Proprio il periodo
ideale, climaticamente parlando, per dimenticare a casa il sacco a
pelo. Benché sia fine giugno, l'estate non ha la minima intenzione
di farsi viva: fa un freddo ignobile in pianura... Figuriamoci in
mezzo ai monti. Come mio solito, preparando il bagaglio, ho poi
cacciato con ignominia l'unica idea intelligente che si fosse
affacciata al nulla eterno della mia scatola cranica: portarmi dietro
la vecchia tuta da sci imbottita. Almeno per i momenti di vita
"borghese" giù dalla bici. Ma ormai so che è più forte
di me; non riuscirò mai a mettere in borsa quel che davvero serve
per la trasferta del momento. La valigia ed io viviamo su mondi
paralleli.
Pantaloni corti e
sandaletti. Ci saranno dieci gradi stasera qui a Barcellonette.
Parcheggio la Zafira alla bell'e meglio, in pieno stile italiano, in
divieto, poi raggiungo Matteo nel salone in cui è in corso la
presentazione della randonnée di domani. Il locale è già gremito
di ciclisti: occhio e croce, direi che Matteo ed io siamo gli unici
italiani. Una pingue fanciulla declama con innata allegria gli ultimi
dettagli e le raccomandazioni sul percorso della manifestazione, che
si perdono nell'eco del capannone; poco male, di francese capisco
poco... E poi so già quel che serve. La rando prevede la possibilità
di scalare uno o più colli, a seconda del percorso scelto. A noi
toccherà la versione "cinque colli": nell'ordine, Vars, St
Anne La Condamine, Bonette, Cayolle, Allos. Un po' più di duecento
km, occhio e croce. Ci sarebbe anche la versione "sette colli",
che prevede di proseguire in direzione del lago di Serre Ponçon ed
aggiungere le salite del Col St Jean e del Col de Pontis: però...
Però in mezzo ci sono troppi km di falsopiano, da percorrere in
discesa prima ed in salita poi. Io odio tutto quel che è pianura e
falsopiano. La coscienza ciclistica mi impedisce di rinunciare già a
priori al percorso più lungo possibile, quindi quello da sette
colli: non mi resta che sperare di essere abbastanza lenta da
"sforare" il cancello orario tra il quinto ed il sesto
colle. Così non sarei io a rinunciare, ma il fato avverso a
costringermi alla resa.
Mi distrae un cagnolino
che fa di tutto per conquistarsi un briciolo di attenzione e due
coccole. Occhio e croce, direi che all'altro capo del guinzaglio c'è
la consorte di qualche ciclista, annoiata e ben poco entusiasta della
situazione. A momenti perdo Matteo che va di filato al tavolo delle
iscrizioni. Numero di pettorale, carta di viaggio, abbiamo tutto; non
ci resta che ricacciarci fuori, con somma goduria delle mie gambe
nude. Il palco su cui l'organizzazione ha sistemato i tavoli ed i
computer per le operazioni burocratiche è parecchio più in alto del
resto della sala: mi soffermo un momento a guardare la folla di
atleti... Era tanto, troppo tempo che non assaporavo l'emozione dei
momenti pre – gara, anche se questa in realtà non è una gara, non
è – o non dovrebbe essere – competitiva. E' un'emozione che mi
mancava moltissimo e che, purtroppo, mancherà ancora... Per il
momento, devo dire grazie a Matteo che mi ha coinvolta.
Alcuni ciclisti si
accalcano al bancone delle cibarie; molti sciamano fuori, noi
compresi. Adesso si tratta di andare a caccia di un campeggio, se non
altro per avere a disposizione doccia e bagno civili. Sono
terrorizzata al solo pensiero: fa un freddo inimmaginabile... Gira e
rigira, non c'è più traccia del campeggio vicino al centro del
paese. Ci rassegnamo a rivolgerci ad un'altra struttura poco
distante: ci arriviamo pochi minuti oltre l'orario di chiusura. Non
ci resta che osare: Matteo suona il campanello dell'abitazione del
gestore, che si trova sopra la reception. Esce un energumeno che pare
la controfigura di O.J. Simpson, dai modi tutto fuorché cortesi,
scocciatissimo per il disturbo fuori orario. Poco male: abbiamo
ottenuto la nostra piazzola.
