giovedì 15 agosto 2013

10 agosto 2013 - LOMBARDA, BONETTE, MADDALENA IN COMPAGNIA

Vorrei porgere di persona i miei complimenti a colui che ha progettato l'autostrada per Cuneo, perché un giro più arzigogolato di questo sarebbe stato ben difficile da concepire. Il buon Walter è scusato, è forestiero, non è pratico della strada statale... Ed io non oso troppo insistere, ma in questo caso la strada statale sarebbe senz'altro più rapida, pur con tutti i limiti di velocità. Carmagnola, Marene, Fossano, Cuneo, voilà, altro che questi mille rovelli di curve e controcurve e svincoli che ci portano a casa del diavolo! Mi ci vuole un bel po' per raccapezzarmi e capire dov'è che siamo sbucati... In pieno centro a Borgo San Dalmazzo: geniale, non c'è che dire! Malimortacci...

Per fortuna, si preannuncia una giornata splendida, con un cielo blu da far dimenticare i disguidi automobilistici. Il tempo di un caffé a Demonte e si riparte: il punto di partenza per oggi è Vinadio, sulla piazza "dei camper". Saremo in tre: Walter, Alessandro ed io, l'Armata Brancaleone all'assalto del mitico giro dei tre colli. Gruppo perfettamente omogeneo, direi: Alessandro dotato di bici da corsa d'ordinanza e fisico tiratissimo, senza un filo di grasso, il polpaccio tutto un muscolo guizzante; Walter ed io in mountain bike, sia pure con assetto stradale, e fisico... Ehm diciamo diversamente asciutto. Beninteso, i muscoli guizzanti li abbiamo pure noi, solo che li teniamo adeguatamente al sicuro sotto un morbido strato isolante. Però una cosa l'abbiamo in comune, tutti e tre: sfoggiamo orgogliosamente la divisa bianca, nera ed arancio del Team Nordovest.

Sbrigati i preparativi, l'Armata Brancaleone si mette in marcia in direzione del bivio per il Colle della Lombarda: trascinata dall'entusiasmo, per poco non mi faccio stirare da un autoarticolato già al primo colpo di pedale. Breve tratto di illusoria discesa, che sarà un calvario in risalita alla fine della giornata, e poi subito a sinistra: via dal traffico dei camion che affollano la Valle Stura, ma in compenso tormentati dal traffico di auto e moto di turisti, pellegrini e compagnia cantante. Attacchiamo la salita, 21 km per 1.400 m di dislivello, entusiasti e baldanzosi, ben sapendo che solo uno di noi potrà permettersi entusiasmo e baldanza anche dopo i primi due chilometri. Abbiamo ancora il fiato per chiacchierare tra noi e salutare a gran voce chi sale a piedi, trascinandoci nel contempo su per il primo "scalino" a tornanti oltre l'abitato, per il tratto lungo il torrente, per la risalita verso le baracche diroccate. Per me il tornante è sempre un toccasana: anche dal punto di vista psicologico, una salita a tornanti è mille volte più domestica di una lunga rampa, a parità di dislivello. L'ombra scura copre ancora buona parte delle montagne intorno; solo le cime brillano di una luce viva ed intensa. L'aria è ancora fredda, troppo per levare via il gilet. E' Walter, alias il President, a dettare il ritmo su questa prima ascesa: devo dire che faccio una certa fatica a stargli dietro. Mi tocca spendere parecchio tempo in piedi sui pedali, almeno finché mi ostino a non voler usare la coroncina anteriore più piccola, ma ho come la sensazione che pagherò la mia audacia.

Il tratto centrale in falsopiano offre a tutti l'occasione di rifiatare. Ci si scruta a vicenda: Alessandro probabilmente preoccupato per la possibile prematura dipartita dei suoi compagni di viaggio, causa fatica e stenti; Walter ed io impegnati a non cedere l'uno all'altra la posizione di coda nella carovana. La maglia nera è sempre stato un titolo ambitissimo tra noi paracarri DOCG!

Oltre il bivio per il Santuario di Sant'Anna, possiamo sperare di esserci liberati di una bella fetta del traffico d'auto, anche se i viandanti a motore non mancano nemmeno quassù. Le forze per menar la lingua ci sono ancora. Mi stupisco di come Alessandro riesca a resistere a quest'andatura da bradipo stanco, lui che è capace di concludere una Nove Colli in poco più di sette ore... Eppure non si allontana di un metro e riesce persino a mascherare il disgusto!

