Quest'anno, le premesse sono davvero le peggiori possibili. Per
carità, non che io sia mai partita con ambizioni di classifica: non
me le posso permettere... L'unica ambizione è sempre stata quella di
giungere al traguardo; ecco, è proprio questa, che oggi sarà messa
in serio rischio.
Non ho l'allenamento
sufficiente, non ho collezionato i lunghissimi allenamenti che avevo
messo in saccoccia nelle scorse stagioni; sono parecchio a terra
fisicamente, e parecchio anche moralmente, per vicissitudini varie
familiari e lavorative. Mi manca quell'entusiasmo assassino degli
anni scorsi, anche se ho fatto carte false per essere qui, oggi.
Vorrei dormire un po' più
a lungo, ma non c'è verso; prima delle sei sono già sveglia. Provo
a riaddormentarmi, accendo la radio, cerco qualche canale noioso, ma
nemmeno Radio Maria basta a farmi riprendere sonno, o perlomeno a
farmi svenire dal disgusto. Basta, tantovale che mi alzi. Anche
stamattina fa freddino... Però il cielo è terso. In effetti, mi
accorgo solo ora che il campeggio è quasi deserto: questa primavera
folle non invoglia certo i turisti, nemmeno quelli abituali di ogni
stagione.
Mi preparo con calma,
godendomi il raggio di sole che finalmente colpisce l'auto. Le borse
con i cambi d'abito e qualche derrata alimentare, da mandare lungo il
percorso, sono già quasi pronte. Sarà lunga l'attesa, fino a
mezzogiorno. Cincischio, provo a dormicchiare ancora un po';
sconfitta, verso le nove lascio il campeggio e mi avvio verso il
centro. Approfitto per una "toccata e fuga" nella stessa
panetteria di ieri sera, a caccia della colazione: immancabilmente,
focaccia, più un pezzo di crostata all'albicocca. Beh, se non altro
avrò tempo di digerire...
Alla partenza, davanti al
Municipio, c'è giò fermento. Malgrado io preferisca restare lontana
dalla confusione, oggi ho un bel po' di persone da salutare, tra
corridori, assistenti e simpatizzanti. Ormai, tra pazzi furiosi ci si
conosce un po' tutti. Infatti è un gran sorridere e stringere mani;
va tutto bene, pur di mascherare un po' la paura. Alla tensione delle
edizioni precedenti, si aggiunge quest'anno un motivo di
preoccupazione in più. Se dovessi giungere al traguardo in tempo,
sarei la prima donna ad aver concluso tre edizioni della Nove Colli
Running, per giunta tre di fila. Per carità, non è che sia chissà
quale record... Ma ci terrei molto.
Ormai il rito si ripete
sempre uguale: la spunta dei nomi, uno per uno, la foto di gruppo, la
corsa dell'ultimissimo secondo in bagno... Il cielo resta terso, solo
qualche nuvola di passaggio; la temperatura è decisamente più bassa
rispetto agli anni scorsi. Ho persino qualche dubbio a partire in
canottiera... Mal che vada, nello zainetto ho il necessario.
L'attesa si conclude,
finalmente, a mezzogiorno in punto. La tensione si scioglie con i
primi passi... Chissà quanti passi si muovono in una corsa da 200 e
rotti km?
Le gambe non fanno
mistero di risentire un po' della prova di ieri in bici. Niente
panico: ormai so bene che i primi venti km sono sempre un calvario.
Se riesco a superarli senza cedere alla tentazione di mollare tutto e
ritirarmi, sono già a buon punto...
Gli sguardi degli
automobilisti incolonnati e fermi per la presenza dei corridori
stanno a metà tra l'esasperato e l'incuriosito. Tra noi e le auto
sciamano poi centinaia di ciclisti, già pronti per la granfondo di
domani; è un tifo sfegatato, persino dai balconi delle case e dai
giardini. Peccato solo per il traffico infame: alla fine, buona parte
dei veicoli che ci passano accanto sono quelli dell'organizzazione,
nonché degli assistenti personali di molti corridori. In effetti sì,
i primi km di gara fino a Cesena sono un bel calvario.
