domenica 23 marzo 2008

22 marzo 2008 - 200 km nell'entroterra di Genova

Sono da poco passate le 3 del mattino di Pasqua ed io sono qui al computer... Sono in fase lagnosa, lagnosissima, un vero straccio; è dalle 11 che guardo il soffitto, metaforicamente s'intende, perché al buio non lo vedo! Spero di iniziare il racconto adesso e portarlo a termine domani... Vorrebbe dire che almeno un po' di sonno m'è venuto, scrivendo!

Per il fine settimana "lungo" pasquale sarebbero state in programma tre spedizioni: sabato, i 200 km in Liguria, tra Genova ed Alessandria, copyright Matteo, che poi si sarebbe trasferito da me; domenica, il giro Vinadio - Colle della Maddalena - Col de Vars - Guillestre e ritorno, sempre con Matteo; lunedì, Matteo sarebbe tornato a Genova ed io l'avrei accompagnato fino a Savona, poi sarei tornata a casina mia. Oltretutto, questo programmino l'aveva creato proprio la mia fantasia malata: ovvio che ci tenessi tantissimo. Però è ormai chiaro che, almeno in parte, salterà.

E' risaputo che la fortuna è cieca, ma la jella ci vede benissimo ed è anche dotata di un buon mirino. Mercoledì sera, le mie solite ripetute di corsa a piedi mi costano un'insolita fatica: beh, succede, non ci do peso, via a nanna. Già, nanna: nottataccia tormentata da un gran male alla schiena e, col passare delle ore, a tutti gli ossicini possibili ed immaginabili. Risveglio con un gran mal di testa, febbre: strano, non ho nemmeno il raffreddore...
Giovedì, giornata di tregenda, sembro uno zombie. Giretto in bici nella pausa pranzo, ma senza forze; niente colazione, né pranzo, né cena. Nanna alle otto e mezza, febbre abbastanza seria, mi sveglio venerdì mattina alle 7 grazie alla radiosveglia, altrimenti chissà quanto avrei dormito ancora. Uno straccio peggio del giorno prima, una rabbia feroce! Lo so, lo so, un po' di febbre è l'ultimo dei problemi di questo mondo, è tutto fuorché un guaio serio: ma questo mi sconvolgerà tutti i programmi!

Corretto o sbagliato che sia, mi imbottisco di aspirine e alle sette, minuto più minuto meno, di sabato mattina, cioè ieri, sono all'appuntamento di Genova Voltri. Siamo sei personaggi (in cerca d'autore) del forum di Bicidacorsa: oltre a me, Alex (paciuli), Matteo (Maethius), Luca (All_I_need_is_bike), Michelangelo (Mik75) e Fabio (pantacugi). Si unirà poi anche, poco dopo, un amico di Matteo.
Partenza, qualche km da percorrere attraverso Genova: ecco che già si parte a spron battuto. Cerco di non perdere subito le ruote, ma lo sforzo è ovviamente vano. Meno male che agli incroci mi aspettano! Splende un sole ancora basso ed accecante; le onde sono impetuose, soffia un forte vento.

La prima salita è una rasoiata, anzi, una serie di rasoiate: rampe una dietro l'altra, con la ruota anteriore che non vuol proprio saperne di stare attaccata all'asfalto. Non so quale sia la pendenza, ma il mio termine di paragone è sempre il tratto dell'Agnello dalla sbarra di Chianale in su, e qui siamo oltre. Infatti, ad un certo punto, la ruota anteriore si stacca da terra anche troppo: caccio un urlo, riesco per uno strano caso a sganciare la pedivella, e mi ritrovo lì come un'idiota, appiccicata a questa parete di asfalto, senza riuscire ad andare né avanti né indietro. Tocca fare qualche passo per trovare un punto da cui poter ripartire.
E' la salita del Timone; si arriva nei pressi della Guardia, che, se ho ben capito, è un santuario. Mi perdonino i colleghi se non azzecco tutti i nomi... Ho preso appunti, ma si tratta di luoghi a me completamente sconosciuti.
Per ora mi sento benino, anche se il cuore batte all'impazzata, lui che di solito è talmente calmo e tranquillo da chiedersi se effettivamente batta oppure no. Dev'essere l'effetto della febbre. Ci sono alcuni tratti di strada senza asfalto: qui qualche improperio all'indirizzo di Matteo è d'obbligo, anche se non ho il fiato per tradurre il mio pensiero in realtà. Se buco o, peggio, se rovino il copertone e devo dire addio al giro, mi riprometto di prendere il "navigatore" della giornata e calciarlo fino alla spiaggia!
I compari di viaggio mi aspettano tutti in cima. Mamma mia, se filano.
Per ora, sono soddisfatta d'aver scelto l'abbigliamento estivo, con l'antivento ed i manicotti. Anche in discesa si sta bene.

Dall'abitato di Campomorone, saliamo al passo della Bocchetta: in confronto alle rampe della salita precedente, qui sembra quasi d'essere a riposo! Però, anche stavolta, i miei colleghi si dileguano fin dai primi metri. Sì, c'è sempre qualcuno che poi, colto da un impeto di misericordia, torna giù e mi accompagna per un tratto; però, il mio morale è già in caduta libera. Se fossi da sola, probabilmente, in questo momento sarei bella soddisfatta del mio passo; così, invece, mi sento sempre più una nullità. E non è certo colpa degli altri ciclisti, ci mancherebbe; è solo colpa mia, che non riesco a star loro dietro! Li vedo schizzare via come tante cavallette, non riesco nemmeno ad immaginare lontanamente come sia possibile. No no... Io devo stare più che tranquilla, la strada è lunga, il dislivello importante, non posso permettermi di tentare imprese disperate che tanto non mi riuscirebbero mai.
Il problema è che non riesco a mangiare. Ho fatto colazione prima delle cinque con un cucchiaio di Nutella e basta; ho fame, ma al contempo mi disgusta l'idea di cacciar giù qualcosa in gola.

Dal Passo della Bocchetta a Voltaggio, da lì al Passo Castagnola e poi a Busalla. Questa volta, i miei ricordi di queste salite sono molto confusi: ricordo tanto sole, tanta fatica e tanta delusione che cerco di cacciare giù con le scuse più ignobili: "Eh, ma loro sono uomini, è normale che vadano più forte, eh ma io oggi sono malconcia"... Però, nel momento stesso in cui rimugino su questi pensieri, me ne vergogno. Verò, come dice Alex, loro sono forti (come se lui stesso fosse una schiappa); io però sono proprio un comodino con le ruote. Ce la metto tutta, ma serve a poco, questa bici non va su! Nemmeno spostando il mio consistente tonnellaggio da un pedale all'altro e lasciando che la forza di gravità faccia il suo dovere...

Da Busalla ci dirigiamo verso Crocefieschi, Vobbia, Vallenzona e la salita di San Fermo. Ecco, finalmente un santo adatto a me. Salita splendida, la più lunga e, se non erro, anche quella che raggiunge la quota più alta, intorno ai 1.200 mt di quota. Qui l'ambiente è decisamente montano; brullo, spoglio, selvaggio. Arrivo su con il morale sotto le tacchette. Qualche tornante più in basso, ho visto i miei compagni d'avventura almeno cento metri più in alto di me... A quell'immagine, la mia bici è diventata di colpo più pesante. Non ce la farò mai, oggi, mi malediranno. Quando arrivo in cima, trovo immancabilmente lì il gruppo in attesa: non mi fermo, come al solito, per non far loro perdere altro tempo. La discesa è sconnessa e lunga; il freddo un po' si fa sentire.

Nel paese di Cabella, qualcuno propone una tappa al bar: proprio io, che di solito non amo le soste lunghe durante le uscite in bici, accetto con entusiasmo. Abbiamo già fatto, credo, più di cento km ed ho mangiato solo due merendine. Ho fame, ma è così difficile mangiare, oggi. Una cioccolata calda, però, è un ottimo ristoro.

