La
rubrica de "La Stampa" dedicata al meteo aveva previsto,
per questa domenica, un "anticipo di primavera", con la
garanzia di sole e temperatura mite anche per il freddo Piemonte.
Sarà che è fin troppo facile dare credito alle promesse che si
accordano con le speranze, anche se l'evidenza dei fatti è
contraria... Fatto sta che mi sforzo di ignorare quel trattino "-"
davanti al numero 1, là dove la Zafirona mi informa dei rigori al di
fuori dell'abitacolo. E non è che, anche facendo finta di non
vedere, la faccenda si presenti poi molto più rosea... Il paesaggio
assume un aspetto sempre più glaciale, man mano che mi avvicino a
Ceva; ormai è giorno fatto, ma la luce sembra non esistere in questa
landa grigia e bianca, con la foschia sospesa a mezz'altezza. Il
freddo che non può ancora penetrare attraverso i vestiti, finché
resto protetta in auto, mi gela le ossa attraverso gli occhi. Ceva,
Millesimo, Osiglia, Calizzano, paesi che, nella mia memoria di
ciclista e di podista, si associano da sempre ai peggiori rigori mai
patiti, ad esclusione, forse, di qualche scorribanda invernale verso
Pian del Re con relativa discesa lunghissima, gelida e tutta in
ombra. E' marzo ormai, ma forse a quelli di qui non l'ha detto
nessuno. Il furgone blu elettrico di Matteo è già in attesa sulla
piazza accanto all'ospedale; io ci arrivo in ritardo, sia pure di
pochi minuti: non è da me. Il guaio è che stamattina, come già da
qualche tempo a questa parte, il suono delle due sveglie, per giunta
puntate a pochi minuti di distanza l'una dall'altra, non è bastato a
riportarmi ad un livello di coscienza sufficiente per buttare le
gambe giù dal letto. La palpebra, appena sollevata a mo' di
feritoia, è ricaduta pesantemente, salvo poi schizzare su mezz'ora
più tardi, quando avrei già quasi dovuto essere in viaggio. Sto
scontando un sonno che affonda le sue radici nei secoli...
Meno
male che a scaricare la mia fida mountain bike, per l'occasione
equipaggiata con i copertoncini slick, provvede Matteo. Quando si
tratta di meccanica, anche la semplice sistemazione delle ruote,
approfitto volentieri dell'altrui buona volontà; lui poi è
rapidissimo, in un attimo ha già sistemato tutto, là dove per me
sarebbe come cimentarmi con il cubo di Rubik. Al momento di saltare
in sella, sono già ibernata. E meno male che non ho ceduto alla
tentazione dei pantaloni tre quarti!
Matteo
tenta di confortarmi: con il passare delle ore, ne è sicuro, il
clima sarà migliore. Certo, ne sono convinta, quando saranno passate
tutte le ore da qui al mese di giugno. Per oggi, non mi sento di
sprizzare ottimismo. Si parte, direzione Perlo - Nucetto lungo una
stradina secondaria che "punto" da un po'. Sono curiosa di
vedere dove va a finire, o meglio, di capire se andrà a finire là
dove penso io. Un tratto l'ho già esplorato correndo a piedi, la
scorsa primavera.
Si
affronta una blanda salita, un paio di tornanti in ombra; l'asfalto è
viscido, l'erba a bordo strada bianca di brina. La fatica di andar su
maschera, per ora, il freddo, pur non essendo abbastanza intensa per
impedirci di menare la lingua. Non ci si vede da un po'... Dobbiamo
aggiornarci sulle ultime novità!
Un
brevissimo tratto di discesa, poi la strada e l'ambiente intorno
assumono l'aspetto di vera montagna, anche se qui siamo a quota
tutt'altro che elevata: una rampa, un costone di roccia sulla destra.
