Era già da qualche tempo
che, a furia di percorrere il giro Cortemilia – Serole –
Roccaverano – San Giorgio Scarampi – Vesime – Cortemilia, in
bici ed a piedi, scrutavo con curiosità i bivi con le stradine
laterali che si inerpicano su per la collina e spariscono nel fitto
dei boschi. Più volte mi sono ripromessa di andare a piantare il
naso nel misterioso interno del quadrilatero di strade.
L'occasione è arrivata
per vie traverse. A gennaio ho tentato, con poca convinzione,
l'Ipertrail della Bora: gara di corsa in montagna che prevedeva, tra
le altre cose, di seguire il tracciato esclusivamente per mezzo
della traccia GPS. Non che fosse un obbligo di regolamento, ma era
una scelta obbligata, a fronte dell'assoluta inutilità pratica delle
cartine fornite per il percorso. Tralasciando il triste epilogo del
mio trail, mi è rimasta l'esperienza – molto traumatica sul
momento, per me completamente digiuna di navigatori da escursionismo,
ma decisamente interessante una volta elaborato il lutto – della
navigazione con GPS cartografico. Matteo mi aveva prestato il suo
Garmin 800 da bici, per l'occasione: beh, il giocattolino mi è
piaciuto così tanto che ho deciso di tenermelo, immaginando subito
una buona quantità di interessanti usi. Primo tra tutti, proprio
l'itinerario con partenza da Cortemilia ed esplorazione solitaria dei
meandri delle stradine più nascoste.
Elaboro il percorso, in
formato idoneo ad essere trasferito al GPS, sul sito Openrunner. Un
itinerario quasi circolare che prevede il passaggio a Perletto, da
lì alla frazione Cuniola di Serole, poi ad Olmo Gentile, fino al
confine con San Giorgio Scarampi, indi ritorno a Perletto e
Cortemilia, ma in modo da viaggiare sulle stradine che Google Maps
traccia come minuscoli spaghettini bianchi. Un azzardo, se vogliamo:
non so neppure se si tratti di strade asfaltate o sterrate, se siano
effettivamente percorribili o magari per qualche ragione sbarrate. Ma
non sarebbe un gran danno, in ogni caso: non sarò mai così lontana
dall'auto da non poter serenamente tornare indietro ed avrei comunque
sempre il riferimento del quadrilatero di strade principali. Il mio
giro dovrebbe prevedere 41 km per circa 1.100 m di dislivello, nei
limiti della precisione del sito internet.
Così, domenica mattina,
sempre più tardi di quanto vorrei, causa organizzazione, nutrimento
e sistemazione di tutta la caninità di casa, mi metto in viaggio per
Cortemilia. Eh sì, a casa ho il mio paradiso, in senso sia
paesaggistico che sentimentale, ma a meno di un'ora di auto ne ho un
altro, diverso ma altrettanto suggestivo. Il termometro segna 4 gradi
sotto zero mentre, da Alba, salgo verso Benevello, poi giù verso il
freddo pungente del fondovalle Belbo, ancora in ombra alle otto del
mattino, in questa stagione. Altra salita verso Castino ed ultima
discesa verso Cortemilia, mentre la radio passa una canzone che mi fa
drizzare le orecchie. Scoprirò poi che si intitola “Io voglio
vivere”, dei Nomadi: un ritornello che mi si incide subito in mente
e mi farà compagnia per tutto il viaggio.
A Cortemilia, mi sforzo
di non dimenticare, come mio solito, qualcosa di fondamentale in
auto, con il risultato che chiudo la Zafirona, ripongo la chiave
nello zaino, poi la riprendo, riapro l'auto, ripetendo la litania per
ben quattro volte. Ora dovrei avere tutto: giacca, riserva alimentare
(panettone, fontina e cioccolatini assortiti), borraccia, batteria di
ricambio per il GPS, cavo per la batteria, guanti. E, al polso,
l'altro GPS Garmin, quello per rilevare il percorso fatto e creare la
traccia ex novo. Mai stata tanto tecnologica in vita mia! Parto con
la giacca Goretex sopra la tuta, che pure è già pesante: la
temperatura è gelida, sarò in ombra per un po' e tira una leggera
aria pungente. Traccia GPS avviata, si parte.
