lunedì 12 febbraio 2018

11 febbraio 2018 – SI TORNA A PEDALARE


Era da parecchio tempo che non caricavo più la bici in auto e me stessa in sella alla bici. Ho pedalato l'ultima volta ben sei mesi fa, proprio il giorno di Ferragosto, peraltro con esito penoso per me stessa e per i due tapini che quel giorno mi accompagnavano. Poi, la corsa ha assorbito tutte le mie energie, anche perché, per la prima volta nella mia vita, ho deciso di provare ad allenarmi con un po' più di metodo, affidandomi ai consigli di chi, in materia, ne sa più di me. Non l'avessi mai fatto: prima, l'euforia del miglioramento e poi, ahimè, la dura sorpresa del primo, serio infortunio da quando ho coscienza di esistere. Non certo per colpa dell'allenamento finalmente sensato, ma della jella che, si dice, al contrario della fortuna, ci vede benissimo. Ormai da due mesi trascino un fastidioso problema che, a giudicare da quanto ho letto qua e là su internet, potrebbe vagamente somigliare alla metatarsalgia: ho provato un po' di tutto, anche a stringere i denti e continuare a correre, ma ultimamente il dolore è davvero pungente e le uscite per gli allenamenti sono diventate una pena. Da una parte, sono quasi sollevata: da che mondo e mondo, un podista che si rispetti ha almeno un acciacco in corso, sempre, di cui parlare con malcelato compiacimento e da brandire come scusa per qualsiasi prestazione al di sotto delle aspettative. Io non avevo mai avuto nulla, fino ad ora. Mi sentivo quasi un po' discriminata, diversa. Ora che ho anche io il mio malanno sono finalmente a posto con la coscienza. Però non riesco più a correre... Tra qualche giorno andrò a farmi dare un'occhiata da qualcuno che dovrebbe saperne un po' più di me. Nel frattempo, ho pensato di sostituire la corsa con l'antico e forse unico vero amore, la bici.

In realtà, pedalare è ciò che avrei continuato a fare con vera passione, se nel mio percorso di vita e di sport non mi fossi imbattuta in alcuni incidenti, l'ultimo dei quali avrebbe potuto lasciare conseguenze molto peggiori di un trauma cranico e della rottura degli incisivi. Sono passati ormai parecchi anni, ma la paura non è più guarita. Soprattutto se si tratta di pedalare su strade con un certo traffico. Oggi, però, potrebbe essere una buona occasione per un ritorno in sella ovattato: lungo l'itinerario che ho programmato, se ne vedranno ben pochi, di veicoli a motore.

Il parcheggio di Campetto, accanto al ponte sul Belbo, a metà tra Borgomale e Castino, alle otto e mezza è deserto. Temperatura, zero gradi, tondi tondi. Non è che io sia proprio convintissima, intendiamoci, ma ormai son qui... Tre strati tra maglie e giacca invernale, pantaloni Assos lunghi e spessi, guanti, calze spesse, plantari morbidi per l'avampiede, nella speranza che le sollecitazioni dei pedali non facciano ulteriori danni. Eh, brutta bestia, la vecchiaia. Acciacchi che spuntano come i funghi in un piovoso autunno. A stento mi ricordo come si salti in sella, non parliamo poi di ricordare come si manovrino i rapporti. Ma intanto sono partita. Prima salita in direzione di Bosia. Poche centinaia di metri bastano a ricordarmi il motivo per cui, negli ultimi tempi, io mi sia sempre rifiutata di pedalare in inverno: piedi gelati, irrigiditi e dolenti; mani, idem. Comincio spasmodicamente a staccare dal manubrio una mano per volta, aprendo e chiudendo le dita per riportare un'idea di circolazione nelle falangi; nel contempo, cerco di muovere le dita dei piedi, che però non hanno proprio più sensibilità. La salita è tutta in ombra; la luce lambisce appena le cime delle colline dall'altro lato della valle. Qui in basso è tutto bianco di brina, immobile, cupo.

