martedì 27 maggio 2008

24-25 maggio 2008: tra Liguria, Emilia e Toscana. Secondo giorno.

La sveglia alle sei non mi va proprio giù. Quasi quasi, il demonietto mi spinge a sperare che stia diluviando... Così ci giriamo dall'altra parte e riprendiamo il sonno interrotto. Macché. Tendo le orecchie, mi do una bacchettata virtuale sulle nocche per punirmi del pensiero ignobile, mi trascino alla finestra: il cielo è plumbeo, ma per ora pare che non venga giù nulla.
Ci prepariamo in fretta, poi diamo fondo al residuo della torta al cioccolato di ieri. Io ci aggiungo una brioche, ma è comunque una colazione da canarino rispetto alle mie abitudini: la pagherò cara...
Il programma di oggi prevede partenza da Pontremoli. Percorriamo un tratto in auto, sempre scrutando il meteo che promette ben poco di buono, peggio anche di ieri. Però non piove. L'itinerario di oggi prevede un “8” con il centro proprio a Pontremoli: mal che vada, se proprio rischiamo di annegare, possiamo farne solo una parte e poi tagliare la corda.

Prima salita, il Passo del Rastrello: bella, lunga, molto regolare. Qualche goccia viene giù; saliamo in mezzo alla nebbia, in un paesaggio spettrale; per fortuna, non fa troppo freddo, anche se gli indumenti sono fradici per l'umidità tremenda. Stavolta Mik ha avuto pietà; mi aspetta anche al paesello, non solo a fine salita. Però io già tentenno. Non capisco, la pendenza è tutto fuorché proibitiva, eppure fatico. Son sempre in piedi sui pedali, cosa che per me non è abituale; è come se le gambe mal sopportassero il fatto di lavorare sempre nella stessa posizione. Non sono tranquilla, ho paura che oggi combinerò poco. Ed ho una fame da lupi, contro cui le mie brioches con la marmellata possono davvero poco. Cerco di distrarmi guardandomi intorno, ma non è che mi senta molto confortata: tra un po' mi sa che verrà giù il diluvio...



In fondo, la salita finisce in fretta; come al solito, trovo Mik con la barba sempre un po' più lunga: sant'uomo, posso immaginare cosa stia pensando, anche se è un signore e non lo dice.

Discesa facile a San Pietro Vara, un po' di saliscendi fino a Varese Ligure, poi via verso la seconda salita, il Passo Centocroci. Sulla via verso Varese, io resto indietro per colpa dei soliti saliscendi; ad un tratto, mi passano tre assatanati in vena di scatti e controscatti: io non posso far altro che mettermi mestamente da parte, ma già pregusto il momento in cui gli incauti arriveranno alle calcagna di Mik che è un po' più avanti. Infatti, poco dopo, li vedo sparire tutti e quattro... E so che il mio collega non mollerà l'osso, anzi, li farà neri, quei tre ridicoli pivelloni. Per loro fortuna, non gireranno verso la salita.
Il Passo Centocroci dev'essere molto bello... Peccato che la nebbia e infine la temuta pioggia mi levino ogni voglia di guardarmi intorno. Non c'è niente da fare, mi tocca fermarmi, vestirmi da pioggia, riporre la macchina fotografica nella borsina di plastica per evitare che vada a bagno. Poi su, cercando d'essere più svelta possibile, con l'angoscia di Mik che sta sicuramente congelando in cima, per aspettarmi. Infatti, lo trovo proprio lì, sotto un micro-riparo di fortuna... In discesa non va meglio, la bici non frena, non so se faccio più fatica a controllare la traiettoria o il panico. Scendo letteralmente a passo d'uomo, anche qui, con la pena che Mik stia aspettando al freddo, ma che posso fare? Ho la sensazione che la bici vada dove vuole lei; in più, non vedo una fava, con gli occhiali bagnati; insomma, un disastro...
Al bivio per Borgo Val di Taro, in fondo alla discesa, vedo la bici di Mik appoggiata ad una provvidenziale piccola tettoia, credo una fermata del bus. Eccolo lì, mezzo ibernato. Si riparte in fretta e furia, direzione Passo del Bratello: pare incredibile, ma la pioggia smette a Borgo Val di Taro. Ci attende una salita all'asciutto: breve, facile, anche se le gambe stanno cedendo. E' un misto di rabbia e dispiacere quello che sento adesso: possibile, con tutti i km che ho già macinato quest'anno, basta un giorno e mezzo di bici ed ecco come son ridotta, uno straccio. Anche sulle pendenze più ridicole, non riesco a spingere nulla di meglio del 34x26 e, se ci provo, mi rovino letteralmente le gambe. E poi è un circolo vizioso, più ci penso, più mi arrabbio, peggio mi sento.

In cima, trovo Mik spaparanzato sulla panca, con l'aria sorniona di chi ha appena fatto due passi dopo pranzo; dobbiamo decidere il da farsi. La proposta è scendere a Pontremoli e fare almeno il Passo Cirone: da lì, decideremo se chiudere un anello oppure tornare all'auto; o meglio, lo deciderà il meteo per noi.
Da Pontremoli, saliamo un paio di km del Passo della Cisa e poi giriamo verso il Cirone. Cavoli, questa volta marca davvero male. Ho una gran fame. Mi restano due plumcake, li faccio fuori uno dopo l'altro. E' bella questa salita, bellissima, lunga, selvaggia, solo più qualche casolare dopo il primo paesello. Però non riesco a godermela, ormai la cotta sta arrivando. Si vede, più o meno, il punto in cui potrebbe esserci il colle; si vede che manca poco dislivello e pochi km; cerco di non pensarci, ma la fame non dà tregua. Le gambe sono sempre più molli, non vogliono saperne di spingere. Penso le cose più assurde: se ci fosse qualche casa, qualcuno a cui chiedere una bustina di zucchero; penso alla salita del Colle di Sampeyre dove ci sono i lamponi a primavera, già, ma questo non è il Sampeyre e comunque i lamponi sarebbero una goccia nell'oceano. Arrivo persino a considerare l'idea che i prati qui accanto sono pieni di cicoria e che, in fondo, c'è tanta gente che la cicoria la raccoglie e se la mangia... Ancora una curva, qui spiana un po', un'altra curva, poi all'improvviso vedo tutto blu. Non so come, sgancio i pedali, butto giù i piedi, appoggio la testa al manubrio. Non so se sia più la rabbia per essermi ridotta in questo stato, o la vergogna che qualcuno mi possa vedere, anche se poi, in fondo, al resto del mondo, che je frega? Resto così per qualche minuto, mi sembra che il capogiro sia un po' passato; torno a connettere, prendo il cellulare, solo per avvisare Mik che non mi è proprio più possibile salire.
Non faccio in tempo a scrivere, che lo vedo arrivare giù. Confesso che, in quel preciso istante, mi sono vergognata di esistere, quasi avessi commesso un crimine. Brucia, mamma mia se brucia quel momento, se ci penso. Sarebbe bastata ancora una merendina, o anche solo un cucchiaino di zucchero. Invece niente, il vuoto.

Giro la bici, scendo anch'io. Per i primi km, faccio fatica a tener dritta la bici; mi sembra che la testa viaggi un po' per conto suo, sento le braccia molli molli; ci sono due brevi tratti di lievissima risalita che mi sembrano lo Stelvio. La rabbia sorda che mi sta salendo dentro non aiuta, vorrei prendermi a schiaffi...
Per fortuna, Pontremoli arriva in fretta. Per oggi è finita, male, ma è finita. Gian, caccia via i pensieri neri, falla finita, niente scenate. La prossima volta però mi devo fare furba, tornare alle mie care vecchie barrette che saranno pure poco appetitose e molto costose, ma, se non altro, funzionano a dovere.
Mik propone una gelateria... Niente di meglio di una bella coppetta cioccolato e nocciola, per fugare tutte le ombre di una pessima prestazione sportiva. 160 km, 3.500 mt di dislivello, anzi, per me qualcosa in meno, e sono disfatta. Mi rifarò la prossima volta, spero. E, nonostante tutto, anche questa volta posso dire d'aver trascorso due giorni splendidi, in posti che non conoscevo e che valgono la pena di qualche ora d'auto, sì, senza dubbio.

Alla sera, dopo il mio passaggio, la dispensa di casa mia pare reduce dal flagello di tutte le piaghe d'Egitto... Il vuoto, il nulla, spazzolo tutto quel che trovo e anche di più. Meno male che mia sorella non è ancora a casa; avrebbe rischiato di restare vittima di un atto di cannibalismo! Ecco, è sempre così, tanta fatica per bruciare un po' di calorie, e poi ne reintegro il doppio...

Come al solito, grazie a Mik della compagnia e della pazienza!!! Un giorno o l'altro gli spunterà l'aureola...

lunedì 26 maggio 2008

24-25 maggio 2008: tra Liguria, Emilia e Toscana. Primo giorno.

Alle cinque del mattino, il cielo è ancora scuro; non si riesce a capire se sia solo colpa dell'ora, o della cappa di nuvole. Per ora, ci culliamo nell'illusione che la prima ipotesi sia quella buona; carichiamo bici e borse nella Y di Mik e via, si parte, destinazione Massa. Purtroppo, scorrono i minuti, i quarti d'ora, i chilometri, ma la luce è sempre la stessa; il cielo si è schiarito quel poco che basta a farci intravedere una coltre di nubi spessa, livida e minacciosa. Cominciamo bene! Il mio allegro ottimismo di ieri comincia a vacillare... E non ho nessuno contro cui recriminare; sono stata proprio io a decidere di partire comunque, nonostante le infauste previsioni del tempo. Ormai siamo in ballo, tantovale ballare; certo che, più ci avviciniamo a Genova, peggio è. Un po' di pioggia, qua e là; beh, se non altro, non sembra che abbia voglia di piovere tutto il giorno, semmai di dare qualche secchiata qua e là, che già sarebbe un buon compromesso.
Il viaggio è lungo, pigro, sonnacchioso; le innumerevoli gallerie lungo la costa mi fanno venir voglia di cuscino e calda coperta pesante... Ma insomma Gian, datti una mossa, stai andando a divertirti ed hai una cera da funerale! Sì sì, è di questo che devo convincermi; sto andando a divertirmi. E allora, chissà perché ho quest'ansia addosso!
Per fortuna insperata, verso La Spezia, il grigio piombo del cielo lascia qualche spazio di chiaro, qualche pallidissimo raggio di sole, qualche chiazza di azzurro. Siamo ormai vicini alle montagne: alte, aspre, i pendii segnati dagli squarci delle cave. Massa: ed io che ho sempre pensato che esistesse una sola città di nome Massa Carrara... La verità mi si è rivelata solo lo scorso autunno, quando sono andata a correre la Maratona di Livorno! Massa è la nostra meta. Parcheggiamo nei pressi dell'hotel dove pernotteremo questa sera. Sono quasi euforica: c'è persino il sole! Scarichiamo le bici, è tutto pronto per il via. Attendo istruzioni dal mio navigatore umano, il quale attende istruzioni dal suo navigatore elettronico: già, peccato che quest'ultimo decida oggi di fare sciopero; meno male che c'è la cara vecchia cartina stradale! Prima salita, Passo del Vestito. Non faccio in tempo a lamentarmi che la strada non sale, che in lontananza appare una rampa impressionante: non è quella, non può essere quella, si lagna Mik che poi in un attimo puntualmente sparisce come una saetta; invece sì, è quella, un paio di km di strappi niente male, è iniziata l'avventura. Mi guardo intorno meravigliata: alla mia velocità, ho tutto il tempo di osservare con calma il panorama.