Nei pochi km di pianura verso Rocchetta Ligure, perdo inesorabilmente terreno. Non riesco nemmeno a stare a ruota e mi demoralizzo ancor più: chissà quanta salita c'è ancora, chissà se ce la farò. E una delle poche volte in cui non riesco a reagire alle battute scherzose dei colleghi. Sono tesa e preoccupata, troppo per riuscire a ridere di gusto. Altra salita, verso Roccaforte e poi ad Isola del Cantone. Irregolare, anche se mai durissima: però, ormai, le gambe fanno fatica su qualsiasi terreno. Ho un fiatone davvero insolito, il cuore che continua a battere all'impazzata sulla minima asperità. Non riesco a godermi come si deve questi luoghi che stiamo attraversando e che sono davvero splendidi. I nuvoloni da temporale che già tengo d'occhio da qualche tempo si stanno facendo sempre più grigi e minacciosi: mi sa che, prima di arrivare a fine giro, l'acquazzone non ce lo leva nessuno!

Pietra Bissara, Sottovalle, Carrosio, Voltaggio, poi la salita alla Colla degli Eremiti ed alle Capanne di Marcarolo. Attraversiamo una splendida valle dall'aspetto insolito, con montagne tondeggianti, brulle, scure, sembrano quasi i resti di una colata di lava, anche se credo che i vulcani, qui, non ci azzecchino proprio un tubo. Le mie nozioni di geologia sono pressoché nulle!
La mia salita alle Capanne è un calvario. Non so se sia più colpa della stanchezza o della rabbia sorda che non fa che crescere, per la mia incapacità, per i miei limiti. I miei compagni fanno l'impossibile per rincuorarmi, ma c'è poco da fare; questa è una delle occasioni in cui il "confronto" ha lasciato in me il segno più profondo, ovviamente in negativo.
Le prime gocce d'acqua arrivano a fine salita, poi giù per la lunga discesa. Ho la schiena che chiede pietà, sempre per colpa di quella maledetta febbre. A Campo Ligure piove sul serio; i pochi km da lì al Turchino, appena un falsopiano, non passano mai. Salgo a fatica con un rapporto ridicolo, mentre ascolto i racconti della bagarre che si è creata tra gli altri matti della combriccola.

Dal tunnel del Turchino, via giù a Voltri: a pochi km dalla fine del giro, eccolo, il previsto acquazzone. Ci bagnamo come pulcini, tutti quanti; ci tuffiamo letteralmente nelle rispettive auto, dopo un saluto un po' affrettato.

In tutto, circa 190 km, circa 4.400 mt, per uno dei giri in cui ho sofferto di più. Anche se mi è piaciuto tantissimo e lo rifarei volentieri, ora che, a grandi linee, so cosa mi devo aspettare. Un giro "alla Matteo": e ho detto tutto!!!

Però, giusto premio di tanta sofferenza, un gigantesco piatto di trofie con il sugo di noci, preparate dalla mamma di Matteo, ha cancellato qualsiasi segno di malumore!

domenica 16 marzo 2008

16 marzo 2008 - Granfondo di Ceriale

Sono contentissima!!! Finalmente, una GF in cui posso dire d'esser davvero soddisfatta! Immagino d'essere rotolata, come al solito, a fondo classifica, ma ormai ho imparato a non curarmi di questo, visto che, se me ne preoccupassi, finirei ogni corsa a testate contro il muro. Quel che conta è che, stavolta, ho rischiato tanto e m'è andata bene: nel senso che ho iniziato la prima salita con un'andatura di molto superiore alle mie abitudini, sono riuscita a mantenerla fino in cima, e poi sulla seconda salitella, e poi ancora sulla salita finale. Meglio di così... Ma andiamo con ordine.

Sono a Ceriale già prima delle 8. La solita agitazione pre-gara che sale pian piano, subdola, con il crescere del numero di bici e di ciclisti che s'affollano nei pressi della zona partenza. Infatti mi riprometto di prendere il numero e filare via a fare un po' di riscaldamento. Però, una chiacchierata tira l'altra, un po' di saluti... Poso il pacco gara in auto e via con un po' di su e giù tra Ceriale ed Albenga. C'è vento, il cielo è livido: per fortuna ho scelto un abbigliamento "a metà" tra l'estivo e l'invernale; non ho freddo. In griglia, invece, mezz'ora di attesa ed iberno: soffia un vento gelido, a nulla serve essere tutti vicini vicini! La solita mezz'ora di tensione, in cui mi sforzo di pensare ad altro, guardo le bici di chi mi sta accanto - roba da tenere nel caveau di una banca, non certo per strada!!! - osservo i compagni di sventura, cerco di pensare ad altro. Poi il via. Questa sì, è la mia partenza ideale: pochissimi km di pianura, in cui si va tipo mandria verso il pascolo; non c'è nemmeno il tempo di prendere velocità che si è già tutti col piede a terra per via delle strettoie, delle auto, di tutti gli ostacoli del mondo. A Borghetto, via a sinistra per il Giogo di Toirano.

Non so bene per quale strano attacco di follia, parto forte, troppo forte per le mie possibilità. Man mano che la strada sale, supero gruppi di ciclisti, raccatto qualche complimento per la mia andatura: potere della suggestione, mi sembra di volare... Mi fisso su qualche "rivale ideale", cerco di non mollarlo, anzi, di superarlo se possibile; il gioco mi riesce un bel po' di volte, non credo ai miei occhi. Mi prenderà, la cotta, prima o poi, non è possibile che io la passi liscia!
Le nuvole non danno tregua; verso il colle c'è la nebbia. Però il panorama che si gode da questa strada è stupendo anche così. Scollino, non mi sembra vero: su i manicotti, su la cerniera dell'antivento e via verso Bardineto. Questa è l'unica discesa che non mi crea problemi... E' dritta!

Da Bardineto allo Scravaion, vado bene grazie all'aiuto di un ciclista sconosciuto che mi permette di seguire la sua ruota. La salita è comunque breve. Poi la lunghissima discesa: qui sono dolori, faccio quel che posso, cerco di lasciare andare la bici almeno nei rettilinei, ma poi arrivano le curve, tante, troppe, ed è la mia rovina. Mi raggiunge qui Alex, che pazientemente mi aspetta: senza mezzi termini, dice che in discesa sono, testuali parole, "oscena"... Lo so, ha perfettamente ragione, ma che ci posso fare? Io ho paura! Dannatissima paura! Le curve proprio non sono capace di farle, se non scendendo a velocità tale da arrivare quasi a fermarmi. Secondo la sua stima, direi ottimistica, rispetto ad un discesista appena decente io perdo un minuto a km.
C'è un bellissimo castello lungo questa discesa, in un paese di cui non ricordo il nome. E si scende in mezzo agli uliveti.

Per fortuna, l'agonia finisce, si riprende a salire verso Vendone e poi Aquila d'Arroscia. Non osavo sperare tanto, le gambe sembrano proprio generose oggi; e allora via, tentiamo anche questo colpaccio, o la va o la spacca! Mi sento bene sui tratti a pendenza costante; patisco tantissimo i tratti di falsopiano, dove perdo un sacco di tempo, ma che soddisfazione riacchiappare tanti di quelli che mi hanno staccato in discesa, poco prima! Poi, con la compagnia di Alex, due chiacchiere ed il tempo e la fatica scorrono via più in fretta. Fantastico avere un gregario che provvede persino a riempire la borraccia... Se fosse per me, i ristori non li vedo nemmeno!

Approfitto di un tratto di falsopiano per ingoiare in due bocconi una crostatina. Sono tremendamente a rischio di crisi di fame, in queste granfondo: non riesco proprio a mangiare, sono sempre con il fiatone, sempre sotto tensione. Però adesso splende il sole, che mi mette ancor più di buon umore. Sono ancora in attesa della mia cotta: non è possibile, è troppo bello per essere vero; prima o poi DEVO scoppiare! Invece, no, anche qui arrivo in cima senza troppi danni. Chissà a cosa devo tutto questo? Fino a poco tempo fa, non avrei mai retto una salita a quel ritmo...