Pedalo il più agilmente possibile: l'itinerario di oggi sarà impegnativo e non posso permettermi di irrigidire le gambe già adesso. Ma i piedi e le mani fanno sempre più male. Quanto a circolazione periferica, io sono un vero disastro: le dita non si limitano a diventare fredde, ma gonfiano e si irrigidiscono, soprattutto quelle dei piedi. E sì che non indosso più da tempo le scarpe che si agganciano al pedale: ho un paio di scarpe da corsa, molto morbide sia sulla suola che sulla tomaia. Con le estremità inferiori conciate male come in questo periodo, non potrei sopportare nulla di vagamente più rigido.
La salita scalda il resto del corpo, ma è una pena. Mi maledico mille volte per la mia sciagurata idea: ma chi me l'ha fatto fare di venire a soffrire così? Ma come facevo, tanti anni fa, ad uscire in bici in qualsiasi condizione di temperatura, con ostinazione furiosa?

Mi superano in tutto tre auto, prima di raggiungere l'incrocio con la strada che scende a Torre Bormida. Prima, agghiacciante discesa, che affronto come se le ruote viaggiassero su un tappeto di uova. Il mio terrore della discesa ha ormai raggiunto il punto di non ritorno, soprattutto adesso che, con mani e piedi insensibili, non ho sicurezza né nell'appoggio sui pedali, né nella frenata. Nel dubbio, appena riesco, afferro i freni e li tengo tirati. Scendo pianino, ma il freddo penetra immediatamente nel collo, nel tronco, nelle gambe. Qui un po' di sole arriva, ma è ancora troppo presto. Per ora non riesco ad ammirare la bellezza della Valle Bormida che si apre qui sotto. Anzi: un paio di volte mi fermo per scuotere con violenza i piedi, se non altro per capire se sono ancora attaccati alle caviglie. Di muovere le dita non c'è modo. E il ghiaietto e l'umidità sull'asfalto mi incutono una gran paura.

L'arrivo a Torre Bormida, fine della discesa, è una liberazione. Mi immetto sulla strada di fondovalle, tenendo la destra: pochi km e ci sarà il bivio per Levice, sulla sinistra. Uno dei pochi tratti di pianura di questa giornata. Al bivio, svolto ed attraverso il ponte sul torrente Bormida: finalmente, si ricomincia a salire. Lentamente, con molta fatica e ancora per lunghi tratti in ombra. Mi fermo ancora una volta per riattivare la circolazione nelle mani e nei piedi. Il sole inonda la vallata, man mano che si alza, ma il freddo è ancora pungente. Breve e dolce la strada che, con alcuni ampi tornanti, sale a Levice: uno dei pochissimi posti dotati di bagni pubblici puliti ed aperti. Sarà che qui non c'è proprio mai anima viva... Sono tappe strategiche, essenziali, soprattutto adesso che la salopette lunga invernale costringe ad un mezzo strip tease per assecondare le esigenze “interiori”.

Da Levice, conclusa la tappa e l'ennesima sessione di massaggio e scuotimento dei piedi, riparto in direzione di Bergolo. Si sale ancora, ma lievemente, per alcuni km, in cui approfitto per mangiare la prima barretta della giornata. Da Bergolo scendo verso Cortemilia, altro momento di gelido dolore: ad un paio di km dal fondovalle, incrocio Matteo che, partito da tutt'altra parte, mi pedala incontro. Carico come un mulo di ogni sorta di mercanzia, tra cui tubo e telefono della doccia da cambiare a casa mia ed un paio di scarpe da corsa per me, che chissà se e quando potrò tornare ad usare. Ma lui non fatica, soprattutto se si tratta di pedalare al mio ritmo. Mi accoglie con un entusiasta “Che bello rivederti in bici”, a cui io rispondo con un ringhio: “Tralasciando il freddo porco, il male alle mani ed ai piedi, il dolore al culo, è bellissimo, senza dubbio”.

Da Cortemilia, inizia un giro che ho provato domenica scorsa a piedi e che sono curiosa di mostrare oggi al mio compagno di viaggio. Sperando di ricordarmi i mille bivi. Superato il ponte sul torrente Uzzone, svoltiamo quasi subito a sinistra, in direzione di Monte Oliveto. La salita è aspra, sale con alcuni ripidi tornanti: in un punto, il Garmin di Matteo segna addirittura il 16%. Breve tratto di requie prima di Perletto e poi ancora rampe, in salita sulla via Piazze. Guai a tardare a mettere il rapportino... Si va su per i boschi, con il sole basso che abbaglia tra i rami degli alberi. Una stradina minuscola, con pendenza irregolare, tra pochissime case abitate, cappellette e costruzioni in pietra purtroppo diroccate. Un secco bivio a sinistra, con direzione Serole, mostra le prime tracce di neve sulla strada: già, non ricordavo più che in settimana ha nevicato...