E' molto diverso da quel che mi aspettavo: queste montagne hanno un aspetto aspro, selvaggio; le quote sembrano, all'apparenza, ben più alte di quelle che in realtà sono. Mik mi aspetta al bivio prima del paese di Antona; un breve tratto di falsopiano, poi la strada riprende a salire, e lui sparisce avanti. Mi sento bene, anche troppo; cerco di convincermi ad andare cauta, a spingere meno di quel che potrei, perché oggi la strada è tanta, e domani pure. Verso il fondovalle si vede la città, anche se contorni e colori non sono limpidi; davanti a me, tanta strada, montagne verdissime, il colore delle foglie reso ancor più vivo dalla pioggia abbondante. Per ora, c'è persino il sole. Nella parte alta della salita, sempre molto dolce e mai impegnativa, ci sono diverse gallerie; il paesaggio si fa via via più roccioso, cattivo, fino a sparire nell'ultima lunga galleria finale. Meno male che abbiamo le luci!



Ritrovo Mik alla fine della galleria; si scende, direzione Castelnuovo Garfagnana. Ventitrè interminabili km di discesa dolce e falsopiano: mi vengono già gli incubi, al pensiero di dover rifare questa strada al contrario, stasera! Ma in fondo è meglio non pensarci; vediamo di risolvere un problema alla volta. Già, poi il problema che sta per arrivare adesso è proprio di quelli seri! Ho sentito spesso parlare di questa famigerata salita di San Pellegrino in Alpe, o meglio, del Passo Radici da San Pellegrino: ora andrò a vedere se, sul serio, l'ascesa merita la fama minacciosa che ha.
Da Castelnuovo Garfagnana, saliamo a Castiglione ed attacchiamo il mostro. Mik annuncia che questa per oggi sarà la sua crono: non faccio in tempo a proferire sillaba in risposta, che è già sparito... E vabbuò. Io parto pian pianino, con prudenza, aspetto di capire cosa mi riserveranno questi sedici km. In effetti, all'inizio e per buona parte della salita, non ci sono pendenze insidiose; ma dov'è che è così terribile questo San Pellegrino? Eh, lo sapevo io, è sempre così, le solite esagerazioni, le solite leggende metropolitane sulle salite terribili... E mentre così medito, alzo il naso e vedo un cartello: 18%. Cappero, ho parlato, anzi pensato, troppo presto. 34x29, subito, senza appello. Porca miseriaccia che rampa! Cerco subito la traiettoria meno ripida, allargo la curva, affondo le unghie nel manubrio, pesto disperatamente quei pedali che non ne vogliono sapere di scendere... Ecco, dopo immane sforzo, finalmente spiana; ma no, non è affatto finita, dopo la prima rampa ce n'è un'altra, e un'altra, e un'altra ancora. Ma per la miseria, di questo passo arriviamo alla quota del Monte Bianco!!! Vere e proprie rasoiate nelle gambe, faccio tanta fatica, anche più del necessario. Si attraversa il paese, poi si riprende a salire, ancora duro, ma più accessibile. Intanto, pian piano, riprendo coscienza di quel che accade intorno: il cielo è tornato grigio, coperto.
Tento di riprendere sembianze umane per non arrivare troppo disfatta alla cima, dove c'è Mik in paziente attesa. Già, mentre io mi scoppiavo le coronarie su per le rampe, lui ha avuto tutto il tempo di arrivar su ed intavolare una discussione con un ciclista locale, che, saggiamente, consiglia un drastico taglio al percorso previsto per oggi. Già: quel ciclista lì mi ha sorpassata in salita, poi, sentendo le intenzioni di Mik, avrà fatto 2 + 2 ed avrà concluso: quella lì, alla fine, ci arriva domani mattina, ammesso che ci arrivi.
Sono vile, lo ammetto, ma l'idea di accorciare un po' i km mi è di grande sollievo. Non c'è niente da fare, purtroppo io sono molto lenta; per poter pensare ad un giro in montagna che superi di tanto i 200 km, devo partire al mattino appena fa chiaro, altrimenti non c'è speranza, pena il rientro a sera tardissima, con tutte le difficoltà del caso, il rischio di non poter fare cena, ecc. Incredibile, quanto il cibo diventi un pensiero ossessivo, in queste uscite così impegnative. Sembra quasi che il cervello si impegni, per difesa, in una ricerca spasmodica di pappatoria, ben prima che se ne senta effettivamente il bisogno fisico.
Da qui inizia un tratto breve di vera discesa, poi un'infinità di km di su e giù e su e giù, cosa che mi mette di pessimo umore. Il cambio fa il superlavoro, passa freneticamente tutte le possibili combinazioni, anche le più assurde dal 48x29 al 34x11, ce ne fosse una che mi va bene! Odio la strada che sale e che scende... Ho solo un ricordo confuso di nomi e di luoghi, Piandelagotti, Civago, Minozzo, Villa Minozzo, Ligonchio, ma non saprei nemmeno metterli nel giusto ordine in cui ci passiamo oggi. E' da un tratto di questa strada da incubo, che si vede in lontananza una montagna strana, perfettamente piatta e con pareti verticali, una forma che stride con il resto del paesaggio, che sembra messa lì artificialmente, per uno strano scherzo della natura. Dopo interminabili km di salita che non sale, finalmente un po' di salita che sale, verso il Passo Pradarena. Le gambe ringraziano per questo inatteso dono di pendenza regolare, finalmente. Però la fame comincia a farsi sentire davvero, senza più sconti. Ho ancora qualche merendina, ma ne sono davvero disgustata. Bisogna trovare qualcosa da metter sotto i denti, se no chi ci torna, a Massa?
La fine della salita compare quasi all'improvviso, inattesa; sarà che sono persa nelle mie preoccupazioni, il timore di non farcela, il peso della stanchezza. Anche qui, la testa gioca un ruolo importantissimo. Mi fanno molta meno paura le salite “mostro” delle mie Alpi, quelle che conosco metro per metro, che pure sono dure, ben più di queste qui; eppure oggi navigo su rotte sconosciute, non so cosa mi aspetta, ed è proprio questo che mi rende tesa, nervosa, sfiduciata.
Evidentemente Mik è in riserva come me, perché, nel primo baluardo di civiltà che incontriamo in discesa, lo vedo fermarsi e buttare l'occhio famelico su un piccolo negozio di alimentari. Ci tuffiamo dentro con l'entusiasmo di chi non tocca cibo da una settimana; ne usciamo con due panini al formaggio, due Coca ed una torta al cioccolato, confezionata, che, a stima, sembra avere una densità notevole: bene bene, è sinonimo di tante calorie!!!
Ci sediamo sul marciapiede, a mo' di profughi, sbraniamo i panini suscitando una certa curiosità agli occhi degli indigeni. Poi è la volta della torta: una splendida mattonella di cioccolato, mamma mia che sogno, dev'essere una golosità! Qui si rivela il genio dell'Ing: l'ho sempre detto io, che gli Ing sono dotati di mente superiore... Se vi si presentasse un blocco unico da mezzo kg di torta, e voi non aveste posate per tagliarlo, cosa potreste usare? Elementare Watson, i levagomme! E a cosa servono i levagomme, se non a tagliar le torte? Ecco che Mik si lancia nell'operazione chirurgica; i due terzi della torta si volatilizzano in pochi secondi. Ne resta circa un terzo, che stipo con tutta la confezione nella mia borsa da manubrio.







Ripartiamo, rifocillati e rincuorati, per l'ultima fatica della giornata. A dire la verità, la fatica per me è percorrere quei venti km circa fino a Castelnuovo Garfagnana, anche qui, continui saliscendi, strappi in salita, brevi discese, ancora strappi. Se non fosse che so di essere vicina alla fine della giornata, darei di testa qui; invece, ogni tanto, mi sforzo anche di prendere qualche risalita a suon di 48, pur con la massima attenzione a non far prendere troppi scossoni al mio prezioso dolcissimo carico.
Ecco Castelnuovo, si risale al Passo del Vestito. Il tratto iniziale della valle è impressionante, tanto è cupo: incassato in mezzo a due pareti di bosco, chiuso in alto da una coltre di nuvole che adesso è fitta e grigia. Cerco di sbrigarmi un po', la doccia mi piacerebbe farla in albergo, non qui; speriamo di arrivarci. Mik, fresco e scattante come sempre, parte e va su; io sono sempre lì, combattuta tra la voglia di forzare un po' ed arrivare in fretta in cima, e la prudenza che mi impone di andare cauta, risparmiare, perché poi c'è ancora domani. I primi dieci km sono interminabili, non salgono mai; poi, timidamente, la pendenza si fa appena un po' più seria. Guardo i segnali che indicano i km, e le nuvole sopra la testa; dai Gian, dannazione, sbrigati, che tra un po' si aprono le cateratte del cielo... Son quasi in cima quando sento arrivare alle spalle un ciclista: ma... E' Mik! Siccome sono cotta e poco in vena di scherzare, già mi vien da pensare “E che fai, pigghi puù culu??? Infierisci pure???”. Ma, come al solito, sono troppo precipitosa... Poverello, ha solo sbagliato strada!
Eccola finalmente, la galleria. Tempo di mettersi la giacca; all'uscita piove. Per fortuna, è una pioggia leggera, che non fa in tempo a bagnare l'asfalto; una volta tanto, mollo i freni e me la do a gambe, paura o non paura. Mi era sembrata molto più breve la strada, in salita... Adesso, in discesa, non finisce più! Che sollievo, vedere Massa laggiù in fondo. Ripasso Antona, poi le rampe che stamattina ho salito con fatica ed ora scendo con terrore, infine Massa, Viale Stazione, l'auto, l'albergo. 220 km, circa 4.800 mt di salita, in tutto. Quanto ho sognato una doccia calda, una pizza, un cuscino. Ed è proprio così: doccia bollente, pizza Margherita e coma profondo. Come sempre, domani è un altro giorno!

mercoledì 21 maggio 2008

18 maggio 2008 - Granfondo Nove Colli

Capita di rado che io abbia così poca voglia di fare qualcosa di ciclistico: la Nove Colli è stata una di queste occasioni. Già dalla settimana prima, il pensiero di dover partire, andare fino a Cesenatico, correre quei 200 km e tornare in un viaggio eterno in auto mi faceva storcere il naso. Beh, non è che qualcuno mi abbia puntato il fucile alla schiena, per carità; il fatto è che la mia squadra richiede la partecipazione ad almeno 10 granfondo entro un certo elenco e, purtroppo, sono poche, in quell'elenco, le GF che piacciono a me. La Nove Colli l'ho scelta come uno dei mali minori; però, già la ricordavo con poco entusiasmo dall'anno scorso. Intendiamoci, è una manifestazione monumentale, organizzata in modo eccellente in ogni aspetto, con attenzione a tutti i particolari e con grande passione; da questo punto di vista, di certo è una delle migliori, se non la migliore, tra quelle in cui mi sono cimentata negli anni. Il guaio è che il percorso è poco adatto a me; è molto veloce, ha lunghi tratti in pianura all'inizio ed alla fine, offre salite brevi e quasi sempre facili da "saltare" una dopo l'altra: purtroppo però i paracarri non saltano, quindi io arranco e basta.