L'ultima discesa è un altro calvario, peggiore del primo, su strada in buona parte molto stretta. Mi risorpassa mezzo mondo. Mentre vado giù e medito irripetibili improperi ad ogni curva, non mi rendo conto che il peggio deve ancora arrivare... Infatti arriva, negli ultimi venti km, circa, di pianura. Quando vedo Alex afferrare il manubrio in presa bassa e partire, rimpiango di non aver fatto testamento... Parte come un missile, io dietro, con fatica disumana. Saltiamo altri ciclisti come fossero paracarri conficcati a bordo strada. Poi, nella piana di Albenga, il vento mette a dura prova anche i garretti del mio eccezionale gregario: lui fatica come un dannato... Per quanto mi riguarda, io sto per esalare l'ultimo respiro. Ho le gambe dure come il marmo, ce la metto davvero tutta ma sto faticando in modo indescrivibile. Ormai è solo più la testa che va avanti... Le gambe non hanno più voce in capitolo. Nei tratti in leggera risalita, non c'è nulla da fare, non riesco a seguire il ritmo di Alex, che tutti i momenti deve rallentare per aspettarmi. Coltellata finale, i cinque km sullo stradone che porta a Ceriale. Un altro ciclista, uno dei ragazzi del BDC forum, nick The Phantom Lord, si affianca ad Alex nell'ardua impresa di portarmi alla fine a velocità decente: il fatto è che io, di decente, non ho più nulla... Ci metto l'anima, ma loro vanno troppo troppo forte, io vedo la ruota davanti a me che si allontana sempre più e non riesco, proprio non riesco ad inseguirla! Cartello dei 3 km, ancora un abisso... Arriviamo in paese, qualcuno a bordo strada mi saluta per nome ma non ce la faccio nemmeno a voltarmi; poi il sottopassaggio, 200 m, l'arco d'arrivo.

I numeri: 113 km, 1.700 mt di salita, in 4h 25'. Dopo averne fatti 154 ieri su e giù per le Langhe, con 2.300 mt di dislivello... Non mi posso lamentare!

Non le volevo nemmeno fare, io, queste GF in Liguria. Poi, passato lo sconcerto ed il trauma delle prime volte, adesso dico che mi ci diverto un sacco, accontentandomi, ovviamente, dei miei modesti risultati. Purtroppo non capita tutte le volte di avere un gregario così... GRAZIE ALEX!

Dal giro di oggi ho portato a casa un bel ricordo ed una pietra. Chissà perchè, in una breve passeggiata lungo il mare, con le onde sui piedi, m'è saltato in mente di prendere proprio quella. Il mio mucchietto di pietre sulla mensola in cucina cresce...

sabato 15 marzo 2008

Un incontro eccezionale

Come al solito, arrivo all'appuntamento, un pomeriggio di qualche giorno fa, con un po' di ritardo. Anche perché ero convinta di dover andare ad un certo indirizzo, e invece no, scopro all'ultimo che devo andare da tutt'altra parte. E vabbuò, Cuneo non è mica una metropoli, e poi per fortuna io sono ben allenata per la corsa!

Entro nella sala già quasi piena, con un po' di imbarazzo: per fortuna, c'è un volto noto, mi tranquillizzo e prendo posto accanto a lui. Per carità, non è un esame, non è in corso un processo. Ometto i dettagli sul motivo per cui siamo tutti riuniti, una dozzina di persone in una stanza, perché non so se chi ha organizzato l'incontro abbia piacere che se ne parli, o meglio, che ne parli io anziché qualche altra persona incaricata di questo. Non è importante. Diciamo che siamo una dozzina di ciclisti, riuniti per parlare un po' di ciclismo. Del NOSTRO ciclismo.

La mia attenzione cade subito su un personaggio. L'unico che non è vestito in borghese, bensì in perfetta tenuta ciclistica. E' seduto di fronte a me, proprio all'opposto del cerchio che tutti insieme abbiamo formato. Così, a prima vista, non intuisco di chi si tratta; non avevo mai visto il suo viso; però, quella persona ha in sé qualcosa di molto particolare; almeno, questo è ciò che sento, anche se non so né chi sia né cosa abbia fatto.

Parla pochissimo, scandendo bene le parole, accompagnandole con lenti gesti della mano. Parla bene, anche, con proprietà di linguaggio: come dice mia nonna, "a l'è un che a l'à studià...". Potrebbe essere un professore... Ma chi è???

Alla fine il mistero è svelato... Quando sento il suo nome, allora sì che capisco chi è. Tra l'altro, ci ho anche azzeccato, con la mia ipotesi. Già, questo nome, almeno tra gli amanti di un certo tipo di ciclismo epico, è un'istituzione. Come ho fatto a non immaginarlo?
Poi ascolto i suoi racconti e resto senza fiato: una persona che ha passato i settant'anni, che è in bici da una vita e che pedala per cinquantamila km all'anno (caXXus!!! CIN-QUAN-TA-MI-LA!!!), che ha corso ogni sorta di granfondo, randonnée, che ha calcato sui pedali un'infinità di strade. Che pedala da anni, ininterrottamente, tutti tutti tutti i santi giorni della sua vita. Rimango a bocca aperta: non faccio che fissarlo, forse anche in modo troppo insistente ed inopportuno. Corporatura minuta, mani piccole, la pelle del viso bruciata dal sole, i capelli scomposti dal casco. Mi ispira immensa ammirazione e mi incute grande timore al tempo stesso. Mi sembra persino impossibile che sia qui a chiacchierare con me!

Per qualcuno sarà un'esagerazione, un'esasperazione... Per me invece quel ciclista è quasi un sogno, nel senso che è la passione per la bici fatta persona, la dedizione più assoluta! Cinquantamila km in un anno, non riesco nemmeno ad immaginarli, già a me pare di farne tanti... Chissà che vita, quanta strada sotto le sue ruote. Chissà quante corse vissute e quante belle soddisfazioni. Già, perché, oltre tutto, va anche forte... Ha le gambe ed anche l'animo dell'agonista. Fantastico. Mi piacerebbe diventare come lui. Ma come si fa? Bisogna essere davvero spietati con se stessi. Sempre, anche il giorno in cui piove o nevica o non ne hai proprio voglia o non stai bene o hai male alle gambe o... Sempre. Costringersi, alzarsi, cambiarsi, partire. Se una persona è capace di imporsi questo, allora è capace di fare qualsiasi cosa. E' una dote eccezionale, per me, quella della volontà. Porsi un obiettivo, raggiungerlo a qualsiasi costo, questo è quel che fa lui, il ciclista seduto di fronte a me. Sì, mi piacerebbe da matti essere così. Potrei dire che non ci riesco per il lavoro, per gli impegni di casa, per questo e per quell'altro... Balle, non ci riesco perché non ho quella testa.

Ci sarà anche lui alla Super Rando, tra pochi mesi - tre!!! ARGH! C'era anche alle rando precedenti... Ma ovviamente non l'ho mai visto; prima che io avessi il tempo di agganciare i pedali, lui era già in cima al primo colle. Cavoli. Questa sì, è una persona con cui mi piacerebbe da matti dividere un po' di km. Utopia... Va troppo forte!!!

lunedì 10 marzo 2008

9 marzo 2008: Granfondo Città di La Spezia

E quattro! Anche questa è andata! Sarà che i miei neuroni sono andati in corto, tanta è la pioggia che ho preso, ma a me questa GF è piaciuta da matti! Se non altro, non posso dire d'aver trascorso una domenica noiosa e banale... Anzi!!!

Partenza da casa con il buio, viaggio tranquillo e tappa a Genova per l'appuntamento con Matteo: a La Spezia si va insieme... L'unico caso in cui riesco ad andare alla stessa velocità di Matteo si verifica, appunto, quando siamo in auto!!! Se poi invece lui va con la sua Mini ed io con la mia Corsa, riesco persino a batterlo! Beh, si fa quel che si può...

A La Spezia, manco a dirlo, piove. Va bè, piove è un parolone; diciamo che vien giù qualche goccia. Però il cielo è plumbeo; anche a voler essere molto ottimisti, non promette proprio niente di buono. Poco male. Noi VERI UOMINI non ci preoccupiamo di simili bazzecole. O meglio, facciamo il possibile per non far vedere che in realtà siamo terrorizzati. Si va a fare un po' di riscaldamento in salita, lungo la strada che poi sarà l'ultima discesa della GF. Questi bei tornanti secchi mi stanno già simpatici!

Mezz'oretta prima del via, siamo in griglia. A star fermi, fa abbastanza freddo. E naturalmente piove: non forte, ma abbastanza per rompere le scatole. Il tempo non passa mai. Per fortuna, fuori della griglia, c'è una ragazza con una borsa a tracolla e, dentro la borsa, un tenerissimo cucciolo di barboncino: vorrei fargli una coccola, ma è troppo lontano! Intanto, un ciclista un po' gasato davanti a noi si contorce in modo strano... Per un attimo ho timore che stia male, ma no, mi spiega che sta facendo riscaldamento secondo la scuole di non so quale cavolo di professionista... Boh, sarà. Ci credo sulla fiducia. Speriamo che si parta, non ne posso più di stare qui ferma ad ibernare!