Da qui in poi, molti tratti di strada sono ingombri di neve. Non per intero: ci si passerebbe, volendo, comodamente in sella. Infatti, Matteo lo fa. Io preferisco, in molti casi, scendere e spingere: soprattutto nel tratto di pianoro più in alto, dove la strada diventa per un tratto sterrata ed è coperta di neve per intero. Neve, per fortuna, gelata, che sostiene quasi ovunque il mio peso. Tutto intorno, una distesa bianca; lingue di bianco a segnare i rilievi dei muretti a secco sui pendii. Perdo un bel po' di tempo a portare la bici a fianco, mentre Matteo, alla fine del tratto nevoso, pazientemente attende. Però, camminare mi aiuta a riportare un po' di sangue fino in fondo alle dita dei piedi.



L'asfalto riprende in condizioni migliori, anche se qui, in discesa, bisogna prestare attenzione al ghiaccio formato sulla strada dallo scioglimento della neve. Raggiungiamo la strada principale che da Cortemilia sale a Serole, per due o tre km, non di più: ne approfitto per mangiare un avanzo di panettone ormai secco. Imbocchiamo poi il bivio a sinistra per Puschere, dove accumuliamo ancora un po' di dislivello in salita, un paio di tornanti fino ad un gruppo di cascine. Altro tratto di discesa: qui la strada, una poderale su cui tra l'altro potrebbero passare solo gli aventi diritto, è in pessime condizioni. Alcuni punti sono sterrati, altri hanno visto l'ultima riasfaltatura ai tempi delle Guerre Puniche. Io, per non saper né leggere né scrivere, faccio su e giù dalla bici. La strada arriva sul fondo dei calanchi, sempre in condizioni precarie, ma migliora subito dopo il ponticello in curva, quando si torna a salire, gradualmente, a strappi. Soprattutto, si torna al sole. Olmo Gentile è ormai ad un tiro di schioppo: superiamo alcuni gruppi di cascine e case in pietra, dove si percepisce traccia di presenza umana – auto parcheggiate, camini che fumano – ma non si vede né si sente anima viva.


Attraversiamo il minuscolo paese di Olmo Gentile, per poi imboccare l'ultimo bivio a sinistra prima della salita che porta alla torre. Discesa abbastanza lunga e ripida, con fondo umido ed ingombro di ghiaietto, tanto che persino Matteo la affronta a freni tirati. Scendiamo per alcuni km e ci sembra di essere lontani da tutto, come se stessimo andando giù in un pozzo. Finché la strada asfaltata finisce, ma lo sapevo già. Due cagnetti bianchi ci tendono un agguato poco convinto. Da qui, un km e mezzo di sentiero che, ovviamente, è anch'esso ricoperto di neve. Affrontiamo il primo tratto, per forza, con le bici per mano: le scarpette da corsa, per me, e le scarpe da bici di Matteo non sono le calzature più idonee all'uopo... Speriamo di non scivolare. Anche qui la neve è ancora in parte gelata. Attraversiamo un frutteto, superiamo un guado: da qui, nella neve e su una pendenza non trascurabile, è passata un'auto, ci sono le tracce degli pneumatici. Complimenti per il coraggio e l'abilità di guida: l'avessi fatto io, mi avrebbero ritrovata al disgelo...

Dal guado, il sentiero diventa strada sterrata e quasi sgombra dalla neve, perché più esposta al sole. Si risale ancora qualche centinaio di metri, Matteo in sella, io sempre prudentemente a piedi con la bici per mano. Fino all'asfalto. A sinistra, si raggiungerebbe Perletto per via diretta. A destra, ancora una sequenza di rampe secche, impegnative, che passano accanto ad alcune case in pietra, ristrutturate, una più bella dell'altra. La torre di Perletto, sulla sinistra, è molto vicina e ci dà l'idea dell'orientamento. Ma noi, salendo ancora un po', arriviamo proprio sotto San Giorgio Scarampi, sulla strada che da Roccaverano scende a Vesime. Ne percorriamo non più di duecento metri, per imboccare immediatamente un bivio a sinistra. Lunga e ripida discesa tutta a tornantini, insidiosa per il fondo stradale. Qualche tratto decisamente ripido risveglia in me il terrore: lo affronto a velocità appena sufficiente a tenere la bici in piedi: anzi, in un punto, addirittura scendo di sella. Ho sempre avuto una paura invincibile della discesa, sempre; però, andando avanti con gli anni, la cosa è peggiorata. Oltre ad una certa pendenza, mi sembra di percepire il ribaltamento in avanti: razionalmente è impossibile, ma non ce la faccio. Ho davvero paura. Così, finisco regolarmente per impiegare più tempo a scendere che a salire. Infatti, per ora, la media del giro di oggi si aggira sui 10 km/h o poco più...