Per fortuna, il viaggio di andata vola via in fretta, in compagnia di Alessandro, uno dei miei compagni di squadra: si chiacchiera, si scherza. Lo accompagno all'albergo dov'è alloggiata la Jolly e recupero il mio numero di gara; poi però, siccome io sono un'asociale e detesto gli alberghi, me ne vado al campeggio e piazzo la mia fida tenda in una piazzola sotto i pini marittimi, approfittando di una tregua del maltempo - già, dimenticavo, ci vorrebbero le pinne, dall'acqua che è già venuta giù oggi. Ma non me ne importa un fico secco, avrei poca voglia di essere qui anche se splendesse il sole. Alle otto, sbafo la mia solita cena "da trasferta" a base di pizza del panettiere, poi mi imbosco nel sacco a pelo e via, nanna. Già, magari... Poco dopo mi sveglia il volume della TV dei vicini di piazzola, che pensano bene di piazzarsi tutti quanti a guardare un programma idiota ed a fare commenti ancora più idioti a volume ancora più alto. Questo, fin quasi a mezzanotte... In più, come se non bastasse, ho avuto la folgorazione: il borsellino sottosella, con la camera d'aria di ricambio e le levette per togliere il copertone, è rimasto sull'altra bici... A CASA!!! Abbatto uno ad uno i santi del calendario, con mira degna di un cecchino... Ma che ci posso fare? Inutile che mi inalberi, per non dire che m'incaXXi, tanto ormai la frittata è fatta! A quest'ora non c'è più alcuna possibilità di rimediare un borsellino; domattina sarà la stessa storia; dormi Gian... E spera domani di non bucare, che sennò sei panata!

Alla fine probabilmente, non so come, mi addormento... Dopo le solite mille interruzioni del sonno per via dei crampi nelle gambe - ma non mi lamento, va bene che vengano di notte, basta che non si presentino quando pedalo!!! - alla fine suona proprio la sveglia. Son le 4... No, ancora 5 minuti, dai, tanto la maledetta lo sa, suonerà ancora. Alla fine mi tocca proprio uscire dal bozzolo. Per fortuna non fa freddo!
Mi vesto nella penombra della tenda, con un po' di luce fioca del lampione; faccio colazione a base di plumcake ed un etto di Ritter al wafer - fantastico... Preparo la bici, senza borsellino, e via, verso Cesenatico e la partenza. Sono le cinque e mezza quando arrivo in griglia; davanti a me c'è già mezzo mondo. L'altra metà, nel giro di pochissimo tempo, arriva dietro.
Il cielo è livido, sembra ancora notte anche se sono quasi le sei; sono incerta se tenere la giacca impermeabile o no. Il guaio è che fa caldo; so già che non la sopporterò in corsa.
Di solito, a questo punto, mi coglie l'angoscia. Oggi invece no: non faccio che sbadigliare. Guardo le altre bici, cerco conforto, chissà mai che qualcun altro abbia dimenticato il ricambio della camera... Ma no, ce l'hanno tutti. Maremmazzozza.

All'improvviso, gran fragore di pedali agganciati... Però nessuno si muove. OK, è la partenza, ma son partiti quelli davanti! Prima che tocchi a noi delle retrovie, ce ne vorrà, di tempo... Mettiamoci pure comodi. Intanto prendo una decisione, levo la giacca e la butto nel borsello da manubrio, già colmo di brioches e barrettone Power Sport. Non si chiude più... E vabbuò, pazienza, che stia pure mezzo aperto.

Alla fine si parte. Pronti via, adesso devo cercare di non cuocermi per i primi 25 km di pianura, o giù di lì. Pesto come una forsennata sui pedali, ma mi guardo bene dal cercare una ruota a cui attaccarmi. Inutile, è più forte di me; già fare il treno mi crea ansia enorme quando davanti a me c'è qualcuno che conosco e di cui mi fido; figuriamoci poi se mi devo attaccare a qualcuno che non so come pedala... No no, è mille volte più faticoso ed angoscioso stare a ruota che non stare davanti a tirare. Io devo solo cercare di resistere fino alla prima salita. Curioso, però, che ci sia gente che si attacca alla mia, di ruota... Ma possibile che ci sia qualche ciclista tanto scarso? E poi io ne farei volentieri a meno, vorrei essere libera di aggrapparmi ai freni come e quando mi pare. Oh senti Gian, cavoli loro, non gliel'ha chiesto nessuno di mettersi a ruota. Se poi cascano, son tutti casi loro, e spero di non cascare anch'io.
Rotonde dietro rotonde, le affronto con la massima cautela; il mio zigomo non ha smesso di far male, dopo la botta di gennaio proprio sul cordolo... Vediamo di non fare il bis! Piove, prima sosta a metter la giacca; attacco finalmente la prima salita, altra sosta per svestirmi. Ecco, questa è una delle cose che odio. Ma insomma, Giove Pluvio non può decidersi? O sole, oppure pioggia, una delle due, ma che sia quella per tutta la giornata, e che diamine! Se no, metti togli metti togli, non la finiamo più!

Mamma mia che fiacca. Chiamarla salita, questa, è un parolone; eppure le gambe non vanno avanti. Sono durissime. Ed io sono fiacca, tanto fiacca. Lo so lo so, siamo sempre lì, la parola "riposo" non sempre è una bestemmia... Mi passano più o meno tutti, fino al punto in cui non mettiamo tutti quanti il piede a terra. Ecco, se ancora avevo un barlume di entusiasmo, in questo momento ogni minima traccia sparisce. Una bella rampa, tutta fatta a piedi, a passo di lumaca, in mezzo alla calca. Minuti eterni, improperi irripetibili. In cima, si sale, si pedala un po', poi idem cum patate, solo che stavolta il tratto da fare a piedi è ancora più lungo. Fuori uno, il Polenta, poi un lungo tratto di saliscendi in mezzo a troppa gente e con troppo nervoso addosso. Mamma mia, che stanchezza, neanche fossi reduce dalle fatiche di Ercole. E che sonno. Oggi mi sa che non arrivo.
Altra salita, Pieve di Rivoschio, altra sofferenza. I muscoli delle gambe sono proprio duri, non riesco a spingere, uso rapporti ridicoli su pendenze ridicole. Non è possibile, mannaggia la miseria, ma è come se non avessi mai pedalato fino ad oggi, e invece son quasi a ottomila km da gennaio! Per ora non piove, o meglio, solo qualche goccia ogni tanto. Ho già visitato i ristori: sono sempre a caccia di Coca Cola e caffè!
Altra salita facile, il Ciola. Mi manda in bestia il fatto che salgano tutti come camosci, mentre io son qui piantata come se avessi la zavorra. Beh, in effetti una bella zavorra naturale ce l'ho, non posso negarlo!
Passato il Ciola, arriva il tanto temuto Barbotto, che in realtà non è niente di tremendo: sì, vabbè, ha qualche tratto con pendenza a doppia cifra, ma è pur sempre meno di cinque km! Ecco, mi sento meglio lì che altrove, e poi il mio 34x29 non teme nulla o quasi. Quanti applausi a bordo strada!
Dopo il Barbotto, il bivio tra i percorsi medio e lungo: di lì in poi, il deserto. La paura della pioggia ha decimato gli aspiranti al giro da 200 km. Bah, non capisco, nemmeno si andasse su a chissà quale quota... Giro a destra, visito di fretta un altro ristoro, poi via verso il Monte Tiffi. Se non ricordo male, è proprio qui che incrociamo i primi del lungo, che son già lanciati verso Cesenatico! Porca paletta, che moto... Breve salita al Monte Tiffi, poi al Perticara, dove il cielo nero mette in atto una volta per tutte la sua minaccia. Si aprono le cateratte!!! Mi fermo, infilo la giacca, riparto. Non so bene perché, forse è un effetto placebo, ma il freddo dell'acqua sembra risvegliare un po' le mie gambe ormai irrigidite. Procedo benino, tra gli improperi di chi non ama questa doccia fuori programma. In discesa vado con somma cautela, freno dolcemente, cerco di asciugare i cerchi, anche se non è facile sotto questi scrosci. Scendo davvero piano, quasi a passo d'uomo, ma va benissimo così, tanto per oggi al podio ho deciso che rinuncio... :-D

D'improvviso com'era venuta, la pioggia se ne va. A Monte Pugliano si sale all'asciutto; così posso poi godermi lo scorcio più bello di tutta la GF, quello che già l'anno scorso m'era rimasto impresso per la sua imponenza, la rocca di San Leo. Ancora due fatiche, il brevissimo Passo delle Siepi ed il Gorolo. Però, prima del Gorolo, un tratto per me interminabile di pianura. Anche qui, sono da sola; adesso sì, qualche ruota la prenderei anche, il guaio è che non riesco. Mi passano tutti al doppio della mia velocità! Ad un tratto, un'anima buona pensa bene di spingermi fino al gruppo davanti: io sto pedalando come una forsennata, ma con il 48x13 giro a vuoto! Cavoli, che vergogna, l'unica ciclista al mondo che si fa spingere in pianura.
L'inizio del Gorolo è una vera liberazione. Duro, anche questo, nella parte finale, ma tanto tanto corto: sono quattro km e mezzo. Ok, sopravviverò. La rampa finale si vede proprio davanti al naso, come incollata al pendio: però passa in fretta, dài Gian, adesso muoviti che quest'incubo sta per finire. Discesa, via verso Cesenatico. Quasi mi stupisco di come riesco a tirare bene, ovviamente sempre nei limiti delle mie scarse possibilità, proprio in quegli orrendi e piattissimi km che l'anno scorso ho sofferto da matti. Anzi, quasi quasi mi sembra che quest'anno la pianura sia più breve... Si vede già quell'aborto architettonico che è il grattacielo di Cesenatico!
Ancora due cavalcavia ed è fatta, ecco l'arrivo, in mezzo a quattro gatti, quei pochi che son rimasti in fondo con me. Peccato che a consegnare le medaglie ci siano solo delle belle gnocche... Invoco la par condicio!