Supero il ponte sul
torrente Uzzone, poi imbocco la seconda via a sinistra. Breve tratto
in piano in mezzo alle palazzine, poi la salita comincia subito sotto
la Pieve di Monteoliveto, sede dell'Ecomuseo regionale dei
terrazzamenti e della vite. La stradina, via Perletto, prende quota
tra i muretti a secco su cui crescono gli ulivi: un'immagine più
ligure che piemontese, non fosse per la temperatura, anche se le
cascate gialle di forsizie fiorite fanno ben sperare per
l'avvicinarsi della primavera. La pendenza è significativa ed io,
l'ho già capito, non sono al massimo della forma, che poi, anche
quando è al massimo, è ben misera. Depongo subito le armi: in
salita, oggi, si cammina, sia pure di passo più svelto possibile.
Le abitazioni si diradano
man mano che sale la quota. La vista spazia sull'altro versante della
valle, dove riconosco la strada da cui sono scesa, quella che va a
Castino, ed anche la temibilissima salita di Castel Martino. Il sole
illumina già il mio percorso, ma è ancora pallido e freddo. Il GPS,
che tengo d'occhio, per ora mi conforta sulla direzione da prendere.
Poco più di tre km di
salita impegnativa mi portano a Perletto, che per la via principale
di fondovalle sembra molto più lontana. La sua torre a pianta
quadrata è già in vista, sul cocuzzolo della collina. Ma non entro
in paese: la traccia sullo schermo del GPS indica una brusca svolta a
destra, ad angolo retto, subito dopo un paio di meravigliose case in
pietra. Via Piazze: il cartello si vede solo una volta imboccata la
strada, che comincia subito con una ripida strada in salita.
La pendenza rimane
significativa per un buon tratto, mentre la stradina si fa largo tra
querce e faggi. I primi raggi del sole che si alza creano suggestivi
giochi di luce. Io continuo a camminare più che altro: percorro di
corsa i brevi tratti a pendenza minore o pianeggianti, ma il fiato
manca ed il petto duole. Non c'è verso. Godiamoci la giornata. Qua e
là, abitazioni e ciabot in pietra, purtroppo spesso abbandonati ed
in parte crollati, ed una vista splendida sulla vallata che sale a
Serole, in cui il colore dominante, in questa stagione, è il marrone
delle foglie secche. Bellezza aspra, severa, tutto intorno il
silenzio. Molti sosterrebbero con disprezzo che in questi posti non
c'è nulla: è vero ed è uno dei motivi più forti per cui li amo.
La strada prosegue
seguendo le curve delle vallette, a volte ancora immersa nell'ombra e
ricoperta di brina, a volte già al sole. Fa un freddo che taglia la
faccia, al punto che, più volte, mi viene il dubbio di dover
indossare la giacca. Ma resisto: tra non molto, andrà meglio...
In alto, i boschi
lasciano il posto a pendii coltivati. Intorno all'ottavo km,
l'asfalto finisce. Rimane una bella strada sterrata, molto agevole,
in perfette condizioni di fondo, almeno per ora, con il terreno
gelato. Pozze di ghiaccio qua e là. Ma sono cinquecento metri, non
di più: oltre lo scollinamento, ricomincia l'asfalto. Si scende, si
attraversa una minuscola frazione in pietra, si percorre un lungo
tratto a mezza costa che porta sulla strada principale tra Cortemilia
e Serole. Pochi km di leggera salita, che mette a dura prova la mia
fiacca e soprattutto i miei piedi, da un paio di mesi doloranti nella
parte anteriore in modo parecchio penoso. Ogni passo, soprattutto in
salita, è una staffilata, anche se ormai mi ci sto quasi abituando,
non avendo trovato rimedio. Ho acquisito un'andatura in salita a
piede piatto che dev'essere orrenda a vedersi, ma più o meno mi
consente di procedere e limita un pochino la spinta sull'avampiede.
