Inutile nasconderlo: lo
sanno anche i sassi, che io non ho mai avuto un buon rapporto con la
discesa. La temo. In bici, soprattutto, ma anche a piedi e talvolta
persino in auto. Quel che è strano è che la temo a volte più, a
volte meno, dipende dai giorni. Non tanto dalla condizione del
sentiero o della strada, dal meteo o da altri fattori che sarebbe
anche logico considerare, no, dipende proprio da me. Ci sono giorni
in cui non ci faccio quasi caso e giorni, come oggi, in cui una sorta
di ansia inspiegabile mi fa fare le curve, giù da Borgomale prima e
da Castino verso Cortemilia poi, ai quaranta all'ora, con le unghie
conficcate nel volante. Il fatto che la temperatura sia sotto zero
non giustifica la mia scarsissima fiducia nella stabilità della
Zafirona. Mi sembra di viaggiare sul sapone: la sento proprio, l'auto
che scivola, anche se in realtà non c'è un tubo che scivola. Come
potrebbe? Sono quasi ferma... Per fortuna, a quest'ora della domenica
mattina, da queste parti c'è ben poco traffico. Non c'è nessuno che
mi mandi al diavolo.
A Cortemilia, parcheggio
nella piazza principale del paese. Zero gradi, precisi.
Ciononostante, alle otto e mezza, c'è un discreto viavai dal vicino
supermercato: sono sorpresa, come se poi fosse normale partire, alla
stessa ora, per un giro di corsa da cinquanta km. A ciascuno il suo.
Indosso già in partenza
la giacca in goretex, perché fa davvero freddo. Ed io invecchio,
divento pigra e lamentosa, soffro il freddo ed il caldo come non mai.
Guanti, bandana, zainetto con le vettovaglie: tutto pronto. Si parte,
in leggera salita, lungo la strada della Valle Uzzone. Un bellissimo
cielo azzurro promette bene, nonostante qua in fondo il sole non sia
destinato ad arrivare presto. I primi venti km del giro, circa, mi
sono chiari: devo risalire la valle, sempre sulla strada principale,
in direzione di Cairo Montenotte, fino a scollinare al bivio per
Dego. Il resto sarà un'avventura. E' Matteo che mi ha proposto e
preparato l'itinerario: peccato che questa mattina, con il solito
tempismo, la stampante abbia rifiutato di collaborare. Così, tutto
quel che ho è un foglietto di carta su cui ho scarabocchiato, più o
meno, la traccia, i bivi da imboccare e quelli da evitare. Speriamo
basti.
I primi chilometri sono
un'agonia. La leggera pendenza in salita non aiuta il morale né il
fisico. Mi porto dietro, da alcuni giorni, un senso di fiacca
imbattibile, che stamattina più che mai si fa sentire. Mi distraggo
con i panorami che, per me, sono di una bellezza struggente: boschi,
poderi coltivati, muretti a secco; il sole, proprio davanti a me,
basso e violentissimo. Ma le gambe sono pesanti e rigide, il fiato
manca. E ben presto si affaccia la fame. In effetti, né la cena di
ieri sera, né la colazione di questa mattina sono state all'altezza
delle mie pantagrueliche abitudini. Fame, di quelle serie. Ma ho
l'arma segreta, sperimentata solo di recente e subito promossa ad
alimento prediletto per le lunghe distanze. Continuo a correre e
sfodero dalla taschina sullo spallaccio un goduriosissimo tubetto di
maionese, come se fosse un gel: qualche ciucciata e lo stomaco, per
il momento, è fuori combattimento, con gran soddisfazione del
palato. Pezzolo Valle Uzzone, primo paese; Castelletto Uzzone, il
secondo. C'è purtroppo un gran viavai di cacciatori: speravo che la
caccia fosse già chiusa, invece pare di stare a Beirut. Non posso
evitare una sosta tecnica, ma mi apparto con circospezione e
rapidissimamente.