Il pasta party è pantagruelico, ma io mi accontento di trangugiare un piatto di pasta a mò di pitone, poi via a Zadina, al campeggio: devo ancora levar la tenda, fare la doccia e recuperare il mio compagno di viaggio, che ha già finito la corsa da quasi due ore. Eccezionale l'ospitalità romagnola, anche al campeggio: sono simpaticissimi i gestori! Carico la Opel, riparto, si va a casa, con la compagnia di qualche scroscio d'acqua. Anche stavolta mi sono guadagnata la pagnotta... Ma anche stavolta non ho assaggiato la piadina!

lunedì 12 maggio 2008

10 - 11 maggio 2008: Raid Provence Extreme

Ovvero... Come pedalare per cinquecento e rotti km e poi buttare tutto all'aria a meno di cento km dalla fine. Ovvero... Ma che alleno le gambe a fare, se poi sono una testa di quiz?
Ma andiamo con ordine; cominciamo dal giorno prima, come sempre importantissimo per il buon esito di un'avventura sportiva. Il giorno prima, mi ritrovo, come al solito, a dover ancora preparare tutto: bagaglio, bici, zaino. Sveglia alle sei, frugo nei cassetti alla ricerca dell'abbigliamento da pioggia, perché Meteo France minaccia acqua; metto la bici in auto, e pazienza se non ho cambiato i copertoncini, anche se non ne possono più: ho sempre rimandato quest'ingrato compito e adesso è troppo tardi, speriamo di non bucare. Ultime commissioni per l'ufficio, poi finalmente il momento cruciale della preparazione pre-agonistica: il saccheggio della panetteria! In previsione dei seicento km da fare in bici tra domani e domenica, libero sfogo alla golosità: mi prendo un ettaro di ogni tipo di pizza sul bancone; esco con otto bei pezzettoni, solo pomodoro, pomodoro e formaggio, zucchini e formaggio, pizza con le patate, chi più ne ha più ne metta. La panettiera augura buon appetito a me ed agli amici... Non è il caso di specificare che spazzolerò tutto io.
Alle undici si parte. Devo essere a St Remy de Provence alle sei, sono sette ore di viaggio, ce la faccio di sicuro! Le ultime parole famose... Fila tutto liscio fino a Sisteron, a parte il fatto che, scendendo dal Colle della Maddalena, per un pelo non faccio il gran salto sterzando tutto a sinistra per schivare una marmottona in mezzo alla strada; da lì in poi, però, un disastro. Si viaggia al rallentatore, mille semafori, traffico, e poi questo dannatissimo rispetto religioso dei limiti di velocità che hanno i Francesi... Se già sono agitata di mio, così divento proprio isterica! Beh, se non altro, ho tutto il tempo di spazzolare con cura quasi tutta la pizza... Me ne restano solo due pezzi per la sera. Potrei tenere un corso di guida sui tornanti mangiando la pizza al pomodoro senza fare chiazze sulla maglia!
Arrivo trafelata a St Remy, Place de Gaulle, alle sei e cinque. Parcheggio, vedo un assembramento di bici e di gente all'ingresso dell'edificio vicino e per un attimo mi manca il fiato. Ecco, sono stata tranquilla e rilassata fino a due secondi fa, e adesso addio, panico. Mi avvicino all'ingresso, entro con timore reverenziale, non so se sono più imbarazzata o più terrorizzata. Per fortuna, trovo subito un viso amico: è quello di Patrick, con cui ho scambiato tante e-mail fino ad oggi e che, finalmente, adesso conosco di persona. Un gran bell'uomo, brizzolato, gli occhi chiari ed un sorriso aperto e buono. Mi consegna il pacco gara, mi fa firmare qualche scartoffia; ho la mano che trema, faccio quel che posso, poi vado ad imboscarmi in fondo alla sala. Intorno a me, un sacco di ciclisti, visi bruciati dal sole, fisici asciutti, sguardi sicuri; immancabile la sensazione di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ho paura, solo una gran paura.
Patrick illustra, in francese ed in inglese, i vari aspetti della corsa, le regole, il percorso. C'è una modifica dell'ultima ora: la gara non salirà fino alla cima del Mont Ventoux, perché dal lato di Malaucene c'è ancora neve: le autorità hanno proposto a Patrick di aprire la strada, sotto la sua personale responsabilità per l'incolumità dei corridori, ma lui, è comprensibile, non se l'è sentita. Quindi si salirà a Chalet Reynard e poi giù a Sault, da lì ad Aurel e si riprenderà il percorso originario. Peccato: ci sono stata la scorsa settimana, al Ventoux; la neve sul versante di Malaucene era ben poca, a quest'ora s'è sciolta di sicuro; resteranno probabilmente pietre e sabbia, ma con un po' di cautela si potrebbe tranquillamente scendere. Pazienza, così è, se vi pare.
La riunione finisce con tanto di applauso per le due donne presenti... Io le detesto, queste cose, vorrei farmi piccola piccola e scomparire, altro che applauso! L'agitazione è fortissima adesso... Schizzo via verso la macchina, con il mio pacco gara con due bottiglie di vino ed il mio road book. Mi rincorre uno dei ciclisti presenti alla riunione: è Rudolf, del forum di Bicidacorsa. Già, che stupida che sono, avrei dovuto fermarmi a salutarlo... Ma è sempre così, alla vigilia di una corsa io non capisco più niente! E' gentilissimo, mi lascia il suo recapito se dovessi aver bisogno di qualcosa, sopratutto informazioni per la strada. Già, il mio cruccio è quello di sbagliare strada, anche se la settimana scorsa ho già provato tutto il percorso con Mik a far da navigatore.
Mi sposto con l'auto in un posto un po' più defilato della piazza; do fondo alla pizza, studio le carte allegate al road book, poi, alle otto e mezza, abbasso per quanto possibile il sedile lato passeggero, srotolo il sacco a pelo e mi ci tumulo dentro. Con la fascia sugli occhi per fare l'effetto notte, piombo a nanna in un attimo e mi risveglio solo alle sei del giorno dopo, solo grazie alla sveglia. Mannaggia! Chissà perché riesco a dormire come un ghiro ovunque, tranne che a casa?

Bene... Il gran giorno è arrivato. La piazza è ancora deserta, l'appuntamento è per le sette e mezza, otto meno un quarto. La giornata si preannuncia bella. Mi vesto, faccio colazione a base di Nutella e Ritter: sono una fogna ambulante, lo so, ma se non sfrutto questa meravigliosa occasione per ingozzarmi come un coccodrillo senza danneggiare la linea... Quando me ne capita un'altra?
Capitolo secondo, preparare la bici. Qui la lucina posteriore merita un discorso a parte, a degna dimostrazione della mia idiozia... Ho comprato la lucina posteriore nuova giovedì, dopo aver stupidamente perso la mia la settimana scorsa. La provo, a casa, in corridoio al buio: funziona, fantastico. Stamattina, provo ad accenderla, nulla. Panico... E adesso, alle sette di mattina del giorno del via, che faccio? Tolgo e rimetto le pile, provo a farla funzionare, niente. Passo alle maniere forti, la sbatacchio un po', niente. Poi mi accorgo che, tenendola in mano in un certo modo, funziona... Ma solo in quel certo modo... Che sia una questione di contatto? E' solo dopo dieci minuti di sudori freddi, che mi accorgo che la lucina ha un sensore di luce... Si accende tenendola in mano, per il semplice fatto che, con il palmo, copro il sensore. Prendo la scatola, srotolo in foglietto delle istruzioni, è proprio così... Ed io ho perso un paio d'anni di vita per il terrore! Deficiente che non sono altro...

Poco dopo, ecco Patrick: mi viene incontro, sorridente, ci salutiamo, guarda la mia bici, la Opel, il sacco a pelo, è meravigliato... Dice che gli piace “il mio stile”: un po' caotico, forse troppo... Ma io adoro viaggiare così, senza troppe pretese; l'essenziale ce l'ho, del resto si può fare a meno!
La partenza dei Grands Randonneurs, ossia di noi che faremo l'intero percorso in autonomia, è fissata per le otto e mezza. Cominciano ad arrivare, alla spicciolata, anche gli altri: e qui l'agitazione cresce. Li vedo tutti tranquilli, sicuri di sé, e vedo dei garretti che non promettono niente di buono. Basta, non vedo l'ora di partire, mettiamo fine a questo strazio! Di lì a poco arriva la mia collega, Patricia Berthelier, una signora simpaticissima che, per fortuna, nella vita insegna inglese: nessun problema di comunicazione, quindi! Già, io bazzico in Francia molto spesso, capisco quasi sempre quel che mi dicono, ma non sono in grado di mettere insieme una frase di senso compiuto. Poi c'è Cosmas, che, a quanto ho capito, è uno dei più forti; un ragazzo tedesco, alto e magrissimo, accompagnato dalla fidanzata o moglie, non so. Mi colpiscono, questi due, perché raccontano di non avere né un'auto, né un telefonino: si spostano viaggiando in treno ed in bici. Anche la ragazza, infatti, è dotata di bici da corsa equipaggiata da viaggio, con tanto di borse e luci. Lei però, più saggiamente, la prossima notte starà a dormire... Cosmas ha una Cervelo con le ruote ad alto profilo e le appendici da crono, giusto per far capire subito con chi abbiamo a che fare.
Sono l'unica che parte con cinque chili e più di zaino. Suscito lo stupore e lo scetticismo di tutti: c'è la possibilità di farsi portare del bagaglio ai vari punti di ristoro, perché scarrozzarsi tutto il peso per tutto il giro? Eh già... Il fatto è che io non sono tranquilla, se non ho il necessario con me. Magari consegno la borsa perché me la portino ad un certo ristoro, poi succede qualcosa per cui ritardo, fa notte ed io non ho nulla da vestirmi... E' difficile, non so valutare cosa sia meglio fare, se prima non provo. E poi nello zaino ho un sacco di altre cose, il copertoncino e le camere d'aria di ricambio, gli attrezzi... Lo so, hanno ragione a criticare, ma al momento non vedo alternativa, preferisco viaggiare più pesante ma più tranquilla.