Appena oltre la curva, ci troviamo davanti un mucchio di detriti ed
anche un pietrone, che hanno tutta l'aria di essersi appena staccati
dalla contorta parete sulla destra, fradicia e friabile. Sopra le
nostre teste, l'abitato di Malpotremo che, se non erro, è frazione
di Perlo, con il suo campanile, le poche case, il manifesto degli
annunci mortuari. Alcuni cartelli stradali indicano Nucetto e
Garessio, oltre a Perlo; quindi, da qui si raggiunge effettivamente
la strada di fondovalle che va da Ceva verso Ormea.
Oltre
l'abitato, la salita si attenua; il cielo è di uno splendido colore
azzurro intenso, ma la luce qui non ci raggiunge ancora. Si gela...
Persino Matteo, è tutto dire, si lamenta per il freddo alle mani,
nonostante quelle specie di sacchi di patate in cui le ha avvolte.
Per me, in questo momento le mani sono una delle poche parti del
corpo che non danno problemi... Ci pensano i piedi, due pezzi di
ghiaccio. In effetti, avrei dovuto indossare un paio di calze più
pesanti: ne avevo l'intenzione, in verità, ma stamattina, per la
fretta, ne ho trovata una sola... Chissà dov'è finita la gemella.
Amen, ormai è fatta.
Da
quassù si vede un po' di panorama, ma tutto grigio, smorto. Non una
gemma, nemmeno a pagarla; per terrà, umidità, residui di sale,
talvolta ghiaccio.
Raggiungiamo
un bivio: a sinistra, direzione Perlo; a destra, Nucetto e la strada
statale. Scelgo la seconda; sono più sicura circa la destinazione.
Infatti, qualche chilometro di gelida discesa ci conduce,
completamente ibernati, all'incrocio con la strada di fondovalle.
Anche Nucetto è silenziosa e deserta, benché siano accese le luci
del bar: del resto, immagino che gli abitanti di questa valle passino
l'inverno in letargo; non credo si possa sopravvivere a mesi di
questo clima infame. Giove Pluvio è persino più ostile qui che a
Carmagnola, nel regno della nebbia; almeno, da noi, non ci sono le
montagne ad impedire il passaggio di quel po' di pallida malatissima
luce invernale.
Meno
forsennatamente i pedali lungo lo stradone, non per un improvviso
impeto agonistico quanto per portare un briciolo di calore alle
estremità. "Sei km a Bagnasco - si lamenta Matteo - ma sembrano
trenta": ci credo, per lui dev'essere anche peggio. Adattarsi
alla mia andatura significa, per lui, viaggiare piano e scaldarsi
poco. L'unica soddisfazione è che, in questo momento, forse può
capire quel che proverò io, che sono una freddolosa cronica senza
speranza, per quasi tutto il giro di oggi...
Bagnasco,
finalmente. Al semaforo, si svolta a sinistra, con molta cautela per
il fondo ghiacciato. Se a Ceva c'erano tre gradi sotto zero, direi
che la situazione termica non è molto più conciliante adesso. Primo
colpo di clacson della giornata: ecco il primo imbecille
motorizzato... Ma cosa suoni, microcefalo che non sei altro? Non lo
vedi che hai l'intera strada per te, ci passeresti con un camion a
rimorchio! Normale, è torinese, osserva Matteo... Il guaio è che
l'idiozia è una qualità molto ben distribuita.
Si
va su per il paese, finalmente in salita. Ancora gelo, brina, ombra.
Bisogna lasciarsi alle spalle un po' di tornanti, prima di
conquistare qualche timido raggio di sole ed un po' di visuale sulle
montagne intorno, bianche e nere e tristi. Ma le gambe girano bene,
per fortuna. E' un'eternità che non pedalo; saranno trascorsi due
mesi dall'ultima uscita in bici degna di questo nome: sarà merito
del corso di spinning? Ormai è qualche settimana che lo frequento, a
Villastellone, con gran fatica ed altrettanta fiducia. Il colle dei
Giovetti è già sotto le ruote: comincia qui, con mio sommo orrore,
la discesa verso Calizzano, che non sarebbe poi in sé così lunga,
ma diventa eterna e tragica con questo clima. Scendo con cautela ed a
freni tirati nonostante il senso di sicurezza che mi dà la MTB: per
quanto il mezzo sia stabile, non può far miracoli su quelle
angoscianti colate di acqua che nel pieno della giornata si allargano
dai cumuli di neve sporca a bordo strada e nella notte gelano,
formando vere e proprie insidiosissime lastre. Persino Matteo, che in
bici è funambolo su qualsiasi terreno, è più prudente del solito.