Ancora una volta siamo sulla strada principale. Destinazione, Vesime, per la tappa cioccolata calda. Nella speranza ardente che il bar sull'angolo sia aperto... Matteo mi precede: quando lo vedo fermo davanti alla vetrina, mi rincuoro. Una cioccolata densa e buonissima: peccato che, anziché una tazza, ce ne vorrebbe una vasca da bagno colma...

Ritemprate un pochino le forze – io cominciavo ad avvertire furiosi i morsi della fame – ci avviamo per l'ultima fatica, mentre il cielo, fino ad ora di un azzurro prepotente, comincia a velarsi di grigio. Direzione Cortemilia per un km, più o meno, e poi bivio a destra per Scorrone. Salita ormai nota, assai cattiva, con rampe molto impegnative e pochi tratti di recupero. La collina, con questa luce cupa, mostra il suo aspetto più severo; nemmeno più il conforto di un raggio di sole...

Il lupone meraviglioso, a guardia del cortile di un'azienda agricola, mi accompagna con i suoi latrati verso l'ultimo tornante in salita della giornata. Si scollina, si svolta a sinistra, direzione Castino. Per arrivarci, ancora qualche km di odiosa leggerissima salita: sarà che, per oggi, ne ho proprio abbastanza... Ultimi tre o quattro km di discesa decisa, su strada ampia ma per me un po' più angosciante perché, qui, qualche auto passa. Stoicamente non ho più voluto fermarmi per indossare la giacca antivento: arrivo giù che sono rigida come uno stoccafisso. Circa 72 km e 1.800 m di dislivello: per oggi può bastare. Non mi resta che portare la temperatura dell'abitacolo della Zafirona al calor bianco e pazienza se Matteo ben presto comincia a mostrare segni di disagio: chi osa protestare sarà scaricato ed abbandonato lungo la via. Uomo avvisato...




domenica 4 febbraio 2018

4 febbraio 2018 - DI CORSA TRA CORTEMILIA, PERLETTO, OLMO GENTILE


Era già da qualche tempo che, a furia di percorrere il giro Cortemilia – Serole – Roccaverano – San Giorgio Scarampi – Vesime – Cortemilia, in bici ed a piedi, scrutavo con curiosità i bivi con le stradine laterali che si inerpicano su per la collina e spariscono nel fitto dei boschi. Più volte mi sono ripromessa di andare a piantare il naso nel misterioso interno del quadrilatero di strade.

L'occasione è arrivata per vie traverse. A gennaio ho tentato, con poca convinzione, l'Ipertrail della Bora: gara di corsa in montagna che prevedeva, tra le altre cose, di seguire il tracciato esclusivamente per mezzo della traccia GPS. Non che fosse un obbligo di regolamento, ma era una scelta obbligata, a fronte dell'assoluta inutilità pratica delle cartine fornite per il percorso. Tralasciando il triste epilogo del mio trail, mi è rimasta l'esperienza – molto traumatica sul momento, per me completamente digiuna di navigatori da escursionismo, ma decisamente interessante una volta elaborato il lutto – della navigazione con GPS cartografico. Matteo mi aveva prestato il suo Garmin 800 da bici, per l'occasione: beh, il giocattolino mi è piaciuto così tanto che ho deciso di tenermelo, immaginando subito una buona quantità di interessanti usi. Primo tra tutti, proprio l'itinerario con partenza da Cortemilia ed esplorazione solitaria dei meandri delle stradine più nascoste.

