni di
cedimento e fiacca esistenziale. Anche qui, folla in trattoria: mi
par di capire che ci siano pranzi di prime comunioni o cresime...
Mamma mia, doppio brivido, e per l'idea della giornata sprecata tra i
bagordi, e per l'aspetto religioso che mi fa orripilare. Via di qua! </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Splendido
panorama su Castiglione Falletto, Novello, La Morra. Compensa un po'
il male alle gambe. Peccato dover scendere giù a fondovalle: sul
rettilineo davanti alla Tenuta Fontanafredda, il sole si fa cattivo
ed il venticello scompare; il primo caldo è traditore; fiacca il
passo ed il morale. L'asfalto riverbera i raggi e scalda per bene i
piedi. Già, a proposito, le Hoka sono decisamente un bel progresso!
Nonostante tutto, si corre sulla gommapiuma...</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Gallo,
gli stabilimenti e lo spaccio della Mondo. Sulla mia traiettoria,
niente fontanelle. Il che significa che non avrò acqua fin su a La
Morra. Eh ben, pazienza, da qui saranno sei o sette km. Avanti, forza
e coraggio. Passo sotto la tangenziale; affronto il subdolo
falsopiano in salita fino a Santa Maria: attraverso un paio di
correnti di olezzo di braciole; come sempre, il mio stomaco non sa di
essere vegetariano e reclama il giusto contributo. Posso dargli un
Mars... Senz'altro più godurioso di una braciola.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Il
passo è sempre più stanco; la sete si fa sentire. La rampa di Santa
Maria mi costringe a rallentare l'andatura già allo stato di
bradipo; riprendo a correre subito dopo. La tentazione sarebbe quella
di imboccare il sentiero segnato poco più avanti dal cartello in
legno, ma... Andrà a La Morra o altrove? Meglio non fare
esperimenti. E' già lunga. Continuo a salire tra i vigneti; mi
rassegno al passo veloce quando la pendenza aumenta. A proposito di
acqua; ne scorre parecchia nel fosso a lato strada. La terra è
impregnata di tutta la pioggia dei giorni scorsi; si formano rivoli e
rivoletti. Peccato per la monnezza ovunque distribuita.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">L'agognata
rotonda... Ancora un chilometro di salita, più o meno. Invidio chi
va su con la bici... Sì, ok, lo ammetto, sono in crisi. Ho bisogno
di acqua e di una pausa. Arrivo su in piazzetta un po' stravolta:
della folla che anima il paese mi accorgo appena... Ci dev'essere un
mercatino o qualcosa del genere. Il mini giardinetto con la fontana è
affollato: attendo paziente il mio turno, dando fine al Mars che ho
addentato giù a Gallo. Poi mi attacco alla fontana, sognando che ne
esca Moscato. E' solo acqua, ma va bene lo stesso...</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Dinuovo
con la pancia tesa come un tamburo. Si torna a scendere, mentre il
cioccolato entra in circolo. Da qui potrebbero mancare circa quaranta
chilometri; tanti, è vero, ma non impegnativi come i precedenti. Fin
quasi a Pollenzo, la gravità aiuta; mi spiace salutare i vigneti,
chissà quando potrò tornare a vederli. Con Pablito, la mia libertà
di movimento è parecchio sacrificata... Bando alla tristezza, non è
lui che ha cercato me, sono io che ho voluto lui, quindi non mi posso
lamentare. La mia terza, piccola, pelosissima ragione di vita...</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Il
Tanaro è gonfio da fare impressione, placido, grigio. Supero con
fatica e repulsione il brutto rettilineo fino a Pollenzo: qui,
inattesa, una fontanella che ormai fiuto a distanza. Pieno alla
pancia ed alla borraccetta, una sciacquata alla faccia; altro
rettilineo penoso, fino al semaforo di frazione Macellai di
Pocapaglia, poi finalmente si torna a salire un po'. Niente di che,
ma sufficiente a rompere la monotonia del percorso piatto, che le
zampe ormai faticano a sopportare. Direzione Pocapaglia, mentre
qualche nuvoletta attenua il sole che oggi mi ha fatto davvero un bel
regalo. Peccato per il traffico di auto e moto... Supero la colletta,
giù in discesa, due tornanti ed un lungo tratto di piacevole
falsopiano, che poi inverte la pendenza al bivio per Valle Rossi.
Poco più di un chilometro tra belle cascine, fino al bivio per
Sommariva Perno, con le sue cattivissime rampe che nemmeno provo ad
affrontare di corsa. Ne approfitto per telefonare a casa e farmi dare
notizie dello zoo... Tutto tranquillo, pare. Imbocco la ripida
stradina centrale per salire su in paese: sulla piazza grande del
Municipio, altra sosta alla fontanella. E un altro Mars, l'ultimo,
giuro...</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Riprendo
a correre. Sarà che ormai sento la vicinanza di casa - poco più di
venti km, passando per vie in parte traverse - ma sento i muscoli
sciolti e scattanti. Ok, per un po' si viaggia in discesa, ma
lasciatemi l'illusione... Giù di gran carriera fino al bivio per
Baldissero; peccato solo per lo zainetto che ha preso a scorticarmi
la pelle del collo con lo spallaccio. E vabbuò, soffrire un po' non
fa mai male... Ciò che non uccide fortifica!</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Matteo
ha promesso di venirmi incontro in bici. Chissà se riesco ad
arrivare a Ceresole prima di incrociarlo? Allungo il passo, senza
problemi, con mia sorpresa. Qui sullo stradone è meglio fare in
fretta e levarsi il prima possibile. Ormai fa sera. Un losco figuro
in lontananza... La sagoma è proprio quella: eccolo in arrivo,
Matteo, con la bici zavorrata. La lattina di tarocco Red Bull, quanto
l'ho sognata! Me la bevo tutta d'un fiato, in un attimo, per evitare
di fermarmi e compromettere lo stato di forma delle gambe. Della
serie, finché la barca va... Matteo mi accompagna per un breve
tratto, raccontandomi gli eventi della giornata da babysitter. Non
pare nemmeno troppo sconvolto! E le falangi sembrano tutte al loro
posto. Però non sono tranquilla che lui viaggi affiancato, qui con
questo traffico e con la luce incerta della sera. Tiro un sospiro di
sollievo quando lo vedo allontanarsi nuovamente verso casa. Farà
fare un'altra breve passeggiata al piccolo Pablo, che ha bisogno di
uscire ogni tre ore, poi ripartirà a piedi, di corsa, per
raggiungermi negli ultimissimi km Pover'uomo: prima in bici da Genova
a Cortemilia con partenza nella notte, poi una giornata intera a
badare al mio zoo, poi ancora bici, infine la corsa... In mezzo, un
cambio di ruote alla mia Zafira e chissà quante altre incombenze
sbrigate. Casa mia è un perenne cantiere; dovunque ti giri c'è
qualcosa da sistemare. Non so nemmeno come dirgli grazie: ad una
settimana dalla Nove Colli Running, un allenamento come quello di
oggi per me è fondamentale, non tanto dal punto di vista fisico -
per quello ahimè non sono preparata a dovere, proprio no - ma da
quello morale. E' andata benissimo! Anzi, sta andando benissimo, non
è ancora finita.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Supero
Ceresole ormai al tramonto inoltrato. Indosso il giacchino
rifrangente, faccio sparire la banana che Matteo mi ha portato come
rifornimento e... Gambe in spalla, l'ultimo sforzo: di corsa lungo la
strada principale per Carmagnola, poi deviazione lungo la stradina
parallela che attraversa la frazione Borretti. Telefono a mammà: le
dico di partire a piedi e venirmi incontro; occhio e croce, dovrebbe
riuscire a percorrere un paio di km da casa prima che io la incontri.
Via, più veloce possibile, senza però superare quel labile confine
con quel senso di debolezza improvvisa che mi fa girar la testa
quando esagero. Una dopo l'altra, mi lascio alle spalle le cascine
della strada di campagna verso casa. Sul cavalcavia dell'autostrada,
una sagoma si delinea nella penombra: anzi, due sagome... Matteo e la
mia adorata Céline! La chiamo, riconosce la voce, mi scodinzola, mi
fa le feste. Che bello vederla... Prendo il guinzaglio e proseguo;
poco più avanti, ecco l'ultimo elemento del branco, mammà. Fine,
per oggi, della mia corsa. Indosso la giacca e proseguo al passo in
sua compagnia; Matteo e Céline mi precedono verso casa. Mezz'ora e
ci arrivo anch'io. Ultima passeggiata con Pablo, che sarà pure
cucciolo ma pesa come un macigno: con questo, ho esaurito le energie.
Pappa e poi tutti in branda... Tra una settimana, Nove Colli Running!</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-24915824020519032322013-03-11T22:17:00.000+01:002013-03-11T22:17:32.538+01:003 marzo 2013 - MTB da Ceva al mare e ritorno<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">La
rubrica de "La Stampa" dedicata al meteo aveva previsto,
per questa domenica, un "anticipo di primavera", con la
garanzia di sole e temperatura mite anche per il freddo Piemonte.
Sarà che è fin troppo facile dare credito alle promesse che si
accordano con le speranze, anche se l'evidenza dei fatti è
contraria... Fatto sta che mi sforzo di ignorare quel trattino "-"
davanti al numero 1, là dove la Zafirona mi informa dei rigori al di
fuori dell'abitacolo. E non è che, anche facendo finta di non
vedere, la faccenda si presenti poi molto più rosea... Il paesaggio
assume un aspetto sempre più glaciale, man mano che mi avvicino a
Ceva; ormai è giorno fatto, ma la luce sembra non esistere in questa
landa grigia e bianca, con la foschia sospesa a mezz'altezza. Il
freddo che non può ancora penetrare attraverso i vestiti, finché
resto protetta in auto, mi gela le ossa attraverso gli occhi. Ceva,
Millesimo, Osiglia, Calizzano, paesi che, nella mia memoria di
ciclista e di podista, si associano da sempre ai peggiori rigori mai
patiti, ad esclusione, forse, di qualche scorribanda invernale verso
Pian del Re con relativa discesa lunghissima, gelida e tutta in
ombra. E' marzo ormai, ma forse a quelli di qui non l'ha detto
nessuno. Il furgone blu elettrico di Matteo è già in attesa sulla
piazza accanto all'ospedale; io ci arrivo in ritardo, sia pure di
pochi minuti: non è da me. Il guaio è che stamattina, come già da
qualche tempo a questa parte, il suono delle due sveglie, per giunta
puntate a pochi minuti di distanza l'una dall'altra, non è bastato a
riportarmi ad un livello di coscienza sufficiente per buttare le
gambe giù dal letto. La palpebra, appena sollevata a mo' di
feritoia, è ricaduta pesantemente, salvo poi schizzare su mezz'ora
più tardi, quando avrei già quasi dovuto essere in viaggio. Sto
scontando un sonno che affonda le sue radici nei secoli...</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Meno
male che a scaricare la mia fida mountain bike, per l'occasione
equipaggiata con i copertoncini slick, provvede Matteo. Quando si
tratta di meccanica, anche la semplice sistemazione delle ruote,
approfitto volentieri dell'altrui buona volontà; lui poi è
rapidissimo, in un attimo ha già sistemato tutto, là dove per me
sarebbe come cimentarmi con il cubo di Rubik. Al momento di saltare
in sella, sono già ibernata. E meno male che non ho ceduto alla
tentazione dei pantaloni tre quarti!</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Matteo
tenta di confortarmi: con il passare delle ore, ne è sicuro, il
clima sarà migliore. Certo, ne sono convinta, quando saranno passate
tutte le ore da qui al mese di giugno. Per oggi, non mi sento di
sprizzare ottimismo. Si parte, direzione Perlo - Nucetto lungo una
stradina secondaria che "punto" da un po'. Sono curiosa di
vedere dove va a finire, o meglio, di capire se andrà a finire là
dove penso io. Un tratto l'ho già esplorato correndo a piedi, la
scorsa primavera. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Si
affronta una blanda salita, un paio di tornanti in ombra; l'asfalto è
viscido, l'erba a bordo strada bianca di brina. La fatica di andar su
maschera, per ora, il freddo, pur non essendo abbastanza intensa per
impedirci di menare la lingua. Non ci si vede da un po'... Dobbiamo
aggiornarci sulle ultime novità!</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Un
brevissimo tratto di discesa, poi la strada e l'ambiente intorno
assumono l'aspetto di vera montagna, anche se qui siamo a quota
tutt'altro che elevata: una rampa, un costone di roccia sulla destra.
Appena oltre la curva, ci troviamo davanti un mucchio di detriti ed
anche un pietrone, che hanno tutta l'aria di essersi appena staccati
dalla contorta parete sulla destra, fradicia e friabile. Sopra le
nostre teste, l'abitato di Malpotremo che, se non erro, è frazione
di Perlo, con il suo campanile, le poche case, il manifesto degli
annunci mortuari. Alcuni cartelli stradali indicano Nucetto e
Garessio, oltre a Perlo; quindi, da qui si raggiunge effettivamente
la strada di fondovalle che va da Ceva verso Ormea.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Oltre
l'abitato, la salita si attenua; il cielo è di uno splendido colore
azzurro intenso, ma la luce qui non ci raggiunge ancora. Si gela...
Persino Matteo, è tutto dire, si lamenta per il freddo alle mani,
nonostante quelle specie di sacchi di patate in cui le ha avvolte.
Per me, in questo momento le mani sono una delle poche parti del
corpo che non danno problemi... Ci pensano i piedi, due pezzi di
ghiaccio. In effetti, avrei dovuto indossare un paio di calze più
pesanti: ne avevo l'intenzione, in verità, ma stamattina, per la
fretta, ne ho trovata una sola... Chissà dov'è finita la gemella.
Amen, ormai è fatta. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Da
quassù si vede un po' di panorama, ma tutto grigio, smorto. Non una
gemma, nemmeno a pagarla; per terrà, umidità, residui di sale,
talvolta ghiaccio.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Raggiungiamo
un bivio: a sinistra, direzione Perlo; a destra, Nucetto e la strada
statale. Scelgo la seconda; sono più sicura circa la destinazione.
Infatti, qualche chilometro di gelida discesa ci conduce,
completamente ibernati, all'incrocio con la strada di fondovalle.
