E' già chiaro quando Matteo
ed io torniamo allo stato cosciente, al trillo della sveglia. Mi
sembra di aver vissuto un'esperienza di morte temporanea: ho dormito
come un sasso. In altri tempi di fervore giovanile, mi sarei
imbestialita all'idea di aver già sprecato preziosissimi minuti di
luce: avrei già dovuto essere in marcia da un po'... Ma oggi ammetto
che tornerei volentieri a seppellirmi sotto il caldissimo piumone.
Eppure non si può: resta un allenamento da fare e tanta strada in
auto per tornare a casa, dalle belve.
La graziosissima padrona di casa ci fa trovare una
lauta colazione, sorvolando sul caffè: in questo caso, essere in
Francia è un elemento di svantaggio. Più che altro, ciò che a me
manca è la componente salata della colazione: abituata come sono a
considerare questo il pasto principale della giornata, sento la
mancanza di un piatto di pasta o di una bella fetta di formaggio. Mi
accontento del pane, del burro e del miele, più un paio di gustose
marmellate, ben sapendo che la colazione dolce cederà presto il
passo alla fame. Su uno dei tavoli della splendida sala da pranzo,
sfoglio l'album delle fotografie che ripercorrono i lavori di
ristrutturazione del casolare in cui ci troviamo: da fienile
diroccato a splendido edificio a destinazione abitativa e turistica.
Il programma della giornata prevede di spostarci in
auto a La Palud. Da lì, partiremo entrambi, Matteo ed io, per il
giro della Route des Cretes, lui in bici ed io a piedi. Poi Matteo,
completato il giro e tornato a La Palud, proseguirà in direzione di
Digne, mentre io recupererò il furgone e lo seguirò, per poi
tornare in Italia passando dal Colle della Maddalena. A tornare dalla
Valle Roja, vista la via crucis dell'andata, non pensiamo nemmeno per
un istante.
La luce sfavillante del sole inganna: il termometro
del furgone segna due gradi. Due. Cominciamo bene. La faccenda non
migliora molto nella mezz'oretta scarsa che impieghiamo per spostarci
verso La Palud. Bando alle incertezze, tanto si parte in salita. Io
scendo al bivio con la Route des Cretes, circa un km prima di La
Palud: Matteo prosegue con il furgone lungo la strada alternativa che
permette di oltrepassare il blocco dei lavori nel centro
dell'abitato. Così, parto a piedi con un po' di vantaggio. Saranno
solo 21 km, una mezza maratona, ma con un dislivello di tutto
rispetto. Di corsa per i primi km, poi la salita si fa più seria:
non è il caso di sfinire le gambe, che pure stanno molto meglio di
quanto io potessi immaginare. Intanto il sole fa il suo dovere e
l'aria si fa tiepida. I primi turisti, rari, fanno capolino in auto e
camper, mentre io procedo a passo svelto e concentrato lungo i
tornanti di questo tratto di strada che, fin quasi al punto più
alto, è a doppio senso di marcia per i veicoli. Raggiungo il primo
belvedere e mi affaccio sul baratro, ma solo per un attimo. Poi
riparto di buona lena.
Matteo mi arriva alle spalle dopo cinque o sei km
dal mio via. Giusto il tempo di rubargli un pezzetto di focaccia,
perché, come immaginavo, ho già fame. Poi ripartiamo entrambi. Ci
rivedremo lungo la strada per Digne o, alla peggio, proprio a Digne.
Settecento metri di salita passano, tutto sommato,
più in fretta di quanto pensassi: tra un belvedere e l'altro,
raggiungo il punto in cui, oltre uno slargo, la strada diventa più
stretta ed a senso unico. Da La Palud, infatti, il giro si può
percorrere solo in senso orario. Decifro per sommi capi il panegirico
scritto su un cartellone: qui siamo oltre quota 1.200 m,mentre il
Verdon è a quota 500 m circa. Quindi, la parete verticale su cui
potrei affacciarmi se solo osassi avvicinarmi al bordo sinistro della
strada è alta più di 700 m. Mi fido, preferisco non controllare,
nemmeno ad occhio. Proseguo attraversando un breve tratto boscoso,
fino a raggiungere il punto più alto, da cui si apre una vista da
brividi su tutto: il canyon sotto di me, il lago, il Mont Ventoux
innevato, l'altopiano. E la strada che corre sull'altro lato delle
Gorges, rieccola. Da qui in poi, alcuni km di picchiata con vista sul
vuoto e l'ombra inquietante degli enormi avvoltoi che hanno preso
residenza qui e volteggiano lenti pochi metri sopra la mia testa. C'è
chi ha piazzato il camper proprio qui, per ammirare l'alba in un
luogo da sogno, e riemerge appena adesso tra lenzuola e cuscini; io
riprendo a correre svelta e decisa, approfittando del lungo tratto di
discesa fino allo Chalet de la Maline ed oltre. Un tornante dietro
l'altro, alcune gallerie scavate nella roccia, la luce del sole
abbacinante. Oggi non c'è un alito di vento; l'asfalto e le pareti
rocciose bianchissime riflettono il calore. Scatto parecchie foto,
prima di arrivare allo Chalet, dove la strada torna ad allargarsi ed
a consentire il transito nei due sensi di marcia. Il piazzale è
affollato di veicoli d'ogni genere, dalle moto ai camper grossi come
pullman granturismo. Da qui partono anche alcuni sentieri. Qui, a
quota più bassa, la strada si incunea nuovamente nella gola ed
alterna tratti di lieve discesa a brevi risalite molto blande.