Finalmente, ore 8.30, la partenza. Siamo in sette. La tensione si scioglie, i pedali girano. Da St Remy a Bedoin via Noves, Caumont, Mazan, si viaggerà in gruppo; laggiù, stop fino alle 11 e poi via. Peccato che il gruppo prenda subito un ritmo esagerato... Mi sforzo di non perdere le ruote, non devo e non posso, ma faccio una fatica immensa. Le gambe sono subito di legno, arranco, quasi non respiro, mentre gli altri chiacchierano amabilmente come se nulla fosse. Ogni tanto qualcuno mi vede in difficoltà e rallenta appena per riportarmi nel gruppo, sopratutto sulle due o tre blande salitelle subito prima di Bedoin; devo avere il viso del colore vermiglio del mio telaio... Non sono ancora le dieci e mezza quando arriviamo a Bedoin; persino Cosmas si chiede che senso abbia avuto correre così, per poi essere costretti ad aspettare... E se lo dice lui!
Sono già preoccupata, chissà se adesso le gambe, dopo questa tirara assurda, recupereranno. I miei colleghi mi sembrano sempre più dei marziani: ma come si fa a partire con quel ritmo, per un viaggio di 600 e rotti km?
Infatti, non appena viene dato il via da Bedoin, spariscono tutti. Da qui e fino alla fine, viaggerò sempre da sola. Attacco il Ventoux con difficoltà: non so se sia colpa dello zaino pesante, o del fatto che ho esagerato cercando di star dietro agli altri, o della stanchezza generale dei settemila km fatti finora da inizio anno. Calma, Gian, calma. Metti il 29, ce l'hai per quello, no? Usalo, che costa uguale, e vai su piano. Se vorrai far le corse, avrai tutto il tempo. Fatico proprio tanto a salire; cerco di alzarmi ogni tanto sui pedali, ma con il peso dello zaino è difficile. Dai Gian, tranquilla, sono solo 16 km, solo più 10, 9, solo più 4, 3 ci sei, qui spiana, Chalet Reynard. Sono un po' delusa, anzi un po' tanto, non va per niente bene, come inizio. Ma che ci posso fare? Sono qui, adesso, la condizione è questa; facciamo buon viso a cattivo gioco ed andiamo avanti. Lunga discesa a fondovalle, in buona parte da pedalare, e risalita breve e secca a Sault; l'ultima auto di scorta aspetta me che sono già proprio l'ultima: un po' mi vergogno, ma non posso fare altrimenti. Sei km di falsopiano e sono ad Aurel, al primo controllo. Luce dei miei occhi, il ristoro con il Camembert! Spazzolo una bella fetta mentre gli addetti mi segnano l'ora di passaggio, poi via verso il prossimo punto critico, Valensole, tra ben oltre cento km!
Da Aurel si sale a St Trinit: inizia qui un'interminabile serie di falsipiani, salite brevi e brevissime discese, continui cambi di pendenza che logorano le gambe. Se oggi fosse la prima volta che pedalo su questo percorso, credo che mi butterei per terra a piangere! Invece no, so già cosa mi aspetta; la ricognizione della scorsa settimana è stata preziosissima, sia perché oggi posso permettermi di viaggiare quasi a memoria, senza impazzire sul road book, e sia perché conosco già le strade e so già che devo prepararmi a soffrire su un percorso del tutto inadatto a me. E' molto, molto importante.
Fatico molto, vado al rallentatore su ogni minima pendenza; impiego un'eternità a coprire questi chilometri. Sembra incredibile, pensavo di aver dimenticato in fretta l'itinerario, invece no, nomi e luoghi tornano alla memoria uno dopo l'altro, Revest, Banon, St Michel l'Observatoire – ma dove sarà poi questo Observatoire? Già la scorsa settimana me lo sono chiesto...
A peggiorare la mia fatica ci si mette anche il vento, da subito, da Aurel. Non sarà violentissimo, ma a me basta per crearmi non pochi problemi. E poi, man mano che vado avanti, rinforza. Verso Manosque, le raffiche sono davvero cattive... La salita da Manosque a Valensole, di per sé facilissima, diventa un tormento. Sento già le gambe dure da troppo tempo, questa non ci voleva, non ce la farò mai, come faccio in queste condizioni? Ok Gian, adesso calma, cerca di cavarti da qui ed arrivare a Valensole. Lì c'è il ristoro, ti fermi un attimo, mangi, ti riprendi, poi via. Calma e sangue freddo. Così faccio... A Valensole mi fermo circa un quarto d'ora, mangio tutto quel che mi capita a tiro, prendo anche un buon caffè. Intanto mi supera il primo dei corridori “Ultra”, quelli che fanno la versione agonistica della manifestazione, rigorosamente assistiti da squadra e macchina al seguito. Cavoli... Son partiti due ore dopo di me, e già il primo mi riacchiappa dopo poco più di 200 km!
Riparto, direzione Riez, Moustiers Ste Marie ed Aiguines, all'imbocco delle Gorges du Verdon, dove ci sarà il prossimo controllo. Questo tratto è un po' più vivace, salite e discese brevi ma più ripide. Vorrei poter dire che sto meglio, ma non è vero, la fiacca mi perseguita ancora. Meno male che posso distrarmi un po' guardando il panorama, il Lac de Sainte Croix che è bellissimo adesso, con la luce della sera. E poi ci sono sempre gli Ultra che continuano a passare, alla spicciolata: tutti con un saluto ed una parola di incoraggiamento, un applauso da parte dei gruppi al seguito, che bello. Questi sì, sono i momenti che danno forza. Più di una spinta in salita, molto, molto di più.
I cinque km di blanda salita ad Aiguines sono una sofferenza. Le gambe non ne vogliono proprio sapere. Il 29 è una necessità, non una scelta, ed è questo che mi spaventa. E' crisi nera, sconforto.
Al ristoro mi fermo una decina di minuti, scroccando anche un massaggio alle gambe fatto davvero bene. Poi riparto, sta facendo buio. Continuo a faticare molto, troppo, anche se è pur vero che a questo punto ho già più di 230 km nelle gambe. Però il tramonto nelle Gorges è di una bellezza che toglie il fiato. Mi volto, vedo laggiù in fondo il lago ed il sole enorme, rosso, che scende pian piano; le pareti prendono sfumature di colore dal rosso via via verso il nero; una dopo l'altra, le prime stelle. Per quanto possibile, cerco di tenere la luce anteriore spenta: c'è uno spicchio di luna che illumina bene la strada; il fanale serve solo per i tratti di discesa. Finalmente, il buio è completo. Intorno a me, solo silenzio, animali che sgattaiolano via veloci al mio passaggio, cani che latrano in lontananza, qualche pipistrello che fa il volo radente sulla mia testa. Di tanto in tanto, vedo i fari di un'auto avvicinarsi piano, mi passa qualcuno degli “ultra”: uno di questi è Rudolf. Resto ammirata dalla sua organizzazione scientifica: ha persino la radio per comunicare con l'auto! Gentilissimo, mi offre una bottiglietta di Coca Cola a cui non so dire di no... E' la mia droga! Poi lo saluto, prosegue di buon passo, io resto da sola. La strada si allontana dalle Gorges, passa a Trigance, al Pont des Soleils. Che spettacolo, questi paesini illuminati a giorno eppure deserti, come se fossero privi di vita. Ovvio, non so che ora sia, ma è notte fonda... Eppure non fa per niente freddo; finora ho solo tirato su i manicotti. Aspetto con preoccupazione la salita della Route de Cretes: la settimana scorsa, ci ho visto i sorci verdi, lì sopra, per la fatica e la sete che mi tormentava ormai da chilometri. Ma adesso sono a posto, ho l'acqua, devo solo stare tranquilla. Aspetto la pendenza assassina che non arriva mai: probabilmente perché non c'è, è solo un ricordo distorto di quel giorno in cui ho sofferto da matti. In cima, lo spettacolo sulle Gorges illuminate dalla luna è eccezionale. Meglio vestirsi, qui c'è una discesa piuttosto lunga, poi un po' di saliscendi fino a La Palud, al controllo. La strada è ripida e sconnessa, ma non mi fa troppa paura: il buio nasconde il baratro che c'è dall'altra parte.
Puntualissimo, alla prima discesa un po' lunga di questa notte, ecco il sonno. Uno, due, tre sbadigli. Non è il momento, Gian... Dai che tra poco sei a La Palud, un caffè, qualcosa da mangiare. A quanto pare, sono l'unica che viaggia di notte con i pantaloni corti: eppure non si può certo dire che faccia freddo! E' la fine del tratto delle Gorges. Mangio pane e formaggio, qualche biscotto, poi via ancora in sella. Moustiers, Puimuissons, ancora Valensole, altro controllo, altro caffè.
Da Valensole inizia il difficile. Prima del prossimo controllo, a Cereste, ci sono ottanta km. E tanti sono di falsopiano in discesa e pianura. E' ancora buio, pedalo verso Greoux les Bains, Vinon sur Verdon, Pont de Mirabeau. Il sonno non vuol più sentire ragioni. Mi si chiudono gli occhi; faccio di tutto per resistere, provo a fare ampi respiri, mi metto a cantare, che tanto non c'è anima viva nel raggio di chilometri... Intanto il cielo si fa chiaro, è già l'alba. Ho nelle gambe 400 km. Mi butto a sedere sulla panchina di una fermata del bus, appoggio la testa, chiudo gli occhi pochi minuti; basta questo per farmi sentire meglio.
Passo il Pont de Mirabeau ed imbocco la strada verso Beumont de Pertuis. Salita breve, blanda, ma continuo a fare tanta fatica. Da Beaumont a La Bastide, poi a destra, direzione Forcalquier, altra salita. Vedo le ombre lunghe, sono un po' confusa, mi scopro a ragionare sul fatto che sia sera e poi mi rendo conto che quelle sono le ombre del mattino. Mi confortano i numeri delle strade, corrispondono a quelli del Road Book, ok, è giusto così. Passo Cereste, la boulangerie dove Mik ed io abbiamo fatto una delle nostre abbuffate la scorsa settimana; poco oltre, al bivio per Viens, c'è il controllo.
Qui inizia il mio vero declino. Ci sono settanta km prima del prossimo controllo. Chilometri e chilometri senza un'anima, con le gambe che davvero non so se mi porteranno fino alla fine. La fatica è sempre più pesante, vorrei pensare che posso farcela, ma mi accorgo che ormai la mia non è più una corsa, non è più nemmeno una marcia, mi sto trascinando su per queste salite, più piano, sempre più piano. Ed anche le discese, i tratti in piano, servono solo più per cercare di dare un po' di sollievo al male che ho ovunque... Mi assale una paura strana, irrazionale. Non so se sia colpa della stanchezza, del sonno, di tutto l'insieme; mi convinco d'essere rimasta l'ultima, non mi aspetterà più nessuno, a quest'ora avranno già levato anche il controllo a Lambesc. Non ho più da bere, non c'è una fontana manco a pagarla, fa caldo, non ce la farò mai, mai e poi mai. Arrivo ad Apt, perdo l'orientamento, non riesco proprio a capire quale sia la strada che vogliono farmi prendere; non importa, devo andare a Lourmarin, seguo le indicazioni tradizionali, ci arrivo. Però... E se l'auto dell'organizzazione fosse passata proprio adesso? Magari si accorgono che ho sbagliato strada e mi squalificano... Ma sì, non importa, tanto alla fine non arrivo, non ce la faccio più... Se solo ci fosse qualcuno, mi basterebbe una mezza parola, un incoraggiamento. Invece no, il nulla.

Lourmarin, Cadenet, qui è il mio dramma. Ci sarebbe un bivio, ma io vado dritto. Mi confondo, non ricordo d'esserci passata; tiro fuori le carte, ma è come se fossi rimbecillita, più del solito, non riesco a capire, a fissare lo sguardo sul punto in cui mi trovo. Chiedo ad un passante la direzione per La Roche d'Antheron, mi manda “a gauche” mentre avrei dovuto andare “a droite”; mi ritrovo, dopo un buon numero di km, in un paesino che nulla c'entra con il mio itinerario. Guardo con terrore il numero della strada, non è la mia, sono fuori. Prendo la carta, mi pare ci sia una stradina che si ricongiunge all'itinerario giusto: la imbocco, viaggio in mezzo ai campi, ma ad un certo punto mi trovo davanti ad un tratto di sola ghiaia. Qui, il crollo. Mi fermo, butto lo zaino per terra, ho le lacrime agli occhi. Dalla rabbia, prendo il cellulare, mando un messaggio a Patrick: basta, è finita. Poi, a fatica, carico lo zaino in spalla e torno verso Cadenet. Lì sì, la trovo, la direzione giusta; arrivo a La Roque d'Antheron, ma ormai è finita davvero. Non riesco più a connettere, in un attimo m'è piombata addosso tutta la stanchezza che fino ad ora era rimasta un po' latente. Patrick insiste per telefono, perché continui, ma io non sento più ragioni. Mancano circa novanta km, cinque ore, ma sono convinta che, in questo stato, siano davvero troppo poche per farcela. Ho perso un'ora preziosa. Ho rovinato tutto, sono un'imbecille, è finita, basta.