Come sempre, commetto
l'errore di lasciarmi prendere dall'entusiasmo: chiacchiera di qui,
chiacchiera di là, a Cesena arrivo troppo in fretta. Meno male,
però, che nei miei paraggi c'è qualcuno: altrimenti, difficilmente
mi sarei accorta del cambio di percorso, che quest'anno ci porta a
passare fuori dal centro storico. Continuo a seguire i miei punti di
riferimento, fino ad imboccare l'ultimo caoticissimo rettilineo che
termina al punto di ristoro di Settecrociari. Vado a caccia di
qualcosa da bere; per costrizione, prendo anche un paio di biscotti.
Non ho fame, ma è importante buttare giù qualcosa ogni tanto,
perché prima o poi la pancia comincerà a ribellarsi... E a quel
punto sarà opportuno aver già fatto scorta.
La mia sosta, come
sempre, è brevissima. Mi lascio alle spalle un bel po' di corridori
intenti ad affrontare la pasta... Io preferisco attaccare la prima
salita. Di passo, ovviamente. Lo stacco tra la pianura e la collina
qui è nettissimo: un attimo fa eravamo giù sul piatto, in mezzo ai
vigneti... E adesso ci arrampichiamo sulla prima rampa. C'è chi
insiste a correre anche in salita: sono pochi, però, quelli che se
lo possono davvero permettere. Io non ho questa fortuna e non ci
provo nemmeno. Ho un didietro così pesante che stroncherei i
garretti senza rimedio. La voglia di scherzare e chiacchierare, qui,
è ancora vivace, ma non c'è nessuno con cui io possa scambiare più
di qualche veloce battuta; vanno tutti troppo forte...
Soffia un venticello poco
confortevole. Razionalmente, so che il caldo eccessivo è nemico
della prestazione sportiva, ma vorrei tanto i trentacinque gradi di
qualche edizione fa... Il passo per ora è svelto; raggiungo il
Polenta senza troppa fatica. Giù in discesa, di corsa: i polpacci
avrebbero anche qualcosa da ridire... Li zittisco, penso ad altro,
scruto le curve della discesa. Mi sorpassa di gran carriera una
fanciulla minuta, che corre in gonnellino e saluta gentile: scoprirò
poi che si tratta della vincitrice.
A Fratta, si torna per un
breve tratto in pianura: qui le gambe mostrano i primi segni di
difficoltà. C'è poco da fare: la mancanza di allenamento sulla
distanza pesa, eccome. Qui saremo poco oltre i trenta km e già il
corpaccione presenta il conto. Calma, Gian. Breve sosta al ristoro,
prendo da bere ed un po' di frutta, poi via per l'interminabile
tratto di falsopiano verso l'attacco della seconda salita. Correre,
piano ma correre. Non posso pensare di mettermi al passo, già qui.
La seconda salita incombe; con essa, il cancello orario al km 57.
Bisogna passarci entro sette ore e quarantacinque minuti dal via. Io
non ho idea di che ora sia, come sempre, e non lo voglio neanche
sapere... Corro per quanto posso, finché la strada non prende a
salire decisa; allora mi rassegno al passo spedito, con l'occhio
ansioso di scorgere, dietro ogni curva, il culmine di Pieve di
Rivoschio. Ma lo sento, che il mio passo è faticoso.
Al punto di ristoro, mi
lasciano passare. Tutto ok, quindi: sono in tempo. Giù in discesa,
sfruttando l'onda dell'entusiasmo, per quel poco che può servire.
Sono scettica nei confronti di chi sostiene che conti moltissimo la
testa: conta, è vero, ma se i muscoli non rispondono...
La salita del Ciola,
puntualmente, è un calvario. Ormai non mi spavento nemmeno più. Si
va verso sera; cala il buio, mentre l'aria si fa ancora più
frizzante. E la debolezza pian piano mi assale: a nulla serve mandar
giù qualcosa da mangiare, perché non c'è più nulla che vada giù.
La debolezza si trasforma in nausea, fa girare la testa, a tratti mi
rende persino difficile stare in piedi. Le gambe quasi si trascinano,
anziché camminare come si deve. Angoscia... Calma, Gian. Ti è già
successo gli anni scorsi. E' la stessa identica cosa. Stai male da
cani... Ma poi passa. Fidati.