Elaboro il percorso, in formato idoneo ad essere trasferito al GPS, sul sito Openrunner. Un itinerario quasi circolare che prevede il passaggio a Perletto, da lì alla frazione Cuniola di Serole, poi ad Olmo Gentile, fino al confine con San Giorgio Scarampi, indi ritorno a Perletto e Cortemilia, ma in modo da viaggiare sulle stradine che Google Maps traccia come minuscoli spaghettini bianchi. Un azzardo, se vogliamo: non so neppure se si tratti di strade asfaltate o sterrate, se siano effettivamente percorribili o magari per qualche ragione sbarrate. Ma non sarebbe un gran danno, in ogni caso: non sarò mai così lontana dall'auto da non poter serenamente tornare indietro ed avrei comunque sempre il riferimento del quadrilatero di strade principali. Il mio giro dovrebbe prevedere 41 km per circa 1.100 m di dislivello, nei limiti della precisione del sito internet.

Così, domenica mattina, sempre più tardi di quanto vorrei, causa organizzazione, nutrimento e sistemazione di tutta la caninità di casa, mi metto in viaggio per Cortemilia. Eh sì, a casa ho il mio paradiso, in senso sia paesaggistico che sentimentale, ma a meno di un'ora di auto ne ho un altro, diverso ma altrettanto suggestivo. Il termometro segna 4 gradi sotto zero mentre, da Alba, salgo verso Benevello, poi giù verso il freddo pungente del fondovalle Belbo, ancora in ombra alle otto del mattino, in questa stagione. Altra salita verso Castino ed ultima discesa verso Cortemilia, mentre la radio passa una canzone che mi fa drizzare le orecchie. Scoprirò poi che si intitola “Io voglio vivere”, dei Nomadi: un ritornello che mi si incide subito in mente e mi farà compagnia per tutto il viaggio.

A Cortemilia, mi sforzo di non dimenticare, come mio solito, qualcosa di fondamentale in auto, con il risultato che chiudo la Zafirona, ripongo la chiave nello zaino, poi la riprendo, riapro l'auto, ripetendo la litania per ben quattro volte. Ora dovrei avere tutto: giacca, riserva alimentare (panettone, fontina e cioccolatini assortiti), borraccia, batteria di ricambio per il GPS, cavo per la batteria, guanti. E, al polso, l'altro GPS Garmin, quello per rilevare il percorso fatto e creare la traccia ex novo. Mai stata tanto tecnologica in vita mia! Parto con la giacca Goretex sopra la tuta, che pure è già pesante: la temperatura è gelida, sarò in ombra per un po' e tira una leggera aria pungente. Traccia GPS avviata, si parte.

Supero il ponte sul torrente Uzzone, poi imbocco la seconda via a sinistra. Breve tratto in piano in mezzo alle palazzine, poi la salita comincia subito sotto la Pieve di Monteoliveto, sede dell'Ecomuseo regionale dei terrazzamenti e della vite. La stradina, via Perletto, prende quota tra i muretti a secco su cui crescono gli ulivi: un'immagine più ligure che piemontese, non fosse per la temperatura, anche se le cascate gialle di forsizie fiorite fanno ben sperare per l'avvicinarsi della primavera. La pendenza è significativa ed io, l'ho già capito, non sono al massimo della forma, che poi, anche quando è al massimo, è ben misera. Depongo subito le armi: in salita, oggi, si cammina, sia pure di passo più svelto possibile.

Le abitazioni si diradano man mano che sale la quota. La vista spazia sull'altro versante della valle, dove riconosco la strada da cui sono scesa, quella che va a Castino, ed anche la temibilissima salita di Castel Martino. Il sole illumina già il mio percorso, ma è ancora pallido e freddo. Il GPS, che tengo d'occhio, per ora mi conforta sulla direzione da prendere.

Poco più di tre km di salita impegnativa mi portano a Perletto, che per la via principale di fondovalle sembra molto più lontana. La sua torre a pianta quadrata è già in vista, sul cocuzzolo della collina. Ma non entro in paese: la traccia sullo schermo del GPS indica una brusca svolta a destra, ad angolo retto, subito dopo un paio di meravigliose case in pietra. Via Piazze: il cartello si vede solo una volta imboccata la strada, che comincia subito con una ripida strada in salita.