I km scorrono e la fame
torna prepotente a farsi sentire. Il morale, nel frattempo, è
scivolato sotto i tacchi: faccio una tale fatica a portare avanti il
mio corpaccione, che più volte medito di tornare indietro e lasciar
perdere, per oggi. Mi incoraggio con un proposito: comprare un pezzo
di focaccia o un po' di pane, qualcosa di concreto e voluminoso, non
appena troverò una panetteria. Già: fosse facile. Un cartellone mi
appare, quasi per magia, con la pubblicità di un fornaio: peccato
che sia a Castelletto, cioè già alle mie spalle. Mestamente
proseguo, passi brevi e faticosi, corro per modo di dire. Pochissime
auto, quiete, silenzio, solo qualche abbaio qua e là dai cortili.
Alle prime case di
Scaletta Uzzone, mi fermo per togliere la giacca: il sole finalmente
è salito abbastanza da illuminare direttamente anche la strada; si
sta un po' meglio. Intanto, un anziano si avvicina alla recinzione di
un piccolo cortiletto ed allunga la mano verso due cagnolini, che
abbaiano festosi: ritiro la giacca, rimetto lo zainetto in spalla,
passo e li saluto, tutti e tre. Provo a deviare verso l'interno del
paese, casomai ci fosse una panetteria. Il mio stomaco incrocia le
dita. Macché: vedo solo una sorta di locanda, con alcuni avventori
che, al mio passaggio, battono le mani sui vetri e salutano: in
effetti, non credo si vedano molte podiste da queste parti, in una
gelida mattina di gennaio... Proseguo: all'uscita del paese, trovo un
piccolo negozio di alimentari, davanti a cui campeggia un cartello di
cartone con una scritta a pennarello nero: “Chiuso il 21/01
mattino”. Ma che fortuna. Pazienza. Mi terrò la fame. E poi, è
evidente che si tratta solo di una sensazione: non è possibile aver
fame, trangugiando maionese.
Al bivio, mi reimmetto
sulla strada principale, che comincia a salire più decisa. Per un
breve tratto, mi metto a camminare, per riprendermi un po' e mangiare
senza soffocare una chicca di altro genere: uno Snickers, barrettona
di cioccolato suino, caramello ed arachidi. Poi riprendo a correre,
per una questione di principio: piano, pianissimo, ma non posso
mollare già adesso...
Man mano che prendo
quota, la temperatura diventa più confortevole, anche se i tratti di
strada in ombra sono ricoperti da uno strato di brina. Alcuni
tornanti mi fanno guadagnare rapidamente quota. Nelle poche case
sparse nei paraggi della strada, ora fervono le attività,
soprattutto di potatura. Rumori di motosega e falò accesi.
Arrivo al bivio:
proseguendo per questa strada, andrei a finire a Cairo Montenotte.
Invece, devo girare a sinistra, direzione Dego e Santa Giulia. Il
panorama che si apre allo scollinamento è spettacolare: una vista
ampia e limpidissima sulle montagne della Liguria, con le pale
eoliche sui crinali in piena attività. A vederle di qua, sono
tantissime.
Finalmente la strada
concede un po' di tregua. La salita, lunga e faticosa, mi ha
inchiodato le gambe, soprattutto perché, ultimamente, combatto con
un dolore ai piedi che mi costringe a correre, anche in salita, con
il piede piatto, per limitare al massimo lo sforzo sulla punta. E' un
movimento innaturale, goffo e faticoso, ma tant'è. In un tratto in
leggera discesa, supero un'auto parcheggiata, con una coppia ferma
vicino all'imbocco di un sentiero. Pochi passi e la signora esclama:
“Non le fa niente, eh!”. Non mi fa niente, cosa? Mi fermo, mi
giro: un meraviglioso lupone cecoslovacco sta correndo amichevolmente
verso di me. Mi basta fargli un cenno per vedermelo letteralmente
volare addosso: baci, coccole, un turbinio di peli. I suoi padroni
sono molto sorpresi: di solito, il loro cane incute timore... Può
darsi, ma non certo a me! Né il lupone, né il piccoletto che lo
accompagna, un botolo vagamente simile ad un Jack Russell. Mi stacco
a fatica e malvolentieri dall'abbraccio peloso: devo proseguire... Ho
percorso venti km o poco più; non sono nemmeno a metà. E chissà
che ora è. Il Garmin, volendo, me lo potrebbe rivelare, ma...