Anche Nucetto è silenziosa e deserta, benché siano accese le luci
del bar: del resto, immagino che gli abitanti di questa valle passino
l'inverno in letargo; non credo si possa sopravvivere a mesi di
questo clima infame. Giove Pluvio è persino più ostile qui che a
Carmagnola, nel regno della nebbia; almeno, da noi, non ci sono le
montagne ad impedire il passaggio di quel po' di pallida malatissima
luce invernale.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Meno
forsennatamente i pedali lungo lo stradone, non per un improvviso
impeto agonistico quanto per portare un briciolo di calore alle
estremità. "Sei km a Bagnasco - si lamenta Matteo - ma sembrano
trenta": ci credo, per lui dev'essere anche peggio. Adattarsi
alla mia andatura significa, per lui, viaggiare piano e scaldarsi
poco. L'unica soddisfazione è che, in questo momento, forse può
capire quel che proverò io, che sono una freddolosa cronica senza
speranza, per quasi tutto il giro di oggi...</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Bagnasco,
finalmente. Al semaforo, si svolta a sinistra, con molta cautela per
il fondo ghiacciato. Se a Ceva c'erano tre gradi sotto zero, direi
che la situazione termica non è molto più conciliante adesso. Primo
colpo di clacson della giornata: ecco il primo imbecille
motorizzato... Ma cosa suoni, microcefalo che non sei altro? Non lo
vedi che hai l'intera strada per te, ci passeresti con un camion a
rimorchio! Normale, è torinese, osserva Matteo... Il guaio è che
l'idiozia è una qualità molto ben distribuita.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Si
va su per il paese, finalmente in salita. Ancora gelo, brina, ombra.
Bisogna lasciarsi alle spalle un po' di tornanti, prima di
conquistare qualche timido raggio di sole ed un po' di visuale sulle
montagne intorno, bianche e nere e tristi. Ma le gambe girano bene,
per fortuna. E' un'eternità che non pedalo; saranno trascorsi due
mesi dall'ultima uscita in bici degna di questo nome: sarà merito
del corso di spinning? Ormai è qualche settimana che lo frequento, a
Villastellone, con gran fatica ed altrettanta fiducia. Il colle dei
Giovetti è già sotto le ruote: comincia qui, con mio sommo orrore,
la discesa verso Calizzano, che non sarebbe poi in sé così lunga,
ma diventa eterna e tragica con questo clima. Scendo con cautela ed a
freni tirati nonostante il senso di sicurezza che mi dà la MTB: per
quanto il mezzo sia stabile, non può far miracoli su quelle
angoscianti colate di acqua che nel pieno della giornata si allargano
dai cumuli di neve sporca a bordo strada e nella notte gelano,
formando vere e proprie insidiosissime lastre. Persino Matteo, che in
bici è funambolo su qualsiasi terreno, è più prudente del solito.
E fa freddo, un freddo dannato, che prende mani, piedi, tronco... Ma
perché diamine non me ne sono andata a correre oggi? E perché
nessuno ha ancora pensato di produrre una maglia in grado di
riscaldarsi, che so, con l'energia prodotta dalle ruote della bici?
Ma soprattutto, perché questa dannata strada è così lunga? Chi ha
aggiunto dei tornanti?</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">I
tetti della frazione sono bianchi di brina. Qualche camino fuma; i
più sono immobili e gelidi. Ancora ghiaccio, a tradimento, sulla
strada. Matteo avrebbe proposto la deviazione per il colle Quazzo e
la discesa a Garessio, ma io non sento ragioni: voglio raggiungere il
mare per la via più breve possibile e fare scorta di un po' di
tepore. Da Calizzano si tira dritto verso il Colle del Melogno:
torniamo a salire, se non altro ci siscalda, ma il panorama lunare
non cambia. Ancora neve ed alberi spogli; grigi tronchi lucidi dei
faggi; candelotti di ghiaccio aggrappati alla parete di terra, radici
e pietra. Vero, sembra che si stiano sciogliendo, ma che triste
visione. Il sole quaggiù non arriva ancora, tra la montagna ed i
rami del bosco. Pochissimo movimento, qualche auto, un paio di
motociclisti coraggiosi che procedono, anche loro, con le ruote di
piombo. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Le
barrette al gusto di parmigiano, residuo di qualche pacco gara di
corse in Emilia Romagna, si rivelano a dire poco disgustose, e sì
che io non sono una dal palato fine... Inutile dire che
quell'inceneritore a pedali che viaggia al mio fianco le fagocita
senza alcun problema. Io vado di Mars, una garanzia... Anche se
saranno gli ultimi, la scorta di casa da smaltire, visto che ho
deciso, per il futuro, di provare a passare dall'alimentazione
vegetariana a quella integralista senza ingredienti di origine
animale, in particolare latte e uova. E' un po' come se mi godessi
l'ultima sigaretta prima di smettere... Anche se, non posso negarlo,
per il Mars mi dispiace. Una delle maialate più libidinose che la
mente umana abbia mai potuto concepire!</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Come
sempre, passare sul versante del mare è come aprire una porta che dà
su un altro mondo. Alle spalle un film in bianco e nero, lento e
sonnacchioso; davanti, una danza di luce e di colori. E un po' di
tepore, anche se siamo pur sempre a mille metri di quota: il mare si
vede già da quassù. Purtroppo, il sole non può scacciare nel giro
di mezz'ora il freddo che mi si è insediato nelle ossa e nelle
giunture; anche questa discesa è fonte di patimento, sia pure nulla
al confronto della tragedia giù dai Giovetti. Freno anche qui più
del necessario; il mio neurone per oggi si è incantato in modalità
"attenzione al ghiaccio", anche se qui il ghiaccio
sull'asfalto è solo un ricordo. Quando patisco il freddo, mi si
accentua anche la paura, come se fossi davvero irrigidita nelle
braccia e nelle gambe. Così il povero disco continua ad ululare per
tutti i km che conducono dal colle al mare. Mi stupisco di quanti
ciclisti si cimentino, oggi, nell'ascesa al Melogno: in bici da
corsa, in mountain bike, qualche coraggioso con le pesantissime bici
da downhill. Ammirevoli, soprattutto questi ultimi: il brivido della
discesa se lo guadagnano con la giusta dose di fatica, anziché con
un comodo viaggio in furgoncino. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Man
mano che i pini lasciano il posto alle palme, ci avviciniamo a Gorra;
da lì, il bivio per Borgio Verezzi mi concede un paio di tratti di
salita anche ripida, in cui finalmente posso scaldarmi un po'. Matteo
approfitta del successivo tratto in saliscendi per rimpinzarsi e
foraggiare anche me: incredibile come io abbia a che fare con persone
che temono per me la minaccia costante delle carenze nutritive,
quando la mia stazza fa concorrenza alle navi della Costa Crociere...
Dev'essersi messo d'accordo con mia madre, Matteo. Lei non perde
occasione per infilarmi nel frigo derrate alimentari di vario genere,
di solito in quantità sufficiente a sopportare un assedio di anni;
lui mi mette continuamente sotto il naso porzioni di panini,
biscotti, pezzi di cioccolato. Insomma, non dico di essere un motore
Euro 3, ma non consumo così tanto!</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Gli
alberi di mimosa si impegnano in un timido tentativo di fioritura, ma
l'impressione è che nemmeno qui in riviera la primavera abbia fatto
sinora grandi passi. La temperatura è certo migliore dei tre gradi
sotto zero di questa mattina a Ceva, ma è lungi dal mito della calda
Liguria. Non mi viene voglia di levare la giacca invernale nemmeno
lungo i cinque o sei km di infernale Aurelia: in compenso, Matteo,
che pedala davanti a me, si leva la giacca ed il giacchino, infila il
tutto nello zaino, si rimette lo zaino in spalla, senza mai smettere
di pedalare. Non mi stupirei se adesso estraesse l'asse da stiro e la
Vaporella. Seguo le operazioni restando qualche metro più indietro,
con il terrore che una buca, lo scarto di un auto, un pedone che si
sposta improvvisamente sulla strada lo colgano con le mani lontane
dal manubrio... Per il bene delle mie coronarie, sarebbe meglio che
il temerario si dedicasse a questo genere di performance quand'è
alle mie spalle. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Lungo
l'Aurelia viaggio con i nervi a fior di pelle e mille occhi attenti a
tutto, alle auto, ai pedoni; questo non basta a farmi rischiare di
disarcionare una ragazza in motorino in una rotonda... Mea culpa,
questo marasma non è proprio roba per me. Il bivio per Toirano è
una liberazione... </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">La
leggera salita fa sì che, tra un cambio e l'altro, salti fuori un
problema che si era già presentato ma che avevo, come mio solito,
rimosso, a mò di struzzo con la testa nella sabbia: ogni quattro o
cinque pedalate, il pedale fa un mezzo giro a vuoto. Che barba... Il
cambio di questa bici è una iattura, si svirgola di continuo. O
almeno, io la vedo così... Matteo mi fa sommessamente notare che la
mia catena ha avuto l'ultimo incontro con l'olio ai tempi delle
Guerre Puniche e che, se protesta, tutti i torti non li ha... Senza
contare il fatto che almeno due corone anteriori su tre sono ormai
consumate. Insomma, o di riffa o di raffa, è sempre colpa mia... Ma
possibile che non esista una bici su cui basti pedalare? Perché
questa piaga della manutenzione? </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Bah...
Per oggi il mezzo è sopravvissuto fin qui; speriamo sopravviva
ancora. Comincia una nuova salita, con gran gioia del mio sistema di
termoregolazione: persino io, qui, mi tolgo la giacca. La pendenza
non è mai eccessiva; le gambe, dal canto loro, girano con una
facilità di cui io stessa mi sorprendo. Solo, non mi fido troppo a
salire in piedi sui pedali; se la catena dovesse giocarmi il tiro
della mezza pedalata a vuoto, mi ritroverei lunga e distesa
sull'asfalto. Una bella salita tra tornanti ben esposti al sole;
pochissimo traffico, quasi nulla. Peccato solo per i ciuffi di nuvole
che riescono a sfuggire alla gabbia del versante piemontese e si
allargano fino a coprire, di tanto in tanto, i raggi diretti del
sole. Subito un brivido percorre le braccia e la schiena... Man mano
che si sale, il tepore del mare resta un ricordo e solo la fatica
della lotta contro la forza di gravità mantiene nelle ossa una
temperatura nel limite della decenza. Gambe, fiato, cuore, polmoni,
tutto lavora a meraviglia. Ho voglia di tornare a pedalare con un po'
di costanza... Di lasciarmi alle spalle quel periodo nero, ma proprio
nero nero, che prima o poi travolge tutti nel corso dell'esistenza.
So che non è finita e che probabilmente non finirà mai del tutto,
ma credo sia arrivato il momento di riprendere il controllo e di
riconoscere a certe cose, a certi episodi, a certe persone il valore
che effettivamente meritano, nel bene e nel male. Credo di aver
toccato il fondo, nei lunghissimi bui mesi passati; ora non mi resta
che risalire, metaforicamente ed anche nella realtà. E riprendermi
le mie ragioni di vita, la corsa, la bici, anche se il lavoro ormai
lascia poco tempo e poco spazio. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Raggiungiamo
il paese di Balestrino, suggestivo, abbarbicato sulla montagna, con
l'unico neo di un'orrenda chiesa di architettura moderna, improbabile
ed inguardabile. Bellissimo anche l'altro paesello lungo il nostro
itinerario, Castelnuovo di Rocca Barbena. Benché abbia già girato
questi posti in lungo ed in largo, ho ancora un po' di confusione
circa la geografia; ogni tanto mi rendo conto, con un'illuminazione,
di trovarmi un un luogo noto e già visto... Salita e chiacchiera
proseguono ancora per un po'; la discesa, annunciata da Matteo ma che
speravo, in cuor mio, scomparsa, mi interrompe il ritmo ed il calore.
"Dobbiamo scendere per circa trecento metri", che dramma...
Per andare ad intercettare la strada del Colle San Bernardo, che ci
riporterà in quel di Garessio.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Finalmente,
ripresa la salita, trovo un luogo di mio gradimento per la sosta
tecnica che ho necessità di concedermi da almeno tre ore... Faceva
troppo freddo, prima. Non potevo certo esporre le pudenda a cotanto
gelo. Così, mentre mi addentro nel fitto del bosco, Matteo si dedica
ad ispezionare la meccanica della mia MTB. Non appena riemergo dalla
vegetazione, mi chiama con voce a metà tra l'indignato e
l'incredulo, per farmi notare che le maglie della catena, se piegate
con le dita, non si distendono più... Insomma, ho capito, c'è
bisogno di un po' d'olio, ecchessarà mai. Strano che non m'insulti
quando gli propongo di sopperire, per il momento, con un po' d'acqua.
Si riparte per l'ultimo tratto di questa lunga e bellissima ascesa; a
bordo strada ricompare la neve, che stride un po' con il concerto di
cinguettii tutto intorno. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Sul
colle ritrovo Matteo, che aveva preso un po' di vantaggio. L'idea era
di imboccare una strada che avrebbe dovuto condurci, da quassù,
direttamente al Colle Quazzo, per poi scendere da lì a Calizzano e
risalire dal Colle dei Giovetti. Ma, saggiamente, Matteo desiste:
"Meglio scendere a Garessio - osserva - l'altra strada rischia
di diventare sterrata". So benissimo che, da solo, non si
sarebbe nemmeno posto il problema e non avrebbe esitato a lanciarsi
in esplorazione... Ma ormai conosce l'ira funesta che scatenano in me
le situazioni ed i percorsi più impervi: prevale in lui l'istinto di
conservazione. Quindi, rivestiti di tutti i possibili strati di
abiti, ci avviamo giù per la strada principale, rassegnati ad
un'altra dose industriale di freddo, perché l'aria di mare ormai è
rimasta di là. Asfalto umido e residui di sale; la temperatura è
salita un po' rispetto a questa mattina, ma non poi così tanto. Il
microclima di questa valle è davvero una disgrazia! Ed i km scorrono
lentissimi, con il rammarico della cioccolata calda che avrei avuto
piacere di godermi su al colle: ma del bar resta solo l'edificio,
sprangato e dall'aspetto polveroso. E pensare che, dietro a quella
finestra, tanti anni fa me l'ero concessa davvero una bella
cioccolata, verso la fine di una pedalata mica da ridere.
Pazienza...</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Anche
qui finisco per sconvolgere il piano di viaggio del buon Matteo:
vorrebbe risalire, lui, al Colle Quazzo e poi ai Giovetti, e da lì a
Bagnasco, infine a Battifollo ed a Ceva. Sarebbe un gran bel finale,
non lo metto in dubbio, ma, al mio ritmo, raggiungerei l'auto col
buio o quasi... E, soprattutto, col freddo dannato che al buio si
accompagna. Preferisco un più modesto percorso da Garessio a
Bagnasco, con salita a Battifollo e rientro a Ceva, anche se il mio
compare storce il naso per via del tratto di qualche km da percorrere
sulla strada di fondovalle. In effetti, qualche auto di troppo ed un
curioso personaggio che butta palate di neve in mezzo alla strada per
spostarla dall'ingresso di casa ci accompagnano verso la ridente
località tropicale, mannaggia la miseria, di Bagnasco City; se non
altro, è un bel tratto di pianura al sole. Appena oltre il semaforo,
ci attende il bivio per Battifollo. Si comincia a salire per
rispondere alla fatidica domanda di sempre: ma la mezza torre di
Battifollo, mezza nel senso verticale, sarà ancora in piedi? Chissà.