La pendenza rimane significativa per un buon tratto, mentre la stradina si fa largo tra querce e faggi. I primi raggi del sole che si alza creano suggestivi giochi di luce. Io continuo a camminare più che altro: percorro di corsa i brevi tratti a pendenza minore o pianeggianti, ma il fiato manca ed il petto duole. Non c'è verso. Godiamoci la giornata. Qua e là, abitazioni e ciabot in pietra, purtroppo spesso abbandonati ed in parte crollati, ed una vista splendida sulla vallata che sale a Serole, in cui il colore dominante, in questa stagione, è il marrone delle foglie secche. Bellezza aspra, severa, tutto intorno il silenzio. Molti sosterrebbero con disprezzo che in questi posti non c'è nulla: è vero ed è uno dei motivi più forti per cui li amo.

La strada prosegue seguendo le curve delle vallette, a volte ancora immersa nell'ombra e ricoperta di brina, a volte già al sole. Fa un freddo che taglia la faccia, al punto che, più volte, mi viene il dubbio di dover indossare la giacca. Ma resisto: tra non molto, andrà meglio...

In alto, i boschi lasciano il posto a pendii coltivati. Intorno all'ottavo km, l'asfalto finisce. Rimane una bella strada sterrata, molto agevole, in perfette condizioni di fondo, almeno per ora, con il terreno gelato. Pozze di ghiaccio qua e là. Ma sono cinquecento metri, non di più: oltre lo scollinamento, ricomincia l'asfalto. Si scende, si attraversa una minuscola frazione in pietra, si percorre un lungo tratto a mezza costa che porta sulla strada principale tra Cortemilia e Serole. Pochi km di leggera salita, che mette a dura prova la mia fiacca e soprattutto i miei piedi, da un paio di mesi doloranti nella parte anteriore in modo parecchio penoso. Ogni passo, soprattutto in salita, è una staffilata, anche se ormai mi ci sto quasi abituando, non avendo trovato rimedio. Ho acquisito un'andatura in salita a piede piatto che dev'essere orrenda a vedersi, ma più o meno mi consente di procedere e limita un pochino la spinta sull'avampiede.

Appena prima dell'abitato di Cuniola, un bivio sulla sinistra e l'indicazione per Puschere. Si ricomincia a salire seriamente e, quindi, a camminare. Un paio di tornanti, un gruppo di edifici, cascine. Nel cortile, c'è un uomo che lavora. La seconda persona che incontro in una dozzina di km abbondanti. Sulla mia destra, una cima costellata di antenne: sarà quello il Monte Puschere? Controllerò sulla carta. Proseguo oltre le cascine. Qui, la traccia GPS giunge utilissima: io avrei proseguito dritto, mentre il marchingegno mi intima di girare a sinistra, in discesa. E' una strada poderale con divieto di transito, esclusi soci e residenti: pazienza, non credo di arrecare danni o fastidi passando a piedi. Ora che sono in quota, davanti a me vedo la torre di Olmo Gentile ed anche quella di Roccaverano. Sembrano entrambe molto vicine, in effetti lo sono, in linea d'aria.

Anche qui, piccoli gruppi di case e cascine, tutte rigorosamente con muri in pietra su cui si inerpicano edera e glicini. Qualche traccia di presenza umana c'è: finestre aperte, auto in cortile, camini che fumano. Ma non muove nulla, non si sentono voci. Solo qualche latrato di cane. Rapidi tornantini in successione, poi la strada piega verso destra , fa una curva stretta su un ponticello: siamo sul fondo di una sorta di canalone, con pareti quasi verticali. Il primo tratto, finora, in cui ci si sente effettivamente lontani dal mondo ed un po' sperduti. Ma qui si impone una sosta: ho bisogno di bere, visto che non ho ancora toccato la borraccia, e di mangiare qualcosa. Un pezzo di panettone, per esempio. Ma lo zainetto va riorganizzato, perché così non ci siamo. Tiro fuori tutto e rimetto sul fondo la giacca, più in alto i generi di conforto alimentare. Così, rinvengo anche una banana che avevo dimenticato di avere nella scorta. Vada per banana e panettone. Perdo un po' di tempo: purtroppo, con le dita intirizzite ed irrigidite, anche le mosse più semplici diventano un'impresa.

C'è una pace infinita quassù. Quiete e silenzio. Mi risuona ancora in mente la canzone di questa mattina: “Io voglio vivere / ma sulla pelle mia/ io voglio amare e farmi male...”. Ecco, tutto questo per me è vivere. Ed anche farmi male, senza dubbio. Non me ne andrei più.