E fa freddo, un freddo dannato, che prende mani, piedi, tronco... Ma
perché diamine non me ne sono andata a correre oggi? E perché
nessuno ha ancora pensato di produrre una maglia in grado di
riscaldarsi, che so, con l'energia prodotta dalle ruote della bici?
Ma soprattutto, perché questa dannata strada è così lunga? Chi ha
aggiunto dei tornanti?
I
tetti della frazione sono bianchi di brina. Qualche camino fuma; i
più sono immobili e gelidi. Ancora ghiaccio, a tradimento, sulla
strada. Matteo avrebbe proposto la deviazione per il colle Quazzo e
la discesa a Garessio, ma io non sento ragioni: voglio raggiungere il
mare per la via più breve possibile e fare scorta di un po' di
tepore. Da Calizzano si tira dritto verso il Colle del Melogno:
torniamo a salire, se non altro ci siscalda, ma il panorama lunare
non cambia. Ancora neve ed alberi spogli; grigi tronchi lucidi dei
faggi; candelotti di ghiaccio aggrappati alla parete di terra, radici
e pietra. Vero, sembra che si stiano sciogliendo, ma che triste
visione. Il sole quaggiù non arriva ancora, tra la montagna ed i
rami del bosco. Pochissimo movimento, qualche auto, un paio di
motociclisti coraggiosi che procedono, anche loro, con le ruote di
piombo.
Le
barrette al gusto di parmigiano, residuo di qualche pacco gara di
corse in Emilia Romagna, si rivelano a dire poco disgustose, e sì
che io non sono una dal palato fine... Inutile dire che
quell'inceneritore a pedali che viaggia al mio fianco le fagocita
senza alcun problema. Io vado di Mars, una garanzia... Anche se
saranno gli ultimi, la scorta di casa da smaltire, visto che ho
deciso, per il futuro, di provare a passare dall'alimentazione
vegetariana a quella integralista senza ingredienti di origine
animale, in particolare latte e uova. E' un po' come se mi godessi
l'ultima sigaretta prima di smettere... Anche se, non posso negarlo,
per il Mars mi dispiace. Una delle maialate più libidinose che la
mente umana abbia mai potuto concepire!
Come
sempre, passare sul versante del mare è come aprire una porta che dà
su un altro mondo. Alle spalle un film in bianco e nero, lento e
sonnacchioso; davanti, una danza di luce e di colori. E un po' di
tepore, anche se siamo pur sempre a mille metri di quota: il mare si
vede già da quassù. Purtroppo, il sole non può scacciare nel giro
di mezz'ora il freddo che mi si è insediato nelle ossa e nelle
giunture; anche questa discesa è fonte di patimento, sia pure nulla
al confronto della tragedia giù dai Giovetti. Freno anche qui più
del necessario; il mio neurone per oggi si è incantato in modalità
"attenzione al ghiaccio", anche se qui il ghiaccio
sull'asfalto è solo un ricordo. Quando patisco il freddo, mi si
accentua anche la paura, come se fossi davvero irrigidita nelle
braccia e nelle gambe. Così il povero disco continua ad ululare per
tutti i km che conducono dal colle al mare. Mi stupisco di quanti
ciclisti si cimentino, oggi, nell'ascesa al Melogno: in bici da
corsa, in mountain bike, qualche coraggioso con le pesantissime bici
da downhill. Ammirevoli, soprattutto questi ultimi: il brivido della
discesa se lo guadagnano con la giusta dose di fatica, anziché con
un comodo viaggio in furgoncino.