Appena prima dell'abitato
di Cuniola, un bivio sulla sinistra e l'indicazione per Puschere. Si
ricomincia a salire seriamente e, quindi, a camminare. Un paio di
tornanti, un gruppo di edifici, cascine. Nel cortile, c'è un uomo
che lavora. La seconda persona che incontro in una dozzina di km
abbondanti. Sulla mia destra, una cima costellata di antenne: sarà
quello il Monte Puschere? Controllerò sulla carta. Proseguo oltre le
cascine. Qui, la traccia GPS giunge utilissima: io avrei proseguito
dritto, mentre il marchingegno mi intima di girare a sinistra, in
discesa. E' una strada poderale con divieto di transito, esclusi soci
e residenti: pazienza, non credo di arrecare danni o fastidi passando
a piedi. Ora che sono in quota, davanti a me vedo la torre di Olmo
Gentile ed anche quella di Roccaverano. Sembrano entrambe molto
vicine, in effetti lo sono, in linea d'aria.
Anche qui, piccoli gruppi
di case e cascine, tutte rigorosamente con muri in pietra su cui si
inerpicano edera e glicini. Qualche traccia di presenza umana c'è:
finestre aperte, auto in cortile, camini che fumano. Ma non muove
nulla, non si sentono voci. Solo qualche latrato di cane. Rapidi
tornantini in successione, poi la strada piega verso destra , fa una
curva stretta su un ponticello: siamo sul fondo di una sorta di
canalone, con pareti quasi verticali. Il primo tratto, finora, in cui
ci si sente effettivamente lontani dal mondo ed un po' sperduti. Ma
qui si impone una sosta: ho bisogno di bere, visto che non ho ancora
toccato la borraccia, e di mangiare qualcosa. Un pezzo di panettone,
per esempio. Ma lo zainetto va riorganizzato, perché così non ci
siamo. Tiro fuori tutto e rimetto sul fondo la giacca, più in alto i
generi di conforto alimentare. Così, rinvengo anche una banana che
avevo dimenticato di avere nella scorta. Vada per banana e panettone.
Perdo un po' di tempo: purtroppo, con le dita intirizzite ed
irrigidite, anche le mosse più semplici diventano un'impresa.
C'è una pace infinita
quassù. Quiete e silenzio. Mi risuona ancora in mente la canzone di
questa mattina: “Io voglio vivere / ma sulla pelle mia/ io voglio
amare e farmi male...”. Ecco, tutto questo per me è vivere. Ed
anche farmi male, senza dubbio. Non me ne andrei più.
Oltre il ponticello, con
l'asfalto un po' sconnesso, si torna a salire leggermente. Alterno
tratti di corsa e passo, maledicendo ogni tanto i piedi. Si risale
dolcemente tra bosco e rare abitazioni, sempre affascinanti, tutte
con lo stesso stampo, pietra, archi e muri severi. E muretti a secco
ovunque a sostenere le viti ed i noccioleti. Il cielo si sta
coprendo; il grigio avvolge tutto il panorama di boschi punteggiati
di piccole frazioni.
Un altro bivio che
azzecco grazie allo strumento. Vedo sulla sinistra un sentiero un po'
nascosto, che potrebbe essere utile per una sosta tecnica. Ma sì,
perché no? Qui non c'è anima viva, finora ho incrociato quattro
auto in quasi venti km... Abbandono la strada e mi sposto un po' nel
bosco. Improvvisamente, un suono di allarme: ossignur... Che succede?
Avrò mica invaso una segretissima base militare? Mi guardo intorno
cercando di capire cosa possa aver prodotto quel sibilo: ma è il
GPS... Sullo schermo campeggia la scritta perentoria: “Fuori
percorso”. Mamma mia, ragazzo... Sei utilissimo, credimi, mi piaci,
ma non cominciare a rompere le palle perché, parola mia, ti
catapulto nel Bormida, chiaro?