Finalmente il via. Finalmente una partenza come si deve... Brevissimo tratto di pianura, poi subito si sale. Evviva! La prima salita è pedalabile... Infatti, mi pedalano tutti sopra le orecchie e se ne vanno via. Ah già, dimenticavo, nell'istante stesso in cui siamo partiti, Matteo è scomparso, lo rivedrò tra sei ore. Vabbuò.

La seconda salita - Volastra, se non ricordo male - mi resterà impressa nella memoria per un po'. Corta, per carità, ma con rampe cattive, tornanti secchi che si arrampicano in mezzo al bosco, su per la valle stretta; vedo un serpentone colorato di ciclisti sopra la mia testa. Poi, quando arrivo in quota io, guardo giù e vedo solo più quattro gatti... Beh, che farci, non son mai stata un fulmine! Si gioca intorno il toto pendenze, chi dice 13, chi 14, chi 16%, ellamiseria!!! Va bene che è ripida, 'sta strada, ma non è mica il Mortirolo!!! Un po' di ritegno, please!

Da lì in poi, le salite si susseguono; di tanto in tanto, tra la pioggia e le nuvole, vedo il mare giù, qualche centinaio di metri più in basso, ed i paesini delle Cinque Terre con la schiuma bianca dell'acqua che si abbatte sulle spiaggette deserte. Man mano che andiamo avanti, sono sempre più sola: non mi posso lamentare di come sto andando in salita, visto che sto decisamente bene; però, mi mette in crisi ogni accenno di discesa, ancor più adesso che la strada è bagnata e scivolosa. Ogni volta, mi sento così impotente di fronte alla mia incapacità totale nelle discese, ma anche solo nelle curve quando la strada è piatta... Beh, pazienza. Gli incroci sono comunque ben segnalati; non dovrei perdermi.

Al bivio tra i percorsi lungo e corto, tutti quelli che sono con me tirano dritto per il corto, tranne uno. Da lì in poi, sarà una sfacchinata in solitudine completa, o quasi. La salita successiva, quella da 10 km e circa 600 mt di dislivello, mi dà un po' di fiducia, perché lì recupero, uno dopo l'altro, un bel gruppo di ciclisti. In cima c'è la nebbia, ci sarebbe anche il ristoro, ma non ci penso nemmeno, a fermarmi: guai; già sono una lumaca; se poi ancora mi fermo... Fa freddo, tiro dritto senza vestirmi. C'è nebbia. Mi passano, come al solito, tutti quelli che ho acchiappato in salita, compreso un signore che poi riacchiappo sulla salita successiva, il Bracco. Quando lo raggiungo - nel frattempo mi son messa la giacca, visto che la pioggia adesso batte sul serio - mi fa: "Vai proprio bene in salita, ma devi migliorare in discesa, altrimenti perdi tutto quel che hai guadagnato"!!! Ma no???? Ma sai che non l'avrei mai detto??? E io che pensavo d'essere la sorella minore di Savoldelli in discesa!!! Lo penso, ma non lo dico... Tiro avanti per il Bracco. Immagine splendida su in cima: la strada che passa attraverso una fessura scavata nella parete; un edificio senza tetto, così lugubre contro il cielo livido. E poi la discesa... Mi prende lo sconforto quando leggo che dovrò scendere per 11 km. Mi aggrappo ai freni, che funzionano proprio poco, ora che la pioggia s'è infittita e la strada è bagnata sul serio. Ho persino male alle mani, fatico a controllare la bici e la paura che sale senza misericordia. Ma quando finisce questa salita... Mi sorpassano, ancora, uno, due, tre, tutti...

Non mi par vero d'arrivare al fondo. So che, vagamente, ora dovrebbe esserci un tratto piuttosto lungo di pianura. Si forma un gruppetto di tre persone: beh, almeno non sono proprio sola... Ormai sono convinta d'essere fuori tempo massimo; posso anche permettermi di fare una cosa che ha poco senso, cioè mettermi davanti e tirare. Tanto, se anche scoppio, non cambia più nulla. Mi aspetto che, nel giro di pochi secondi, quelli dietro si stufino e mi passino avanti. Invece no. Se ne stanno dietro senza banfare. Non mi par vero... Gasatissima, accelero per quanto posso e raggiungo un fuggitivo, portandomi a ruota i due compagni d'avventura. Mamma mia, poverelli, devono proprio essere cotti, per ridursi a stare alla mia ruota! Poi, col cervello ormai in debito d'ossigeno, raggiungo il fuggitivo, un ragazzo di Roma, e, persa ogni umana decenza, gli dico: "Mettiti a ruota, così ti riposi un po'"... Lo so che sono a dire poco ridicola, ma quando mi ricapita, l'occasione di dire una cosa del genere?
Ecco a ruota pure lui, che però, almeno, mi dà una mano passandomi davanti ogni tanto. Al contrario degli altri due. Arrivo all'ultimo strappo con le gambe di legno, che bruciano quasi per lo sforzo: però, sono contentissima di aver resistito così tanto su un tratto piatto e addirittura in leggera salita!!! Quando il ragazzo romano mi dice che manca ancora parecchio alle quattro, e quindi c'è ancora un'ora abbondante di tempo, e mancano ancora 10 km... Prendo il volo!

Le due sanguisughe si riprendono giusto giusto per staccarmi nell'ultima discesa... Un po' mi incavolo, ma che posso farci? Colpa mia che sono un paracarro anche quando la strada scende! Il Romano, invece, resta indietro sulla salita, poi mi riprende in discesa: tagliamo il traguardo insieme, dopo sei ore di gara. Un saluto veloce, poi via da Matteo, che già aspetta da un'ora e mezza e deve avere la temperatura corporea di una lucertola ormai... Non ho mai patito il freddo in gara, ma, non appena mi fermo, congelo. L'idea del pasta party nemmeno mi sfiora: voglio la macchinina e qualcosa di asciutto da mettermi addosso! Gli abiti sono da strizzare...

Il mare è grigio come il cielo. Non fa nemmeno venire voglia di due passi sulla spiaggia. No no, meglio l'auto, via verso casa. Anziché prendere subito l'autostrada, andiamo a Sestri attraverso il Bracco, raccontandoci a vicenda le nostre gare. E fino a Genova, con Matteo che per fortuna chiacchiera volentieri, resto ben sveglia. Da Genova a casa, 'na traggggedia... Ma non importa: anche per oggi, ciclisticamente parlando, ho portato a casa la pagnotta. Non vedo l'ora che arrivi la prossima domenica, la prossima GF!

sabato 8 marzo 2008

XXAlps - IV parte - Le altre sei tappe

Sono le sei del mattino di lunedì 22 agosto 2004, sta appena sorgendo uno splendido sole su St Moritz: parte la QUINTA TAPPA. Il percorso previsto subisce alcune modifiche rispetto ai programmi originari, per un problema di chiusura notturna dello Spluga. Per noi della XXAlps Nationals, questo fatto non creerebbe inconvenienti; è un guaio, però, per i corridori della XXAlps Extreme, alcuni dei quali si troverebbero a dover passare dallo Spluga proprio di notte. E siccome gli itinerari, per le due gare parallele, devono essere uguali, tocca adeguarsi. La tappa di oggi è quasi una passeggiata, in confronto alle precedenti: "solo" 170 km e meno di 4.000 mt di dislivello! Julier, San Bernardino ed arrivo a Biasca. La salita allo Julier è gelida ma offre uno spettacolo incredibile di luce e di neve scintillante, quella caduta nei giorni precedenti. Passando attraverso l'abitato di Splugen, lancio uno sguardo un po' dispiaciuto alla strada che va allo Spluga: ci tenevo, a percorrerla in bici! Il San Bernardino non è nulla di temibile; l'arrivo a Biasca un po' triste, che postaccio!
Ci "ricoveriamo" presso il dormitorio di un palaghiaccio: è qui che scopro che gli Svizzeri sono appassionati di hockey su ghiaccio. Ed è anche qui che, con qualche ora in più a disposizione, ho l'occasione di fare quattro chiacchiere con Heinz, che assiste la parte "tecnica" della corsa, e scoprire che la sua vita è tutta un'avventura da ascoltare a bocca aperta!