Contengo a stento il
disappunto e la sofferenza di aggirarmi per il campeggio con questo
abbigliamento stile Rimini ad agosto: del resto, con chi potrei
prendermela se non con me stessa? Si consuma una frugale cena a pane
e formaggio: Matteo, come sempre, ha anche un'abbondante dotazione di
pasta e si dedica alla "haute cuisine"... Ma io sono già
distratta: ho scoperto che il campeggio è dotato di calcio balilla,
con tanto di pallina! Suo malgrado, Matteo è costretto ad
abbandonare i fornelli per concedermi una partita, una seconda
partita e la "bella"... Finché anche l'ultimo barlume di
luce del sole sparisce e la pallina diventa invisibile. Non mi pare
in effetti il caso di continuare alla luce delle pile frontali: OJ
Simpson e gli altri campeggiatori potrebbero spazientirsi... Non vola
una mosca.
Io mi rifugio in auto e
non mi muovo più. Poco male se il mio compare ha montato la tenda:
schiatterò di freddo stanotte, lo so già, ma continuo comunque a
preferire la struttura protettiva metallica dell'auto a quella
inconsistente della tenda. E poi il sedile è mille volte più comodo
del materassino.
Nella notte, mi sveglio
un'infinità di volte, mezza congelata. Ho indossato tutto quel che
avevo, felpa, giacca, ma non basta... Ogni volta è ancora buio
pesto. La partenza è prevista per le cinque e mezza, la sveglia
un'oretta prima. Più o meno in contemporanea con il trillo del mio
telefonino, il fantasma di Matteo esce dalla tenda e s'infila sul
sedile passeggero: a quanto pare, la sua nottata, pure con il sacco a
pelo, non è stata molto più confortevole della mia...
Ci vuole tutto il
coraggio di cui disponiamo ed anche di più, per scendere dall'auto e
trascinarsi verso i bagni, l'unico luogo un po' meno gelido per
cambiarsi e vestirsi da bici. La stellata meravigliosa sopra le
nostre teste sembra quasi prenderci in giro. Colazione per me quasi
inesistente; il mio compare trangugia quella schifezza di pasta che
credo abbia ormai la consistenza del Vinavil. Rapido controllo della
bici e del bagaglio; si parte, disgraziatamente in discesa: poche
centinaia di metri, ma è già un trauma.
A Barcellonette, nello
stesso salone in cui è avvenuta la presentazione della prova,
fervono i preparativi per il via. C'è persino la possibilità di
bere un the o un caffè quasi caldi, lasciando da parte il gusto.
Siamo imbacuccati come tanti omini Michelin... Le nostre bici sono
rimaste fuori, ma non credo corrano alcun rischio: se proprio qualche
malintenzionato volesse colpire, c'è l'imbarazzo della scelta tra
bici che valgono uno sproposito.
Ad occhio, direi che sono
l'unica concorrente dotata di mountain bike, sia pure in versione
stradale con i copertoncini slick. Ci sono un paio di bici "ibride";
gli altri sono tutti puristi della bici da corsa.
Ci raccogliamo tutti
nello slargo accanto al salone, dove è in corso una punzonatura
parecchio disordinata. Altrettanto approssimativo è l'ordine di via:
in un modo o nell'altro, comunque, siamo in marcia. In fondo al
gruppo, inutile dirlo: pochi km di pianura e mi han già superata
quasi tutti. Si viaggia in direzione di Jausiers: la temperatura alla
partenza è esattamente di 1°C, a detta del termometro di Matteo e
della sensazione delle mie mani. Terribile... Posso solo sperare che
presto faccia capolino un po' di sole, anche se ho poca fiducia: le
montagne tutt'intorno terranno lontana la luce ancora per un bel po'.
Mentre io litigo con il
cambio – la catena non vuol saperne di stare sulla corona anteriore
più grande – scorriamo lungo il torrente Ubaye alla luce delle
frontali che non serve quasi più. Ombra, silenzio, si sente solo il
ronzio delle ruote, quelle poche che sono ancora a portata del mio
orecchio. Qualcuno osserva perplesso la mia bici, scettico sulla
buona riuscita dell'impresa. Non preoccupatevi, gente: se solo
sopravvivo al congelamento, ce la faccio...
