A pochi giorni dal via
della gara, risultano in elenco, occhio e croce, trentacinque
iscritti. Chissà perché, mi domando. Forse perché a questa
manifestazione non è stato dato alcun risalto pubblicitario, forse
perché ad ottobre sono pochi i corridori che hanno voglia di
cimentarsi su settanta km di corsa ed oltre tremila metri di
dislivello. Un'occhiata ai dati dell'anno scorso rivela più o meno
lo stesso numero di iscritti, ma una quindicina scarsa di persone
giunte al traguardo.
Ammetto di essere un po'
preoccupata. Percorso molto selettivo? Maltempo che ha scoraggiato i
partecipanti? Mah. Anche Matteo non è così fiducioso...
A Lanzo, alle cinque e
mezza, siamo quattro gatti bardati da corsa, sulla piazza centrale
del paese. La distribuzione dei pacchi gara dovrebbe aver luogo qui
nei paraggi... Ma per ora non ce n'è traccia. Fa freddo, ma non
troppo: il cielo è nuvoloso; per oggi si prevede acqua a catinelle.
E di certo il mio umore non ha tratto beneficio da questa
informazione. Una decina di minuti e, nel buio, si materializza uno
dei componenti dell'organizzazione: il piccolo drappello di corridori
lo segue in un edificio proprio accanto alla piazza. Siamo pochi
intimi: ciascuno ritira il proprio pettorale di gara; poi, ci si
riunisce in una saletta per il riepilogo delle informazioni
essenziali sulla gara.
Il road book che ci è
stato consegnato è molto minuzioso, ma chiunque abbia un minimo di
dimestichezza con la montagna sa che, al limite, per orientarsi
servono bussola e cartina, se non un GPS... A patto, ovviamente, di
conoscere la propria destinazione. Spero vivamente che, come in tutti
i trail degni di questo nome, il tracciato di gara sia segnalato, ma
non mi sento affatto tranquilla in proposito. La sensazione è che ci
sia una buona dose di approssimazione dietro a tutto ciò...
La partenza è sulla
piazza, accanto all'ala in pietra. Il tempo di alcune foto e poi via,
lo sparo. Saremo, alla fine, meno di trenta persone, occhio e croce.
Partono tutti come saette dietro ai due ciclisti in MTB che ci
guideranno nel tratto in città, fino all'attacco del primo sentiero.
Manco fosse la partenza di una gara di cento metri piani... Sputo
l'anima per non restare distaccata; qui, di segnaletica, nemmeno
l'ombra. Devo mantenere almeno il contatto visivo con chi mi precede.
Buio pesto e qualcuno è
senza pila frontale: vero che il regolamento specificava che sarebbe
stato bene portarla se si fosse previsto di arrivare al traguardo
all'imbrunire... Ma non ci vuole un fisico nucleare per capire che,
se si parte alle sei e mezza ad ottobre, per giunta con le nuvole,
non ci si vede un tubo! Corro a perifiato, prima tra le case di
Lanzo, poi in un parco lungo il fiume, poi ancora un ponte. Quando mi
trovo a pestare il primo sentiero, comincio a realizzare il dramma.
Dietro di me ci sono
altri tre corridori. Io sono in testa, con la pila frontale ed il
fascio luminoso che si infrange senza misericordia contro la nebbia
fitta e torna indietro. Bosco e prato; il sentiero è una traccia
nell'erba, appena accennata. Primo errore sull'itinerario, sia pure
di pochi metri, richiamati dalla voce del volontario di guardia.
Comincia un pellegrinaggio che ha il sapore di un'odissea... Siamo in
quattro, in fila, e chi c'è in testa a battere la traccia? Proprio
io, che già in condizioni meteo eccellenti sono cieca come una
talpa... Tra la nebbia e gli occhiali bagnati, ogni tre passi son
ferma a cercare di capire dove passi il sentiero. Chiamarlo
"sentiero", poi, è un complimento del tutto immeritato.
Spesso si riduce davvero ad una vaga idea.