La SESTA TAPPA, martedì 23 agosto 2004, è un vero incubo. Si parte al buio, sotto la pioggia. Oltre 200 km, oltre 5.000 mt di dislivello, tutti sotto una pioggia battente, che sui passi diventa neve pesante e fradicia. Il percorso prevede, in origine, i passi Lucomagno, Oberalp, Gottardo, Novena e Grimsel; peccato che il Passo della Novena sia chiuso per neve. Saliamo quindi al Lucomagno, all'Oberalp, al Furka, al Grimsel, per poi arrivare ad Interlaken. Ricorderò a vita quanto ho sofferto quel giorno... Dodici ore di bici sotto il diluvio, senza mai sapere - ma qui è colpa mia - dove sono, quanti km devo ancora fare, quante salite. E non ho nemmeno uno straccio di paio di pantaloni lunghi!!! Sul primo passo, il Lucomagno, faccio così pena che due ragazze dell'organizzazione mi asciugano un po' le gambe con una coperta calda. Poi stringo i denti e via; passo sotto la lunga galleria che mi dà un po' di tregua dalla pioggia, ma poi è peggio. A Disentis ho appena la forza di dare un'occhiata a quel bellissimo edificio, sembra un castello; poi via, su per uno stradone e con un vento contrario feroce. La discesa su Andermatt è una tragedia... Le gambe sono di ghiaccio. Mi dicono che c'è ancora una salita lunga ed una più breve: "A big big climb and then a smaller one"... Ormai è solo più per rabbia che vado su. Non posso, non devo cedere. Le forze ormai sono al lumicino... Ad un tratto, mi affianca l'auto della scorta; mi passano un telefonino; è il capoccia, Mr Wenzel, che mi esorta a non mollare, perché "dopo questa cima c'è il sole, fa caldo!". In quel momento ci voglio credere... E poi, una parola di quel bell'omino lì ha più forza di un traino di dieci cavalli! Arrivo al Furka, nevica... Da lassù, però, nella nebbia, si intravede la fine della prossima salita, l'ultima, il Grimsel. A occhio, sono pochi km: li faccio quasi di slancio, con sorpresa dei ragazzi della scorta, ormai voglio farcela e basta. Ancora trenta km di interminabile gelida discesa... Ad Interlaken, ironia della sorte, spunta il sole. La doccia calda è il sollievo più grande!

SETTIMA TAPPA, mercoledì 24 agosto, da Interlaken a Chamonix: 4.700 mt di dislivello, 190 km che diventano un po' di più perché la nostra scorta, in partenza, ci porta tutti fuori strada! Chissà perché, di questa tappa ricordo poco. Sarà perché attraverso posti a me completamente sconosciuti: Saanenmoser, Col du Pillon, Col de La Croix, Forclaz, Montet. Ricordo però un caldo bellissimo, che asciuga le ossa dal giorno prima; ricordo con orrore venti interminabili km di pianura prima di Martigny, e poi l'arrivo a Chamonix, al cospetto del Monte Bianco. Altro primo premio per la fine della frazione svizzera: meno male che c'è Heinz che mi custodisce i trofei!

L'OTTAVA TAPPA, giovedì 25 agosto, è un'altra dura prova per me. Qui, davvero, non ricordo altro che freddo, pioggia, tanto tanto sconforto, tanta paura di non farcela. Tutto per la mia dannata, insensata incapacità di controllare il terrore della pioggia. Terrore di cosa, poi? Non lo so... Quel giorno, anche Antonio ha sofferto molto. Per la verità, lui sta già male da qualche giorno, problemi intestinali, ma ha una forza di volontà incredibile, ed anche una gran tempra, da fare invidia ad un giovanotto, benché sia già vicino ai sessant'anni!!! Per giunta, ho un problema al cambio... La catena, dietro, fatica a spostarsi e sul 28 non arriva più. Una fatica indicibile!
Tappa, anche questa, modificata causa maltempo: dopo 150 km e circa 4.200 mt di dislivello, con i colli Saisies e Roselend, ci fermiamo a Val d'Isere. Non dimenticherò mai ciò che ho visto quel giorno: non appena arrivo a Val d'Isere, ecco che arriva il primo dei corridori della XXAlps Extreme, che fanno lo stesso giro della XXAlps Nationals ma corrono no stop e son partiti tre giorni dopo di me. Qui vedo con i miei occhi un mostro... Mostro in senso buono, è anche un uomo splendido, che porta il nome di Andrea Clavadetscher. Ha fatto tutto ciò che ho fatto io finora, ma scendendo di bici solo poche ore, per dormire un po', ed appare fresco come una rosa, mentre io sono qui devastata... Non ho parole, solo tanta tanta ammirazione. Un grosso GRAZIE anche all'Inter Sport di Val d'Isere, dove mi riparano il guasto senza neppure volere un centesimo: pazzesco, del cavo del cambio non resta che un minuscolo filo; tutto il resto del fascio si è spezzato! Quando si dice avere, passatemi il termine, un gran culo... Se si fosse rotto anche quel minuscolo filo, sarei stata panata, addio gara.

La NONA TAPPA ci porta da Val d'Isere a Serre Chevalier, vicino a Briançon, con in mezzo i 1.000 mt di salita che ci separano dal Col Iseran, il Telegraphe ed il Galibier. Ma qui io rinasco... Queste sono le MIE salite, posso partire tranquilla, so che non ci saranno sorprese. Salgo in sella al mattino con un entusiasmo tale che mi sembra di scoppiare! Lo vedono anche i miei colleghi, che qui le mie gambe sembrano girare con un altro carburante... Il termometro segna esattamente 0°C sull'Iseran; c'è un sole accecante, un cielo blu che sembra quasi dipinto. Via Lanslebourg, via Modane, ecco le mie strade del cuore, il Telegraphe, il Galibier più bello che mai: sono raggiante!!! Arrivo a Serre Chevalier come al solito per ultima, ma chissenefrega, sono solo felice. Il sindaco del paese accoglie la nostra allegra carovana con magliette dedicate e foto ricordo.

Per la DECIMA TAPPA, a causa delle modifiche al percorso necessarie nei giorni precedenti, tocca fare uno spostamento notturno sulle auto, fino a Jausiers. Antonio ed io partiamo con un bel vantaggio sugli altri corridori, quasi un'ora: ma è una misura di pietà; noi siamo già svantaggiati per natura!
Anche qui, ho le ali ai pedali. La Bonette... La conosco come le mie tasche, la adoro, ormai vado a trovarla d'abitudine, con la familiarità che avrei con una vecchia amica. Arrivo su per prima; vedo i ragazzi della scorta che dormono al sole, ma non mi va di disturbarli: diamine, sanno il fatto loro, mi riprenderanno, prima o poi! ERRORE FATALE... So di dover scendere a St Etienne, Isola, poi salire a St Martin Vesubie. Vedo il bivio, ma non c'è il solito cartello: boh, ci sarà un'altra strada più avanti... Ma scendo, scendo ancora, nessuna traccia, nulla e nessuno. Ad un tratto, vedo un gruppo fermo a bordo strada, sono turisti italiani: chiedo informazioni, scopro di essere ormai almeno quindici km fuori strada. Quindici km... Un abisso... A rifarli in salita impiegherò almeno un'ora!!! E già la tappa è lunga... Arriverò fuori tempo... In una parola, mi crolla il mondo addosso. Non è possibile, razza di stupida idiota che non sono altro, non è possibile buttare tutto all'aria così, quando sembra finita... Risalgo in bici con una rabbia infinita, con il groppo in gola, non posso fare altro che tornare su! Ma, come una visione, ecco che appare l'auto della scorta: sono mortificata della mia idiozia, ma invece sono loro a scusarsi, per aver commesso l'errore di partire dalla Bonette troppo tardi! Mah... Resto convinta d'essere io, l'imbecille della situazione, comunque salgo in auto e torno al punto in cui ho "mancato" il bivio, insieme a loro. Da lì riprendo la galoppata: Col de St Martin, Col de Turini - che splendida salita calda - Peille. Incredibile... In poche ore, si passa dai 2.800 mt della Bonette, solo cime spoglie e brulle, paesaggio d'alta montagna, ai pini marittimi, alla terra del Turini che sembra quasi sabbia bianca, al sole cocente della costa. Lo so che è tardi, devo solo pedalare, a più non posso, devo arrivare... Manca poco, manca poco, pochissimo... Il mare!!! Il mare, Roquebrune, ecco la fine. Mi precede l'auto della scorta, arriviamo alla fine, al cortile dell'imponente edificio di un lussuoso albergo, il Vista Palace Hotel: non ci posso credere, ho temuto proprio oggi d'aver perso tutto, e invece ci sono, è finita sul serio. Ce l'ho fatta, ho fatto la XXAlps!!! Feste, complimenti, abbracci; poi una doccia, ospiti dell'albergo: mamma mia, una stanza da bagno così lussuosa che mi sento piccola piccola ed imbarazzatissima a toccare alcunché... E poi la premiazione finale, in un enorme salone con pareti tutte di vetro, la vista sul mare della Costa Azzurra, tanta gente, fotografi, flash. Sono sempre più imbarazzata e frastornata, eppure così felice... Il titolo di "siegerin", vincitrice, mi si addice proprio poco, anzi per nulla, ma non ci voglio pensare adesso che sto vivendo il mio momento di gloria. Non è il premio che m'importa. Non è di quello che sono così felice... Sono qui in mezzo a gente, chiasso, musica, ma in realtà sono indietro nel tempo, sono in ciascuno degli splendidi luoghi che ho attraversato nei giorni scorsi, sto rivivendo uno per uno i momenti di fatica che non credevo avrei mai potuto sopportare...
Sul più bello infatti me ne vado, lascio i compagni d'avventura a festeggiare e torno giù nel cortile, approfittando del camper di Heinz che è vuoto. Qui non c'è rumore, c'è il fresco della sera, mi siedo sugli scalini dell'ingresso a guardare il mare. Poi vince la fatica e mi addormento.