Salgo sull'auto scopa e vorrei scomparire nel nulla... Ho il terrore di arrivare a St Remy, vedere i volti felici di chi ce l'ha fatta. Solo 18 sono arrivati alla fine, mi dice David, che è venuto a recuperarmi. Vorrei sparire, vorrei che nessuno mi avesse mai vista lì. Lo so che, in realtà, del fatto che io arrivi o no non importa una fava a chicchessia... Però mi vergogno lo stesso, ho fatto un'altra volta il passo molto più lungo della gamba.
A St Remy mi accoglie Patrick, poverino, sinceramente dispiaciuto; si vede, che capisce perfettamente come io mi possa sentire. E' davvero buono, quest'uomo, una persona speciale. Vorrebbe darmi il premio che spetta ai “finisher”: no Patrick... Ti ringrazio di cuore, ma tienilo lì da parte. Passerò a prenderlo l'anno prossimo.
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Oggi, lunedì, la tristezza è ancora tanta, ma prevale già la soddisfazione per aver vissuto un'esperienza comunque stupenda, molto molto importante come lezione per il futuro. Le gambe più o meno se la possono cavare anche sulle distanze lunghe; ho stabilito il mio record personale, circa 540 km , compresa l'inopportuna deviazione finale, su un percorso tutt'altro che facile. Dovrò imparare a controllare la testa, la paura, le emozioni. Mi piace questo mondo delle lunghissime distanze, del viaggio in solitudine, della fatica fino al limite. C'è ancora molto da imparare... Ma mi impegnerò!

lunedì 5 maggio 2008

1-4 maggio 2008: ricognizione percorso RPE. IV tappa

Domenica 4 maggio, è l'ultimo giorno. La sveglia suona, poltriamo ancora un po', poi tocca proprio alzarsi, ricomporre il bagaglio, partire. Non prima, però, di una visita alla boulangerie. Ormai non possiamo più muovere un passo senza essere tormentati dai morsi della fame!
Saliamo per l'ultima volta di questo viaggio al Ventoux: già, ma oggi la storia è ben diversa... Con questo macigno di zaino che ho sulle spalle, con tutti i km che ho nelle gambe, faccio una fatica ignobile. Il 29 è all'opera da subito e quasi sempre, tranne nei tratti in cui mi alzo sui pedali e devo un po' indurire il rapporto. Che calvario, impiego l'eternità... Però oggi lo scenario è completamente diverso; pochi ciclisti, poche auto, si sale in pace, con i raggi del sole ancora basso che filtrano tra i rami in mezzo al bosco. -16, -15, i km scorrono con lentezza esasperante. Eppure non posso proprio far di più: oggi ci sono 150 km da pedalare, non so bene cosa mi attenderà dopo il Ventoux; non posso bruciarmi qua tutte le possibilità che ho per la giornata. Mi spiace solo che Mik debba aspettare l'eternità, lassù in cima. Ma che ci posso fare?



Alla fontana che c'è nella curva, un paio di km dopo Chalet Reynard, mi fermo e butto la testa sotto l'acqua: il caldo è più asfissiante stamattina che non ieri nel primo pomeriggio! C'è un turista che si prepara la colazione: mi trattengo a stento dal pensiero di tramortirlo e derubarlo del suo cibo... Pian piano, curvone dopo curvone, arrivo sotto la vetta; la macchia rossa che si affaccia di lassù dev'essere Mik, in via di mummificazione. Arrivo su, sbrano il Mars che Mik ha ancora di scorta, poi giù a Malaucéne. Qui ci dividiamo i compiti: a me l'assalto al minimarket, a Mik quello alla boulangerie. Facciamo pranzo a base di pizza, una quantità ignobile di Mars, succo di frutta e Coca Cola, poi ripartiamo per gli ultimi cento km.
Da qui, a parte un bivio che sbaglio in pieno, la strada mi è familiare: fino ad Aurel, l'itinerario ricalca quello della granfondo Ventoux-Baumes de Venise che ho già fatto qualche volta. Si sale dolcemente al Pas de Ventoux, con la cima bianca del mio amato lassù, vista in una prospettiva insolita.



Poi una ventina di km di falsopiano, persino un po' di vento a favore: ce li godiamo andando a spasso e chiacchierando. Un po' di salita prima di Aurel, poi si lascia la strada principale a vantaggio di una bella stradina in cresta che porta a St Trinit.



Da lì a Manosque, i km sono solo più poche decine, ma ci fanno soffrire, ci tengono sulla graticola, salitelle, discese, ancora salitelle, pendenze minime che però fiaccano le gambe e soprattutto la volontà. Fa caldo e l'acqua scarseggia; Mik non si fida, ma per me le fontane son tutte buone, anche se la maggior parte delle volte c'è il cartellino minaccioso, "eau non potable". Non potable un par di balle! Posso mica morire di sete!
Ancora paesi, ancora strada, ancora campagna e colline dolcissime, Banon, St Michel l'Observatoire. E la strada continua a salire senza mai scendere in modo significativo; lo farà solo, maledetta, negli ultimi dieci km di "picchiata" su Manosque.

La rampetta per raggiungere il parcheggio mi dà il colpo di grazia. Non ci posso credere, è finita. Già... Ma il sollievo è breve, lascia il posto alla malinconia; i miei pensieri diventano presto cupi come il cielo nella direzione di casa. Il viaggio di ritorno è eterno, è solo qui che vedo per la prima volta i segni della stanchezza anche sul viso di Mik. Le avventure devono finire prima o poi. Solo che è tanto difficile rassegnarsi...

1-4 maggio 2008: ricognizione percorso RPE. III tappa

Altra sveglia alle sei e mezza, ma questa volta l'ho già anticipata. Ho visto filtrare il sole alla finestra: è ora di rimettersi in strada. Come colazione, resta qualche avanzo di marmellata e pane della sera precedente; quel che ci dà la necessaria autonomia per arrivare fino alla più vicina boulangerie. Ripercorriamo a ritroso la strada che abbiamo fatto la sera prima al buio; a St Remy, finalmente, colazione come si deve. Anche oggi le gambe fanno male ed il soprassella strilla, ma sono fiduciosa; oggi è la tappa di "riposo", si va al Mt Ventoux!
Secondo lo schema di viaggio originario, oggi avremmo dovuto partire senza zaini, andare a Bedoin, fare le tre salite del Ventoux e tornare indietro, per un totale di 260 km. Già, se l'avessimo davvero fatto, probabilmente io sarei ancora adesso laggiù, dispersa nelle campagne della Provenza... Anche qui, la modifica è colpa mia: si parte da St Remy con gli zaini, si va a Bedoin, si cerca una camera per la sera, si lascia il bagaglio e si va al Ventoux, leggeri leggeri. Per fortuna, Mik è buono e non protesta: lui, i 260 km, se li sarebbe sciroppati senza battere ciglio... Ma io, se devo morire, voglio farlo su una prestigiosa salita, non per sfinimento lungo le infinite piatture di St Remy!
Lo desidero tanto, questo Ventoux, ma oggi me lo devo proprio sudare. Ci sono almeno sessanta orrendi km fino a Bedoin, sempre pianura o saliscendi; il mio entusiasmo cola a picco in fretta... Pur con l'aiuto di Mik che è sempre davanti a far da apripista, io mi stacco in continuazione, non ce la faccio proprio; la fame, poi, è sempre più difficile da ingannare con gli avanzi di provviste che mi sono rimasti. Poco prima di Bedoin ci sono un paio di salitelle davvero facilissime, ma a me paiono il Mortirolo: mi si è spenta la luce, proprio non mi trascino più; a poco serve il conforto del cocuzzolo pelato della mia amata montagna, lì proprio davanti a me!

A Bedoin, sosta al minimarket, dove ci strafoghiamo di Mars e Coca Cola, una quantità vergognosa a testa. E osserviamo la processione di ciclisti, chi sale, chi è già sceso, chi guarda da sotto in su e probabilmente non ci proverà mai, a salire.



Compriamo anche la cena, vale a dire tre etti e mezzo di formaggio, pane confezionato e marmellata: finisce tutto nel mio zaino. Poi, senza gran difficoltà, troviamo una stanza in un hotel, dove lasciare il carico. Finalmente, nasi all'aria... Ventoux, sei nostro!

Al bivio, all'inizio ufficiale della salita, Mik mi dice "Ci vediamo su". Sento solo più l'eco dell'ultima sillaba; lo vedo sparire avanti in un lampo. Io parto con cautela, su quei primi cinque km tranquilli; cerco di capire se le gambe han voglia di riprendersi un po', oppure no. Poi, dopo quel mitico tornante a sinistra, decido: o la va, o la spacca. Voglio provare a farla bene, questa salita. Sono spesso in piedi sui pedali, rinuncio al 29, mi sforzo di mantenere un buon ritmo senza però sforzare le gambe al punto da indurirle. Qualche vittima in fondo la lascio sul campo pure io: e non solo le bici da viaggio stracariche di bagagli... Ormai conosco ogni metro di questa bella salita, l'ho già fatta un'infinità di volte; so che nel bosco ci sono gli strappi cattivi, che dopo una curva, a sinistra, spunta d'improvviso la cima in tutta la sua imponenza, poi ancora bosco, un breve tratto in piano a Chalet Reynard, e poi gli ultimi sei bellissimi km nella pietraia, con il sole a picco ed il bianco delle pietre che abbaglia.



Sto salendo davvero bene, sarà merito dei Mars, sarà l'effetto della folla di ciclisti che fa tanto granfondo; quel che è certo è che sto esagerando e la pagherò più tardi, salendo da Malaucene. Ma questo è il mio momento di gloria, quindi via, su fino all'ultimo respiro! Proprio quando arrivo all'ultimo chilometro, proprio dove Mik è appostato con la macchina fotografica, mannaggia la miseria, mi faccio bruciare da due ragazzini!!! Ok, loro non sono certo partiti da Bedoin, anzi, fanno lì la sparata che andrà a morire poco dopo; ma io sono al gancio da troppo tempo, non ho speranza di reggere il loro passo. Eh vabbè, pazienza Gian, lo sai che in bici sei sempre stata più ippopotamo che camoscio!
Arrivo in cima giusto per immortalare il secondo arrivo di Mik, che alla vetta è già arrivato da mezzo secolo. 1h 26' per lui, per 1600 e rotti metri di salita... Fenomenale, davvero.



Scendiamo a Malaucene dopo aver superato un breve tratto, pochi metri, ancora coperto dalla neve. Mik buca nei primi km, ma nulla di grave, si sostituisce la camera e via. Bella, questa discesa, persino per me che sono un disastro ad andar giù.