All'inizio, individuiamo
qualche freccia segnavia blu. Ma dico io... Chi è il genio che ha
avuto l'idea di usare il blu? Come può venirti in mente, con la
partenza notturna ed il rischio di pioggia, di scegliere per i
segnavia il colore blu? Non si vede un accidente! Poi più nulla,
solo le tacche di vernice bianche e rosse. Ma i sentieri CAI sono
segnati tutti con tacche bianche e rosse, che io sappia. Quindi, in
sostanza, potremmo essere su un sentiero qualunque. In effetti, a
furia di addentrarci nel bosco, di passaggi malagevoli, di rami in
faccia, di fango, giungiamo tutti alla conclusione di essere
completamente fuori strada. Qualcuno ha la sensazione di udire delle
voci, ma forse sono solo versi di animali... O gli echi degli ululati
di Belzebù. Un barlume di luce filtra e ci permette di spegnere le
frontali: nebbia, foglie umide e pietre scivolosissime. Un
affascinante quadretto autunnale, non fosse che non abbiamo idea di
dove ci troviamo. Boh, una traccia di sentiero c'è... Andiamo a
vedere dove finisce; alla peggio, ci saremo fatti una gita.
Uomini e donne di poca
fede: all'improvviso, la selva oscura ci rigurgita su una strada
asfaltata. Miracolo, riappaiono le frecce azzurre! Anzi, qui ce n'è
talmente tante, dappertutto, che se non fai attenzione te ne ritrovi
una conficcata in luogo indicibile... Diligentemente seguiamo le
istruzioni: ripidissima salita verso sinistra. I miei colleghi
camminano svelti, tanto che io non riesco a star loro dietro pur
corricchiando. Raggiungiamo un abitato; da lì, altro tratto di
sentiero, passando accanto ad un obbrobrio architettonico che pare
essere un centro benessere o qualcosa del genere. Una SPA per me
rimane una Società Per Azioni, ma a quanto pare sono retrograda.
Graditissimo il conforto
del primo punto di ristoro: crostata, the caldissimo e qualche
lamentela sulla tracciatura del percorso. I tre colleghi prendono il
volo, approfittando del mio momento di debolezza: sto combattendo
contro i torcetti di cui mi son riempita le mani al ristoro. Il
passaggio sul ponte in legno scivolosissimo e la successiva discesa
su sentiero lastricato di pietre liscie ed umide fanno il resto: non
c'è verso di trovare un appoggio stabile... Cammino come se fossi
sulle uova. Nemmeno le efficientissime La Sportiva Raptor, in questo
caso, bastano a far presa. Comincia qui la mia lunga galoppata
solitaria, sognando la salita e masticando invece infiniti saliscendi
nel bosco fitto. Complice anche la giornata nebbiosa, qui di panorama
si vede ben poco. Funghi, gocce che piombano in testa e sugli
occhiali dalle foglie, la nebbia che sfuma i contorni dei tronchi
lisci dei faggi. La salita "vera" arriva molto più avanti
ed è davvero impegnativa, grazie anche al fango, che fa sì che si
faccia un passo avanti e due indietro. Capita ogni tanto di doversi
fermare a controllare la direzione: qui i segnali latitano dinuovo.
Ormai so che mi devo aspettare poco aiuto dalle indicazioni
dell'organizzazione; quindi, non mi preoccupo se per diverse
centinaia di metri non vedo nulla che mi faccia capire che sono sulla
strada giusta.
D'un tratto, il bosco
intorno a me sparisce: spunto in una radura; una figura umana si
muove: "Sta arrivando uno degli ultimi tre!", annuncia a
gran voce. "Grazie per l'incoraggiamento", sibilo. Ancora
un po' di salita e mi ritrovo sotto la tettoia di un rifugio, ad un
punto di ristoro. Qui dovremmo essere a circa 1.600 m di quota e
dovremmo andare a 2.000: tuttavia, mi annuncia il responsabile del
ristoro, si è deciso di deviarci lungo una strada più o meno in
piano, perché "su al lago si son persi tutti", commenta
sconsolato. Tra me e me, non fatico a crederlo: se le indicazioni
lungo il percorso sono dello stesso tenore di quelle che ho trovato
io finora, con questa nebbia campa cavallo! Pare che la vernice usata
per tracciare la retta via dieci giorni fa sia stata lavata via dalla
pioggia caduta in abbondanza in settimana: ma... Possibile che
nessuno abbia controllato ieri o ieri l'altro? E, se qualcuno invece
ha controllato, possibile che si sia deciso di mandare su gli atleti
lo stesso, con le previsioni meteo che annunciavano per oggi
tregenda? I miei sospetti circa il numero esiguo di iscritti si
concretizzano...