Qualche strappo, qualche tornante; Matteo si lancia in un allungo,
mentre io resto, come sempre, ostinatamente fedele alla mia marcia da
carro funebre. La luce si attenua; non sono più le brevissime
giornate di dicembre, ma il sole non riesce ancora a farsi
rispettare. L'entusiasmo dei suoi raggi si spegne sui rami ancora
morti, scuri e tetri del bosco; non un fiorellino, nemmeno una gemma.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Le
gambe girano ancora gagliarde, nei limiti delle mie possibilità, e
la mezza torre di Battifollo compare prima del previsto. E' un
paesaggio davvero suggestivo: credo lo ritenga tale anche l'autista
del fuoristrada che viaggia in senso contrario a me, che prima invade
un po' della mia corsia e poi si ferma. Quella torre è una beffa
alle regole della fisica; il suo aspetto, poi, nella grigia stagione
invernale è ancora più inquietante.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Matteo
spunta in discesa, già ben vestito e coperto; di lì a poco, in
paese, mi fermo anch'io: tempo di indossare tutto quel che ho, sotto
la guardia attenta e chiassosa di tre o quattro pasciutissimi
cagnetti in un cortile. Direzione Ceva, l'ultima discesa, sempre
troppo lunga. Fin troppo facile prevedere che quel cagnotto, legato
alla padrona da un guinzaglio allungabile, attraverserà la strada...
Tempo di raccomandare a Matteo "Occhio!", che la bestiola è
già dall'altro lato della carreggiata rispetto alla madama molto
svampita e poco responsabile: in mezzo, il cavo del guinzaglio. Roba
da disintegrarci tutti quanti, umani e cani... La discesa prosegue
con cautela; ghiaccio non ce n'è più, ma l'asfalto è viscido di
fanghiglia e sale. E fa freddo... Questa è una delle poche
circostanze in cui la vista dell'autostrada mi è di gran conforto.
Oltre il cavalcavia che la sorpassa, siamo a destinazione: la
rotonda, un passaggio in paese e su per l'ultimo strappo, dove un
simpatico automobilista si attacca al clacson per ottenere spazio,
salvo poi fermarsi cento metri più avanti per rispondere al
prepotente richiamo della vescica. Mi vien quasi da fare al suo
indirizzo il gesto del pollice e dell'indice tesi, paralleli e con i
polpastrelli molto vicini... Ma non è il caso di attaccare briga,
proprio alla fine di una bella giornata. Anzi, mi concedo persino la
progressione sull'ultimo tratto della salita, giusto per accumulare
un briciolo di calore prima di raggiungere l'auto. La Zafirona ed il
furgone blu elettrico sono ancora lì in attesa. 145 km e circa 3.200
m di dislivello in salita; la fame si fa sentire: meno male che la
mamma di Matteo ha pensato alla torta salata!</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com312073 Ceva CN, Italia44.3862535 8.029079444.3635585 7.9887389 44.4089485 8.0694199tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-73108447406912160662013-03-11T08:46:00.000+01:002013-05-10T08:53:38.605+02:0010 marzo 2013 - DI CORSA DA CEVA A SPOTORNO<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Il
marchingegno automatico del casello autostradale di Ceva, oggi,
dev'essere in confusione: invece di mangiarselo, come fanno di solito
tutti i caselli o perlomeno quelli che frequento di solito, mi
restituisce il biglietto che ho appena inserito. Purtroppo, però, i
soldini se li tiene, e neanche pochi: cinque euro e settanta per
pochi km di autostrada, credo sessanta. Ceva mi accoglie con una
temperatura che, dato il clima abituale di questa sezione distaccata
di Antartide, si può quasi definire tropicale, ben quattro gradi
alle cinque del mattino passate da poco. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Parcheggio
la Zafirona nella solita piazza centrale, appena sotto la stazione
ferroviaria, in modo da ridurre al minimo il tragitto che dovrò
percorrere a piedi, stasera, con le gambe disintegrate. Giacca,
berretto, guanti, zaino: pronti, via, si parte, alla luce giallognola
e fioca dei lampioni, in compagnia di un paio di viandanti notturni
dall'aspetto a metà tra stravolto ed addormentato. Tempo di
percorrere duecento metri e... Alt, indietro tutta, il telefono è
rimasto in auto! Fosse solo per me, potrebbe restarci, in auto; anzi,
già che ci sono, lo catapulterei direttamente nel Tanaro, visto che
ce l'ho qui a disposizione... Ma la mamma è sempre la mamma,
potrebbe aver bisogno e in ogni caso vuole sapere come va in tempo
reale! E poi ci sono i Tittoni, ho necessità di sapere notizie dei
Tittoni almeno un paio di volte nella giornata.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">La
seconda partenza è quella buona. Supero il viale centrale del paese,
in direzione di Mombasiglio. Nel silenzio dell'ora mattutina, mi
giungono le voci concitate di quella che ha tutta l'aria di essere
una lite: poco più avanti, quattro o cinque energumeni davanti alla
saracinesca sprangata di un bar altercano con fare minaccioso. Passo
oltre con un certo timore, sperando che nessuno si interessi a me...
In effetti, credo non si accorgano nemmeno del mio passaggio. Supero
il ponte e la rotonda e procedo in direzione di Battifollo; la strada
sale ed offre un bel panorama sulle luci di Ceva e del circondario.
Di certo, lo spettacolo notturno è più suggestivo di quello diurno:
eccezion fatta per il centro dell'abitato, tutto il resto è
un'accozzaglia di capannoni e strade.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">La
mia presenza suscita la viva indignazione dei cagnetti e cagnoni a
guardia dei giardini, probabilmente poco avvezzi ai viandanti
mattutini. Posso solo immaginare il fremito di paura dei proprietari
di casa, svegliati di soprassalti dall'abbaiare furioso dei
quattrozampe. Di questi tempi, corro quasi quasi il rischio di essere
impallinata, a maggior ragione man mano che mi allontano dall'abitato
e percorro tratti più isolati. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">La
strada sale decisa appena superato il cavalcavia dell'autostrada.
Qui, all'aperto, il termometro dev'essere sceso parecchio; un refolo
di vento contribuisce a rendere più acuta la sensazione di freddo.
Affronto il primo tornante all'interno della curva: il piede,
appoggiato all'asfalto con la decisione dell'andatura di corsa,
scivola; l'altro piede lo segue a ruota: a momenti mi ritrovo lunga e
distesa per terra... Meglio tener conto del ghiaccio. La neve,
abbondante a bordo strada, si scioglie durante il giorno e forma
colate d'acqua che di notte si trasformano in un micidiale strato
scivolosissimo. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Non
c'è bisogno della luce frontale; la luna non si vede, ma la striscia
bianca a bordo strada è più che sufficiente ad indicare la
direzione. Inoltre, spesso sulla strada si affacciano case e cortili.
Nel buio delle pareti spicca già qualche quadrato luminoso, qualche
autoctono mattiniero come me. Mi sembra quasi di sentire il profumo
del caffè... Andrebbe tutto bene, se non fosse per il freddo
intenso. Pessima decisione, quella di privilegiare la felpa, sia pure
spessa, rispetto alla giacca che ripara meglio l'aria. Mi sembra di
essere assalita dagli spifferi... Il freddo alle spalle ed alla
schiena mi mette in agitazione, non lo sopporto.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Buio
e silenzio assoluto sulla strada e nel bosco; solo lo scorrere
impetuoso di tanti rivoli d'acqua e, a seconda dell'orientamento del
pendio, il fruscio dei rami e dei cespugli. Non posso dire di
sentirmi in gran forma, proprio no: fatico, sono senza forze, fiacca,
ho freddo. Ma ormai mi conosco: so bene che all'inizio è sempre
così, e pazienza se l'inizio dura venti e più km. Andrà meglio,
più avanti. In qualche tratto cedo alla tentazione della camminata,
sia pur veloce: probabilmente ce la farei, a correre anche i tratti
più ripidi, visto che, su questa salita, di ripido c'è ben poco. Ma
il viaggio è lungo... Meglio conservare le forze ed i muscoli
integri. Intanto tengo d'occhio i cartelli con l'indicazione dei
chilometri: dovrebbero essere dieci, dall'uscita di Ceva a
Battifollo. Scorrono lenti e travagliati. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Il
primo accenno di alba mi coglie più o meno a metà salita, appena
una sfumatura nel cielo nerissimo. Ed anche la prima auto, che sento
giungere alle spalle: la sento rallentare, passarmi accanto con
cautela, la vedo ripartire. Posso solo immaginare lo sguardo
perplesso dell'automobilista mattutino. Seguono, a breve distanza di
tempo, altri due fuoristrada. Non si può dire che ci sia molta gente
in giro da queste parti...</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">L'affascinante
ed insieme inquietante sagoma della mezza torre di Battifollo mi
appare ben prima di quanto me l'aspettassi, e pure in un punto dove
non avrei creduto di vederla: rispetto a me, tutta a destra. Quindi
la strada qui fa un ampio curvone verso destra... Incredibile, quanto
ci si perda di un paesaggio, se si percorre una strada sempre e solo
nello stesso verso. Io da qui sono sempre passata in discesa, in
bici... In salita, la prospettiva è tutta diversa. Mancano tre
chilometri all'abitato, così dice il cartello: la torre è una lama
nera che squarcia il velo scuro del cielo, dove pian piano si fa
strada un po' d'azzurro. Gioia per gli occhi, quest'alba, ma non per
il resto del corpo: quassù, dove la strada corre più esposta al
vento, il freddo è feroce, morde le gambe, le spalle, la schiena. Mi
sento a disagio: il freddo è da sempre uno dei miei peggiori nemici;
uno dei tanti, purtroppo, perché di certo io non sono un cuor di
leone... Temo il freddo, temo la pioggia, il vento, la nebbia,
insomma, fatemi correre con il solleone del pomeriggio sahariano e ve
ne sarò grata!</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Il
momento è pura poesia, ma sono costretta mio malgrado ad infilarci
un intermezzo di prosa: sosta tecnica lungo uno dei pochissimi
sentieri vagamente praticabili, in parte sgombro dalla neve e non
troppo paludoso. Inutile dire che la parte migliore di me, così
crudelmente esposta al gelo, si iberna all'istante. Sarà anche per
questo che la ripartenza è particolarmente vigorosa... </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Sotto
un cielo screziato di viola, arrivo alle prime case di Battifollo.
Qualche camino fuma, ma in giro non c'è un'anima. Manifesti
elettorali e manifesti mortuari si contendono l'occhio del passante;
ghiaccio a terra, silenzio, immobilità. La prima salita finisce qui:
ora si va giù, destinazione Bagnasco, non prima di aver scattato un
paio di foto alla torre che, in questo momento, svetta proprio sopra
la mia testa. Dovrebbero essere sei km, da qui al gelido fondovalle.
E se, quassù, un pallido sole sta tentando di spedirmi pietoso i
suoi raggi ed infondermi un po' di tepore, giù in valle sarà un
supplizio di gelo e nebbia. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Ampie
curve mi accompagnano giù verso la coltre bianca che nasconde
l'abitato. Incontro solo un paio di auto; per il resto, tutto tace.
Ghiacciano anche i rumori del bosco.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Sono
ormai alle porte di Bagnasco quando squilla l'odiato cellulare: non
sarei tranquilla senza il collegamento diretto con casa,
nell'eventualità che mia mamma avesse bisogno di me, ma nutro un
odio viscerale verso questo aggeggio. L'idea di essere sempre, o
quasi, reperibile mi dà angoscia. Non sono indispensabile...
Lasciatemi in pace! E invece no, la genitrice vuole accertarsi che io
sia viva e vegeta. Così mi tocca sfilare i guanti e, con le dita
irrigidite, frugare nella tasca dello zaino alla velocità della
luce, perché la mater è anche impaziente. Addio alla poesia del
gesto regolare della corsa. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Archiviata
l'inopportuna telefonata, attraverso la strada principale di
Bagnasco, per dare inizio alla seconda salita, verso il Colle dei
Giovetti. Il freddo è rabbioso; anche qui, ghiaccio ovunque, per
terra e sulle chiome degli alberi. Chissà se, e quando, un raggio di
sole scenderà fin giù. Se non altro, il cielo è limpido...</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Le
gambe non sembrano gioire della nuova salita, che pure, all'inizio, è
davvero appena accennata. Sono un po' inchiodate. Cataste di legna
coperte di brina a bordo strada; un solo essere umano attraversa il
paese, oltre a me. Ci salutiamo con diffidenza reciproca: l'uno pensa
dell'altro che si tratti di un miraggio, è probabile. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Quando
la strada prende a salire sul serio, mi converto all'andatura di
passo, svelto ma pur sempre passo. La strada è lunga, meglio
risparmiare le energie. Finalmente la luce del sole penetra fino a
me, sia pure solo a chiazze: è spettacolare il gioco di riflessi con
la brina sulle chiome degli alberi; merita un paio di foto, anche se
so già che la mia idea della foto da scattare non corrisponde
affatto a quel che in effetti ne verrà fuori. Sui successivi
tornanti, un po' di luce mitiga di quando in quando il rigore della
temperatura. Osservo la strada che sale fra i tronchi ancora spogli,
anche se ormai la conosco a memoria; proseguo a passo il più
possibile svelto. In salita mi scaldo, ma già temo per il brivido
della discesa...</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Al
colle, la desolazione di sempre, bellissima. Il sole scioglie la
brina su rami degli alberi, sembra che nel bosco venga giù il
diluvio; a me tocca, ancora una volta, ripiombare a fondovalle, dove
ormai dispero che arrivi un po' di tepore. In discesa, complice la
forza di gravità, posso riprendere la corsa, mentre tutto intorno a
me ancora tace: solo, ogni tanto, dai rami piomba giù un grumo di
neve che si sbriciola prima di toccare terra. Oggi i muscoli non si
rassegnano al clima; strillano anche se non fanno fatica, sono
rigidi. E il passo è per forza ingessato. A fatica, raggiungo nella
tasca dello zaino l'ultimo Mars che ho trovato in casa; a parte la
consistenza marmorea per il freddo, è delizioso... Di bere, invece,
non se ne parla, non ho nemmeno la borraccia. Confido di trovare,
prima o poi, un rivolo d'acqua accessibile e più o meno potabile.