Preferisco non saperlo. Immagino di essere in clamoroso ritardo sulla
tabella di marcia, anche se una tabella di marcia non esiste. Mi
raggiungerà Matteo, partito in bici da Genova, più avanti, ma sa
Santa Giulia in poi saremo comunque sulla stessa strada; mi troverà
per forza.
Qui la strada alterna
parecchi saliscendi, correndo in mezzo a vallate di boschi fittissimi
e poche, sperdute, meravigliose cascine. Le gambe mal tollerano le
risalite. Sono sempre tra i cinquecento ed i seicento metri di quota,
con uno splendido panorama di cocuzzoli e torri in cima ai cocuzzoli.
Ora, quassù, fa decisamente caldo, persino troppo per lo spessore
della tuta che indosso, con maniche e pantaloni lunghi. Tra l'altro,
ho bell'e finito l'acqua, già da qualche km. Non sarà facile
trovare, in pieno inverno, qualche fontanella aperta.
Supero l'abitato di Santa
Giulia e proseguo. Almeno, mi sembra la cosa più sensata da fare,
per quel poco che posso capire dal mio geroglifico. Non ci sono molte
alternative. Certo, se avessi la cartina, saprei orientarmi un po'
meglio con i punti di riferimento nei dintorni, ma pazienza, speriamo
bene. Tengo la sinistra; attraverso la frazione Gorra e continuo a
salire. I muscoli delle gambe sono proprio stufi: induriti,
affaticati dal dislivello e dalla fiacca pregressa. La strada
prosegue deserta, bellissima, sempre in quota. Prendo nota,
mentalmente, di due bivi con stradine che scendono a Scaletta Uzzone
ed a Castelletto Uzzone, due paesi in cui sono passata prima: saranno
per forza strade che “tagliano” la collina, da andare ad
esplorare. Anche perché qui è bellissimo, non c'è un'anima.
Qualche rara cascina qua e là, ma non si percepisce segno di
presenza umana. E il sole, quassù, scalda anche in pieno inverno.
Arriva un messaggio di
Matteo: “Dove sei? Io sono a Dego”. Dove sono. Buona domanda. Mi
guardo intorno: sono nel nulla eterno, in questo momento. Ho passato
da poco la frazione Gorra, ecco, tutto quel che gli so dire. Nessuna
risposta. Avrà capito: del resto, se mi ha proposto questo
itinerario, significa che lo conosce, presumo. Ingenuamente presumo.
La stradina d'un tratto
finisce, immettendosi su una strada appena più grande. Nessun
cartello che indichi alcuna località, né a destra né a sinistra. E
la mia cartina non è di grande aiuto. A sinistra si sale, a destra
mi sembra si scenda leggermente; il panorama, da qui, non mi aiuta a
capire dove mi trovo. Anche se so di non essere molto distante dalla
strada che scende verso Cortemilia con ampi tornanti. Che fare?
Proviamo a sentire Matteo; magari ha qualche dritta. Lo chiamo: non è
che ci si capisca molto, però, perché la strada da cui provengo, da
lui suggerita nell'itinerario, gli è ignota. Da qui la mia
ingenuità: avrei dovuto presumerlo... Beh, a questo punto tiriamo la
monetina. Vada per la sinistra. Mi incammino, un po' di corsa stanca,
un po' di passo. La strada sale ed io sono abbastanza fiacca, per non
dire cotta. Ho anche molta sete: non c'è stato verso di trovare
acqua.