Al volo, il responsabile
del ristoro mi spiega dove devo andare, mentre accarezzo uno dei cani
del rifugio. Seguire la strada... In effetti, c'è una bella strada
sterrata, molto comoda, in leggera salita. Qui non c'è proprio
nemmeno un barlume di indicazione; per quel che ho capito, però, il
tracciato di gara originale dovrebbe andare a passare su un colle più
avanti, a cui anche questa strada dovrebbe arrivare. Quindi, ai bivi,
decido di tener la destra e continuare a salire. In un tratto
pianeggiante, mi metto a correre: la decisione non piace ai tre
maremmani a guardia di una mandria, nel pascolo alla mia destra ma
ben più in alto di me. I tre cagnoni si lanciano ventre a terra
verso di me, incuranti dei richiami dei pastori: li vedo venir giù
dal pendio erboso come una valanga... Mi immobilizzo: i tre arrivano
al limitare della strada, inchiodano interdetti, mi si avvicinano con
circospezione. Mi annusano le mani abbandonate lungo i fianchi;
riesco persino ad azzardare una carezza. Soddisfatti, tornano sui
loro passi... Ed io sui miei. Di lì a poco, un bivio, un altro
chilometro di leggera salita ed il colle. Presumo, almeno, che sia
questo il colle che devo raggiungere.
Un gruppo di volontarie
di guardia resta interdetto: "Hai tagliato il percorso? Gli
altri sono arrivati tutti di là", mi fanno. Ehi, un momento,
che taglio e taglio... Me l'ha detto il responsabile al rifugio, di
passar di qua! OK, aggiudicato... Via di corsa in discesa. Di qui è
tutto un susseguirsi di tratti nel bosco e passaggi in borgate e
paesini: ancora una volta, una caccia al tesoro. Ormai abituata alla
solitudine, quasi mi preoccupo quando sento delle voci alle mie
spalle: una coppia di corridori mi sorpassa in discesa. Ma, meno di
un'ora più tardi, li vedo nuovamente alle mie spalle: "Abbiamo
sbagliato strada...". E chissà come mai.
Approfitto di una delle
tante, brevi risalite per controllare il telefonino. Un messaggio di
Matteo mi annuncia che la sua gara è già conclusa: era quarto in
compagnia di Franco Collè, il terzo classificato al Tor des Geants
2013... Ma si sono persi nella nebbia e, dopo lunghissima
peregrinazione, sono tornati al ristoro del km 20, dove hanno dovuto
ritirarsi perché già al di fuori del cancello orario in quel punto.
Tutto ciò mi sembra davvero fantozziano... Matteo annuncia che
tornerà all'auto a piedi, tanto per aggiungere una ventina di km ai
quaranta già percorsi. A questo punto, a me non resta che sperare di
trovare il traguardo, prima o poi!
Raggiungo un altro punto
di ristoro nei pressi di una chiesetta: occhio e croce, dovrebbero
mancare circa 25 km... Me lo confermano i volontari. Via ancora,
sempre nel bosco, interminabili saliscendi con strappi talvolta anche
severi. La nebbia s'è diradata; addirittura sembra comparire qualche
sprazzo di cielo. Nei rari tratti in cui la vegetazione si dirada,
finalmente si può ammirare un po' di panorama nei colori
dell'autunno.
Arrivo, senza saperlo, al
ristoro prima dell'ultima salita. Sono convinta di essere ultima, ma
non è così: dietro di me ci sono ancora alcuni dei malcapitati,
magari anche forti, che però hanno sbagliato strada... L'ultima
salita è una strada sterrata, troppo ripida per correre e troppo
poco per procedere di passo con una velocità soddisfacente. Per la
verità, nel primo tratto di salita io seguo il sentiero attraverso
il bosco: ripidissimo, ostico, spaccagambe... Ma le tacche bianche e
rosse sono qui! Mi tocca pure attraversare, vicino ad alcuni ruderi
di baite, la ragnatela di proprietà di un bestio orrendo e grosso...
Glielo faccio presente, al bestio; quello, giustamente, replica: "Ma
ti sei guardata allo specchio?". Poi sbuco nuovamente sulla
sterrata e cammino, cammino, cammino... In preda ad una profondissima
fiacca esistenziale ed al freddo che torna a farsi pungente, insieme
alla nebbia, afferro un Mars. Non tanto per l'energia che ne posso
ricavare, quanto per il conforto psicologico che deriva da simili
maialate alimentari. Invio una caterva di improperi all'indirizzo di
chi ha piazzato nel percorso questo tratto... Finalmente, si scollina
in un romantico panorama di antenne. Purtroppo, la discesa, se
possibile, è anche più odiosa. Un disastro di pietre scivolose, una
discesa rognosa che più non si può: sarà la stanchezza, saranno i
mille dubbi circa il tracciato, ma sto perdendo la pazienza... Man
mano che perdo quota, la nebbia si dirada, ma la luce del giorno si
sta ormai affievolendo. Mi assale la paura: e se il buio mi
sorprendesse qui? Tra la foschia, gli occhiali bagnati e gli occhi
inutili, mi troverei in un bel guaio... Cerco di accelerare, ma più
ci provo e più mi inciampo. Occhio Gian, non puoi proprio
permetterti di sinistrarti le gambe. Non finisce più questa
discesa...