Dovrebbe esserci, appena prima di Calizzano, una delle tante fontane
provviste di statua della Madonna: con poca coerenza, visto che non
nutro affatto simpatia per il soggetto e per tutti i suoi affini, ne
approfitterò. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Curva
dopo curva, come previsto, la foschia mi avvolge. Non è fitta, ma è
quanto basta per intirizzire le ossa. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Non
finirò mai di benedire la mia diffidenza nelle previsioni meteo, che
per oggi avevano annunciato una giornata quasi primaverile. Altrove,
forse... Non qui, climaticamente una enclave della Norvegia. Cerco
altri pensieri per distrarmi dal pensiero delle mani gelide, ma
quelli che trovo sono altrettanto antipatici, casa, lavoro. Forse
sono ancora meglio le dita gonfie e rosse tipo salsiccia. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Attraverso
la borgata quasi deserta: solo una casa ha il camino che fuma; tutte
le altre sono sprangate, la neve accumulata davanti ai cancelletti
d'ingresso, le porte protette da pannelli di plastica o metallo fino
a mezz'altezza. Io mi lamento del costo del riscaldamento a
Carmagnola, ma qui, per raggiungere una temperatura che niente niente
consenta l'esistenza di una forma di vita in casa, credo si debba
bruciare mezza Foresta Amazzonica all'anno. I campi sono
ostinatamente ricoperti di neve; i cavi dell'elettricità, abitati
solo da qualche corvo, neri sul bianco dello sfondo, sembrano quasi
spartiti musicali.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">La
mia corsa, a questo punto, è proprio penosa. Supero il primo e poi
il secondo ponte sul torrente; un paio di sentieri che si inerpicano
tra i tronchi spogli del bosco attirano la mia attenzione. Chissà
dove portano? Sono anche segnati... I ruderi pericolanti, poi
l'ultima curva che mi porta in vista di Calizzano. Qui dovrebbe
esserci la fontana... Infatti la trovo. Una targa millanta chissà
quali virtù curative di quest'acqua: e capirai... Fosse almeno
frizzante, di già che afferma d'essere così speciale! In realtà,
non amo l'acqua naturale, affatto... Almeno per il palato, è come
non bere proprio nulla, ma è sempre meglio la fontana di una
borraccia che sballotta nello zaino. L'acqua balla comunque, anche se
la borraccia è ben fissata in una tasca.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Dopo
aver prosciugato lo zampillo dell'acqua, riparto verso Calizzano, le
gambe sempre più appesantite. Il lungo rettilineo prima del paese
"fuma" per effetto del calore del sole; tutt'intorno, le
montagne sono ancora cariche di neve. Calcolo con una certa
preoccupazione la strada che mi resta da percorrere: con i garretti
in questo stato... A Calizzano, qualche anima osa aggirarsi per il
paese. Dovrei aver percorso poco meno di quaranta km, occhio e croce;
quindi, ormai è mattino avanzato... Superato il paese, la strada
torna a salire blanda. Mi impongo di correre almeno fino all'inizio
del tratto nel bosco, gli ultimi sei km di faggi e di curve.
Raggiungo la borgata con l'unico negozietto che vende di tutto, dal
pane al detersivo; più avanti, l'agriturismo. La fame si fa sentire,
ma non ho più nulla per placarla. Provvederò più avanti. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">A
fatica raggiungo, di corsa stentata, l'obiettivo che mi ero
prefissata; di lì in poi, cedo alla tentazione della camminata a
passo svelto, anch'essa faticosa ma meno massacrante per i muscoli
ormai doloranti. Beh, che dire, la mia condizione sportiva non è mai
stata brillante, ma oggi sono proprio a terra... </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Perlomeno,
le stalattiti che pendono giù dai muretti in pietra sul bordo della
strada sono quasi dissolte; ne restano solo i monconi sgocciolanti.
Salgo di buon passo, guardandomi intorno; questo è il bosco in cui,
anni fa, ho scoperto l'esistenza di quel curiosissimo fenomeno
chiamato "anastomosi", una sorta di "ponte" tra
due alberi, un ramo che sembra nascere da entrambi i tronchi e fa da
collegamento... Da allora, ogni volta che passo di qui, butto
l'occhio per scovarne qualche altro caso. Oggi, infatti, sono
fortunata: aguzzando la vista ne scopro un'altra, evidentissima, a
cui scatto qualche foto. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Mi
preoccupa un po' quel che vedo in direzione del colle, ancora
lontano: sembra uno strato di nuvole scure... Vuoi vedere che io da
ore bramo il calore della riviera e invece di là, oltre il Melogno,
mi ritroverò nella nebbia? In effetti, chilometro dopo chilometro,
mi avvicino alla coltre scura, mentre, ironia della sorte, in
direzione della Valle Tanaro il sole illumina le cime. Pazienza,
indietro non si torna, ormai, anche perché sarebbe lunga assai.
Affretto, per quanto possibile, il passo; chiudo per benino la
cerniera della giacca antivento, che speravo di levare parecchie ore
fa e che invece mi è ancora indispensabile. I cartelli che indicano
km e centinaia di metri mi informano che ormai al colle manca poco:
il sole è sparito oltre la nebbia. Mi resta ancora la speranza che
si tratti di un nuvolone che ha incappucciato solo le vette...</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">La
trattoria del Melogno è una vera tentazione. Per fortuna, il
capannello di gente che è lì lì per entrare mi fa desistere dal
proposito gastronomico; questa piccola orda di barbari affamati
monopolizzerà i titolari per un po'... Ed il mio panino andrebbe per
le lunghe. Meglio puntare all'altro bar, al bivio con la strada che
va verso Pian dei Corsi, tra un km o poco più. Supero la galleria
del forte, anche se, con mia gran sorpresa, noto un cartello di
divieto di passaggio ai pedoni: mi spiace ma non vedo alternative...
Vorrà dire che non sarò arrestata per questo. Ciò che vedo
dall'altra parte annienta ogni residuo barlume di speranza: nebbia.
Il mare, questo sconosciuto, risulta oggi non pervenuto. Rassegnata,
riprendo la corsa, con gran dolore delle gambe ancora più
inchiodate. La discesa è lunga, sedici km... O la va, o la spacca.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Un
altro curioso fenomeno vegetale attira la mia attenzione, nonché
l'obiettivo della macchina fotografica: due aberi, un faggio ed una
conifera nella cui identificazione non mi cimento, hanno i tronchi
letteralmente fusi l'uno nell'altro per un breve tratto. Chissà chi
ha mangiato chi... </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Da
una delle prime case, mi abbaiano due cani ormai noti, un Sanbernardo
ed un botolino a pelo lungo. Mi piacerebbe un sacco coccolarli, ma
non oso importunare i padroni di casa, presenti in cortile.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Un
certo senso di panico mi assale quando mi rendo conto che il bar,
l'ultimo prima di arrivare al mare, è chiuso... Ma immediatamente
m'illumino d'immenso: la nebbia svela, sul piazzale proprio di
fronte, il banchetto del venditore di formaggi. E' vero, mi sono
ripromessa di diventare, pian piano, vegetariana integralista,
vegana, insomma; per coerenza, la toma sarebbe vietata... Ma il mio
stomaco non è affatto coerente; prende il controllo della situazione
e mi trascina davanti alla lussuriosa esposizione di leccornie. Il
simpatico venditore, un omone dall'aria paciosa, completa l'opera
porgendomi un boccone di formaggio dolce e fresco. In men che non si
dica, il mio zaino accoglie una bella fetta da tre etti di toma. Il
formaggiaro mi chiede che giro io stia facendo e rimane perplesso
alla mia risposta: non so se ci creda davvero... Comunque sia, mi ha
salvato la vita. Contenta come una Pasqua, riparto di corsa con il
mio dolce ed odoroso peso supplementare; farò merenda lungo la
discesa. La compagnia della toma allevia un po' il male alle gambe,
che ormai si fa sentire prepotente, ed anche la tristezza della
nebbia che avvolge ed annulla la mia speranza per un po' di tepore. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Incontro
parecchi ciclisti che salgono con ogni tipo di mezzo, dalle bici da
corsa ai pesantissimi trabiccoli da downhill. Ci vuole coraggio per
affrontare l'ascesa al Colle del Melogno con quelle bici pesantissime
ed ammortizzate: infatti, la maggior parte degli appassionati della
disciplina suicida, da queste parti, va su con i furgoni e le bici
nel rimorchio. Non li invidio in ogni caso: almeno per me, scendendo
verso mare, la foschia si attenua un poco. Il mare, più che vedersi,
si intuisce, anche se ormai da qui sono ad un tiro di schioppo.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Levo
finalmente i guanti e, senza smettere di correre sia pure a passo di
lumaca anziana, sbrano un pezzo di toma. A Gorra, per fortuna, la
fontanella rimedia all'arsura del formaggio... Giusta punizione per
la mia golosità.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Alla
fine della discesa, ho la sciagurata idea di passare da Finalborgo. E
sì che ormai mi conosco da quasi trentadue anni; sono capace di
perdermi in un bicchier d'acqua... Succede, infatti. All'uscita del
borgo, imbocco la strada lungo il torrente, ma nella direzione
sbagliata. Il sospetto mi coglie quando butto l'occhio alla direzione
della corrente: è contraria alla mia... Sto andando verso monte
anziché verso mare. Per carità, sono poche centinaia di metri da
ripercorrere al contrario, ma non ne sentivo il bisogno... </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Faticosamente,
tra un marciapiede, un passeggino e varie altre insidie ai miei
garretti, conquisto il mare. E questa è una certezza anche per il
mio scarso senso di orientamento: da qui, per raggiungere Savona o
almeno avvicinarmi, non mi resta che tenere le onde alla mia destra.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Il
sole latita, anche in Riviera. Soffia un vento freddo, per fortuna
non così intenso. Beh, non tutto il male viene per nuocere: il meteo
cupo scoraggia i turisti da passeggiata, soprattutto quelli con torme
di marmocchi al seguito. Sopporto volentieri il disagio del clima, in
cambio della quiete. Mare e cielo hanno lo stesso colore metallico...
Ciononostante, qualche temerario osa avventurarsi in spiaggia in
tenuta da bagnante. Sarà qualcuno che ha una fiducia ostinata ed
incrollabile nelle previsioni del tempo, che per oggi promettevano
una giornata calda ed asciutta. Rabbrividisco al solo pensiero: sarà
che io sconto anche un po' di stanchezza e patisco il vento perché
sono sudata, ma mai e poi mai rimarrei all'aperto con meno di due
strati di vestiario, oggi. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Le
gambe sono tutt'altro che in forma. Legnose, doloranti, oggi va così.
Sono un po' delusa, anche se, in tutta onestà, non è che potessi
aspirare ad un risultato molto migliore di questo. Grazie, si fa per
dire, a quella stramaledetta 24 ore a circuito di San Benedetto del
Tronto del primo dicembre... Oltre ad aver seriamente rischiato di
demolire l'auto nel viaggio di ritorno, mi sono anche procurata
un'infiammazione con i controfiocchi al ginocchio destro: ormai ero
quasi arrivata a credere di non poter più correre... Dieci km al
massimo e poi il dolore sull'esterno del ginocchio spuntava e
cresceva nel giro di poche centinaia di metri, fino a rendermi del
tutto impossibile la corsa. Ho sempre confidato nella capacità del
mio corpaccione di risolvere da sé i guai, senza andare a sprecare
soldi miei e soldi del Servizio Sanitario Nazionale in chissà quali
visite ed esami specialistici, ma devo ammettere che questa volta
sono giunta a nutrire qualche dubbio in proposito. Per fortuna, alla
lunga, per questa volta ho ancora avuto ragione; sia pure tra
improperi, dolore, rabbia e tristezza al pensiero di non poter più
correre, il problemaccio, com'era arrivato, se n'è andato. Il guaio
è che due mesi di seri allenamenti sulla distanza sono andati in
fumo... E probabilmente ho messo su della gran ciccia. Pazienza:
tocca rassegnarsi. </span></span>
</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Mentre
corricchio a velocità da carro funebre sul lungomare, quasi stordita
dal movimento regolare di un mare quasi placido nonostante il vento,
mi rendo conto che forse è il caso di tenere d'occhio l'orologio.
Avendo io viaggiato fin qui con molta lentezza, ho fatto tardi: a
Savona, di questo passo, non arrivo di certo prima delle sette e
mezza. Già, ma poi? Ci saranno ancora treni per Ceva, e quando? Già,
un viaggiatore accorto e previdente si sarebbe preparato una
tabellina con gli orari delle partenze dalle varie stazioni, da
Finale a Savona. Io non ho la più pallida idea di niente di tutto
ciò. Mah... Finale, Varigotti, le bellissime scogliere, oggi ancor
più arcigne per effetto della luce; i gabbiani con le loro grida
stridule; la vista sulla costa, che ogni tanto sfuma nella foschia; i
brividi per le folate di vento. Non mi va giù l'idea di non arrivare
a Savona, ecco... Ma le gambe stanno cercando di farmi capire che non
hanno intenzione di portarmi fin là di corsa. Il mio viaggio rischia
di diventare eterno... OK, la costa non è il deserto; non è grave
perdere l'ultimo treno, alla peggio si dorme in stazione e si prende
il primo dell'indomani. Ma scoccia, anche perché a casa ci sono i
miei beniamini pelosi in attesa.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">A
Noli la stazione non c'è, almeno credo. Passo lungo la spiaggia,
butto l'occhio ai cartelli stradali, ma non vedo nulla che mi ispiri.
A Spotorno, il prossimo paese, se non erro dovrei essere più
fortunata... Raccolgo le ultime forze per allungare ancora un po' il
passo: sempre più rari i pedoni che incontro sulla mia rotta. Il
vento rinforza, la luce cala; è ora, per chi può, di ritirarsi al
calduccio. Ma a Spotorno ci sarà poi davvero la stazione? E' la
domanda che comincia a tormentarmi. Curioso, come la stanchezza
ingigantisca piccoli problemi che in realtà non sono degni della
benché minima ansia. In fondo, se anche non dovessi trovare un
treno, non ci sarebbe poi nulla di male... Prima o poi, ne arriverà
per forza uno!</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif;"><span style="font-size: x-small;">Con
il cuore in gola, non solo per la fatica, entro in paese. Poche
centinaia di metri e, con sollievo, addocchio il cartello con il
simbolo del treno. Perfetto... Abbandono il lungomare, seguo le
indicazioni. La stazione appare, effettivamente, di lì a poco. Mi
precipito, come posso, al tabellone dei treni: partenza per Torino,
17.25... Guardo l'ora e mi affloscio: sono le 17.27. Il prossimo
treno sarà tra due ore... In un impeto di disperazione, pigio
forsennatamente i tasti del bigliettaio automatico, che, per fortuna,
non si offende per la mia mala grazia. Poi, con le residue forze,
schizzo al binario deputato. Vedere un fitto assembramento di persone
mi rincuora... "E' già partito il treno per Torino?",
chiedo al primo viaggiatore in attesa che mi sembra avere la faccia
di chi sa quel che dice; "No... E' in ritardo". Beh...