Jausiers, La Condamine,
bivio per il Vars. Finalmente un po' di salita, anche se molto
blanda, per i primi km. Tutto tace per la strada, nei cortili delle
poche abitazioni. Il cielo prende un po' di colore, ma già le prime
scie di nuvole fanno capolino. Chissà perché, non mi aspetto nulla
di buono. Meglio comunque, superate le prime due gallerie, fermarsi a
levare uno strato di abiti, per evitare di ritrovarsi fradici in
discesa. Finalmente, dopo il bivio per St Paul, la salita diventa
degna di questo nome: si va su a strappi irregolari fino al
ponticello del minuscolo abitato a cinque km dalla vetta; da lì in
poi, la pendenza diventa severa ma regolare. Il sole è un'illusione:
il cielo si vela sempre più. Primo, secondo, terzo tornante, molto
distanti l'uno dall'altro. Pedalo con prudenza: so benissimo che le
mie forze sono davvero limitate... L'ultima uscita seria in bici
risale a fine maggio e non è comunque paragonabile all'itinerario di
oggi. Matteo si allontana solo nell'ultimo km: non appena arrivo in
cima anch'io, si prodiga per sistemarmi il cambio riottoso, mentre io
trangugio un caffè orribile ma, se non altro, caldo. Grazie ai
volontari che attendono quassù, ci possiamo permettere anche questo
lusso! Mi avvio in discesa con l'animo di un condannato al patibolo;
non oso immaginare il gelo... I ciclisti rimasti dietro di me, che
ancora salgono, sono davvero pochi; alcuni di loro mi sorpassano
prima che io arrivi in fondo.
Archiviato l'inospitale
Col de Vars, ripercorriamo a ritroso un tratto di strada lungo
l'Ubaye, fino a La Condamine. Da qui, imbocchiamo la breve ma
"robusta" ascesa verso St Anne La Condamine, in
corrispondenza degli impianti da sci: parecchi tornanti e rampe con
pendenza sostenuta. Una marea di colleghi sta già scendendo. La
temperatura è salita di pochissimi gradi... Cinque o sei km dopo,
arriviamo al banchetto del punto di controllo. Davvero non invidio
questi tapini costretti a restare qui, immobili, al freddo e al
gelo... Stanno peggio di me, poco ma sicuro.
Altra discesa, ostica non
solo per il freddo ma anche per il pessimo stato dell'asfalto. Siamo
dinuovo a La Condamine: ancora una volta sulla strada di fondovalle,
veleggiamo verso Jausiers. Qui il primo vero punto di ristoro, con
succhi di frutta, frutta secca varia, pane, affettati. Ovvio, questi
ultimi non fanno per me... Finisco per mangiarmi il pane asciutto,
visto che non c'è formaggio e che i dolci, a lungo andare, nauseano.
Riparto infatti con due o tre fette di pane in mano: impiegherò
parecchi km della salita per finirli, perché non è così semplice
masticare qualcosa di tanto asciutto in salita. Matteo prolunga
ancora la sua accanita opera di saccheggio della tavola imbandita:
prima o poi arriverà...
Affronto la Bonette con
un certo timore reverenziale. E' vero che conosco questa salita come
le mie tasche, ma forse è proprio per questo che la temo... So
benissimo di non essere allenata a sufficienza per il percorso di
oggi. Un po' di sole, troppa grazia, mi incoraggia, ma cerco di
essere prudente, prudentissima. Anni di bici da queste parti hanno
fatto sì che ormai io conosca ogni metro di questo asfalto, dalla
prima parte in mezzo alle case, al tratto di tornanti con vista su
Jausiers e Barcellonette, al passaggio a quota 2000 m con il rifugio
"Halte 2000". Qui, altri tornanti tra i laghetti, qualche
breve tratto in piano per rifiatare. Tanta neve imbianca ancora i
pendii delle montagne intorno. Infine, l'ultimissimo tratto oltre le
casermette militari, quando la Bonette ormai si vede ma è ancora
molto lontana. E la coltellata finale nelle gambe, il giro della
cima. Ciclisti di ogni ordine e grado affollano la salita, oltre a
quelli che partecipano al brevetto; purtroppo, non manca nemmeno il
traffico di altro genere, auto e moto a profusione. Bellissimo
quassù... Mangio un boccone, mi godo i pochi istanti, un bicchiere
di Coca Cola. Bisogna scendere. Fan quasi tenerezza le Ferrari
riunite per il raduno proprio quassù: i proprietari, griffati e
decappottati, stanno visibilmente schiattando di freddo...
Si torna giù a Jausiers,
ventidue km di una discesa interminabile, molto più penosi che
nell'altro senso. Le mani, anche se protette dai guanti, sono
paonazze e rigide. Tocca poi fare i salti mortali per evitare le auto
e le moto dalla guida un po' troppo sportiva. E' ormai primo
pomeriggio: saranno all'incirca le 14 quando raggiungiamo Jausiers.