La mattina dopo è insieme splendida e tanto triste. E' splendida perché realizzo che non è stato un sogno, tutto questo è successo davvero, l'ho fatto proprio io con le mie gambe. Ed è tanto tanto triste perché è finita. Colgo l'occasione di prolungare ancora un po' questi momenti, a colazione insieme a Mr Wenzel, Heinz ed altri dell'organizzazione, sulla splendida terrazza dell'albergo, al sole del mattino di Roquebrune. Anche se, un po' per l'imbarazzo invincibile che mi trasmette questo posto così sfarzoso, un po' per la stanchezza che ancora pesa, quasi non tocco cibo. Però posso stringere la mano ad Andrea Clavadetscher... Un mito!

Non penso ci sia bisogno d'altro per spiegare perché la XXAlps ha segnato profondissimamente la mia vita, come ciclista e non solo. Ho vissuto dieci giorni solo per la bici: a tutto il resto han pensato gli altri, io ho dovuto solo pedalare, faticare, fare insomma quel che mi piace. Mi ci son voluti mesi a smaltire la malinconia per la fine di quel sogno. Che purtroppo non s'è più ripetuto, perché la corsa, nella versione Nationals, non ha avuto altre edizioni. Grazie alla mia bici...

giovedì 6 marzo 2008

XXAlps 2004 - La corsa - Le prime quattro tappe

Difficile pensare di riassumere in un solo brano quegli undici giorni tra i più belli della mia vita. Se dovessi scegliere un termine, direi sconvolgenti, ecco. Ho immagini in mente che non potrò mai dimenticare, sono lì, nitide, come se le stessi vivendo in questo momento! E, se poi mi accorgessi che il ricordo comincia a sfumare, basta che vada a sfogliarmi il centinaio di foto che ho fatto stampare...

Vaduz, mattina presto, prestissimo. E' ancora buio e l'armata Brancaleone è già schierata al via. Mi vien da ridere a rivedere quelle foto... Avevo il caschetto messo come un bel cappellino di paglia, tutto pendente all'indietro, con il cinghietto troppo largo. E non è che i miei compagni di viaggio avessero un'aria molto più professionale! Siamo una dozzina di ciclisti, più o meno. Dietro di noi, su in alto sulla montagna, il castello del Principe del Liechtenstein. Sembra davvero un castello delle favole!



La PRIMA TAPPA (mercoledì 18 agosto 2004) ci porterà da Vaduz a Lech. 217 km, 5.600 e rotti metri di salita. Pochi km dopo la partenza, nemmeno il caso di dubitarne, sono già sola. Però un'auto della scorta per me c'è sempre... Non ho idea della strada che dovrò percorrere, non so se le salite saranno dure o meno, non so dove si vada, non so quanto abbia già pedalato e quanto manchi alla fine. Questa è la condizione in cui percorrerò l'intera corsa, ogni giorno: beata ignoranza. Del primo giorno ricordo in particolare la salita al Bielerohe, con impietose rampe ed un vento contrario violento. In cima a quella salita scopro quali sono le provviste alimentari che costituiranno i miei ristori: panini al formaggio oppure con maionese e cetrioli. Non sarà proprio conforme alla scienza dell'alimentazione in gara, ma io ci sguazzo!
E poi ricordo una fatica enorme, un gran peso nelle gambe, l'ultima discesa verso Lech sotto lunghi paravalanghe. E l'arrivo a Lech, ovviamente per ultima ultimissima: lì incontro un turista italiano che si fa spiegare cosa siano tutte queste bandiere con scritto "XX" e resta allibito...
La sera trascorre in una piccola pensione. Cena con gli altri, poi a nanna. Ho ancora ben vivo nel cuore lo sconforto di quella sera: complice forse la stanchezza, forse la telefonata a casa e la pena di sentire voci care ma troppo lontane, mi metto a sedere sul letto, al buio, con i lucciconi agli occhi e la certezza che non ce l'avrei mai fatta a sopportare uno sforzo simile, così a lungo. Questo primo giorno mi ha piegata... Come diavolo farò domani?

La SECONDA TAPPA (giovedì 19 agosto 2004), da Lech a Vipiteno, prevede 212 km e 4.800 mt di dislivello, con tre salite, di cui due familiari, il Timmelsjoch o Passo Rombo, dal versante austriaco, ed il Passo Giovo. Sul Rombo mi tocca vedere le stelle: tira un vento contrario assassino, che mi fa odiare a morte i lunghi tratti di falsopiano e salita lentissima prima di Soelden. Per fortuna, ci sono sempre due dei ragazzi dell'organizzazione che, di tanto in tanto, si fermano con l'auto e mi rincuorano. Sul Giovo poi va meglio, Vipiteno arriva abbastanza in fretta. Con mia grande sorpresa, le gambe non hanno accusato troppo la stanchezza della tappa precedente.



A Vipiteno, quasi quasi mi perdo: arrivo al "campo base" e trovo tutti lì ad aspettarmi, gli altri concorrenti e Mr Wenzel. Sorpresa immensa quando mi vedo arrivare tra le mani il trofeo!!! Eh già, sono la vincitrice della frazione di gara austriaca... Facile essere vincitrici, se non ci sono rivali da battere e basta arrivare alla fine! però, per un attimo, cerco di dimenticare questo piccolo particolare del tutto irrilevante e salgo su tra le nuvole per la felicità!

TERZA TAPPA, 20 agosto 2004, frazione italiana: 233 km, circa 5.500 mt di salita in mezzo alle Dolomiti. Salutati i compagni della frazione austriaca, facciamo conoscenza con quelli che correranno le due tappe italiane. Saliamo i passi Sella, Pordoi, Campolongo, Falzarego, Fedaja da Caprile, Costalunga. Giornata meravigliosa per godersi le Dolomiti, anche se, ahimé, mi accorgo subito d'essere tornata in Italia: erano già due giorni che non sentivo invettive di automobilisti inviperiti... La tappa scorre tranquilla; pendenze severe solo sul Fedaja, ma, per il resto, la fatica è sopportabilissima. Percorro qualche tratto, per la prima volta, in compagnia di Antonio, che per fortuna parla un ottimo inglese.



La tappa però è davvero lunga: arrivo alla fine, a Bolzano, che è già quasi buio. Mangio qualcosa al volo, troppo poco, troppo stanca, poi via a dormire. Fantastica, questa organizzazione: ci trattano come panda, ci portano agli alberghi, ci vengono a raccattare al mattino, ci portano al via... Come testa va meglio, ormai mi sono abituata all'idea di tanta tanta fatica, ma sento che il mio corpaccione comincia a dare segni evidenti di stanchezza.