Credo di non aver mai gioito così tanto, di cuore, per il ritardo di
un treno. E' proprio vero; io viaggio in treno una volta ogni morte
di Papa e puntualmente incappo in un ritardo... Mi vien da dire,
questa volta, meno male! Trovo persino una cabina in cui cambiarmi la
maglietta al riparo dal vento gelido. Ancora qualche minuto e la
locomotiva spunta fischiando. Il tragitto è di quelli in stile carro
bestiame; manco a pensarci, di trovare un sedile; ancor grazie che si
trovi spazio vitale in piedi. Mi ritrovo in mezzo ad una vera babele
di lingue, stili e motivi di trasferta: dai pensionati che fanno la
spola tra Torino e la Riviera agli studenti fuori porta, alla
famigliola di orientali, credo filippini, ai vù cumprà vocianti con
la loro voluminosa mercanzia. In tutta sincerità, non amo la
multietnia e non riesco a trovare nulla di pittoresco in tutto questo
crogiolo di origini... Ma faccio buon viso a cattivo gioco, il
viaggio è breve. E pazienza se il posticino a sedere che
faticosamente mi ritaglio - per terra, accanto ad una delle porte - è
spazzato dalla corrente gelida degli spifferi, e pazienza anche se la
stanchezza mi provoca un fortissimo mal di testa. Mi consolo con
l'ultimo frammento di formaggio, alla faccia dell'igiene e delle mani
ormai lerce - a cosa serve il sistema immunitario altrimenti? -
finché mi accorgo di essere ormai a destinazione. La Zafirona è
ancora lì, in paziente attesa; mi ci fiondo e, per prima cosa,
accendo il riscaldamento al massimo. Poco più di settanta km nelle
gambe, occhio e croce, mi rendono arduo persino manovrare i pedali...
E il fatto di patire la lunga distanza, per me, è un duro colpo
all'orgoglio. L'unico mio lato positivo è sempre stato proprio
quello di reggere bene la fatica prolungata; se mi s'incrina questa
certezza, sono dolori... Coraggio, datti da fare Gian, tira via la
ruggine. Ci vorrà un po' per recuperare, ma è ora di scrollarsi di
dosso un bel po' di patemi, fisici e morali. La radio a tutto volume
terrà lontani i mugugni, almeno fino a casa. Poi affogherò la
tristezza tra peli e bava dei miei beniamini: la migliore psico e
fisioterapia!</span></span></div>
casahttp://www.blogger.com/profile/10721676370378960701noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7893910088471592057.post-16884477944524350842012-09-09T00:21:00.000+02:002012-09-17T00:23:57.529+02:009 settembre 2012 - ADDIO TOR DES GEANTS<div align="JUSTIFY" style="page-break-before: always;">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Gli
strizzacervelli sostengono che "esternare" sia un valido
aiuto per elaborare un lutto. A me, il verbo "esternare" fa
orrore; proporrei piuttosto di internare chi l'ha coniato. Tuttavia,
a parte la forma, sono d'accordo sulla sostanza: parlarne, a voce o
per iscritto, attenua il dolore. Ergo, eccomi qui, reduce da un breve
giro in mountain bike fino alle prime propaggini di collina, in quel
di Ceresole d'Alba e dintorni. Come ieri sera. Due tramonti molto
diversi, entrambi stupendi. Tormentato di nuvoloni neri dai contorni
incandescenti, incastonati su un cielo di metallo, quello di ieri, e
coronato da un arcobaleno intero, da terra a terra. Limpidissimo, la
luce di un incendio attraverso l'aria spazzata dal vento, una brezza
che sembrava il mare d'inverno, stasera. La corona delle cime
nettissima tutt'intorno; spiccava la guglia del Cervino, bellissimo,
anche da qui, anche se forse proprio oggi avrei dovuto essergli ben
più vicina, se tutto fosse andato come speravo. Ma è da un po' di
tempo che nulla va come io spero...</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: small;"><br /></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">"Deve
rassegnarsi, signorina" commenta il medico, mentre armeggia con
provette e lacci emostatici. "Non ha più vent'anni". Con
il braccio sul tavolo del prelievo ed il viso girato da tutt'altra
parte, per limitare il rischio che il terrore mi faccia crollare a
terra come una pera matura, sono troppo avvilita per rispondere come
dovrei. E poi non posso reagire, la mia vena è alla sua mercè... Se
sono qui, è solo perché mi sento proprio con le spalle al muro.
Altrimenti, mai e poi mai mi sarei rassegnata alla trafila della sala
d'attesa, della ricetta medica, delle analisi. Il fatto è che, così,
non posso più andare avanti, proprio nel senso letterale
dell'espressione. Tutto ciò che desidero è tornare a correre come
prima. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: small;"><br /></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Tutto
sembrava andare per il meglio, domenica mattina. Nove ore di sonno
profondissimo, nel minialloggio che Matteo e la mamma hanno preso in
affitto per la settimana della gara; colazione pantagruelica,
bagaglio organizzato, una volta tanto, nei minimi dettagli. Ultime
ore di vigilia di un appuntamento sognato per un anno intero, notte
dopo notte e giorno dopo giorno, fin dal primo istante successivo al
traguardo dell'edizione 2011; immaginato, rivisto, pensato,
raccontato, vissuto tra me e me in ogni attimo possibile, in coda
agli sportelli di qualche ufficio pubblico, nella quiete di un lungo
viaggio in autostrada negli allenamenti quotidiani, persino nella
concitazione di altre corse. Il cuore sempre, sempre lì. Ad un'ora e
mezza dalla partenza, non sto più nella pelle: seguo i preparativi
di Matteo, i suoi gesti lenti e studiati, con crescente
esasperazione. Non è umanamente possibile che si possa impiegare
tanto tempo per indossare un paio di calze o per legarsi le scarpe...
Io son pronta già da un'eternità! Sembra che lo faccia apposta, il
marrano; sento le mie pupille restringersi a capocchia di spillo.
Quando finalmente il sacro rito della vestizione sembra volgere
all'agognato termine, il maledetto produce un'idea geniale: "Ah
già, devo ancora preparare il the per la borraccia!". In un
sovrumano sforzo di autocontrollo, in omaggio alla presenza della
mamma, riesco ad evitare di commettere un omicidio con l'aggravante
della crudeltà, ma non ho intenzione di aspettare un attimo di più:
anche se la partenza è a un solo km di qui, prendo la porta e me ne
vado.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: small;"><br /></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Cielo
terso, non fa nemmeno così freddo. Sotto l'effetto dell'ipnosi, mi
avvio verso il centro di Courmayeur, con il battito del cuore che
accelera all'unisono con il crescere del brusio. Un cagnone nero, a
pelo lungo, gironzola da solo lungo il viale e mi concede di fargli
qualche coccola; altri cani portano a spasso padroni dagli occhi
ancora appiccicati di sonno, benché siano ormai quasi le nove.
Corridori spuntano da ogni dove, dalle viuzze laterali, dai bar, soli
o in gruppetti o accompagnati dalle famiglie. Spero di non rimediare
troppe brutte figure... So già che l'agitazione mi impedirà di
vedere e riconoscere i volti noti; passerò, come minimo, per
maleducata. Conosco ormai Courmayeur come le mie tasche, neanche ci
abitassi da una vita: i suoi negozi, le vetrine, i bar. E la piazza
in cui, stamattina, campeggia la griglia di partenza del mio terzo
Tor des Geants. L'emozione è pari al primo, anzi peggio, se
possibile... Perché la prima edizione è stata una scoperta, la
seconda mi ha regalato un risultato per me lusinghiero... La terza, è
inevitabile, porta con sé la speranza di riuscire ancora meglio. So
benissimo che un Tor des Geants, 330 km per 24.000 m di dislivello,
non si potrebbe mai dare per scontato, nemmeno dopo averne concluse
dieci edizioni di fila, perché troppe sono le variabili in gioco,
molte di carattere personale, ma molte altre, troppe, del tutto
indipendenti dalla volontà e dalle possibilità dell'atleta.
Allenarmi e saper dosare le forze dipende da me... Incappare in una
settimana di tempo splendido o di tregenda no, com'è ovvio, ed è
cosa che può cambiare radicalmente le sorti della prova. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Già,
il meteo. A quanto sembra, non sarà favorevole come gli anni scorsi.
Non ci sarà risparmiata qualche solenne lavata. Del resto, in alta
montagna, il sole e le notti stellate non sono affatto la norma; sono
solo uno dei tanti scenari possibili. Seduta sul bordo del
marciapiede, scruto quel minuscolo spicchio di cielo che s'insinua
tra i tetti della via: se non altro, la partenza sarà calda ed
asciutta. Così piazzata, all'altezza dei miei occhi vedo sfilare
mani che stringono bastoncini e mani che armeggiano con macchine
fotografiche di ogni genere, dal giocattolo al marchingegno
professionale. E cagnoni di ogni taglia, foggia, mantello, razza o
non razza, tutti convenuti a salutare i loro amici umani un po'
suonati. Penso ai miei tesori pelosi: mai e poi mai li vorrei al via
di una corsa... Sarebbe troppo doloroso, benché momentaneo, il
distacco, forse più per me che per loro. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: small;"><br /></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Il
brusio aumenta, un microfono gracchia, Matteo non si vede ancora. Ma
che fine ha fatto? Voleva prepararsi il the o piuttosto la ribollita?
Mi procuro un torcicollo per cercare di scorgere, tra la folla di
polpacci e ginocchia che vedo da quaggiù, la sua sagoma... Niente.
Amen, io non resisto più; mi alzo, malferma sulle gambe per
l'emozione, e raccolgo obbediente l'invito della voce del microfono:
gli atleti alla punzonatura. Faccio un po' fatica a riconoscermi
nella definizione di atleta, ma, se son qui agghindata in questo
modo, significa che, almeno formalmente, faccio parte della
categoria. Con il mio numero di pettorale, 99, ben esposto sulla
pancia, mi avvicino al gazebo, il braccialetto già orgogliosamente
esposto al polso destro, più prezioso per me di mille gioielli. Per
la terza volta, in un tempo che sembra volato, e che spero invece, di
tutto cuore, si fermi in questi giorni che mi attendono, diventi
lunghissimo, lentissimo, quasi eterno. E' proprio come se l'avessi
corsa solo ieri, questa gara. Le immagini, i paesaggi, le sensazioni,
le voci, tutto è vivo, nitido nella memoria. Mi fermo lungo il
corridoio di passaggio, un po' più sollevata dopo aver fatto il mio
dovere di registrazione; ma innumerevoli sono ancora i volti che
scorrono lenti ed ordinati, prima che compaia quello di Matteo. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Un
ronzio insistente ci fa voltare tutti con il naso all'insù: un
aggeggio che mai avevo visto in vita mia sta volando sopra le teste
dei corridori; è una minuscola telecamera, appesa ad una struttura a
croce con quattro eliche, una per ogni estremità, un aggeggio
radiocomandato che si aggira per la piazza, a svariati metri
d'altezza. In me si risveglia all'istante l'antica passione per le
macchine radiocomandate: all'epoca in cui, nei pomeriggi liberi della
scuola elementare, facevo correre una bellissima Chevrolet Corvette
in miniatura su e giù per l'orto della nonna, con rovinose derapate
tra le file d'insalata e passaggi assassini in mezzo alle piante di
pomodoro, coltivavo il sogno segreto di poter tenere tra le mani il
telecomando di un modellino d'aereo, di quelli alimentati a
cherosene, da far volare sopra i tetti di Carmagnola... Un desiderio
che già allora mi pareva talmente esagerato da non aver mai nemmeno
osato esprimerlo a mamma. Per un oggetto come quello che ora mi
volteggia sulla capoccia, avrei fatto follie...</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: small;"><br /></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Quando
ormai mi rassegno all'idea che abbia cambiato programma, ecco
arrivare anche Matteo, con l'espressione in viso del bovino condotto
al macello. Mi vien da ridere, perché oggi per me su tutto domina
un'euforia incontenibile... Sciagurata incoscienza! Il microfono
scandisce i minuti che mancano alla partenza, le ultime
raccomandazioni a cui nessuno presta più attenzione. Alla prima
telecamera volante se ne aggiunge un'altra, sorretta questa da una
struttura a forma di asterisco, con otto eliche che producono uno
spostamento d'aria impressionante. Il cielo, stamattina
affollatissimo, ospita anche alcuni parapendio a motore; il massiccio
del Bianco, immobile, osserva tutto questo sgambettare ai suoi piedi
e, ne sono certa, sorride divertito... Ciascuno dei minuscoli bipedi
brulicanti alle pendici del monte è lì con un suo motivo, un
obiettivo, addirittura una vocazione. Per me il Tor è tutto, non
saprei dire altro, è quanto di più straordinario la vita mi abbia
regalato: no, non esagero, è proprio così. Forse il buonsenso
suggerirebbe di dare più importanza ad altri aspetti, alla salute,
al lavoro, ecc. ecc.; tuttavia, è risaputo che, quando il buonsenso
veniva distribuito, io ho dimenticato di mettermi in fila. Al cuore
non si comanda...</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Occhi
bassi che fissano le scarpe, proprie ed altrui; ce ne sarebbe per
fare un sondaggio commerciale su marche, tipi, preferenze... Gambe
scolpite, gambe tatuate, gambe prigioniere in quelle ridicole calze
multicolori che saranno indubbiamente utilissime per la circolazione,
ma così brutte... Ma non è più tempo di badare all'estetica.
Inizia il conto alla rovescia e via. Si parte, mi sembra di scoppiare
di gioia; mentre passo sotto l'arco, penso che non c'è nulla al
mondo che possa darmi un'emozione paragonabile anche solo ad un
centesimo di questa. Si comincia al passo, mentre la folla di
corridori davanti sfila nella strettoia; poi di corsa lenta, ma solo
per far figura davanti al pubblico che festeggia, solo fino al ponte
sulla Dora, perché c'è discesa. Le telecamerine volanti non ci
mollano un attimo; i bambini che fanno il tifo picchiando le pentole
sono forse gli stessi degli anni scorsi, e chissà se, tra molte
edizioni del Tor, li si rivedrà ancora, ormai universitari, a
picchiare le pentole...</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: small;"><br /></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">La
salita al Col d'Arp comincia in coda, sul sentiero ripido e stretto.
Come in tangenziale di primo mattino nei giorni di lavoro, si procede
a strappi. Matteo è ancora qui alle spalle, tesissimo al suo
debutto, ma si vede lontano un miglio che frigge. Un po' l'ingorgo
infastidisce anche me, che amo prendere il mio passo e portarlo
avanti sempre uguale, ma è questione di poco. La colonna pian piano
si sgrana, il passo si allunga, nel fitto del bosco; il calpestio di
rami e foglie si sente lontano, a riprova di quant'è lunga la fila
di persone. 650 gli atleti al via, pare. I numeri non sono il mio
forte; mi pare che i metri di dislivello, per cominciare, siano circa
1.300 o poco più. E dire che conosco questa salita meglio delle mie
tasche!</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Il
chiacchiericcio si allenta; qualcuno già cerca di passare avanti.