Si torna a Barcellonette, ancora senza sole o quasi. Ci siamo
meritati una sosta un po' più lunga al ristoro: un buon piatto con
un'insalata di pasta, un paio di uova sode, un po' di Coca. Ci
attendono il Col de la Cayolle ed il Col d'Allos. Ecco, ho sempre
accuratamente evitato di scalare la Cayolle da questo versante: dal
bivio son quasi trenta km, in buona parte di falsopiano, non finisce
mai. Ma oggi s'ha da fare, quindi via, gambe e ruote in spalla. Si
riparte: breve tratto nella periferia di Barcellonette, lungo i
campeggi, e poi al bivio si va a sinistra. Non mi è ben chiaro il
senso del punto di ristoro piazzato qui, a pochissima distanza da
Barcellonette dove ci siamo appena rimpinzati come otri... Ma Matteo
lo afferra molto meglio di me e spazzola anche qui tutto lo
spazzolabile.
La strada corre lungo il
torrente, attraversa le belle "gorges", ma impiega
un'eternità a guadagnare quel po' di quota. Tra le curve strette e
cieche, bisogna prestare molta attenzione, perché ormai la maggior
parte dei colleghi di corsa sta arrivando in discesa. Tengo d'occhio
il cielo che, verso la testa della valle, è sempre più grigio;
sguardo di penosa ansia ai parabrezza delle auto che scendono, per
capire se lassù piove. La valle si apre e rivela una fetta di cielo
ancor meno incoraggiante; appena prima del ponte che segna l'ultimo
cambio di versante e l'inizio del tratto di salita un po' più
decisa, ecco le prime gocce. Faccio finta di non sentirle, ma se n'è
accorto anche Matteo... Il freddo si fa pungente; tira vento di
fronte e porta via il mio già misero coraggio. Lassù è nero...
Gelido e nero. Possibile che io abbia sempre questo terrore del
freddo e della pioggia? Rabbrividisco man mano che il vento rinforza.
A me la scena pare apocalittica... No no, se le cose si mettono così,
io non vado più sul Col d'Allos. Mi dispiace ma quando è troppo è
troppo. Poi verrà buio lassù...
Matteo si porta avanti
con il lavoro; raggiunge il colle un po' prima di me. Lo trovo
seminascosto nel furgoncino dei volontari, in cima al colle, dove c'è
solo più un goccio di the caldo. Sono in preda allo sconforto:
timbro il cartellino, mi vesto come posso, riparto sotto la pioggia,
con la paura di quel che sta per succedere, meteorologicamente
parlando. Siamo pur sempre sopra quota 2000, stanchi... E piove.
La pioggia mi accompagna
per una decina di km, poi sembra voler concedere una tregua. Quel che
basta per regalarmi un po' di fiducia: la discesa "finta",
spesso da pedalare, fa il resto e mi infonde un po' di calore. Si
torna al punto di ristoro a Uvernet: da lì, comincia l'ultima
salita. Beh, formalmente potrebbe non essere l'ultima: se si
riuscisse a tornare a Barcellonette entro le 22, si potrebbe
proseguire aggiungendo gli altri due colli "minori". Ma, in
tutta franchezza, con questo freddo, la minaccia di pioggia e sì,
anche la stanchezza, non ne avrei proprio voglia. Le gambe faticano
molto già sulla salita del Col d'Allos, che è tutto fuorché
micidiale... 17 km, molto regolare, mai davvero ripida. Le luci
della sera, le ombre sempre più lunghe. Non mi sarei mai aspettata
che il sole si facesse vivo proprio adesso, appena prima del
tramonto. Le nuvole si diradano, si dissolvono in un tripudio di
sfumature gialle e rosa. La temperatura rimane rigida, ma a questo
punto poco importa... Lungo tratto sul versante destro della
montagna, poi qualche tornante che ci fa superare l'ultimo scalino.
Un gregge di pecore, l'abbaiare dei cani... C'è ancora un collega
con noi: siamo proprio gli ultimi. Chissà se in cima ci sarà ancora
qualcuno ad attenderci.
La strada è ricoperta da
uno scivolosissimo tappeto di sterco di pecore: cadere qui sarebbe
una vera, imbarazzante, puzzolentissima tragedia! Osserva Matteo, in
discesa sarà bene andar piano onde evitare di ritrovarsi imbrattati
fin sui capelli... Povero Matteo, avrebbe potuto chiudere il giro
parecchie ore prima, se solo non mi avesse fatto da fedele gregario
per tutto il viaggio; avrebbe potuto aggiungere gli altri due colli
senza la minima difficoltà. Invece è qui... Mi "abbandona"
solo negli ultimissimi km, quando la strada si perde alla vista
contro il cielo e il vento rinforza. Lo ritrovo all'ultimo punto di
controllo, dove, sorpresa, ci accolgono due madame a dir poco
entusiaste. Forse lo sono perché, con noi, si conclude la loro
fatica... In realtà risulterebbe esserci ancora un concorrente che
deve arrivare quassù, ma probabilmente è un errore... O c'è un
disperso. Non c'è più traccia di altri, dopo di noi. Un caffè
bello caldo; mi vesto, indosso i guanti, mi lancio verso l'ultima
discesa. Incurante del tappeto di guano ovino, vado giù il più in
fretta possibile per sfruttare quel poco di luce naturale che rimane:
la mia vista, anche con la potente pila frontale che ho, al buio vale
quasi nulla. Preferisco andar giù un po' più lercia, magari, ma più
sicura. Matteo invece tiene fede alla promessa: mi preoccupo
parecchio a non vederlo arrivare...