Arrivo al ristoro quasi
barcollante, in cima al colle. Cerco di darmi un tono; scorro
disperatamente i cibi sulla tavola, ma non ce n'è uno solo che non
mi faccia rivoltare lo stomaco alla sola idea. E sì che son tutte
cose che, di norma, adoro, dalla frutta secca alle uova sode, al
grana... Trangugio a forza qualche nocciolina, bevo un po' d'acqua e
un po' di Coca sperando nel noto potere "sgorgante" di
quest'ultima... Poi via, riparto, Frontale a portata di mano, perché
ormai è quasi buio: si vedono già le luci di Mercato Saraceno, ma
lontanissime... Dai Gian, calma e sangue freddo. Non pensarci, vai
giù. Goditi la milionata di lucciole, chissà perché così tante,
solo qui. S poi son già in arrivo i ciclisti del percorso
notturno...
Corro con la testa da
tutt'altra parte, probabilmente nemmeno del tutto cosciente. Mi
risveglio solo quando, in lontananza, intuisco dalle luci che ci sono
dei corridori fermi. Vuoi vedere che... Sì, è il banchetto del
ristoro "privato", quello allestito da una gentilissima
famiglia che abita proprio qui... Con tanto di macchinetta del caffè,
di cui approfitto volentieri. Un attimo e dinuovo in marcia, fino a
Mercato Saraceno, a sconvolgere il tran tran del sabato sera nei
locali. Mi lancio in un'atletica corsa attraverso la piazza, compresa
la risalita per uscire dal paese; poi, quando sono certa che nessuno
più mi osservi... Mi accascio al passo sulle prime rampe del
Barbotto. Va meglio: almeno la nausea sembra passata. Cammino
spedita, ma i muscoli non rispondono come dovrebbero. Beh Gian, di
che ti stupisci? Al Barbotto, i km alle spalle saranno già
ottanta...
Il freddo ghermisce le
gambe, le braccia, la schiena. Un po' di stelle in cielo, ma non è
del tutto sereno. Silenzio assoluto, solo le foglie mosse dal vento;
non c'è altro corridore intorno, almeno finché io riesco a vedere.
Alla spicciolata passano i ciclisti della notturna; ogni anno sono
sempre più numerosi. La testa pesa... Il sonno, la stanchezza.
Coraggio... Manca poco al grande ristoro sulla vetta. L'ultimo
tornante, poi le candele che illuminano il percorso, dritti verso la
cima.
Per tutti noi c'è un
applauso. E quest'anno c'è anche la sorpresa: nientemeno che lo
spettacolo delle danzatrici del ventre... Bravissime e molto belle,
ma non le invidio, poverette, così desnude quassù! Che freddo! E
poi, che diamine, perché le danzatrici e non i danzatori? Va bene
che noi donne siamo una sparuta minoranza, ma che diamine, un po' di
attenzione anche per noi!
Mi fiondo a caccia della
borsa che ho mandato qui, alla ricerca della maglia pesante per la
notte. I pantaloni restano cortissimi, in ossequio al mio
esibizionismo: ci tengo a mostrare la parte migliore di me... Anche a
costo di prender freddo.
Saluto l'inossidabile
Luciano: sembra che ci si dia appuntamento... Come l'anno scorso, ci
si ritrova proprio sul Barbotto! Poi vado a vedere se c'è qualcosa
di interessante da mangiare: ci sarebbe la pasta, ma ho troppa fretta
per aspettare... Di tutto il resto, non c'è quasi nulla che vada
giù. Trangugio un sacco di Coca Cola, qualche popcorn, qualche
patatina fritta, poi via, ancora di corsa, nel buio. Di corsa dove la
strada è piana o scende, desolatamente al passo nelle infinite e
penose risalite prima della vera discesa. Nelle orecchie le cuffie
del lettore Mp3, come aiuto morale.
Nemmeno al punto di
ristoro del km 100 c'è verso di mangiare qualcosa di solido. E sì
che sul banchetto ci sono leccornie appetitose... Lascia perdere
Gian, fila, sbrigati, non perdere tempo. Si scende, in un'eternità
di chilometri, fino a Ponte Uso. Nonostante la maglia e la giacca, ho
freddo... E nausea. Altro ristoro una decina di km dopo, proprio a
Ponte Uso. Ormai mi rassegno ad andare avanti a Coca Cola. Ma sfodero
un sorriso sicuro, falso come Giuda, mentre mi allontano.