Oltre il ponticello, con l'asfalto un po' sconnesso, si torna a salire leggermente. Alterno tratti di corsa e passo, maledicendo ogni tanto i piedi. Si risale dolcemente tra bosco e rare abitazioni, sempre affascinanti, tutte con lo stesso stampo, pietra, archi e muri severi. E muretti a secco ovunque a sostenere le viti ed i noccioleti. Il cielo si sta coprendo; il grigio avvolge tutto il panorama di boschi punteggiati di piccole frazioni.
Un altro bivio che azzecco grazie allo strumento. Vedo sulla sinistra un sentiero un po' nascosto, che potrebbe essere utile per una sosta tecnica. Ma sì, perché no? Qui non c'è anima viva, finora ho incrociato quattro auto in quasi venti km... Abbandono la strada e mi sposto un po' nel bosco. Improvvisamente, un suono di allarme: ossignur... Che succede? Avrò mica invaso una segretissima base militare? Mi guardo intorno cercando di capire cosa possa aver prodotto quel sibilo: ma è il GPS... Sullo schermo campeggia la scritta perentoria: “Fuori percorso”. Mamma mia, ragazzo... Sei utilissimo, credimi, mi piaci, ma non cominciare a rompere le palle perché, parola mia, ti catapulto nel Bormida, chiaro?
Dicevo, appunto: fin qui, ho incontrato quattro auto. La quinta, naturalmente, arriva proprio mentre io sono lì con la parte migliore di me in esposizione. Va bé che il fitto del bosco probabilmente mi nasconde ed il nero della tuta mi mimetizza, ma... Provo un certo disagio, ecco. Quindi, accelero le operazioni e mi rimetto in marcia.

Olmo Gentile è ormai ad un tiro di schioppo. Un paio di rampe tra le case del minuscolo paese e ci arrivo, proprio mentre sul sagrato della chiesa si riversa, all'uscita della messa, credo l'intera popolazione: quindici persone, ad occhio. Mi voglio rovinare, venti.
Rapido passaggio in centro paese; imbocco subito il bivio a sinistra che picchia giù verso il fondovalle, come ordina la mia guida elettronica. La stradina è ripida ma con ottimo fondo: dovrebbe essere quella che Matteo aveva tentato di percorrere in bici, salvo poi dover risalire non potendo proseguire sullo sterrato. Ancora muri in pietra, cappellette, archi, poche abitazioni. Quanche cane è l'unica traccia di vita.

L'asfalto, in effetti, finisce all'interno del cortile di una casa. Ma la traccia GPS prosegue su un tratto sterrato in mezzo ai noccioleti, sconnesso, ghiaioso, poco più di un sentiero. Km 23,5. Vediamo quanto è lungo questo pezzo.

Il fondo migliora dopo circa cinquecento metri, diventando una bella strada sterrata fino ad un guado in cemento. In questo pianoro sul fondo dell'imbuto, dove il sole non arriva neppure adesso che è alla massima altezza, c'è una splendida abitazione in pietra, a due piani, con un giardino molto curato, ma al momento apparentemente deserta.
Oltre il guado, si risale, ancora su sterrato, con un paio di rampe in mezzo al bosco. Vedo tracce di pneumatici: probabilmente, più avanti si andrà a sbucare su qualche strada. Infatti, così è: dopo poco più di un km e mezzo di strada sterrata, mi reimmetto sull'asfalto, prendendo a destra in salita. Si torna su, con alcuni tratti ripidi che percorro al passo, prima tra le cascine e poi solo più tra noccioleti e boschi, con qualche tornante, fino a superare una spalla di collina. Sono un po' giù di morale, molto stanca, troppo per lo sforzo finora affrontato, e tormentata dal male acuto ai piedi. Ma la vista di San Giorgio Scarampi mi rincuora.

Non arrivo alla strada principale tra Roccaverano e Vesime, che pure è lì a poche decine di metri. Proseguo, oltre un bivio a sinistra, come raccomandato dal GPS. Cinquecento metri quasi in piano e poi giù per una lunga e sinuosa discesa, molto veloce, con la torre di Perletto in bella vista sulla sinistra. Sono quasi al km 28. A questo punto, dovrebbe finire la prima delle due tracce GPS. Ho dovuto suddividere il percorso in due tracce perché, sul sito di Openrunner, la versione gratuita del programma consente di utilizzare un numero limitato di punti con cui tracciare il percorso... Ed un itinerario così frastagliato ne richiede parecchi. Così, seleziono la seconda traccia e riparto. O almeno, credo di seguirla... Il GPS mi chiede se io voglia raggiungere il punto di partenza di questa traccia, che secondo i miei calcoli dovrebbe essere proprio alla fine della precedente. Ingenuamente, rispondo di sì e mi fido della freccia bianca che compare lungo la strada, anche se avrei dovuto immaginare che quella freccia bianca, assente nel precedente tratto di strada, probabilmente non era lì per indicarmi la retta via.