Percorriamo insieme gli
ultimi km alla luce della sua pila frontale, che è davvero
avveniristica. Per me, più che un "percorrere", è un
trascinarmi... Sono letteralmente congelata. Altro che aggiungere due
colli... A stento raggiungo Barcellonette. Al punto di controllo, il
volontario ci guarda con terrore. "Vi fermate... Vero?". Lo
posso capire: guai se decidessimo di proseguire... Gli toccherebbe
aspettarci fino a chissà che ora, domani! No no, non c'è
pericolo... Io di qua non mi schiodo più.
Ci tuffiamo entrambi al
tavolo del ristoro finale: mannaggia ai Francesi, che razza di
menù... La pasta col ragù per me è proibita; resta solo la zuppa
di cipolle. E vada per la zuppa di cipolle, doppia dose: almeno è
calda. Spazzoliamo famelici le nostre razioni, così come siamo,
sporchi e sudati; accanto a noi, i fenomeni già puliti, lavati e
cambiati discutono di tempi e prestazioni. Mamma mia. Io non riesco a
pensare ad altro che all'agghiacciante idea di andare in campeggio,
cambiarmi e lavarmi con questa temperatura... La zuppa di cipolle è
rovente ma non vale a togliermi i brividi di dosso. Il brusio
tutt'intorno dà alla testa. Il povero Matteo, dopo aver consumato le
derrate alimentari delle prossime sei edizioni della rando, deve
faticare non poco per convincermi ad alzarmi e ad uscire. Non
parliamo poi del trauma di rimettere il deretano sulla sella dopo 220
km e 5.300 m di dislivello in salita, quando non sei più abituato a
passare tanto tempo in sella... Quasi diciassette ore, nel mio caso.
Un ciclista mi ferma appena prima di uscire; indica la mia bici,
chiede se io abbia fatto tutta la strada con quella... Sì, certo. Ma
per me non è affatto un problema: attrezzata così, la MTB è forse
un po' meno scorrevole della bici da corsa in salita, ma dà una
sicurezza impagabile in discesa, dove recupero tutto il tempo perso.
Non tornerei alla bici da corsa, nonostante anni ed anni di onorata
"carriera".
Per fortuna, la strada
per il campeggio, in discesa prima della partenza, adesso è in
salita: ci si scalda un pochino. Poi raccolgo quel barlume di
lucidità che mi resta per prendere dall'auto tutto quel che mi serve
per la doccia ed il cambio d'abito. Ci fiondiamo nottetempo nelle
docce: sarà contento il sosia di OJ Simpson, che ha casa proprio al
piano di sopra, di sorbirsi il rumore del getto d'acqua. Data la
temperatura confortevolissima dell'acqua e la quantità di gelo
siberiano da lavare via, la nostra doccia diventa lunghissima.
Passiamo quel che resta
della notte entrambi in auto, sistemati alla meno peggio con l'unico
sacco a pelo di Matteo, che per fortuna si apre a libro e ci copre
entrambi. In effetti, va un po' meglio della notte precedente... Al
mattino, il rito dello sgombero della tenda mi ricorda ancora una
volta, se ce ne fosse bisogno, quanto sia più comodo dormire in
auto, senza bisogno di aprire, montare, piantare picchetti, smontare,
piegare,... Si riparte per l'Italia, ma non ancora per casa. Verso le
nove siamo a Vinadio: giù le bici, destinazione Colle della
Lombarda. Una luminosa e fredda mattina ci accompagna su per i
tornanti, lungo il pianoro, passando accanto al Santuario di
Sant'anna, e poi per i chilometri finali oltre al bivio. Anche oggi
il sole ci inganna e si nasconde presto dietro alle nuvole: qualche
goccia di pioggia, ma ormai siamo al colle; Matteo ci arriva due
volte, prima da solo e poi dopo essere tornato a raccattare me.
Ammetto di aver faticato molto, dopo la sfacchinata di ieri, e un po'
mi dispiace... Ma è fatta; si torna giù lasciandoci la pioggia alle
spalle, via in auto. Questa volta, destinazione casa.
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