Destinazione la salitella di Monte Tiffi, blanda ma comunque da
camminare, e alla svelta. Chissà che ora è. Chissà se sto andando
meglio o peggio degli anni scorsi... Beh, questa è una domanda
retorica. Peggio, mi pare ovvio. Ho le gambe in uno stato pietoso,
cominciano ad irrigidirsi. Ce la devo fare...
Giù da Monte Tiffi, la
salita successiva ricomincia subito. Mi perdo rimuginando di tempi,
di chilometri, di colli, quando non ho alcun riferimento nemmeno
circa l'ora. Buio pesto; alti corridori nelle vicinanze, ciascuno
perso nella propria notturna follia. Qui sono fortunati gli
"assistiti", ai quali i compagni di viaggio raccontano
persino le favole pur di tenerli svegli. Noi viandanti solitari ce le
dobbiamo raccontare da soli...
Dai, dai, dai, coraggio.
Ascolta la musica, prendi un ritmo, pensa a quello che vuoi, basta
che tu vada avanti. Il Perticara è vicino, il ristoro grande pure.
Attraverso il paese sonnacchioso e deserto: sulla piazza, ferve
invece l'attività dei volontari. Qualcosa qui riesco a buttare giù:
un po' di brodo caldo, uno spumotto, il caffé. Non è molto, ma
vediamo di farcelo bastare. Siamo a circa 115 km: appena superata la
metà. Lo dice anche il boss, il buon Marione Castagnoli: le crisi
vengono e passano. Già... Il problema è che per me non si tratta di
crisi; è proprio la mancanza di allenamento adeguato, che mi riduce
in questo stato. I muscoli delle gambe sono sempre più rigidi.
Pazienza, Gian, farai quel che potrai. Intanto, vedi di non perdere
tempo. Giù, in discesa. Cerco di tagliare tutte le curve per
abbreviare di un infinitesimo l'agonia; alle spalle, adesso, non
dovrebbero più arrivare ciclisti. Quanto alle auto, a quest'ora
nulla muove. Altro banchetto del ristoro sulla sinistra; bando alle
raccomandazioni, c'è la birra, faccio festa. Vero, l'alcool durante
lo sforzo non è il massimo, ma due bicchieri di birra sturano lo
stomaco e mettono allegria. Sperando che non mettano anche sonno.
Poco più avanti, il bivio a destra; si risale tra le cascine, su e
giù in un'irregolare sequenza che sfianca i garretti. Discesa fino a
Secchiano, un lungo tratto su strada trafficata; comincia a fare
chiaro: ma questa volta, nemmeno la luce del sole vale a rinfrancarmi
un po'. Mi sa che stavolta non ce la faccio. Quanto male ad ogni
passo...
Raggiungo stravolta il
bivio per la settima salita. E' solo la settima ed è dannatamente
lunga... A mangiare non ci provo nemmeno. Cerco almeno di bere, poi
su, in salita, cincischiando con la giacca e lo zaino per capire se
sia già il caso di svestirsi. Cielo velato, aria pungente. Dai Gian,
trascinati su, che questa è lunga... Sono dodici km, circa, anche se
la parte finale è un lunghissimo falsopiano. Provo a correre dove
possibile: tentiamo il tutto per tutto.
Al punto di ristoro sul
Pugliano, trovo la seconda borsa, mi cambio la maglia, mi do una
pulita alla bell'e meglio. Anche chinarsi, a questo punto, è
operazione ad altissimo rischio di irreversibilità. Indosso la
maglietta del Team Nordovest, la mia squadra ciclistica, in omaggio
ai compagni che oggi pedaleranno alla Nove Colli "classica"
e magari riusciranno a vedermi nel marasma. Trangugio anche un paio
di antiinfiammatori, pur sapendo bene che serviranno a poco in questo
caso. Dolore forte quando riprendo la corsa, muscoli sempre più
legnosi. La Rocca di San Leo vigila, immobile, ma chissà cosa pensa
di tutte queste formiche multicolori che le girano intorno.
Per un inspiegabile
effetto di sconvolgimento del sistema metrico decimale, i chilometri
cominciano ad allungarsi man mano che il dolore aumenta. A questo
punto mi riesce di corricchiare in discesa, ma già la pianura mi
crea non pochi affanni. Infatti, il ponte al fondo della discesa,
appena prima di arrivare in paese, è una coltellata nelle gambe, pur
essendo perfettamente piatto.