Altro minimarket, altri Mars, altra Coca Cola. Poi si torna stoicamente su. Qui Mik dichiara di voler salire con calma, ma è più forte di lui, non ce la può fare; mi aspetta di tanto in tanto, mentre io stavolta arranco sul serio. Le gambe sono vuote, non riesco a spingere se non mettendo quasi sempre il 29. Mi rassegno ad andar su pian piano, pazienza se ci metterò un'eternità: voglio arrivare! Anche qui, conosco bene la strada e so che la pendenza è sempre molto costante, mai esagerata ma costante. A Mont Serein la prima sbarra che indica la chiusura del colle; poco più in alto, la seconda. Mi sento un po' meglio, come sempre, ora che la quota è più alta. Da lì, alla cima arrivo abbastanza in fretta, senza più soffrire. Nel giro di due ore, il tratto da percorrere a piedi nella neve si è già molto ridotto! Incredibile la velocità con cui si scioglie la neve.






Sulla cima, l'ardua decisione: scendere ancora a Sault e risalire dal terzo versante? Mik non avrebbe alcun problema a farlo, ma io sì; sono le sei e mezza, io sono cotta; se mi buttassi sulla terza salita, rischierei di tornare a Bedoin a notte fatta. Lo so, non sarebbe affatto un dramma, tantopiù oggi che abbiamo già la stanza riservata. Ma no, non ho proprio voglia. La stanchezza è tanta, ho voglia di andar giù, fare una doccia, magari due passi tranquilli in paese. Mik acconsente, anche se so che in fondo in fondo non approva...

La discesa verso Bedoin, con la luce gialla della sera, è bellissima ma molto fredda. Sento i brividi nonostante la giacca; scendo male, perché quella è una strada che mi ha sempre fatto paura; mi sorpassano tutti, compresi due bambini con le MTB che si divertono come pazzi a tagliar le curve... Eppure provo una sensazione piacevolissima questa sera, una specie di serenità, la tranquillità di andar giù, buttarmi sotto l'acqua calda, avere un po' più di tempo per riposare e prender fiato. Eh lo so, mi piacerebbe atteggiarmi da superdonna dal fisico bestiale, ma non lo sono affatto, anzi; sono facile preda della stanchezza fisica e dello sconforto.
Ci cambiamo, abiti borghesi, facciamo due passi tra le case di Bedoin, fino alla chiesa e ad un punto panoramico, su, in alto, da cui si vede il Ventoux vestito da sera.



Ancora qualche foto, prima della nostra solita cena a pane e formaggio in camera, prima di nanna. Non mi par vero d'avere qualche ora di sonno a disposizione in più, anche se questa volta, chissà perché, passerò buona parte della nottata a guardar la luce che filtra dalla finestra. E con la pancia che ulula per la fame. Strani giochi fa la stanchezza.

1-4 maggio 2008: ricognizione percorso RPE. II tappa

Giovedì 2 maggio, la sveglia suona impietosa alle sei e mezza. Mik grugnisce, "Io non ce la faccio oggi a far 200 km!". Zitto tu, non hai diritto di lamentarti, 200 km non li senti nemmeno! Prepariamo il bagaglio: da oggi viaggeremo con lo zaino; l'auto resta qui a Manosque, speriamo di ritrovarla domenica sera. Ho portato il minimo indispensabile, ma questo zaino pesa come un macigno! E' vero, forse cambiare maglietta e canotta traforata tutti i giorni non è cosa da duro e puro randonneur, ma io non sopporto gli abiti che sanno di sudore addosso, e non è certo pensabile fare il bucato alla sera!
Poggiare il posteriore sulla sella è un trauma. Andiamo bene, se già il secondo giorno è così, chissà il quarto! Le gambe sono rigide, indurite, ma spero che, scaldandosi un po', si riprendano. Via, destinazione Valensole per riportarci sul percorso della rando. Da lì, un lungo tratto in prevalente discesa, in mezzo a campi dal verde brillante e papaveri: colori accesi, che sanno d'estate, che belli. Si pedala, si chiacchiera. Oggi ci attendono 240 km, ma non dovrebbe esserci molta salita. Il condizionale ovviamente è d'obbligo... Al paese di Gréoux Les Bains, dopo una rampetta brevissima ma cattiva che non ci aspettavamo, assaltiamo una boulangerie, la prima di una lunga serie. Sulla borsa anteriore di una moto parcheggiata lì accanto, la cartina delle Gorges: già, il motociclista è stato ben più saggio di me; non se l'è mica pedalata, lui, la strada!



Anche oggi, tante tante salite brevi, tante discese facili, tutte cose che io continuo a non digerire. Peggio ancora per il fatto che ho cinque o sei kg di zaino sulla schiena. Ci sono, però, anche lunghi tratti tranquilli, piatti, lungo strade che spesso offrono anche una certa tranquillità, quanto a traffico, ed un bel panorama. Ancora sole e caldo. Un susseguirsi di splendidi paesini dai colori chiari, luminosi, come il colore della terra delle colline intorno: Beaumon de Pertuis, La Bastide, Viens... A St Saturnin, altra tappa, questa volta in minimarket: Coca Cola! Mamma mia, la casa produttrice di questa bibita dovrebbe darci un premio fedeltà per questi quattro giorni!




La fatica è proprio tanta, per me. Sui miei percorsi tradizionali, ci sono salite magari da venti km, seguite poi da discese altrettanto lunghe in cui le gambe un po' riposano; poi, comunque, a me piace la salita lunga, anche ripida ma lunga, su cui si prende un ritmo che poi si tiene fino alla fine. Le salite alpine, in una parola. Qui no, qui tocca pedalare proprio sempre, cambiare ritmo ogni pochi km, ci vorrebbe un'andatura più vivace ed adattabile, che io non ho. Soffro molto, fatico, tendo sempre a staccarmi, con gran pena per Mik che ogni tanto si volta rassegnato e mi aspetta. E' incredibile, non so come faccia, quel ragazzo dev'esserci nato, sulla bici; non fa fatica, non molla mai, mai il minimo cedimento, mai la minima stanchezza sul suo viso, sempre e solo un sorriso che peraltro, diamo a Cesare quel che è di Cesare, è una meraviglia. Io penso d'essere disfatta, non so che aspetto abbia la mia faccia ma forse è meglio così. La randonnée, per quanta strada riuscirò a fare, sarà un vero calvario.
Da St Saturnin in poi, la strada si fa più tortuosa; guardando la carta adesso, mentre sto scrivendo, mi pare impossibile aver pedalato per tutti quei km!
Al paese prima di St Remy, ci fermiamo in un negozietto a fare scorta per la cena. Pane, formaggio il più grasso e molle possibile, marmellata, poi via verso St Remy, la fine della giornata. Fine... Già, illusi!!!




Quando leggo il cartello "St Remy 12", ho un impeto di ribellione: la tabella di marcia prevederebbe di farne ancora 25 passando per stradine secondarie, ma mi rifiuto categoricamente. Non ne posso più di piattura, voglio una doccia ed un letto. Così entriamo a St Remy lungo lo splendido viale alberato che è la strada verso Cavaillon.
Chiediamo una stanza in un paio di alberghi, niente. Andiamo all'Ufficio del Turismo, dove c'è un tabellone che indica la disponibilità dei vari alberghi; giriamo, chiediamo, niente, da nessuna parte. Ormai sono le nove passate, tra poco farà buio. Usciamo qualche km fuori città, c'è ancora un albergo; chiediamo: niente, nemmeno qui. La mia agitazione diventa panico... Lo so che non serve a nulla, ma a me vien quasi da piangere, siamo qui, disfatti, con 240 km nelle gambe, dove cavolo andiamo stanotte? Se almeno avessimo gli abiti adatti a dormire all'aperto, ma no, nemmeno quello! Per fortuna, mosso a pietà, il proprietario dell'albergo ce ne segnala uno ad una decina di km: telefona, ci prenota l'ultima camera. Un angelo! Ringalluzziti e confortati, ci mettiamo in marcia al buio, e meno male che siamo dotati di luci! Con Mik davanti a far da locomotiva, in un battibaleno arriviamo all'albergo; ce li mangiamo, quei km. E' notte fatta ormai; gli altri ospiti ed il personale ci guardano un po' come si guarda un animale sconosciuto e forse anche pericoloso. Tiro davvero il fiato solo quando alla reception ci consegnano la chiave. Quanto ho desiderato questa doccia!!!
Oggi la cena va meglio: come tavolo uno sgabello, Mik ed io ci dividiamo i tre etti e passa di formaggio ed il pane. E poi il problema della marmellata: come estrarla dal barattolo? Qui viene in soccorso il genio dell'ingegnere: Mik prende uno dei bicchieri di plastica del bagno e lo spezza fino a farne frammenti utilizzabili come cucchiaino. E' semplicemente geniale, così stasera abbiamo anche il dessert.



Dopo questa luculliana cena, tempo trenta secondi da quando metto la testa sul cuscino e già sono nel mondo dei sogni!

1-4 maggio 2008: ricognizione percorso RPE. I tappa

Giovedì primo maggio, cinque del mattino: stipiamo la povera Y di Mik all'inverosimile e partiamo. Come d'abitudine, pur mezzi rintronati per la levataccia, facciamo subito l'inventario delle cose fondamentali ed irrinunciabili nel viaggio che abbiamo dimenticato a casa: non ci viene in mente niente... Possibile? Mah, ce ne accorgeremo quando sarà il momento, cioè troppo tardi. L'importante è che ci sia la macchina fotografica!

Già in auto ho il cuore in gola per l'emozione. Nei giorni scorsi non ero troppo in forma, anzi, un po' di febbre, un po' di fiacca; spero solo d'essere in grado di combinare qualcosa di buono, perché ci tengo tantissimo! Il viaggio è lungo, niente autostrada, ma ci godiamo la bellissima Valle Stura con le prime luci del mattino e poche anime in giro per la strada: poco dopo la galleria delle Barricate, ci attraversa la strada un gruppo di camosci – almeno, credo, considerata la mia ignoranza in materia di fauna. E poi il panorama del lago di Serre Ponçon, la fortezza di Sisteron. Finalmente, dopo quasi cinque ore di viaggio, eccoci a Manosque.
Il programma di Mik prevede la partenza da qui, anziché da St Remy come invece avverrà nella rando, perché Manosque è il punto della corsa più vicino a casa; così, la distanza da percorrere in auto è stata ridotta al minimo. In questa prima tappa, percorreremo l'itinerario delle Gorges du Verdon fino a Valensole; poi, da lì, devieremo di una ventina di km dal tracciato della rando per tornare a Manosque. Scopo di tutto questo, poter tornare almeno la prima sera all'auto e quindi poter fare la prima parte del viaggio senza zaino pesante sulle spalle.



Scarichiamo e prepariamo le bici: quella di Mik sembra un'astronave... Sul manubrio c'è di tutto, faro, Gps ed almeno altri due aggeggi che non so bene a cosa servano; probabilmente fanno il cappuccino con le cialde, chissà! In più, nel borsello, una macchina fotografica spaziale che, da sola, peserà tre chili! Beh, tanto Mik va forte anche con la zavorra... Io mi porto giacca impermeabile, pappatoria e la mia macchinina fotografica ben più elementare della sua; pieni d'entusiasmo, si parte. Peccato solo che mi sia rimasto un gran mal di testa.
Sotto uno splendido sole, ci avviamo lungo uno stradone trafficato e su per una lunga e blanda salita, direzione Valensole. Si sale sale sale, sembra di vedere un colle, prima o poi si scenderà... Invece no, la strada poi diventa un lungo falsopiano. Mi giro indietro, ecco laggiù, lontano ma inconfondibile, lui, il Ventoux! Ci vedremo presto, aspettami!