Fino ad un certo punto, la strada è giusta per forza: c'è solo questa... Scendo giù giù fino a fondovalle, dove vedo un bivio che però ignoro, perché la freccia mi guida altrove. In effetti, Perletto è così vicina sulla sinistra ed io me ne sto allontanando... Qui so dove sono, strada nota: percorro un paio di curve della strada principale tra Roccaverano e Vesime e poi devio a sinistra, lungo la stradina che corre a fianco del Bormida. Quanta acqua! L'ultima volta che sono passata di qui era il periodo della grave siccità della scorsa estate; il letto del torrente era asciutto.

Quando arrivo nei pressi della strada che porta a Perletto, la freccia bianca mi intima di girare a destra ed oltrepassare il ponte. E qui casca l'asino. Se facessi così, andrei a finire sulla noiosissima strada principale tra Vesime e Cortemilia: l'ultima cosa che ho intenzione di fare. Io credevo soltanto di aver caricato la seconda traccia: in realtà, il GPS mi sta portando alla partenza dell'unica traccia che “sente”, cioè la prima, quella del percorso già completato, che partiva da Cortemilia. Mi sta conducendo a Cortemilia dalla via principale.

Poco male. A sinistra si va a Perletto. Probabilmente, avrei dovuto arrivarci da una strada diagonale, ma non importa. Mi arrampico su per la via Ponte, l'accesso primario al paese, con tanta fatica e pena nonostante la pendenza davvero minima. Le gambe sono dure, pesanti, ed il fiato è sempre più corto. Il cielo ormai plumbeo, minaccioso di pioggia, non aiuta. Però, nell'angolino in alto a destra dello schermino, vedo la traccia di questa mattina, che da Perletto dovrò ripercorrere a ritroso fino a Cortemilia. E vedo la freccia che mi dice via via dove sono io. Comodissimo. Anche in paese non incrocio più di un paio di anime.

Il nome di Perletto mi è noto da molto prima che cominciassi a frequentare questi luoghi per ragioni sportive. Ci abita una collega, o meglio una ex collega di mia mamma di cui sentivo spesso parlare, da ragazzina. Erano particolarmente in simpatia reciproca. Chissà dove abita di preciso.

Una rotonda, la bella torre imponente alla mia destra e poi il cartello per Via Piazze. Ecco, ci siamo. Mi allontano dall'abitato fino a raggiungere l'incrocio in cui stamattina, giungendo da Cortemilia, ho svoltato a destra in salita. Ormai manca poco a Cortemilia, quattro km scarsi. Meno male, ammetto mestamente.

Ancora una brevissima risalita, poi giù, con pendenza decisa e passo molto meno. Incrocio una signora in compagnia di una ragazzina e di un cagnetto: come mio solito, non posso fare a meno di fermarmi ed accarezzare il cagnetto, a cui faccio due complimenti. Riparto, niente più soste: rivedo l'agriturismo sulla sinistra, il B&B poco più avanti, ricompongo mentalmente tutti i dettagli notati all'andata, anche se ora non ho più necessità di rassicurazioni. Anzi, posso anche spegnere il marchingegno. Arrivo di corsa fiacca fin sotto Monte Oliveto e poi fino al ponte sul torrente Uzzone. Basta, direi, per oggi. La Zafirona è sempre lì in paziente attesa: si torna a casa, cinque ore e mezza di marcia per 41 km e circa 1.100 m di dislivello totale.

A casa, appena entro, superato l'assalto in massa dei cani, mia mamma esordisce: “Ti ricordi quella mia ex collega, la Michela? Quella che adesso abita a Perletto? Mi ha telefonato poco più di un'ora fa. Ha detto di averti incontrata mentre era a passeggio con la nipote ed il cane, ma ti ha riconosciuta solo dopo che sei ripartita”. Ecco, per la serie, come è piccolo il mondo. Ma soprattutto: meno male che oggi non ero impegnata in una missione segretissima...