Dicevo, appunto: fin qui,
ho incontrato quattro auto. La quinta, naturalmente, arriva proprio
mentre io sono lì con la parte migliore di me in esposizione. Va bé
che il fitto del bosco probabilmente mi nasconde ed il nero della
tuta mi mimetizza, ma... Provo un certo disagio, ecco. Quindi,
accelero le operazioni e mi rimetto in marcia.
Olmo Gentile è ormai ad
un tiro di schioppo. Un paio di rampe tra le case del minuscolo paese
e ci arrivo, proprio mentre sul sagrato della chiesa si riversa,
all'uscita della messa, credo l'intera popolazione: quindici persone,
ad occhio. Mi voglio rovinare, venti.
Rapido passaggio in
centro paese; imbocco subito il bivio a sinistra che picchia giù
verso il fondovalle, come ordina la mia guida elettronica. La
stradina è ripida ma con ottimo fondo: dovrebbe essere quella che
Matteo aveva tentato di percorrere in bici, salvo poi dover risalire
non potendo proseguire sullo sterrato. Ancora muri in pietra,
cappellette, archi, poche abitazioni. Quanche cane è l'unica traccia
di vita.
L'asfalto, in effetti,
finisce all'interno del cortile di una casa. Ma la traccia GPS
prosegue su un tratto sterrato in mezzo ai noccioleti, sconnesso,
ghiaioso, poco più di un sentiero. Km 23,5. Vediamo quanto è lungo
questo pezzo.
Il fondo migliora dopo
circa cinquecento metri, diventando una bella strada sterrata fino ad
un guado in cemento. In questo pianoro sul fondo dell'imbuto, dove il
sole non arriva neppure adesso che è alla massima altezza, c'è una
splendida abitazione in pietra, a due piani, con un giardino molto
curato, ma al momento apparentemente deserta.
Oltre il guado, si
risale, ancora su sterrato, con un paio di rampe in mezzo al bosco.
Vedo tracce di pneumatici: probabilmente, più avanti si andrà a
sbucare su qualche strada. Infatti, così è: dopo poco più di un km
e mezzo di strada sterrata, mi reimmetto sull'asfalto, prendendo a
destra in salita. Si torna su, con alcuni tratti ripidi che percorro
al passo, prima tra le cascine e poi solo più tra noccioleti e
boschi, con qualche tornante, fino a superare una spalla di collina.
Sono un po' giù di morale, molto stanca, troppo per lo sforzo finora
affrontato, e tormentata dal male acuto ai piedi. Ma la vista di San
Giorgio Scarampi mi rincuora.
Non arrivo alla strada
principale tra Roccaverano e Vesime, che pure è lì a poche decine
di metri. Proseguo, oltre un bivio a sinistra, come raccomandato dal
GPS. Cinquecento metri quasi in piano e poi giù per una lunga e
sinuosa discesa, molto veloce, con la torre di Perletto in bella
vista sulla sinistra. Sono quasi al km 28. A questo punto, dovrebbe
finire la prima delle due tracce GPS. Ho dovuto suddividere il
percorso in due tracce perché, sul sito di Openrunner, la versione
gratuita del programma consente di utilizzare un numero limitato di
punti con cui tracciare il percorso... Ed un itinerario così
frastagliato ne richiede parecchi. Così, seleziono la seconda
traccia e riparto. O almeno, credo di seguirla... Il GPS mi chiede se
io voglia raggiungere il punto di partenza di questa traccia, che
secondo i miei calcoli dovrebbe essere proprio alla fine della
precedente. Ingenuamente, rispondo di sì e mi fido della freccia
bianca che compare lungo la strada, anche se avrei dovuto immaginare
che quella freccia bianca, assente nel precedente tratto di strada,
probabilmente non era lì per indicarmi la retta via.