Matteo per primo, ma lui può... Io resto a ruota; mi permetto il
sorpasso solo quando è strettamente necessario per evitare il
"tappo". il primo strappo molto ripido, appena usciti dal
bosco, calma i bollenti spiriti; anche lungo la successiva strada
sterrata, nessuno si lancia a correre. L'elicottero ci segue da
vicino, fa la spola tra noi della coda ed il gruppo di testa, che a
quest'ora sarà già oltre il colle. Non vedo cavalli qui nei
paraggi, ma dovrebbero esserci; si percepisce forte l'odore. Si torna
sul sentiero, in mezzo all'erba, accanto ai ruderi delle baite ed al
solito tubo che da anni convoglia l'acqua e da anni in questo punto
perde, sempre con lo stesso ronzio. Piano, un passo dopo l'altro,
anche se l'entusiasmo suggerisce tutt'altro. Mi sento abbastanza
bene, ma... C'è un "ma", non ben definito. Speriamo sia
solo colpa della colazione abbondante, o della mia solita avversione
ai primi venti km di qualsiasi corsa. Per prudenza, meglio restar
tranquilla. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Il
vallone si apre in vista del colle; da rettilineo, il sentiero
diventa man mano più tortuoso, una serpentina sempre più stretta e
ripida. Cerco silenzio e concentrazione. C'è qualcosa che mi
tormenta, ma non capisco cosa. Non ancora. Scollino ed attacco la
discesa di corsa, ma solo in quei brevi tratti in cui il fondo è
sabbioso, morbido e tuttavia sicuro. Una corsetta blanda, poco più
di una marcia, con i bastoncini pizzicati sotto le ascelle e le mani
sulle borracce, sistemate sugli spallacci. Niente da fare, non ho
ancora trovato un sistema davvero comodo per portarmi appresso da
bere. La borraccia nello zaino è scomoda, devi levarlo ogni volta
che vuoi bere. Nelle tasche laterali, quand'è piena, pesa ed aumenta
l'oscillazione dello zaino in corsa, per quanto si voglia stringere
la fascia a vita. Sugli spallacci sarebbe perfetta, se solo stesse
ferma durante la corsa... Neanche a parlarne. Lasciamo poi perdere le
varie sacche idriche, scomodissime da sistemare nello zaino.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Con
questo incedere oscillante, tipo il leggiadro volteggiare di un
rinoceronte, attraverso il lungo pendio tra i pascoli. Non sono
tanti, i corridori che mi sorpassano, per il semplice fatto che
dietro di me resta ben poca gente. Quattro chiacchiere qua e là; al
ristoro, la prima agognata dose di Coca Cola, un po' di zucchero,
cioccolato, limone e via. Qualcuno già domanda di un massaggiatore:
cominciamo bene...</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: small;"><br /></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Riprendo
la discesa, sempre la stessa corsa molto regolare e lenta, giù per
la strada a tratti sterrata, a tratti asfaltata, tranne un tratto su
sentiero ripidissimo per tagliare un tornante. Sulle cime spuntano
fiocchi di nuvole: il meteo, per questa sera, ha annunciato
possibilità di temporali. Continuo a corricchiare lungo la strada,
appena appena, fino al bivio con il sentiero che conduce a La Thuile.
A fondovalle, il rumore sordo delle auto che passano sotto i
paravalanghe. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Brevissima
risalita in compagnia di due fanciulle ed una pessima sensazione.
Improvviso e penetrante il mal di testa. Poche ciance, sono appena
all'inizio, passerà... Non è il caso che mi spaventi, né tantomeno
che mi affretti. Va benissimo procedere con calma. Il sentiero torna
a scendere, attraversa il corso secco e pietroso di due ruscelletti,
per poi attraversare un tratto di bosco profumatissimo e raggiungere,
infine, La Thuile. Anche qui ci attende un folto pubblico festante.
Attraversiamo alcune viuzze secondarie, per restare lontano dal
traffico e raggiungere il punto di ristoro al palazzetto. La mia
sosta è brevissima, giusto il tempo di riempire le borracce e
mangiare un po' di zucchero ed un po' di formaggio. Uno sguardo alla
sala gremita di atleti che se la prendono molto più comoda di me...
Il mio cruccio, adesso, è raggiungere almeno il prossimo colle prima
che cominci a piovere; a giudicare dalle previsioni, e soprattutto
dai nuvoloni che si rincorrono in cielo, direi che non c'è tempo da
perdere. Mi fiondo fuori dal palazzetto, con la tazza colma di pezzi
di cioccolato e di fontina, un connubio agghiacciante. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Concluso
il tratto di asfalto, si passa sul sentiero dietro il campo sportivo.
Brevissima ma secca risalita ed io, ancora una volta, storco il naso,
ma taccio, anche e soprattutto a me stessa. Attraversiamo l'ormai
nota via di mezzo tra zona industriale e parco, con alcuni
stabilimenti circondati dagli alberi. Per la prima volta noto un
impianto che ha tutta l'aria di essere quello del teleriscaldamento:
e chi l'avrebbe mai detto, che si potesse avere anche in montagna?</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: small;"><br /></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Altra
breve risalita interlocutoria, qualche centinaio di metri in
lunghezza, su sterrato, per tagliare le curve della strada. La fatica
che sento ogni volta che devo riprendere a salire è quantomeno
anormale... Ancora un po' di asfalto in leggera discesa, uno di quei
tratti in cui mi ero ripromessa di provare almeno a corricchiare. Ma
non ne ho le forze. Gian, cavolo, vuoi stare calma? E' solo l'inizio,
avrai più o meno 20 km alle spalle, te ne toccano ancora 310. Cosa
vuoi che cambino, nella realtà dei fatti, i tuoi due passi di corsa?</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Il
sentiero sulla sinistra, che imbocco tra gli incoraggiamenti della
piccola folla qui assiepata, segna l'inizio della seconda salita, il
Passo Alto, nomen omen, oltre quota 2.800. Tappa intermedia, il
Rifugio Deffeyes. Oltre il primo tratto pianeggiante, il sentiero
sale subito, aspro ed irregolare, tra i roccioni, nel bosco. Le
quattro parole che tento di spendere qua e là mi rendono evidente,
se ne avessi avuto bisogno, che in salita sto sprecando troppa fatica
e che mi manca il fiato. Quel che è peggio, il risultato di questo
gran dispendio di energie è quasi nullo. Tanti, troppi concorrenti
mi sorpassano in salita: non è un rammarico di carattere agonistico,
il mio; il guaio è che, in condizioni normali, non accade...
Insomma, la salita è uno dei miei pochissimi punti di forza. Oggi,
tutte queste grosse pietre, queste radici costringono a sollevare
molto i piedi, a spingere molto sui bastoncini, ed ogni volta è un
respiro profondo, troppo. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Nei
tratti in cui le fronde degli alberi lasciano spazio al cielo, quel
che vedo non è incoraggiante; una cappa scura, pulmbea, minacciosa.
Qualche goccia, qua e là, cade; s'è alzato un leggero vento che sa
di pioggia. Dannazione... Quest'anno ho messo nella mia dotazione
anche il poncho, ma per la prima tappa ho pensato bene di lasciarlo
nel borsone al seguito. Vuoi vedere che adesso mi servirà? Calma
Gian, calma... Hai comunque la giacca impermeabile. E poi, i pensieri
negativi assorbono energie preziose. L'unica speranza è che una
fettina di cielo sembra ancora sgombra; con un po' di fortuna, è
proprio nella direzione in cui andrà la corsa.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">In
un tratto ripido tra gli alberi, il compagno d'avventura che mi segue
esclama: "Dai, facci ridere un po'!". Riemergo dal profondo
delle mie cupe elucubrazioni: ma che stai addì? Alzo la testa e
capisco: "Capperi! Non è un'allucinazione da fatica! E' proprio
lui!". Giovanni, del trio "Aldo Giovanni e Giacomo",
che scende in senso contrario alla gara. Appassionato pure lui di
corsa in montagna, sarà venuto a vederci!</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Ormai
conosco bene il tratto aspro, impegnativo, tutto a scalini di questa
salita. Stavolta però ho la sensazione che qualcuno ne abbia
aggiunto un pezzo. Un po' aiutano gli incoraggiamenti degli
innumerevoli turisti che oggi affollano questo sentiero - e quanti
splendidi cani! - ma la fatica che provo non si cancella. Finalmente
il breve tratto sul pianoro, con vista sui laghetti ed un cielo che
fa paura. Urla e schiamazzi dai nugoli di tifosi che hanno scelto
questo tratto "comodo" per osservare la nostra marcia. Poi
si torna a salire, ma su un sentiero con fondo più praticabile.
Qualche tornante e siamo in vista dei cartelli gialli segnaletici, su
in alto. Dal bivio, faticosissima conquista, pochi minuti ed ecco il
ristoro al Rifugio Deffeyes.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Faccio
il pieno di Coca Cola e polenta, meravigliosamente disposta a fette
su un vassoio. E' vero, la polenta riempe la pancia dando però ben
poco nutrimento. Ma è troppo buona... Un po' di cioccolato, il pieno
alla borraccia e via, si riparte, mentre molti - più assennati di me
- si riposano ai tavoli del rifugio. Breve tratto in piano, una
pietraia attraversata da rigagnoli d'acqua limpidissima, e si torna a
salire. Non appena la pendenza torna positiva, sento il battito del
cuore quasi impazzire: un fiatone esagerato, una sensazione di
malessere in tutto il corpo. E non siamo ancora, credo, al trentesimo
km di corsa! Mi raggiungono altri corridori, sento il loro fiato sul
collo, mi faccio da parte per lasciarli passare... E il mio morale
scivola verso il grigio pesante del cielo ed il nero minaccioso della
sconfinata pietraia tutt'attorno. Quel che è peggio, questo tratto
di salita, fino al Passo Alto, è irregolare, a strappi. Accolgo le
ultime rampe come una liberazione, e non mi conforta affatto vedere
che c'è chi soffia più di me... </span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">La
discesa, impegnativa e tecnica, per un po' mi distrae dalle fosche
riflessioni. E' una distesa di pietre, richiede un equilibrio che
certo io non ho, un lavoro certosino di occhi e bastoncini, anche se
in alcuni tratti è stata ben sistemata con le rocce piazzate a
scalini; manca un bel corrimano e poi è perfetta! Con mia gran
sorpresa, noto che, nonostante tutto, qui me la cavo meglio di altri,
che rimangono indietro. Sarà che le gambe sono ancora agili e
sciolte. Trovo anche da chiacchierare, mentre l'elicottero è tornato
a volteggiarci sulla testa. Un collega d'avventura, al primo Tor, mi
chiede notizie, s'informa sui miei programmi , in particolare
sull'argomento "sonno". Mah... Difficile fare progetti
precisi; tuttavia, se riesco, alla prima base vita farò una breve
sosta per darmi una rassettata e mangiare una sorta di cena; a Cogne,
seconda base vita, dovrei arrivare nel pomeriggio, quindi mi limiterò
ad una doccia, per non perdere ore preziose di luce, ed andrò a
dormire un paio d'ore al Rifugio Sogno, lungo la successiva salita.
Mi rendo conto che si tratta di una tabella di marcia ambiziosa, ma,
con un po' di fortuna, dovrei riuscire a rispettarla. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Dall'ultimo
tratto di discesa, con i primi alberi a far da contorno al sentiero,
si può osservare la serpentina di corridori appesi alla parete della
montagna, sulla prossima, temibile salita. Se non altro, fin qui non
ha piovuto... Ed al punto di ristoro dell'alpeggio Promoud c'è
dinuovo la polenta. Oltre alla provvidenziale toilette.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Dovrei
mangiare un po' di più, ma ho paura del peso sullo stomaco sulla
prossima salita. Ormai ho un'età, non posso più sostenere di
digerire anche i sassi come una volta, perlomeno sotto sforzo.
Riparto, non prima di aver coperto di coccole un bellissimo cane,
tipo Border Collie, legato ad una recinzione in attesa del padrone.
La bestiola è talmente esuberante da saltarmi letteralmente in
testa, tutta scodinzolante ed uggiolante...</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Attacco
la salita con il morale un po' meno cupo e, mi sembra, le forze
rinfrancate. Uso tutta la prudenza di cui son capace, però. Il primo
tratto di salita nel bosco è ripido, a strappi; qui sono sola, mi
sento bene e ritrovo entusiasmo. Dai Gian. Va tutto bene. Il sentiero
prende poi una pendenza regolare, non eccessiva. Scruto le nuvole:
non si può dire che la serata si annunci serena e stellata... Ma
qualche sprazzo di azzurro si salva ancora. Vuoi vedere che, dopo due
anni di fulmini & saette, al Col de la Crosatie stavolta si
arriva asciutti? Non tira neppure vento; l'aria è quasi immobile.
Ormai si fa sera; per quanto la coltre di nubi e le mie lenti ancora
scure - ho notato che gli occhiali fotocromatici, con il freddo,
impiegano più tempo a recepire le variazioni di luce e di
conseguenza a schiarirsi - mi facciano sembrare la sera più buia di
quel che è in realtà, devo comunque considerare che la notte mi
coglierà nella prossima discesa. Tutto sta a vedere a che punto del
sentiero. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Mi
raggiungono due atleti: il primo, un francese, passa avanti; il
secondo preferisce restare a ruota, apprezzando il mio passo lento ma
regolare. I tornanti si susseguono, sempre più stretti, fino a
ridursi a pochissimi metri tra una curva e l'altra. Penso con timore
al tratto che ci attende tra pochissimo: tutta roccia aspra, a
scalini, con passaggi molto esposti, l'ideale per chi, come me, ha
poco equilibrio ed il terrore del vuoto. Se non altro, stasera non ci
sono fulmini che schioccano nei timpani, né roccia bagnata e
scivolosa. Quindi, affronto con rassegnazione le corde, gli scalini,
i tratti da superare con il paraocchi per non guardare giù. Carpisco
un frammento di discorso alle mie spalle: qualcuno afferma che,
nonostante la fatica e la stanchezza, non vorrebbe trovarsi su una
spiaggia di Rimini nemmeno a pagamento... Purtroppo non ho il fiato
per manifestare la mia approvazione!</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Il
suono di un flauto sconcerta le orecchie dei presenti. Un flauto?
Qui? Fenomeno di allucinazione collettiva? Eppure non è ancora
trascorsa una notte... No no, il flautista c'è davvero, seduto su
una pietra, a pochi metri dal colle. Al cippo, il collega che mi ha
seguita per buona parte della salita mi fa i complimenti: "Bel
passo, ragazza". Parole che su di me hanno l'effetto del
turbo... Mi lancio a capofitto, per quanto mi è possibile, giù per
la discesa. Per fortuna, sia il fondo che la pendenza sono
tollerabili per le mie scarse capacità. Vorrei macinare più strada
possibile, prima che il buio renda indispensabile la pila frontale.