Man
mano che i pini lasciano il posto alle palme, ci avviciniamo a Gorra;
da lì, il bivio per Borgio Verezzi mi concede un paio di tratti di
salita anche ripida, in cui finalmente posso scaldarmi un po'. Matteo
approfitta del successivo tratto in saliscendi per rimpinzarsi e
foraggiare anche me: incredibile come io abbia a che fare con persone
che temono per me la minaccia costante delle carenze nutritive,
quando la mia stazza fa concorrenza alle navi della Costa Crociere...
Dev'essersi messo d'accordo con mia madre, Matteo. Lei non perde
occasione per infilarmi nel frigo derrate alimentari di vario genere,
di solito in quantità sufficiente a sopportare un assedio di anni;
lui mi mette continuamente sotto il naso porzioni di panini,
biscotti, pezzi di cioccolato. Insomma, non dico di essere un motore
Euro 3, ma non consumo così tanto!
Gli
alberi di mimosa si impegnano in un timido tentativo di fioritura, ma
l'impressione è che nemmeno qui in riviera la primavera abbia fatto
sinora grandi passi. La temperatura è certo migliore dei tre gradi
sotto zero di questa mattina a Ceva, ma è lungi dal mito della calda
Liguria. Non mi viene voglia di levare la giacca invernale nemmeno
lungo i cinque o sei km di infernale Aurelia: in compenso, Matteo,
che pedala davanti a me, si leva la giacca ed il giacchino, infila il
tutto nello zaino, si rimette lo zaino in spalla, senza mai smettere
di pedalare. Non mi stupirei se adesso estraesse l'asse da stiro e la
Vaporella. Seguo le operazioni restando qualche metro più indietro,
con il terrore che una buca, lo scarto di un auto, un pedone che si
sposta improvvisamente sulla strada lo colgano con le mani lontane
dal manubrio... Per il bene delle mie coronarie, sarebbe meglio che
il temerario si dedicasse a questo genere di performance quand'è
alle mie spalle.
Lungo
l'Aurelia viaggio con i nervi a fior di pelle e mille occhi attenti a
tutto, alle auto, ai pedoni; questo non basta a farmi rischiare di
disarcionare una ragazza in motorino in una rotonda... Mea culpa,
questo marasma non è proprio roba per me. Il bivio per Toirano è
una liberazione...
La
leggera salita fa sì che, tra un cambio e l'altro, salti fuori un
problema che si era già presentato ma che avevo, come mio solito,
rimosso, a mò di struzzo con la testa nella sabbia: ogni quattro o
cinque pedalate, il pedale fa un mezzo giro a vuoto. Che barba... Il
cambio di questa bici è una iattura, si svirgola di continuo. O
almeno, io la vedo così... Matteo mi fa sommessamente notare che la
mia catena ha avuto l'ultimo incontro con l'olio ai tempi delle
Guerre Puniche e che, se protesta, tutti i torti non li ha... Senza
contare il fatto che almeno due corone anteriori su tre sono ormai
consumate. Insomma, o di riffa o di raffa, è sempre colpa mia... Ma
possibile che non esista una bici su cui basti pedalare? Perché
questa piaga della manutenzione?
Bah...
Per oggi il mezzo è sopravvissuto fin qui; speriamo sopravviva
ancora. Comincia una nuova salita, con gran gioia del mio sistema di
termoregolazione: persino io, qui, mi tolgo la giacca. La pendenza
non è mai eccessiva; le gambe, dal canto loro, girano con una
facilità di cui io stessa mi sorprendo. Solo, non mi fido troppo a
salire in piedi sui pedali; se la catena dovesse giocarmi il tiro
della mezza pedalata a vuoto, mi ritroverei lunga e distesa
sull'asfalto. Una bella salita tra tornanti ben esposti al sole;
pochissimo traffico, quasi nulla. Peccato solo per i ciuffi di nuvole
che riescono a sfuggire alla gabbia del versante piemontese e si
allargano fino a coprire, di tanto in tanto, i raggi diretti del
sole. Subito un brivido percorre le braccia e la schiena... Man mano
che si sale, il tepore del mare resta un ricordo e solo la fatica
della lotta contro la forza di gravità mantiene nelle ossa una
temperatura nel limite della decenza. Gambe, fiato, cuore, polmoni,
tutto lavora a meraviglia. Ho voglia di tornare a pedalare con un po'
di costanza... Di lasciarmi alle spalle quel periodo nero, ma proprio
nero nero, che prima o poi travolge tutti nel corso dell'esistenza.