Fino ad un certo punto,
la strada è giusta per forza: c'è solo questa... Scendo giù giù
fino a fondovalle, dove vedo un bivio che però ignoro, perché la
freccia mi guida altrove. In effetti, Perletto è così vicina sulla
sinistra ed io me ne sto allontanando... Qui so dove sono, strada
nota: percorro un paio di curve della strada principale tra
Roccaverano e Vesime e poi devio a sinistra, lungo la stradina che
corre a fianco del Bormida. Quanta acqua! L'ultima volta che sono
passata di qui era il periodo della grave siccità della scorsa
estate; il letto del torrente era asciutto.
Quando arrivo nei pressi
della strada che porta a Perletto, la freccia bianca mi intima di
girare a destra ed oltrepassare il ponte. E qui casca l'asino. Se
facessi così, andrei a finire sulla noiosissima strada principale
tra Vesime e Cortemilia: l'ultima cosa che ho intenzione di fare. Io
credevo soltanto di aver caricato la seconda traccia: in realtà, il
GPS mi sta portando alla partenza dell'unica traccia che “sente”,
cioè la prima, quella del percorso già completato, che partiva da
Cortemilia. Mi sta conducendo a Cortemilia dalla via principale.
Poco male. A sinistra si
va a Perletto. Probabilmente, avrei dovuto arrivarci da una strada
diagonale, ma non importa. Mi arrampico su per la via Ponte,
l'accesso primario al paese, con tanta fatica e pena nonostante la
pendenza davvero minima. Le gambe sono dure, pesanti, ed il fiato è
sempre più corto. Il cielo ormai plumbeo, minaccioso di pioggia, non
aiuta. Però, nell'angolino in alto a destra dello schermino, vedo la
traccia di questa mattina, che da Perletto dovrò ripercorrere a
ritroso fino a Cortemilia. E vedo la freccia che mi dice via via dove
sono io. Comodissimo. Anche in paese non incrocio più di un paio di
anime.
Il nome di Perletto mi è
noto da molto prima che cominciassi a frequentare questi luoghi per
ragioni sportive. Ci abita una collega, o meglio una ex collega di
mia mamma di cui sentivo spesso parlare, da ragazzina. Erano
particolarmente in simpatia reciproca. Chissà dove abita di preciso.
Una rotonda, la bella
torre imponente alla mia destra e poi il cartello per Via Piazze.
Ecco, ci siamo. Mi allontano dall'abitato fino a raggiungere
l'incrocio in cui stamattina, giungendo da Cortemilia, ho svoltato a
destra in salita. Ormai manca poco a Cortemilia, quattro km scarsi.
Meno male, ammetto mestamente.
Ancora una brevissima
risalita, poi giù, con pendenza decisa e passo molto meno. Incrocio
una signora in compagnia di una ragazzina e di un cagnetto: come mio
solito, non posso fare a meno di fermarmi ed accarezzare il cagnetto,
a cui faccio due complimenti. Riparto, niente più soste: rivedo
l'agriturismo sulla sinistra, il B&B poco più avanti, ricompongo
mentalmente tutti i dettagli notati all'andata, anche se ora non ho
più necessità di rassicurazioni. Anzi, posso anche spegnere il
marchingegno. Arrivo di corsa fiacca fin sotto Monte Oliveto e poi
fino al ponte sul torrente Uzzone. Basta, direi, per oggi. La
Zafirona è sempre lì in paziente attesa: si torna a casa, cinque
ore e mezza di marcia per 41 km e circa 1.100 m di dislivello totale.
A casa, appena entro,
superato l'assalto in massa dei cani, mia mamma esordisce: “Ti
ricordi quella mia ex collega, la Michela? Quella che adesso abita a
Perletto? Mi ha telefonato poco più di un'ora fa. Ha detto di averti
incontrata mentre era a passeggio con la nipote ed il cane, ma ti ha
riconosciuta solo dopo che sei ripartita”. Ecco, per la serie, come
è piccolo il mondo. Ma soprattutto: meno male che oggi non ero
impegnata in una missione segretissima...
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