Al banchetto del ristoro,
come sempre mi fermo pochi istanti e non mi siedo, altrimenti chi si
rialza più. Passo delle Siepi, penultima ascesa. Fervono gli ultimi
preparativi per l'arrivo dei ciclisti della granfondo: gli addetti
preparano i banchi dei pantagruelici ristori; tifosi e spettatori si
contendono i migliori punti di osservazione. Qualcuno si accorge dei
corridori, ma sono pochi in realtà i presenti al corrente
dell'esistenza di una "corsa parallela" a piedi.
Monte Tiffi non ha una
vera e propria "cima"; la strada ad un certo punto inverte
la pendenza. Parecchi tornanti più in basso, si arriva dinuovo a
Ponte Uso, punto già toccato dopo la discesa del Barbotto. Di qui,
lo spettacolo è meraviglioso, soprattutto per chi ha il cuore da
ciclista almeno per metà: si può ammirare un immenso serpentone
colorato che scende giù dal Barbotto, proprio sulla collina di
fronte, e sciama via al fondo della vallata. Sono i corridori della
granfondo. A questo punto, ci si può attendere l'arrivo dei primi
alle spalle, credo tra un'ora o poco più.
A Ponte Uso c'è un
piccolo punto di ristoro con il furgoncino. Brevissima sosta. Chissà
se dietro di me c'è ancora qualcuno dei corridori? Ben pochi,
credo... Ormai chi aveva intenzione di ritirarsi l'ha già fatto da
un pezzo; quelli forti sono già lontani; resta solo il gruppetto dei
"barcollo ma non mollo", di cui mi onoro di far parte... E
di cui spero di far parte fino a Cesenatico, anche se ho davvero poca
fiducia. Non mollo, ma barcollo parecchio!
Da qui all'attacco
dell'ultima salita, i chilometri sono infiniti. Li percorro, un po'
al passo un po' di corsa, in un continuo tira e molla con Roldano,
altro inossidabile, fedelmente assistito dalla sua Sonia in bici.
Siamo entrambi al limite dell'umana sopportazione, eppure tentiamo
entrambi di comportarci come se niente fosse, come se corressimo da
dieci km scarsi. E secondo me ci riusciamo pure!
Il Gorolo è l'ultima
delle coltellate. Meno male che nel frattempo sono arrivati i
ciclisti: almeno ci si distrae un po'... E si è obbligati a prestare
la massima attenzione, vista l'andatura folle dei più assatanati,
anche in salita. Corro sul ciglio della strada ed anche così rischio
di essere travolta. Qualcuno di loro trova persino le forze per
incitare noi tapini a piedi... Passata la buriana dei primi gruppi
che si contendono la testa della classifica, man mano la furia dei
pedalanti si attenua; quando arrivo alle ultime rampe, c'è già
qualcuno che sale un po' a zig zag. Per loro, però, è quasi
finita... Al culmine della salita, e dei lunghi su e giù successivi,
troveranno comunque un po' di requie in discesa. Per chi corre non è
così, anzi.
Al ristoro in vetta mi
fermo qualche istante di più. Sono davvero disfatta, ho un male
indescrivibile alle gambe. Riparto con il cuore in fondo ai calzini:
mai come adesso mi è chiaro che non ce la farò. Non ce la faccio
stavolta... Mi dovrò ritirare a trenta km dalla fine. Precipito in
uno sconforto infinito: voglio correre, ma le gambe non rispondono
più, sono dure come i chiodi. Provo ancora e ancora; i ciclisti
sorpassano, salutano, ma ho ho solo voglia di piangere. La terza Nove
Colli è lì a portata di mano ed io la sto distruggendo con le mie
mani... Mi rassegno al passo svelto, sperando che questo serva a dare
alle gambe un po' di fiato. Risalite, ancora risalite; corro, poi
torno a camminare. Trovo Walter, il presidente del Team Nordovest: un
viso amico mi è immensamente d'aiuto in questo momento, anche se
davvero avrei avuto tanta speranza di fare una figura migliore. Mi
scatta qualche foto, mi dà appuntamento all'arrivo: già,
all'arrivo... Non ci sarò, non con le mie gambe. Chilometri e
chilometri di lacrime solitarie e calvario: non faccio altro che
ripetermi in testa i conti dei km e delle ore che mancano, assurdi
calcoli sulle medie per capire se, anche camminando, ce la posso
fare... Come se non bastasse tutto il resto, ci si mettono anche i
crampi. Mi tocca mettermi a saltare su un piede solo,
alternativamente sulla gamba senza crampi. Non riesco proprio a
gioire di tutto l'entusiasmo che i ciclisti mi urlano addosso...So
solo che non ce la farò, prima o poi le gambe si bloccheranno del
tutto. E non riesco a mangiare nulla ormai da troppe ore...