Finalmente, un essere
umano, che annuncia il mio arrivo cantando a squarciagola. Ancora
qualche centinaio di metri ed incontro l'ultimo banchetto del
ristoro: ancora dieci km ed una salita, durissima ma molto corta...
Uhm. Lo sapevo che non sarebbe mancata la carognata finale. Sono
pronta a scommettere che la salita non sarà l'unica e non sarà
nemmeno così breve. Via di corsa: strada sterrata, deviazione,
sentiero, deviazione... Su, in verticale. Non c'è che dire, ripida è
ripida... Mi arrampico con le unghie e con i denti in mezzo alla
vegetazione. Ho il sospetto che questo passaggio sia stato creato per
noi, per puro sadismo. Un bel salto di dislivello, per arrivare su
una strada sterrata e da qui, di corsa, fino ad un paese. All'uscita
dall'abitato, un dubbio: le frecce bianche per terra sembrano
indicare una svolta a destra... Per mia fortuna, alle mie spalle
arriva un altro concorrente, spuntato dal nulla. Un capannello di
madame sulla strada ci indica di proseguire lungo la via maestra. Il
collega di sventura è parecchio arrabbiato: era nel gruppo di testa
ed è stato uno dei tanti che, a quota duemila nei paraggi di un
lago, ha sbagliato strada e macinato un'infinità di km nella
direzione farlocca... Ammirevole, da parte sua, la scelta di
continuare comunque con le sue gambe fino al traguardo. D'altro
canto, a me non può che far piacere l'improvvisa ed inattesa
comparsa di un simile gnoccolone, biondo, capelli lunghi, occhi
azzurrissimi, alto e con un bel fisicone robusto. Evidentemente il
malcapitato riesce a percepire, in qualche modo, il tenore dei miei
pensieri... Perché, di lì a poco, evidentemente terrorizzato, mette
il turbo e se ne va di corsa. Io, su falsopiano in salita, non posso
che lasciarlo andar via. Scoprirò poi, leggendo varie testimonianze
su Internet, che dietro di me sono ancora arrivate al traguardo sei
persone: tra loro, gente che di norma mi dà ore di distacco... A
condizione di capire dove passa la corsa!
Un tratto di strada
asfaltata è preludio all'ultimo sforzo: il passaggio sul suggestivo
Punt del Diau, a Lanzo, ma soprattutto la salita successiva per
rientrare in paese. Aspra e poco gradita alle mie gambe ormai stufe.
Ora sì, sta calando il buio; per fortuna ormai è fatta o quasi...
Il "quasi" è d'obbligo, visto il giro tortuoso che mi
tocca ancora seguire per giungere al traguardo. Quando sei stanco ed
infreddolito, bastano pochi metri a far saltare i nervi. L'abitato,
una piazzetta, una via stretta... Finalmente: ecco l'ala da cui siamo
partiti. Un tavolino, un computer e due volontari: stavolta è
davvero finita. Il tempo di ritirare il diploma, bere una birra che
sognavo da troppo tempo, saltare in auto, andar via. Anzi, no. Si
avvicina al finestrino il bel biondo: urca, che voglia chiedermi un
passaggio? Che si sia perdutamente innamorato di me e voglia pregarmi
di non andar via? Niente di tutto ciò: semplicemente, ha ritirato il
pacco gara, uno scatolone gonfio di ogni leccornia, e mi raccomanda
di andare a prendere il mio. Io non ci pensavo neanche più, al pacco
gara... Spengo il motore, torno al locale del ristoro finale, ritiro
il mio scatolone. Questa volta, davvero, via verso casa: poco più di
sessanta km, circa tremila metri di dislivello, dodici ore e mezza,
un supplizio! E domani si parte per correrne altri 51 in Lomellina,
questa volta piatti o quasi. Coraggio, a casa, a nanna!
...Accidenti al termine del racconto ero sfinito...hsi avuto una nella CapaTosta
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