Stanchezza e sete si fanno sentire: in tutto il giro delle Cretes non
ci sono fontane. Ma non voglio smettere di correre: il giro è breve,
tutto sommato; lo sforzo è sopportabile. Mi rassegno a camminare
solo nel tratto finale, una risalita di circa duecento metri di
dislivello che mi allontana dalle Gorges per tornare al piano di La
Palud, passando, quasi in cima, accanto ad un recinto con alcuni
lama. L'abitato compare, finalmente direi, dopo ventun km dal mio
via: mi concedo il viale d'ingresso al passo, per non arrivare al
furgone e fermarmi di colpo, inchiodando le gambe.
Mi cambio, mi do una lavata artigianale con un
asciugamano e l'acqua di una bottiglia, faccio un po' di stretching.
Poi arriva la parte più inquietante dell'avventura: guidare il
furgone giù per le curve fino a Moustiers. E da lì fino a Digne, ma
dovrebbe essere più semplice. Secondo Matteo, il furgone è poco più
grande della mia Zafira, dove per “poco” si intende una decina di
cm in larghezza e ben quaranta in lunghezza. In verità, io adoro
guidare qualsiasi mezzo, ma sono molto in ansia quando il mezzo non è
mio...
Giro la chiave ed il furgone si avvia. Ottimo, chi
ben comincia è a metà dell'opera. Arrivo in paese e riesco,
all'incrocio, a far spegnere il motore, sotto gli sguardi perplessi
degli avventori del bar. Poi però fila tutto liscio, se si vuole
sorvolare sulla cosa spaventosa che creo dietro di me scendendo fino
a Moustiers alla velocità massima dei cinquanta all'ora. Da
Moustiers in poi, in qualche tratto oso addirittura i sessanta
all'ora: Puimoissons e poi via verso Digne.
Non mi stupisco di non raggiungere Matteo: in
effetti, io sono molto lenta sia a piedi che a motore, quindi è
perfettamente plausibile che a Digne arrivi lui prima di me. Mi
stupisco già un po' di più di non vederlo quando arrivo alla
periferia di Digne. “Sarà in centro, imboscato in qualche
boulangerie”, penso. Proseguo lentamente, scrutando le figure sui
marciapiedi: di lui nessuna traccia. Attraverso il centro di Digne in
direzione di Barcellonette: nulla. A questo punto, parcheggio e provo
a chiamarlo al telefono. Nessun segno di vita dall'altra parte: uno,
due, tre tentativi, nulla. Ok Gian, calma e sangue freddo, adesso
riparti e torni indietro per un po'. Con una certa ansia all'idea di
guidare il furgone nel traffico cittadino, con il mercato e l'isola
pedonale. Arrivo fino al confine della città: nulla. Torno indietro
ancora una volta e ancora nulla, nessuna traccia di Matteo. In
compenso, la Gendarmerie comincia a tenermi d'occhio. Un furgone in
luogo affollato, di questi tempi, è cosa poco rassicurante, ma io ho
intenti omicidi verso una sola persona in questo momento, sempre che
non gli sia già accaduto qualcosa.
In preda allo sconforto, mi fermo di nuovo. Non so
che fare: l'unica idea che mi viene in mente, con i brividi lungo la
schiena ed i peggiori pensieri foschi, è rivolgermi davvero alla
Gendarmerie e chiedere se per caso abbiano notizia di un incidente
occorso ad un ciclista italiano. Tento ancora una volta di mettermi
in contatto con Matteo per telefono. Incredibile dictu, stavolta il
suo cellulare suona. E lo sciagurato risponde: mi spiega, col
fiatone, che sta pedalando e si trova una decina di km oltre Digne,
verso Barcellonette. Ma non ha potuto avvisarmi perché il suo
cellulare non funziona. Certo. Ovvio. Ci siamo dati appuntamento qui,
tu hai il cellulare che non funziona, quindi qual è la decisione più
razionale da prendere? Proseguire, ovvio, chi non lo farebbe. Riparto
per l'ennesima volta, ma senza più avere misericordia alcuna
dell'acceleratore, mentre tra me e me medito se passargli sopra
oppure passargli accanto e tirare dritto verso casa, lasciando che i
trecento km rimanenti soddisfino la sua voglia insaziabile di
pedalare. Sì, ecco, sarebbe splendido, la giusta vendetta, sadismo
allo stato puro. Passano parecchi km prima che io lo raggiunga,
nonostante la guida in stile curve su due ruote. Quando finalmente ce
l'ho nel mirino, solo per un estremo sforzo di autocontrollo riesco a
seppellire, almeno un pochino, l'ascia di guerra e fermarmi su una
piazzola, permettendogli di salire a bordo, ma non senza fargli
presente quel che penso della sua brillante iniziativa. Ci vorranno
parecchi km ed un bel po' di curve su per la Maddalena, prima che il
mal d'auto intervenga a placare e sovrastare l'istinto omicida, ed un
bel bicchiere di Moscato a casa per riportare la pace. Ma la prossima
volta non mi becca più! Da oggi in poi, l'auto non si schioda più
se non con a bordo tutti i passeggeri, parola mia.
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