Raggiungo il primo lago e la mia Petzl è ancora nel marsupio: un
rapido calcolo mentale mi porta a pensare di avere un po' di
vantaggio rispetto all'anno scorso; quando son passata qui, dodici
mesi fa, era già buio pesto. C'è anche da dire che pioveva. Questa
sera, un paio di colpi di tuono ce li siamo concessi, ma nulla più,
almeno finora. La discesa è lunghissima, quasi eterna; le luci del
paese, sempre giù in fondo... Ma non ci si arriva mai. Con sorpresa,
l'ultimo tratto di un paio di km si corre su asfalto. A Planaval, il
punto di ristoro, a cinque km circa dalla prima base vita di
Valgrisenche. Mi fermo qualche istante per indossare la giacca,
mangiucchio e riparto. Quasi subito, la marcia mi riporta a quella
strana sensazione: passo un po' impastato, fiato un po' corto.
Strano, considerato il tratto di pianura e poi la salita finale,
davvero blanda. Forse è colpa dell'abbigliamento sbagliato; temevo
di patire il freddo, ma mi sono coperta un po' troppo. Almeno, cerco
di convincermene... Nei brevi tratti di discesa, provo a correre, ma
le gambe rifiutano. Non le forzo. A Valgrisenche accendo il telefono
quei pochi istanti che bastano per chiamare mammà, anche se sono le
dieci e quaranta; "Sei già lì? - risponde, con la voce un po'
melmosa per il sonno - "Allora quest'anno lo fai due volte il
giro!". Se solo immaginasse, se solo immaginassi...</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: small;"><br /></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Alla
base vita di Valgrisenche trovo, puntualissimo, il borsone giallo e
conquisto la prima spillina. Un'ondata di felicità mi travolge: e
una... Scortata da uno degli instancabili volontari, scendo nel
locale dedicato a chi vuol darsi una sistemata, senza però far la
doccia. Stendo qualche istante maglia e canotta ad asciugare; mi
ripulisco alla bell'e meglio con i fazzolettini bagnati; stendo un
nuovo strato di Pasta di Fissan sui piedi; metto nello zaino il
poncho. Tappa toilette con tanto di lavaggio denti: sì, prima di
andare a mangiare, è vero, ma non ha molta importanza; tanto, in
questa corsa si mangia in continuazione... Trovo diversi volti amici,
sia nello spogliatoio che a tavola. Un piatto di pasta, un uovo, due
pezzi di crostata, due lattine di Red Bull che tracanno un po' nella
speranza di un aiuto per la notte, un po' per golosità smodata nei
confronti di questa bibita. E un po' di cioccolato in tasca, da
sgranocchiare salendo.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Dovrei
concedermi più tempo, più pause, lo so, ma non ce la faccio. Un
attimo dopo sono già fuori. Mi avvio verso la terza salita, il Col
Fenetre. Una voce nella notte: mi raggiunge Ernesto, l'angelo custode
che l'anno scorso mi ha trascinata lungo l'ultima salita e fino a
Courmayeur a velocità per me fantascientifica. Attacchiamo la salita
ridendo e scherzando, in compagnia di un terzo elemento che insegue
la moglie in fuga. Lunga e ripida salita nel fitto del bosco. Gocce
mi colpiscono la gamba sinistra: che piova? Eppure è strano...
Cadono sempre lì? Probabilmente è colpa della borraccia sistemata
sullo spallaccio sinistro. Sarà bucata. Meno male!</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Un
tratto della salita taglia in verticale un pendio erboso. Vedo salire
i fari di un auto... Ma guarda tu, non mi ero mai accorta che qui
passasse una strada. Alzo gli occhi al cielo; un bellissimo
firmamento di stelle... Esulto. Ancora bosco e poi un tratto di
salita irregolare, sotto il cielo aperto. Il Rifugio nonché punto di
ristoro spunta all'improvviso dietro una spalla erbosa. L'intenzione
è di fermarsi lo stretto necessario per bere qualcosa di caldo, poi
ripartire subito, per non rabbrividire. In effetti, trangugio
volentieri una tazza di the... Ma non tocco quasi nulla di solido,
non ne ho voglia. E non è un buon segno.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: small;"><br /></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Mi
rimetto in cammino un attimo prima di Ernesto, che mi raggiunge.
Breve tratto di strada sterrata, un paio di curve, poi la salita
riprende. Il mio compagno di viaggio è perplesso: ma non si doveva
scendere, adesso? No, niente affatto, c'è ancora un bel tratto di
salita. Solo che nemmeno io lo immaginavo così lungo e così duro.
Contro il cielo nero s'intravede appena la sagoma della montagna, il
contorno lo disegnano le stelle. Il passo è all'incirca lassù... Ma
è un "lassù" che non arriva mai. Nel giro di pochi
minuti, il mio passo diventa estremamente pesante, lento, impastato;
il fiato sembra non giungere più ai polmoni, per quanto io sbuffi
come una ciminiera. Le gambe non vogliono più scorrere una davanti
all'altra; ogni minimo muscolo è pervaso da un senso di fiacca
impressionante. I metri diventano chilometri, altri corridori mi
sorpassano; solo Ernesto rimane alle spalle, forse non s'è ancora
accorto di nulla, forse ha pietà di me. Il panico mi travolge. La
fila delle lucine è lontanissima, là in alto... Come ci arrivo, io,
lassù? Pianto i bastoncini con rabbia, ce la metto tutta, ma
l'andatura è sempre più goffa, il respiro sempre più affannoso.
Mal di testa improvviso e penetrante, un senso di nausea altrettanto
violento; qui va a finire che tra poco svengo...</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Mi
sembra siano passate ore di tormento, quando finalmente la frontale
illumina l'ultimo tornante. La discesa non aiuta: un lungo tratto
corre su un sentierino che ha sì un buon fondo, ma una pendenza
severa e, quel che è peggio, il baratro al fianco. Ho il terrore di
scivolare, soprattutto in questo stato, con le gambe malferme ed i
capogiri. Ma mi spiace rallentare Ernesto; faccio del mio meglio per
scendere. Ma non c'è verso, la stanchezza non mi molla; inaudita
tribolazione giù per questa discesa infernale, che ad un certo punto
diventa tutta pietroni, sconnessa, ostica, odiosa. E non finisce
mai... Non finisce mai, anche se Rhemes sembra lì sotto ad un tiro
di schioppo. Nausea, brividi. Mi costano tanta fatica persino quelle
poche centinaia di metri in pianura, su asfalto, per arrivare al
ristoro. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Ernesto
patisce il sonno, decide di fermarsi qui a dormire un po'. Io vado a
caccia di caffé, una tazzona colma e con tanto zucchero; la bevo
d'in piedi, in un misto di confusione, smarrimento, preoccupazione.
"Non ho più forze", rispondo a chi mi chiede come va... E
non lo dico così, tanto per dire. Provo a mangiar qualcosa, ma la
nausea me lo impedisce. Riempo di cioccolato e biscotti vari il
sacchettino che porto appeso alla cintura dello zaino, nella speranza
di approfittarne quando starò un po' meglio, ma... Quando? </span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Ho
fretta, ho paura. Mi tuffo fuori, nella notte, verso la quarta
salita, ma non mi ci vuole molto per capire che sarà dura.
Durissima. Bastano i primi metri di sentiero. Portare avanti i piedi
è uno strazio. Calma Gian... Calma. Sali piano, piano quanto basta.
Annaspo, proprio come i pesci cavati via dall'acqua, eppure sembra
che l'aria si fermi in gola. Il battito del cuore, per un nulla,
impazzisce, la gola brucia. Il Col Entrelor non è tenero, sono
d'accordo, ma a me sembra di affrontare la Nord dell'Eiger...
Rallento a dismisura, medito i passi, salgo al buio e non so dove
sono, né quanto manca. Sembro il classico assetato che striscia nel
deserto. Tanta, troppa gente mi raggiunge e passa oltre. E lo
sfinimento gonfia i pensieri negativi a dismisura. Calma, calma,
calma, più calma di così... Dentro il bosco, fuori del bosco,
passata quota duemila metri. Un cielo stellato meraviglioso suona
quasi come una beffa. Qualcuno s'accoda; ormai non mi sposto nemmeno
più per lasciarmi superare; ogni minima variazione di questo ritmo
penoso mi costa un dispendio di energie eccessivo. Passeranno se e
quando potranno... Due compagni di avventure restano dietro: così
facendo, buttano benzina sul fuoco della mia inquietudine, anche se,
poveretti, non lo possono sapere... Mi affanno ancor più per non
rallentarli, ma rischio davvero che il mio respiro diventi un
rantolo. Il sentiero è sempre più ripido, sempre più ripido, non
ce la faccio più... Le lacrime ormai annebbiano quel poco di vista
notturna che ho. Uno dei due corridori passa avanti; provo a
seguirlo, ci riesco per un po', ma a prezzo di una fatica
distruttiva. Mi incoraggia, dice che mancano meno di seicento metri
di dislivello: in queste condizioni, per me, un abisso... Dai Gian,
devi stargli dietro, devi. La puntura nel petto, sul fianco, tra le
costole, si fa sentire perentoria, mi toglie quel poco di fiato. La
voce squillante di Ernesto, che mi ha già raggiunta, è il colpo di
grazia al mio morale già sottoterra...</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Ormai
non posso più nascondere a me stessa la verità. Quel che mi sta
succedendo è lo stesso malanno che mi ha colta alla "24h del
Parco Sempione", a Milano, a giugno, e poche settimane dopo
all'Ultrabalaton; finite entrambe in ambulanza, alla diciassettesima
ora di gara ed al centesimo km rispettivamente. E poi, a fine luglio,
all'Ultra Tour du Beaufortain, dove non ho avuto bisogno di soccorso
solo perché, dopo cinquanta km di fatica e di pena, sono stata
fermata per aver oltrepassato il cancello orario... Ma speravo, dopo
un mese e mezzo di cura con un buon integratore e, sì, anche un po'
di riposo, di esserne fuori. Ad agosto, le due maratone a Foglizzo,
il giro del Monte Bianco, la Susa Susa in bici, il giro del Monviso,
ancora domenica scorsa i cinquanta km in Roero, e stavo bene...
Invece no, non ne sono fuori affatto. Non abbastanza, perlomeno.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: small;"><br /></span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">La
situazione precipita nell'ultimo tratto di salita. Sono costretta ad
alternare il passo alle soste, mi sento soffocare, sempre che prima
non mi scoppi la testa. E non riesco a fare a meno di piangere...
Ernesto dev'essersi reso conto di ciò che sto vivendo, perché non
cerca nemmeno più di incoraggiarmi. Prego lui e gli altri che mi
seguono di andare, di non preoccuparsi, vorrei dire di levarmi almeno
dalle spalle il patema di causare loro un ritardo... Le ultime decine
di metri di dislivello, quassù, sono una coltellata. Infiniti
scalini ed io non ho la forza di sollevarmi, non ce l'ho nelle gambe
né nelle braccia. Il cielo sta schiarendo, l'anno scorso l'alba mi
aveva colta più in basso, maledizione, sarei in vantaggio e invece
guarda che disastro... Gian, piantala, il cronometro è l'ultimo dei
tuoi problemi adesso. Devo trascinarmi fino in punta ed ho
l'impressione che non ci arriverò mai... </span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Ci
arrivo, invece, ma distrutta, sfinita. Ernesto passa oltre, vuol
prendere vantaggio per poter dormire un po' a Cogne; lo saluto con
rammarico, chissà se ci arrivo, io, a Cogne... Per mia fortuna,
questa discesa non si può certo dire pericolosa. Sono così malferma
sulle gambe che, se accanto a me ci fosse un baratro, ci finirei
dentro di sicuro. Sento la testa, le orecchie, il palato, persino i
denti pulsare. Cammino piano, passi stentati, brividi di freddo
continui; il sole illumina appena le cime, ma ci vorrà un'eternità
perché arrivi a me. Mi sforzo di dare un tono allegro a quelle poche
parole che scambio con altri corridori, ma provo una tristezza
infinita. Anche scendere, pure su un sentiero comodissimo, è dura da
morire. Un paio di volte barcollo, mi fermo, mi siedo, ma congelo.
Ancora in marcia: i laghetti, l'alpeggio, l'altro alpeggio. Una
ragazza sembra patire quanto me; ha avuto una congestione, prova
nausea e mal di stomaco. Purtroppo, nella mia scorta di farmaci, non
c'è nulla che possa aiutarla, anzi...</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Oltre
il secondo alpeggio, il sentiero si rituffa nel bosco. E' ancora
lunga, tanto, troppo lunga. Sono un sacco vuoto, e moralmente a
pezzi. Io ci provo ancora, ce la metto tutta, ma ormai è finita... A
meno di un miracolo, ma i miracoli non esistono. </span>
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Eaux
Rousses, finalmente il ristoro. Benedetto chi ha inventato il wc
chimico, trovo un po' di sollievo per il mio pancino sconvolto, ma
non riesco a mangiare quasi nulla. Ormai sono digiuna da troppe ore.
Trangugio bibite dolci, le uniche che io riesca a mandar giù
volentieri, ma nient'altro, grazie alla nausea che non mi dà tregua.
Mi accascio qualche minuto sulla panca, sfinita. Che fare adesso?
Beh, dubbi non ce ne sono. Devo ripartire, questo è certo. Il Col
Loson, la Cima Coppi del Tor; tremilatrecento metri di quota, duemila
metri di dislivello di qui a lassù. Un'impresa disperata...</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Riparto
tra i singhiozzi; ormai non mi curo nemmeno più della brutta figura.
Ormai so che è tutto finito, che il mio sogno straordinario sta
scorrendo via dalle mie dita come sabbia finissima. Non so che ora
sia, potrebbero essere all'incirca le otto; i raggi del sole non sono
ancora arrivati quaggiù. Levo la giacca, guardo il sentiero. Forza
Gian. Attacco la salita con una lentezza degna del peggiore dei
merenderos da montagna domenicali. Un passo, un altro passo,
lentissimi; un bastoncino, l'altro bastoncino. Il cuore non tollera,
batte all'impazzata; il mal di testa, sopito per qualche momento,
torna a tormentarmi. Il Col Loson è un'ascesa molto lunga, ma mai
terribile, salvo forse negli ultimi trecento metri di dislivello. Ma
per me, adesso, è drammatica. Un passo, un altro passo, annaspo, un
passo, ancora un passo, corridori che salgono sciolti, mi superano,
se ne vanno. In questo istante, se mi guardassi, mi farei pena. Piede
destro avanti, piede sinistro avanti, ci devo pensare bene, per
muoverli. Sono disperata... Perché? Perché a me, perché oggi,
perché qui? Perché, dopo un anno di sogni ad occhi chiusi ma
soprattutto ad occhi aperti? Perché?</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Raggiungere
la baita dei guardiacaccia mi costa un tempo infinito. Alcuni
colleghi sono fermi nei pressi del laghetto, chiacchierano
tranquilli, beati loro... Passo oltre senza nemmeno salutare, non ne
ho cuore. Ora il sentiero spiana, diventa quasi una strada sterrata,
comoda ed agevole, ma nemmeno questo mi aiuta. Non vedo più nessuno
davanti, nessuno alle spalle, non riesco a procedere, sono sfinita.