La QUARTA TAPPA, con Stelvio, Foscagno, Forcola di Livigno e Bernina, sarebbe una delle più belle. Però, il mattino già si presenta sotto i peggiori auspici: diluvia. Partiamo al buio, con la pioggia battente, sotto un cielo gonfio di nuvole nere che sembra debba crollarci addosso e soffocarci da un momento all'altro. Pur avendo un bel po' di anni di bici alle spalle, ho visto ben poche giornate come quella. Nero, solo nero: sembrava che il sole proprio non volesse sorgere.



Ci copriamo alla bell'e meglio, ma abbiamo difficoltà persino a trovare la strada. Tant'è che io ed un altro collega di sventure imbocchiamo, per sbaglio, la superstrada... Poi torniamo sui nostri passi, proseguiamo, ma tutto quel che ricordo di quel giorno è fatica, freddo, acqua ed angoscia. La tappa viene sospesa durante la salita allo Stelvio, perché il passo è chiuso per neve. L'Apocalisse!!!
Gli organizzatori ci smistano sulle varie vetture e ci portano al punto da cui partirà la quinta tappa, lunedì: St Moritz. Faccio il viaggio con Heinz: così, scopro che sì, oggi ho perso quella che avrebbe potuto essere una splendida giornata di bici, ma ho conosciuto una persona davvero speciale. Incredibile, direi.

A St Moritz ricevo il premio per la frazione italiana: mi sento quasi in imbarazzo... Un po' ridicola! Mi premiano ma io ho fatto solo pena...

La domenica trascorre lì, in una meravigliosa giornata di sole. Mi sveglio tardi, sono già le otto, e passo la giornata a sonnecchiare ed a fare due passi qua e là, in mezzo a questa città che trasuda lusso da tutti i pori. Ma non riesco a trovarla così bella: è troppo finta... Mah, forse sono polemica solo perché sono cotta. Speriamo che queste ore di ozio mi aiutino a riprendermi un po'. La sera, pizza con gli altri corridori ed i ragazzi della scorta: si chiacchiera un po', scorrono fiumi di birra (non per me, io vado avanti a Coca Cola e Red Bull), e poi tutti a nanna. Ci attendono sei giorni di fuoco... No stop.

martedì 4 marzo 2008

XXAlps 2004 - II parte - A Vaduz

Il Liechtenstein... Questo nome, l'avevo sentito per la prima volta alle elementari. La maestra aveva mostrato a noi scolaretti col grembiulino nero quella piccola macchia sulla cartina, in mezzo ai monti, e ci aveva spiegato che quello lì è uno staterello, piccolo piccolo, come una delle nostre città, più o meno; non è che fossi proprio così convinta, mi suonava strano, a quell'epoca, ma tant'è. Mai avrei immaginato che un giorno ci sarei proprio stata di persona: in fondo, come avrei potuto pensarlo? Non ho mai avuto un patrimonio tale da pensare di fuggire in un paradiso fiscale!

E' proprio piccolo, questo staterello, con una strada che l'attraversa tutto e che in dieci minuti ti porta da un capo all'altro del confine; non sei ancora entrato nel Paese che, se non fai attenzione, in un attimo ne esci. Uno splendido fiume placido in mezzo ad una vallata verdissima, almeno, è così che l'ho vista io quel giorno, anche se faceva freddo e tirava un vento teso. Però c'è un che di inquietante in tutto questo: sarà la tensione della corsa che comincerà domani, o forse il senso di inadeguatezza che provo viaggiando in mezzo alla ricchezza che trasuda da tutti i pori, dalle case, dalle insegne di uffici e negozi, dalle vetrine della capitale, Vaduz, dalle automobili superlusso! Intendiamoci, eh, non sto facendo un discorso moralista, per carità; la mia è tutta profondissima invidia!!!

Al centro sportivo, dove dovrebbe avvenire la distribuzione dei pettorali, nel primo pomeriggio non c'è ancora nessuno. Nessuna traccia di nulla. E già mi assale l'angoscia. Stiamo a vedere che questa gara non esiste, era tutta una bufala via Internet, in realtà ho pagato per nulla, non è possibile che qui non si veda anima viva!!! Già... Ingenua, io, che ho in mente il ritiro pacchi gara alle granfondo, affollato, chiassoso, confusionario. Niente di tutto questo.
Mi sforzo di essere, una volta tanto, razionale; tornerò più tardi. Infatti, quando torno, dove prima c'era solo un parcheggio vuoto, ci sono le bandiere.
Per un po', rimango lontana, in disparte. Lo so che è idiota, lo so, ma mi sento orrendamente in imbarazzo all'idea di avvicinarmi. Mi viene da pensare agli insetti che ogni tanto mi restano addosso nei giri in bici: quando arrivo a casa, li scrollo via e loro restano lì, a terra, un po' frastornati, lontani dal loro ambiente naturale, senza sapere bene come sono finiti lì e perché. Io più o meno mi sento così adesso. Ho passato mesi e mesi a fantasticare su questa XXAlps, a guardare l'altimetria delle tappe, ad ammazzarmi di salite per prepararmi al massacro... Eppure, adesso che sono qui, ho solo una gran voglia di saltare in auto ed andare a casa. C'è Paolo con me, quel santo del mio ex moroso che mi ha accompagnata fin qui e che mi sveglia da questo stato di ipnosi in cui sono piombata. Mi avvicino, mi presento, chiedo qualche informazione: c'è Andreas Wenzel, l'organizzatore, a rispondere. Cominciamo bene: per usare un francesismo, ecco un gran pezzo di gnoccolone!!! Brizzolato, robusto, occhi azzurri da favola...

Bene, la situazione comincia ad essere un po' più definita. A correre tutte le dieci tappe saremo in tre: Manfred ed Antonio, svizzeri, ed io. Altri si aggiungeranno e correranno chi le due tappe austriache, chi le due italiane, chi le tre svizzere, chi le tre francesi.

Ritiro il mio numero e le etichette che devo attaccare al mio bagaglio, il cui trasporto sarà a cura dell'assistenza della corsa. Tutto si svolge nella massima tranquillità; intorno a me, solo bei sorrisi aperti e niente, ma proprio niente superbia. Insomma, quasi quasi comincio a sentirmi a mio agio!

Si va a nanna, in albergo. Domani è un altro giorno e la grande avventura inizierà. Un ultimo sguardo oltre l'argine, al fiume Rhein, mi pare si chiami. Poi via.

sabato 1 marzo 2008

Oggi ero in crisi di astinenza da salita...

... e così ho deciso di farmene un'abbuffata, scegliendo una delle poche salite, qui nei paraggi, che danno la soddisfazione della montagna e sono però praticabili tutto l'anno o quasi. Per la precisione, la strada che da Bagnolo Piemonte sale a Montoso, questa qui:



E' una salita che mi piace da matti, sia in bici che a piedi, di corsa. In particolare, adoro il tratto tra Bagnolo e Montoso, dieci km a pendenza sostenuta, con pochi, pochissimi brevi tratti di respiro. L'unica pecca è che questo tratto è corto, rispetto alle belle salite alpine che si possono fare d'estate, ma non lamentiamoci sempre! Da Montoso in poi, la strada mi piace meno, perché la pendenza diventa irregolare, alternando tratti di falsopiano, persino qualche breve tratto di discesa, a strappi duri. E, soprattutto, l'asfalto è un disastro, credo per via del traffico di camion delle cave.

Stamattina, poco dopo le nove, eccomi a Cavour. La pianura mi ripugna, è vero, ma almeno quei sei km fino a Bagnolo, per riscaldamento, li devo fare! La giornata si presenta nebbiosa ed umidissima: la strada è bagnata, sembra che abbia piovuto di recente. Bah, poco male, scarico la bici e parto. Non fa per niente freddo, anzi, la temperatura sembra tiepida, in confronto ai giorni scorsi! Mi sa che la scelta dei pantaloni 3/4 è stata azzeccata. Ovviamente ho con me il fido zaino, zavorrato per bene, per l'occasione. A giugno mi attende la Super Rando della Fausto Coppi, in cui porterò a spasso per i monti un bagaglio stile trasloco... Mi devo abituare! Anche se, in realtà, lo zaino è quasi sempre parte di me, in bici. C'è chi storce il naso, ma io lo trovo comodissimo. Non è certo il peso dello zaino, che rovina la mia prestazione!!! E' già rovinata di suo, in partenza!