Un tornante e qualche
curva più avanti, ecco svelato il mistero. Sono al Todocco. Però,
per quel che mi ricordo dalla cartina che non ho potuto stampare, e
per quel che mi ero segnata sugli appunti, al Todocco non avrei
dovuto arrivare. Richiamo Matteo: ora so dove sono, ma devo capire
dove andare per evitare che lui finisca in Valle Bormida ed io in
Valle Uzzone o viceversa. Responso: torno indietro al bivio, un paio
di km. Si doveva andare a destra. Ma la deviazione non è stata vana:
qui c'è una fontanella e c'è pure l'acqua. Riempo la borraccia,
mentre un morbidissimo micio fiducioso mi si struscia tra le caviglie
e va a bere nella vaschetta ai piedi della fontana. Tracanno un bel
po' d'acqua: come mio solito, ho dimenticato in auto la bustina di
sali e mi devo accontentare. Poi riparto, stavolta in discesa. Lungo
tratto prima in leggera discesa, poi in piano, fino all'incrocio con
la strada che, a sinistra, scende a Cortemilia. Ancora un incontro
sgradito con le squadre dei cacciatori, riunite a fine battuta:
passo, li ignoro. Proseguo in direzione Cortemilia per qualche
centinaio di metri: poi, l'itinerario prevede di imboccare un bivio a
destra, per Serole. Una stradina piccola, con una grata in metallo
all'inizio. Eccola, è senz'altro questa. Passo accanto ad alcune
cascine e proseguo, in leggera discesa, finché squilla il cellulare:
è Matteo che mi chiede dove sia. Arriverà tra pochissimo. Ripongo
il telefono nella tasca dello zaino e, come al solito, faccio
inavvertitamente partire un tot di altre chiamate, oltre a cambiare
la lingua del dispositivo da italiano a tedesco. La tentazione di
catapultare l'aggeggio in fondo a qualche burrone è fortissima.
Matteo arriva, in
effetti, dopo pochi minuti, in bici, carico come un mulo. Proseguiamo
insieme per qualche km di questa meravigliosa stradina ancor più
nascosta e sconosciuta, con vista a perdita d'occhio sulle colline,
finché si arriva ad un incrocio che già conosco: a sinistra si va a
Serole e poi Cortemilia, dritti si va a Roccaverano. Ecco svelato
l'arcano.
Breve pausa, da seduta,
mangiando un pezzo di focaccia ed uno di pandolce genovese che Matteo
rinviene nei bassifondi dei suoi bagagli. All'orizzonte si vedono le
pale eoliche, sul crinale. Poi si riparte ancora: dovrebbero mancare
circa dieci km alla conclusione del giro. Ci sarebbe stata, per la
verità, ancora una deviazione al Monte Puschere, ma direi che, per
oggi, ne ho abbastanza.
Scendiamo ancora insieme
a Serole, minuscolo grumo di case, un gioiellino, dove so che c'è
una fontanella. La scommessa è se sia aperta o meno. Attraversiamo
la piazzetta deserta: in una nicchia nel muro in pietra, eccola lì.
Matteo è scettico, ma la fontanella butta acqua. Provvidenziale.
Fatto entrambi il pieno,
torniamo sulla strada principale. Leggera salita, fino alla frazione
di Cuniola: mamma mia, mi sembra l'Everest... Va bene essere stanchi,
ma qui si esagera! A questo punto, Matteo prosegue: scenderà fino a
Cortemilia, risalirà a Castino, da lì giù fino al ponte sul Belbo
e ancora in salita fino a Benevello. Mi attenderà lì, dove io
arriverò comodamente in auto. Per me, a piedi, la discesa su
Cortemilia è ancora lunga. Però è dolce, accompagna il passo
piacevolmente e mi lascia godere ancora un po' del sole primaverile e
del paesaggio collinare. Mi intrigano le stradine che si staccano
sulla mia destra: mi riprometto di andare in esplorazione, prima o
poi, perché sono certa che conducano da qualche parte, non solo alle
frazioni sperdute su per i boschi.
La pendenza della discesa
si accentua negli ultimi km prima di Cortemilia. Incontro poche
persone a piedi, due passi per smaltire i pranzi domenicali: gli
ultimi tornanti, fino al ponte ed alla piazza centrale. Cinquanta km
tondi, neanche a farlo apposta. E, sulla piazza, il distributore di
carburante più economico che abbia visto nei paraggi. Come non
approfittarne?
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