Il grattacielo di
Cesenatico svetta all'orizzonte come un incubo. Alla fine della
discesa, ancora venti infiniti km di piattissima pianura; ora che
sono stravolta, patisco anche il caldo, che pure di norma amo. Ormai
a correre ho rinunciato; cammino più svelta che posso. Di lì a poco
compare il buon Giorgio: partito da Torino in treno, con la chiave
della Zafira, è passato a prendere la mia bici e si è fiondato in
soccorso. Tutto perché già ieri sera sbraitavo al telefono che non
ce l'avrei fatta... Non so nemmeno io se essere contenta o
arrabbiata; non riesco più a connettere. Beh, già in condizioni
normali non è che io connetta granché. Ero angosciata all'idea che
il mattoide arrivasse prima e risalisse la discesa del Gorolo contro
il senso di marcia della granfondo: la strada non è chiusa al
traffico, nemmeno a quello delle auto, ma il rischio da correre
sarebbe stato alto. Qui in pianura, invece, la strada è larga. E poi
la folla delle bici ormai è già più sfilacciata.
Sotto una cappa di
calura, approfitto volentieri della bottiglietta di Coca che Giorgio
estrae dallo zaino. Di mangiar la banana, invece, non c'è verso: il
primo boccone va giù a forza, il secondo nisba. La focaccia non la
tocco nemmeno. La compagnia mi è preziosa per sfogarmi, anche se il
malcapitato finisce per fare da parafulmine. A furia di ripetermi che
ce la farò, rischia davvero di essere catapultato in cima al
grattacielo... Quando sono arrabbiata, ho un modo curioso di
dimostrare gratitudine verso chi mi sta aiutando.
Quindici km, dieci km...
Sei km. Che disastro, che disfatta. Avrei voluto arrivare correndo a
braccia alzate... Invece nisba. Pian piano mi convinco che ce la
farò: km mancanti e tempo, se la matematica non mente... Avviso
Walter che non mi aspetti, sto strisciando come una serpe, ma lui è
irremovibile. Meno cinque, meno quattro... E' vero, sarà un arrivo
ben poco glorioso, ma cavoli, son pur sempre 202 km camminati tutti
sulle mie suole. Le suole delle Hoka, tra l'altro: esperimento
perfetto. Giorgio fa del suo meglio per farmi chiacchierare e per
ignorare le mie rispostacce. Il mio umore migliora davvero solo in
vista degli ultimi cavalcavia... Puro dolore nelle salite e nelle
discese. L'ultimo curvone, finalmente la zona del traguardo: ancora
qualche giro, qualche svolta e poi... Il rettilineo finale, la folla
ai lati che incita come se fossi la vincitrice, lo speaker che
annuncia il mio nome... Seconda donna, nientemeno. A correre non
riesco proprio più, nemmeno per finta, per onorare la linea del
traguardo. Ma almeno adesso riesco a sorridere... Questa volta è
stata dura davvero. C'è mancato poco che saltassi per aria... E
invece è fatta. E' finita, conquistata! Il prezzo pagato per tutto
questo non conta già più... E' troppo bello ricevere i saluti di
tanti che sono rimasti apposta per aspettarmi, Michele, Best,
Walter... E mi spiace non riuscire a connettere quel tanto che basta
a ringraziarli come si deve. Sono troppo confusa.
In attesa di ricevere il
mio trofeo, mi accascio sotto un gazebo, in cui vegetano già altri
compari di corsa e volti noti. Man mano che la tensione si attenua,
faccio più fatica a restare in piedi; mi accascio per terra, con la
testa appoggiata alla sedia. Resto così per una mezz'ora, prima di
rimettermi in marcia per la più devastante fatica della giornata.
L'auto è a qualche km da qui, in pieno centro, e com'è ovvio ci si
deve tornare a piedi.
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