Da Valensole alle Gorges è tutto un saliscendi, salite brevissime, discese altrettanto brevi, sempre su e giù. Ecco, proprio quello che temevo, il tipo di percorso che odio. Un buon ciclista, quelle salite lì, le salta una dopo l'altra; a me proprio non riesce, io devo mettere il 34 ed attaccare ogni minina pendenza come se stessi per scalare lo Stelvio, perché, se solo provo a fare lo “strappo”, dopo due o tre strappi mi ritrovo le gambe di legno e non vado più né avanti né indietro. Risultato, perdo una marea di tempo in questo tratto, che è anche molto lungo. Certo che il paesaggio è stupendo, i colori, la vegetazione, la terra arida danno il senso del caldo che si gode in queste zone: da buona lucertola, io adoro il caldo! Sembra d'essere in Toscana o nell'entroterra della Costa Azzurra. Fatico, arranco, ma per ora ho ancora troppo entusiasmo per accorgermene. Mik inizia qui il suo lungo esercizio di pazienza, lui che queste asperità nemmeno le vede, che va su come un camoscio, e con la stessa eleganza, e che su ogni cocuzzolo deve fermarsi per aspettarmi.

Dopo aver percorso credo una sessantina di km e superati i paesi di Riez e Moustiers Ste Marie, arriviamo all'attacco della prima salita che possa definirsi davvero tale: qui troviamo ad attenderci Matteo, che, come d'accordo, ci accompagnerà nel giro delle Gorges. Salita lunga, con pendenza facile facile; vado a testa bassa finché non si arriva, finalmente, alle famose Gorges. Mamma mia che spettacolo imponente... Anche se, a dire il vero, delle Gorges riesco a vedere ben poco. Ci si dovrebbe fermare, affacciare al parapetto, guardare giù e riempirsi gli occhi, perché questa è una meraviglia; ma io devo pedalare, ho un solo pensiero in testa, il fatto che oggi ci son più di 200 km da percorrere, poche ore di tempo, e che sono lenta lenta lentissima! Alle foto pensano Mik e Matteo, che, con tutto il tempo che perdono ad aspettarmi, potrebbero girare un documentario! Per fortuna, la strada non è affatto esposta, anzi; il parapetto nasconde bene la vista del baratro. Lo so che è assurdo, visitare le Gorges e pretendere di non vedere il precipizio, ma io son fatta così, ho paura dell'altezza e del vuoto. E poi, nella corsa, qui passerò di notte; sono più tranquilla se so che non devo far troppa attenzione a non volare di sotto.
Raggiungiamo il Col d'Illoire che, come fa notare Matteo, è tutto fuorché un colle; la strada continua a salire ancora per un po'.




Da qui, una serie interminabile di salite brevi e discese altrettanto brevi, ma facili e veloci, anche per me che sono una frana. Fa caldissimo, il sole è splendido ed impietoso sulle nostre teste. Mik e Matteo ogni tanto si fermano, poi mi riacchiappano, passano avanti chiacchierando; beati loro che possono farlo. Io comincio a sentire la fatica di questi tratti irregolari, dove non riesco mai a prendere il mio ritmo.
Ad un tratto, la strada si allontana dalle Gorges e continua in uno scenario sempre bellissimo ma più anonimo, per poi riportarsi alle Gorges con una salita lunga e cattiva che ci riporta a quota 1.400 m circa. Le rampe sono ripide, metto per la prima volta il 34-29; ma non è la fatica qui che mi manda in crisi. E' la sete terribile: fa caldo, il sole picchia, ed io sono già a secco da chilometri. Più che la sete, in realtà, è la paura della sete. Spremo la borraccia, ogni tanto esce ancora qualche goccia, ma immancabile l'ansia mi ha già assalita. Maledico le rampe, mi abbatto, mi sembra di non andar più avanti, mi arrabbio; Mik e Matteo mi sorpassano dopo essersi fermati, scherzano ma io non riesco a ridere con loro: in due parole, è crisi nera, nerissima. Ora ho un pensiero fisso, voglio una Coca Cola. E' vitale, per il prosieguo della giornata, che io trovi da qualche parte una Coca Cola, prima che subito. Altrimenti defungo qua. Finalmente la cima arriva, e poi una picchiata in discesa nell'unico tratto in cui il fondo del baratro si vede benissimo, porcaccia la miseria! L'asfalto non è bellissimo, cosa che rende la discesa ancor più critica per me, ma adesso non importa, non esistono il vuoto ed il fiume laggiù, c'è solo che voglio la mia Coca Cola. Sto malissimo, sia con le gambe che soprattutto con il morale. Finalmente arriviamo al primo avamposto della civiltà dopo le Gorges, l'abitato di La Palud: magari i miei colleghi non hanno nessuna voglia di fermarsi, ma io devo... Che immensa goduria la Coca Cola bella fredda.

Qui ci separiamo, Matteo torna sui suoi passi verso l'auto: non ho ben capito che giro farà, ma ci rinuncio, la geografia è un'altra delle tante cose con cui non vado d'accordo. Fatidiche le sue parole di congedo: "Avete solo più 100 mt di dislivello e poi è tutta discesa"... Probabilmente, per il miracolo della moltiplicazione dei metri di dislivello, da lì Mik ed io ci sorbiamo ancora un'interminabile serie di salite e salitelle. Di per sé, nulla di tragico, ma a questo punto io sono in crisi completa: ogni minima asperità, fosse anche un dosso rallentatore, mi manda in angoscia. Non so perché, sarà ancora l'effetto del malessere dei giorni scorsi, ma mi sento sempre più vuota, benché Matteo mi abbia ceduto le sue albicocche secche – non ce la facevo più a mandar giù le mie merendine ed ho gradito immensamente il dono. Non vado avanti ed ho male dappertutto: anche questa, cosa strana, davvero insolita per me. Salite, discese, in continuo, ogni volta mi sembra che sia finita ed invece no, ancora un altro salto; ogni volta ho paura ad alzare gli occhi perché so che ci sarà ancora una collinetta, e poi un'altra, e le gambe che così proprio non vogliono saperne di rendersi utili.

Si ritorna a Moustiers, poi Puimoisson e finalmente Valensole, finalmente l'ultima breve salita, poco più di un km, e poi la lenta discesa verso Manosque.




Mi gira la testa, persino le braccia fanno male; cerco di non dar troppo a vedere la cotta e di pedalare per quanto possibile, ma, arrivata all'auto, crollo. Ho le gambe dolenti come mai mi è successo, come se stringessi tutti i muscoli con le unghie, male alla schiena, al collo, quasi da non riuscire più a girarmi. Anche metter la bici in auto è una sofferenza... E Mik invece è fresco come una rosa, come se fosse appena partito, pronto alla ricerca di una stanza dove dormire, efficiente come sempre.
Riesco a fatica a salire gli scalini dell'albergo, ho freddo freddo fino alle ossa, la testa che scoppia. Davvero non capisco, è stata una giornata dura ma non ha senso che mi sia ridotta così! Cedo a Mik l'onore della doccia, mangio una banana ed attacco la farmacia che mi son portata appresso da casa: un'aspirina ed una pastiglia di antiinfiammatorio. Poi la doccia calda: tempo un'ora e sono come nuova...
Ultimo dramma della giornata: sono le dieci di sera passate, Mik ed io stiamo morendo di fame, che si mangia? A Manosque c'è il Mc Donald, ci fiondiamo lì. A quell'ora è aperto solo il Mc Drive, ci accontentiamo. A me tocca anche far lo strappo alla regola della mia vegetarianità: non c'è nulla che non abbia almeno pollo o pesce. Ci rassegnamo a due Coca, due insalate col pollo – ma sfido chiunque a dimostrarmi che razza di specie animale fosse quella roba sull'insalata; poteva anche essere pantegana di fogna all'aspetto – ed un panino di dubbia composizione. Il letto diventa una splendida tavola imbandita: pazienza, stasera si tira un po' cinghia, quel che conta è che a me è già tornato il sorriso, sono contenta di vedere che è contento anche Mik; penso che in fondo non c'è alcun altro posto né alcuna situazione diversa al mondo in cui vorrei essere in questo istante. Dài Gian, domani andrà tutto bene!

1-4 maggio 2008: ricognizione percorso RPE. L'idea

Come sempre, i momenti più belli sono anche quelli che finiscono più in fretta, troppo troppo in fretta. Questi quattro giorni di bici, con quanta ansia li ho aspettati... E sono già finiti! Bah, bando alla malinconia, andiamo con ordine.

Un mesetto fa o poco più, ho preso l'insana decisione di iscrivermi ad una randonnée ciclistica che si svolgerà il 10 e 11 maggio in Provenza, con partenza ed arrivo da St Remy de Provence, il RAID PROVENCE EXTREME: poco più di 600 km, circa 9.000 mt di dislivello e 34 ore e mezza di tempo massimo, con le chicche della scalata al Mt Ventoux e della zona delle Gorges du Verdon. Follia pura, perché non ho mai provato a pedalare su una distanza del genere e su un percorso a me completamente sconosciuto. Però, come mio solito, non mi va di pensarci troppo: ho l'occasione di provare, ho tanti km nelle gambe, potrei anche combinare qualcosa di decente; via, come preparazione specifica è sufficiente, ci proverò.

Ne parlo sul forum di Bicidacorsa; tra una cosa e l'altra, ecco che salta fuori la proposta di Mik: e se andassimo a provare il percorso, approfittando di uno dei “ponti” tra aprile e maggio? Geniale... Non ci avrei mai e poi mai pensato, se non fosse stato per lui! Detto fatto, senza tante parole, si decide per il ponte dal 1° al 4 maggio. Anzi, a dire il vero, l'idea nasce come viaggio di tre giorni, per dividere il percorso della randonnée in tre tappe più o meno equivalenti quanto a distanza. Ma, pensandoci bene: i giorni di vacanza sono quattro, vogliamo sprecarne uno? Certo che no! Siamo al cospetto del Ventoux, e che diamine, bisogna approfittarne! Quindi, si decide di inserire anche un quarto giorno da dedicare quasi per intero a questa meravigliosa montagna.

Vigliaccamente, delego tutti gli aspetti organizzativi dell'avventura al buon Mik, che di certo se la cava molto meglio di me: lo so che la rando la devo poi correre io e non lui, però non ho la fermezza per queste cose... Sono troppo entusiasta, ho già la testa tra le nuvole, sono già laggiù, altro che guardare strade, cartine, atlanti. Ottima decisione, infatti. La gestione dell'itinerario è eccellente, sia nei programmi che poi nella realtà. Sono in debito con Mik di un'esperienza meravigliosa!!! E adesso, con un po' di pazienza, la racconto...