Pochi noiosissimi km e sono a Bagnolo. Rotonda, via, si sale. 34x26 quasi subito: non ho preso la ruota con il 29, me ne pentirò? Mah. Comincio a sudare in modo indegno fin dalle prime rampe: sarà questa umidità tremenda che c'è oggi! Sono ai piedi della montagna, ma la nebbia non molla. Cerco di capire come vanno le gambe. I drittoni iniziali sono una vera sofferenza: mi sembra di dover convincere le gambe a scendere, ad ogni singola pedalata, che tormento! Vabbè dài, pian piano. Tanto, lo so già, mi ci vuole almeno una salita tosta, per riuscire a partire bene, come quelle auto a diesel che dovevano stare accese una vita prima di poter partire...

Ormai, di questa salita, conosco ogni singola curva. Il tratto critico sono le rampe dei primi tre o quattro km: pesanti più ancora per la testa, che per le gambe. Sarà per questo che io adoro l'Alpe d'Huez? Mi piacciono tanto i tornanti... Per fortuna, arrivano anche quelli. Un po' di respiro c'è, se li si prende il più possibile all'esterno. Altro punto noto, la fontanella sulla sinistra, poi un bel po' di curve su e giù. La strada è bagnata, c'è tanta sabbia: addirittura, se tento di alzarmi in piedi sui pedali, la ruota posteriore scivola! Ci sarà da divertirsi, in discesa.
La nebbia avvolge la pianura, non si vede nulla. Qualche camion che va su e giù c'è, anche oggi che è sabato: mi tocca fare un po' di metri in apnea, quando li incrocio o vengo sorpassata!
I tornanti permettono di prendere rapidamente quota, fino al tratto fatidico dove c'è il cartello che indica la pendenza. A dire il vero, non ricordo se dica 14% o 16%, ma quell'ultimo tornante è una vera coltellata nelle gambe. E poi, il peggio è che quasi metà della strada, sulla destra, quindi per me che salgo, è stata risistemata non con l'asfalto, ma con cemento "grattato" che rende davvero difficile pedalarci sopra, soprattutto con quella pendenza. Finché posso, resto in centro strada, ma ogni tanto devo cedere il passo ai camion e allora sono dolori! Per fortuna, il tratto è breve e l'asfalto, poco prima dell'abitato di Montoso, torna normale.
Poco prima delle case, la strada spiana; mi volto verso la pianura e mi rammarico di non aver portato la macchina fotografica. Si vedono le cime delle montagne tutt'intorno, si vedono persino i monti della Val d'Aosta, ma la pianura no, è coperta da un morbidissimo mare di nuvole bianche. Che spettacolo!
Arrivo al paese, mi fermo, metto la giacca, sgranocchio qualcosa (nonostante la mia dose abbondante di tortellini al formaggio per colazione, ho già fame!!!!! Sono proprio una fogna!) e via in discesa. Qui, come al solito, sono in crisi: data la mia proverbiale abilità in discesa, su queste pendenze e con il fondo sporco, bagnato ed abbastanza viscido, scendo giù a freni tirati, al punto che a metà discesa ho già un gran male alle mani. Non è normale, impiegare ben oltre venti minuti per dieci km di discesa... Ma che ci posso fare se ho paura? Non sono proprio capace!

Arrivo giù alla rotonda di Bagnolo, giro intorno alla rotonda e via su, un'altra volta. Tengo la giacca per un buon km, prima di riscaldarmi un po'. Poi rapida sosta, me la levo e riparto. Stavolta le gambe stanno meglio, da subito. Non voglio esagerare, ma sento che girano bene, anche nei punti in cui, prima, facevo una faticaccia dannata a spingermi su. Ormai mi conosco, è sempre così! Per far bene una salita, devo prima farne un'altra! I drittoni iniziali fanno meno male, passano in fretta. Qualche raggio di sole sembra voler fare capolino in mezzo alla nebbia! Mi sa che, tra poco, uscirà fuori una bella giornata. Infatti, basta salire di qualche centinaio di metri che c'è già il sole: sembra incredibile, ma l'asfalto asciuga in fretta! Pedalo con buona lena su per i tornanti: ma possibile che, ogni volta che salgo, tenti di contarli e mi venga fuori sempre un numero diverso? Mah, sarà la carenza d'ossigeno per la fatica...

Conosco a memoria anche le voci dei cagnoni che abbaiano dalle casette lungo la strada. Mi accompagnano loro verso lo strappo finale, per la seconda volta. Però, mi pare che nel frattempo, questo strappo, l'abbiano spianato un po'... Lo salto senza grossa difficoltà ed arrivo a Montoso. Il mare di nuvole non c'è già più; si intravede la pianura attraverso la nebbia che è già meno fitta. Appena prima delle case, una folata di vento crea mulinelli di foglie secche: ma no, non ci siamo, quest'immagine cosa c'entra, adesso, al primo di marzo? E' autunnale!
Altra sosta, giacca, altra discesa. Anche la seconda discesa va un po' meglio della prima - solo un poco, però. I freni si arroventano comunque. Il male alle mani è una costante: riuscirò a tenere le leve ben strette fino alla fine? Speriamo! Sentire la bici che tende a scappare così veloce mi mette il panico, anche se cerco ogni volta di controllarmi. Sulle rampe finali verso Bagnolo, un buon discesista farebbe numeri impressionanti... Io invece scendo con i freni che mordono disperatamente i cerchi: quando il mio meccanico si domanda come diavolo faccia, io, a disintegrargli i cerchi con frequenza inaudita, gli rispondo che dovrebbe venirmi a vedere qualche volta...
Anche questa discesa è finita.

Avevo detto "salgo tre volte", e tre volte salirò. Altro giro intorno alla rotonda e via, terza salita. Le gambe stanno ancora bene, non sento dolore né particolare stanchezza. Sono proprio soddisfatta! Però, mantengo comunque un ritmo molto tranquillo, tipo carro funebre, perché la strada è ancora lunga e l'allenamento di marzo è quel che è. Le mie varie "mete ideali", intermedie, son sempre più vicine l'una all'altra: Villar, il primo tornante, la fontanella. Stavolta salgo con il sole, un po' pallido e velato, ma adorabile per il calduccio che sento, grazie anche all'abbigliamento nero. La stanchezza si fa un po' sentire tra i tornanti, ma mi distraggo pensando ad altro: ho sempre la testa tra le nuvole, quindi ci riesco bene!
Sullo strappo finale prima di Montoso, questa volta, fatico per bene: ormai i muscoli sono duri, ma acconsentono, ancora una volta, a portarmi fin su.
Almeno adesso, però, s'ha da fare, la salita a Rucas. In fondo sono ancora trecento metri di dislivello: non è tanto questo, che mi peoccupa, quanto lo stato della strada. Infatti, nel tratto delle cave, mi tocca fare lo slalom tra i crateri, per non parlare poi dello strato di fango che o appiccica le ruote a terra, o fa rischiare la scivolata ad ogni metro. Vabbè, se anche cado, sto andando talmente piano che non posso farmi troppo male!
Ultimo tornante ripido, poi arrivo alle antenne ed al tratto in cui la strada scende un po'. Infine il piazzale degli alberghi: non alzo nemmeno lo sguardo, quegli obbrobri architettonici mi mettono una gran tristezza... Robaccia che andrebbe rasa al suolo, per quanto deturpa il paesaggio! Per carità, io non sono un architetto, ma credo che non fosse così difficile concepire qualcosa di appena meno orrendo...

Per l'ultima volta, mi vesto e scendo giù. Ormai ho le mani ed i polsi che chiedono disperatamente pietà: con tre discese così ripide e così ravvicinate, sono a pezzi!
In fondo alla discesa, a Bagnolo, incontro i primi due ciclisti della giornata: due che, a giudicare dall'aspetto, saranno in cima prima ancora che io abbia finito i sei km di pianura che mi separano dall'auto! Amen, c'è chi può... Io no!!!

Odio intensamente quei sei km. Meno male che passano abbastanza in fretta. Carico la bici, me stessa e via, a casa. Ho messo insieme 80 km e circa 2.900 mt di dislivello. Domani è un altro giorno e si va a pedalare in Langa!