So che non è finita e che probabilmente non finirà mai del tutto,
ma credo sia arrivato il momento di riprendere il controllo e di
riconoscere a certe cose, a certi episodi, a certe persone il valore
che effettivamente meritano, nel bene e nel male. Credo di aver
toccato il fondo, nei lunghissimi bui mesi passati; ora non mi resta
che risalire, metaforicamente ed anche nella realtà. E riprendermi
le mie ragioni di vita, la corsa, la bici, anche se il lavoro ormai
lascia poco tempo e poco spazio.
Raggiungiamo
il paese di Balestrino, suggestivo, abbarbicato sulla montagna, con
l'unico neo di un'orrenda chiesa di architettura moderna, improbabile
ed inguardabile. Bellissimo anche l'altro paesello lungo il nostro
itinerario, Castelnuovo di Rocca Barbena. Benché abbia già girato
questi posti in lungo ed in largo, ho ancora un po' di confusione
circa la geografia; ogni tanto mi rendo conto, con un'illuminazione,
di trovarmi un un luogo noto e già visto... Salita e chiacchiera
proseguono ancora per un po'; la discesa, annunciata da Matteo ma che
speravo, in cuor mio, scomparsa, mi interrompe il ritmo ed il calore.
"Dobbiamo scendere per circa trecento metri", che dramma...
Per andare ad intercettare la strada del Colle San Bernardo, che ci
riporterà in quel di Garessio.
Finalmente,
ripresa la salita, trovo un luogo di mio gradimento per la sosta
tecnica che ho necessità di concedermi da almeno tre ore... Faceva
troppo freddo, prima. Non potevo certo esporre le pudenda a cotanto
gelo. Così, mentre mi addentro nel fitto del bosco, Matteo si dedica
ad ispezionare la meccanica della mia MTB. Non appena riemergo dalla
vegetazione, mi chiama con voce a metà tra l'indignato e
l'incredulo, per farmi notare che le maglie della catena, se piegate
con le dita, non si distendono più... Insomma, ho capito, c'è
bisogno di un po' d'olio, ecchessarà mai. Strano che non m'insulti
quando gli propongo di sopperire, per il momento, con un po' d'acqua.
Si riparte per l'ultimo tratto di questa lunga e bellissima ascesa; a
bordo strada ricompare la neve, che stride un po' con il concerto di
cinguettii tutto intorno.
Sul
colle ritrovo Matteo, che aveva preso un po' di vantaggio. L'idea era
di imboccare una strada che avrebbe dovuto condurci, da quassù,
direttamente al Colle Quazzo, per poi scendere da lì a Calizzano e
risalire dal Colle dei Giovetti. Ma, saggiamente, Matteo desiste:
"Meglio scendere a Garessio - osserva - l'altra strada rischia
di diventare sterrata". So benissimo che, da solo, non si
sarebbe nemmeno posto il problema e non avrebbe esitato a lanciarsi
in esplorazione... Ma ormai conosce l'ira funesta che scatenano in me
le situazioni ed i percorsi più impervi: prevale in lui l'istinto di
conservazione. Quindi, rivestiti di tutti i possibili strati di
abiti, ci avviamo giù per la strada principale, rassegnati ad
un'altra dose industriale di freddo, perché l'aria di mare ormai è
rimasta di là. Asfalto umido e residui di sale; la temperatura è
salita un po' rispetto a questa mattina, ma non poi così tanto. Il
microclima di questa valle è davvero una disgrazia! Ed i km scorrono
lentissimi, con il rammarico della cioccolata calda che avrei avuto
piacere di godermi su al colle: ma del bar resta solo l'edificio,
sprangato e dall'aspetto polveroso. E pensare che, dietro a quella
finestra, tanti anni fa me l'ero concessa davvero una bella
cioccolata, verso la fine di una pedalata mica da ridere.