Sta nascendo una meravigliosa giornata di sole ed io vorrei
sparire... La salita riprende e, con essa, il peggio delle mie
tribolazioni. Mi muovo al rallentatore. Raggiungo il ponte, seguo il
sentiero che tutto si può dire fuorché ripido, proseguo piano, ma
non basta più. Pochi passi e mi mancano le forze; mi siedo, la testa
che scoppia. Atleti sfilano e proseguono. Mi rialzo a fatica,
riparto, percorro un po' di strada, ma devo ancora sedermi. E ancora,
ed i tratti di camminata sono sempre più brevi, ed il colle è
lassù, ad anni luce di distanza. Male al petto, mal di testa,
vampate di calore e poi brividi. Mi sdraio un paio di volte, riparto,
soffoco, mi appoggio ai bastoncini; le pause sempre più lunghe e
penose. Conto dieci passi ed una pausa, dieci passi ed una pausa. Ma
ho ancora troppe centinaia di metri sopra la testa...</span></div>
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<span style="font-size: small;"><br /></span>
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<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Luciano
mi raggiunge nel momento di peggiore sconforto. Mi sprona,
perentorio, quasi mi ordina di seguirlo, ed io ci provo, per
l'ammirazione che ho verso di lui che non molla mai, per la vergogna
della brutta figura, sentimento che mi coglie di fronte a ben poche
persone al mondo. Ma lo spazio tra me e lui diventa sempre più
ampio, non ce la faccio più a colmarlo. Ed ho paura di dargli
fastidio con la mia lentezza. Approfitto di una sua pausa per
fermarmi anch'io ed abbattermi su una pietra... Ma, quando riparte,
non sono più in grado di seguirlo. Resto lì, a vedermi passar
davanti agli occhi gambe e ginocchia altrui, a singhiozzare con la
testa dolorante tra le mani, a farmi pena e rabbia per lo straccio
che sono diventata. Non so che fare: forse dovrei tornare giù a Eaux
Rousses... Sarebbe la scelta più saggia, ma non ce la faccio ad
incrociare quel serpentone di corridori che sale. No, morirei di
pena. Ma come ci arrivo, al colle? E' l'ultimo obiettivo, almeno il
colle... Poi basta, poi per me è finita, inutile, questa non è la
crisi che va e viene. </span>
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<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Qualche
volto noto mi sorpassa, mi chiede cosa succede, mi incoraggia, ma
ogni volta per me è una coltellata. La distanza che mi separa dal
colle è infinita. Devo tornare giù... No Gian, non puoi tornare
indietro. Non hai scelta, sali. Il vento quassù è gelido, ho i
brividi, la nausea. La pietraia... Guardo in su, quei trecento metri
che negli anni scorsi, sia in gara che in vacanza, ho percorso con
presuntuoso entusiasmo. Sono un abisso. Non ce la farò mai... I
passi tra una pausa e l'altra si riducono, non più dieci, molto
meno; salgo quasi a forza di braccia, le gambe non rispondono più,
ma rantolo, niente più aria nei polmoni. E la sella del colle sembra
allontanarsi... Capogiro, voci che sembrano lontanissime, che
rimbombano nella scatola cranica. La fitta nel petto non mi dà
tregua. E' finita, quest'anno è finita... Un passo, un tornante, una
fitta, una pausa, un altro passo, due, tre, penosi. I gruppi che mi
precedono segnano il tracciato del sentiero... Non ci arriverò mai,
io, lassù.</span></div>
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<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">All'improvviso,
due mani mi afferrano quasi con rabbia, la stessa rabbia nella voce:
"Dammi lo zaino", ripete. Mi vien quasi da ridere, un riso
isterico, toh, guarda chi si vede... Ma riesco solo a piangere. E'
Giorgio: sapevo che sarebbe venuto a vedere il passaggio della gara,
lui che quest'anno non si è iscritto, e sapevo che oggi sarebbe
stato a Cogne... Ma non mi aspettavo di trovarlo quassù. Rifiuto di
cedere lo zaino; è leggerissimo, non cambierebbe nulla, e poi non se
ne parla; o ci arrivo con le mie forze, lassù, o non ci arrivo
proprio. Lo seguo, perché devo, ma non è facile; le mie forze sono
davvero al lumicino. Il mio calvario si attenua al colle, tra le
lacrime, ma non finisce... Protesto, vorrei che Giorgio se ne andasse
per la sua strada, che evitasse di perdere tutto questo tempo per me.
E non voglio sentire i suoi incoraggiamenti. Per me è finita, vorrei
solo arrivare a Cogne, ma è finita. Sei ore per salire al Col Loson,
quando di norma impiego meno della metà del tempo... Non ha alcun
senso. Non è la crisi di un momento. E' dalla scorsa notte che vado
avanti così. La discesa calma un po' i nervi, ma prolunga lo
strazio; cammino piano, a fatica, ascolto il mio cuore che sembra una
mandria di cavalli al galoppo. Le ceneri del mio sogno più bello. Mi
sforzo di chiacchierare, chiedo notizie di Matteo che per fortuna
procede bene, almeno lui, ma nell'animo ho già indossato il
braccialetto nero a lutto. Tutto quel che ho sognato, sperato, visto
come se fosse vero davanti ai miei occhi, per dodici mesi infiniti...
Tutto quel che contava per me, finito, demolito. Come se qualcuno mi
avesse levato la terra da sotto i piedi... Qualcuno mi dica che è un
incubo, per favore. Qualcuno mi svegli...</span></div>
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<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Impiego
un'eternità a raggiungere il Rifugio Sella. Giorgio continua a
ripetere che non mi ritirerò, che devo solo riposarmi e ripartire.
Io penso alle sei ore dell'ultima salita, penso alle forze che non ho
più. Penso al tempo che ho perso, a quello che perderei, al fatto
che sarei poi costretta a viaggiare quasi senza più margine rispetto
ai cancelli orari... Penso che mi troverei per forza a ripartire di
notte, che affronterei un'altra salita con la stessa pena di quella
appena superata, che non potrei fare a meno di fermarmi mille volte,
ma nel freddo della notte. E che magari finirei per costringere i
soccorsi a venirmi a raccattare... No, non ha alcun senso.</span></div>
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<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Una
processione di dolore fino al Rifugio Sella. Il percorso è di una
facilità disarmante, almeno fin qui, eppure io procedo come un
infortunato reduce da mesi di gambe ingessate. E il bello, ironia
della sorte, è che non ho dolori muscolari, non sento le gambe
stanche in quel senso. Sono un'automobile in condizioni perfette, a
cui manca la benzina.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Al
Sella, i volontari ed il pubblico salutano ed incoraggiano. Possibile
che nessuno capisca come sto? Perché non tengono le bocche chiuse?
Anche qui, al punto di ristoro quasi non riesco ad inghiottire nulla.
Due metri di risalita mi massacrano, ancora una volta, il cuore, per
non parlare della discesa da qui in poi: interminabile e
rognosissima, tutta su pietre e ciottoloni disposti male, infidi,
scivolosi, una disperazione. Più volte chiedo a Giorgio di
andarsene, ma non molla. Ha deciso di scortarmi fino a Cogne...</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Troppe
volte mi inciampo e scivolo; studio con pena i passi per non finire a
gambe all'aria. Ci mancherebbe solo una visita al Traumatologico...
Ancora pietroni, ancora e ancora. Voglio solo arrivare a Cogne, il
Tor non esiste più. Quest'anno è andato tutto storto, quasi tutti
gli appuntamenti a cui tenevo, sprecati così, rubati da non so cosa.
Qualcuno sostiene che il mio corpo non regga più la mole di km che
gli infliggo; può darsi, ma io so solo che, l'anno scorso, per
diversi mesi ho partecipato a prove di corsa di oltre cento km tutte
le settimane, senza contare le uscite per conto mio, e stavo
benissimo... Dall'autunno scorso, purtroppo, ho dovuto rinunciare a
molto, non certo per scelta ma per necessità; è stato un anno
brutto, penoso, pesante su troppi fronti... E questo è il risultato.
Altro che eccesso di allenamento.</span></div>
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<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">La
luce gialla del tardo pomeriggio illumina l'abitato di Valnontey. Se
non altro, la discesa da tregenda è alle spalle. Ancora qualche
breve tratto di saliscendi e poi, alle porte di Cogne, troviamo
Enrica, la compagna di Giorgio. Poche centinaia di metri e ci
separiamo: loro sono giunti all'albergo; continueranno, nei prossimi
giorni, a girare in montagna ed a seguire la corsa. Io entro in
paese, con le lacrime che vorrebbero schizzar fuori quando gli
spettatori da ogni angolo applaudono con fragore ed io so che quegli
applausi non sono più per me... Il tempo di entrare nel locale docce
e non riesco più a trattenermi. Sfogo tutta la mia tristezza in un
pianto dirotto che non è, purtroppo, liberatorio. Una volontaria,
persona stupenda, si ferma a parlarmi, fa di tutto per aiutarmi. Devi
mangiare, devi dormire qualche ora, poi decidi... No, io non ce la
faccio più. Lo so, nessuno può capire perché nessuno è nei miei
panni, ma questa volta, se decido di proseguire, rischio grosso. E
non è per me la preoccupazione, quanto per chi dovesse partire in
mio soccorso. Un conto è l'incidente imprevisto, un conto è proprio
andarsele a cercare, le grane... Faccio la doccia, trangugio un
piatto di pasta. Con il mio borsone, preparato con tanta cura, e con
lo zainetto miseramente abbandonato a terra, mi siedo su una panca,
sotto il tendone del punto di ristoro, in attesa della navetta.
Osservo i corridori che arrivano, quelli che partono, con uno strazio
infinito. Se potessi scavare una buca e sparire... Tanti mi salutano,
a tutti ripeto la stessa nenia: "Non ho più forze. Non ce la
faccio più". A casa l'ho già comunicato, con un dispiacere
senza fine. Questa corsa per me era tutto. Sarò esagerata, può
darsi, sarò frivola... Ma io credo che tutti più o meno abbiano un
obiettivo, un sogno da inseguire con anima e corpo, e non credo che,
per tutti, si tratti di trovare la cura universale per il cancro o
portare la pace nel mondo. Il Tor des Geants, da quando esiste, per
me è diventata la madre di tutte le passioni. E qui, dopo nemmeno un
giorno e mezzo di gara, su questa panca è finito tutto. Crollato,
come il vetro di una finestra sfondato da una pietra, con lo stesso
fragore. Lo ammetto, non ero preparata, anche se l'avrò ripetuto
chissà quante volte, che una corsa così non si può mai dare per
scontata. Non ero pronta a fallire. Posso piangere, ma non serve,
eppure che sforzo devo fare per sorridere a chi mi si avvicina.
Atleti che girano con il piatto in mano e le ciabatte, atleti che si
fanno tagliuzzare e sforacchiare dagli infermieri, atleti stravolti e
chini sui tavoli. Altri atleti che si fermano, come me, ma siamo in
pochi. </span>
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<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">La
navetta, il ritorno, Courmayeur. Il punto di sbarco è a poco più di
un km dalla mia auto; mi carico il borsone in spalla, mi avvio, ma a
pena di una fatica enorme e di innumerevoli pause. Come al Col Loson.
Come a Milano, alla 24h abortita; che fatica mostruosa il ritorno
alla Stazione Centrale, alle cinque di mattina in una città orrenda
e deserta, e gelida, benché fosse giugno, ma forse era solo colpa
del mio stato larvale... Sono sfinita, ma non voglio restare qui un
minuto di più. Mi fermerò lungo il viaggio, se necessario. Sono
quasi le undici di sera, accendo il motore, riparto. Ci vorrebbero i
tergicristallo anche per gli occhi. Seguo la strada statale fino a
Quincinetto; mi fermo a dormire, non so bene dove; viaggio a velocità
di lumaca, per il resto. Verso le quattro sono a casa, mi assalgono i
miei adorati pelosi, che nulla sanno della mia tristezza e sono solo
felici di rivedermi. Il mattino dopo, in ufficio. Senza più voglia
di nulla...</span></div>
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<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">***************</span></div>
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<span style="font-family: Palatino Linotype, serif; font-size: small;">Sono
trascorsi alcuni giorni ormai. Oggi, a Courmayeur, dovrebbe aver
avuto luogo la cerimonia di premiazione del Tor, quella a cui mia
mamma già pensava da tempo: "Poi la domenica andiamo su a
prendere il premio"... Ovviamente non m'è passato per
l'anticamera del cervello di partecipare. Lo so, non è affatto
sportivo da parte mia, ma, dopo il mio ritiro, non ho più voluto
sapere nulla di nulla, né via internet, né dai giornali, ed ho
proibito a chiunque di nominare in mia presenza qualsiasi cosa che
avesse a che fare con il Tor des Geants. Disfare il borsone giallo,
ripensando a tutto quel che avrei voluto utilizzare, dove e come, è
stato uno strazio; via le maglie, i pantaloni, le calze, via il
fischietto, la benda, le borracce, via tutto, tornato nel buio di
armadi e cassetti senza aver potuto vivere, nemmeno per un po'. Non
era una gara qualsiasi, non era solo una gara. Ora, nei giorni grigi
d'ufficio, nei momenti bui, non ho più il mio sogno. Il Tor des
Geants, non mi vergogno a dirlo, è stato per me fonte della più
grande gioia e della più profonda delusione che nulla potrà lenire.
Mi dicono "Ti rifarai l'anno prossimo", certo, come se
altri dodici mesi d'attesa fossero bazzecole; mi dicono "Pensa
che hai tante persone che ti vogliono bene", io penso, senza
falsa ipocrisia, che nessun affetto umano può colmare la perdita del
"mio" Tor, e quelle persone che mi vogliono bene lo sanno,
e della mia ipocrisia non saprebbero che farsene. Penso che non ho
più voglia di correre altre gare, e del resto in questo stato non
potrei, perché, a distanza di alcuni giorni, la mia condizione
fisica non è purtroppo migliorata ed anche le scale di casa sono una
via di settimo grado. Penso che ho fatto le analisi del sangue ed
attendo i risultati, ma che in fondo non m'interessa sapere perché,
se non riesco più a correre come voglio. Penso che ieri sono andata
a scarpinare ai piedi del Monviso, pur con una fatica inaudita, penso
che un po' il sole e le pietre ed i rifugi mi hanno fatto sentire
meglio anche se alla sera non stavo più in piedi dalla nausea, ma
penso che nulla sia più come prima. Perché il Tor è come il grande
amore della letteratura e dei film, ti sconvolge la vita, se ce la
fai. Ma, se non ce la fai, se prima lo conquisti e poi lo perdi così,
senza poterci fare proprio nulla, allora la vita te la distrugge...</span></div>
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