Pazienza...
Anche
qui finisco per sconvolgere il piano di viaggio del buon Matteo:
vorrebbe risalire, lui, al Colle Quazzo e poi ai Giovetti, e da lì a
Bagnasco, infine a Battifollo ed a Ceva. Sarebbe un gran bel finale,
non lo metto in dubbio, ma, al mio ritmo, raggiungerei l'auto col
buio o quasi... E, soprattutto, col freddo dannato che al buio si
accompagna. Preferisco un più modesto percorso da Garessio a
Bagnasco, con salita a Battifollo e rientro a Ceva, anche se il mio
compare storce il naso per via del tratto di qualche km da percorrere
sulla strada di fondovalle. In effetti, qualche auto di troppo ed un
curioso personaggio che butta palate di neve in mezzo alla strada per
spostarla dall'ingresso di casa ci accompagnano verso la ridente
località tropicale, mannaggia la miseria, di Bagnasco City; se non
altro, è un bel tratto di pianura al sole. Appena oltre il semaforo,
ci attende il bivio per Battifollo. Si comincia a salire per
rispondere alla fatidica domanda di sempre: ma la mezza torre di
Battifollo, mezza nel senso verticale, sarà ancora in piedi? Chissà.
Qualche strappo, qualche tornante; Matteo si lancia in un allungo,
mentre io resto, come sempre, ostinatamente fedele alla mia marcia da
carro funebre. La luce si attenua; non sono più le brevissime
giornate di dicembre, ma il sole non riesce ancora a farsi
rispettare. L'entusiasmo dei suoi raggi si spegne sui rami ancora
morti, scuri e tetri del bosco; non un fiorellino, nemmeno una gemma.
Le
gambe girano ancora gagliarde, nei limiti delle mie possibilità, e
la mezza torre di Battifollo compare prima del previsto. E' un
paesaggio davvero suggestivo: credo lo ritenga tale anche l'autista
del fuoristrada che viaggia in senso contrario a me, che prima invade
un po' della mia corsia e poi si ferma. Quella torre è una beffa
alle regole della fisica; il suo aspetto, poi, nella grigia stagione
invernale è ancora più inquietante.
Matteo
spunta in discesa, già ben vestito e coperto; di lì a poco, in
paese, mi fermo anch'io: tempo di indossare tutto quel che ho, sotto
la guardia attenta e chiassosa di tre o quattro pasciutissimi
cagnetti in un cortile. Direzione Ceva, l'ultima discesa, sempre
troppo lunga. Fin troppo facile prevedere che quel cagnotto, legato
alla padrona da un guinzaglio allungabile, attraverserà la strada...
Tempo di raccomandare a Matteo "Occhio!", che la bestiola è
già dall'altro lato della carreggiata rispetto alla madama molto
svampita e poco responsabile: in mezzo, il cavo del guinzaglio. Roba
da disintegrarci tutti quanti, umani e cani... La discesa prosegue
con cautela; ghiaccio non ce n'è più, ma l'asfalto è viscido di
fanghiglia e sale. E fa freddo... Questa è una delle poche
circostanze in cui la vista dell'autostrada mi è di gran conforto.
Oltre il cavalcavia che la sorpassa, siamo a destinazione: la
rotonda, un passaggio in paese e su per l'ultimo strappo, dove un
simpatico automobilista si attacca al clacson per ottenere spazio,
salvo poi fermarsi cento metri più avanti per rispondere al
prepotente richiamo della vescica. Mi vien quasi da fare al suo
indirizzo il gesto del pollice e dell'indice tesi, paralleli e con i
polpastrelli molto vicini... Ma non è il caso di attaccare briga,
proprio alla fine di una bella giornata. Anzi, mi concedo persino la
progressione sull'ultimo tratto della salita, giusto per accumulare
un briciolo di calore prima di raggiungere l'auto. La Zafirona ed il
furgone blu elettrico sono ancora lì in attesa. 145 km e circa 3.200
m di dislivello in salita; la fame si fa sentire: meno male che la
mamma di Matteo ha pensato alla torta salata!