Finalmente, usciti dal bosco, ci ritroviamo con un po' di sole e tepore sulla schiena. L'ambiente è da cartolina: prati, laghetti, cielo terso, nemmeno un batuffolo di nuvola. Gli ultimi cinque km concedono un po' di respiro ma infliggono anche qualche rampetta traditrice... Proprio su una di queste, il President fa un allungo e si invola verso il colle. Pochi metri ed Alessandro ed io scopriamo il motivo: Walter ha immolato i suoi polpacci per arrivare prima, afferrare la macchina fotografica e scattare un'istantanea ai suoi due compagni di viaggio. Quasi quasi c'era da inscenare uno scambio di borraccia in stile Coppi & Bartali...

Approfitto dell'appetito dei due colleghi per portarmi avanti con il lavoro in discesa. Lenta come sono, se non mi avvantaggio un po', rischio di costringere i tapini ad un'attesa eterna giù ad Isola: beh, eterna ma neanche troppo, da quando viaggio in MTB. In effetti la discesa in Francia per la strada della Lombarda, con il potente mezzo ed i freni a disco, è divertente persino per me: strada larghissima, asfalto impeccabile, tornanti ampi. Il tratto verso il fondovalle è un imbuto ancora tutto in ombra e ben poco confortevole quanto a temperatura...

Ad Isola, tappa obbligata per svestizione e pieno alle borracce, nonché la mia immancabile visita all'adorato "wc public". Poi mi tocca affrontare l'incubo: quella decina di km o poco più verso St Etienne... Odiosissimo tratto con leggeri saliscendi dove io di solito mi pianto come un paracarro. Infatti, i miei due compari si avviano con cautela... Ma io resto subito parecchio indietro. E che barba. Le gambe, in pianura o simile, non girano, non ne vogliono sapere. Io sbuffo, impreco in silenzio, ma non c'è verso. Quando i colleghi si accorgono del vuoto alle loro spalle, passano in modalità di marcia "carro funebre" e mi permettono di riavvicinarmi.

Nei pressi di St Etienne, suggerisco di imboccare la strada sulla destra, dotata di pista ciclabile, abbandonando la principale, perché "c'è meno traffico": infatti, l'unica auto che incontriamo è quella che invade la pista e per un pelo non ci fa volare tutti e tre per aria come birilli, scatenando le sacrosante ire del President. Appena oltre il paese, poi, inizia la lunghissima ascesa alla Bonette. 25 km, circa: blandi, all'inizio, poi sempre più severi, complice la quota. Si arriverà a superare quota 2.800 m. Il caldo ora è adorabile: per alcuni senz'altro una temperatura da forno; per me, freddolosa inguaribile, si sta appena appena bene.

Procediamo più o meno insieme, a parte qualche inevitabile distacco mai comunque eccessivo. Il President accusa un po' di malessere, dovuto, dice lui, alla pressione: preferisco tenerlo d'occhio, questo soggetto pericoloso; sarebbe capace di arrivare lassù anche se gli piombasse un meteorite sul cranio, tosto com'è... Se lo si aspetta, almeno non c'è il rischio che si affanni per andar più forte di quanto si senta. Bivio per St Dalmas Le Selvage: la tentazione è di girare di lì... Anche per quella via si arriva alla Bonette, ma gli ultimi km sono su strada sterrata. Per oggi no, restiamo sul classico. I tornanti, un po' d'ombra, il pianoro con il rifugio e poche case; ancora un paio di km e siamo a Bousieyas, con una bella fontana in pietra a disposizione. Nel frattempo, ci sorpassano alla spicciolata altri compagni di squadra, partiti parecchio più tardi di noi da Vinadio e che faranno lì ritorno molto prima di noi: tempo di un saluto e sono già lontani. C'è chi può. Anche Alessandro potrebbe, probabilmente più di tutti, ma sceglie di restare con il President e con me. Secondo me c'è un secondo fine nel suo gesto altruistico: gli ho accennato di un'eccellente boulangerie a Jausiers... E' costretto ad aspettarmi, se vuole che lo conduca in tale luogo di perdizione.

Ancora quattordici km, anche se la vetta ormai si vede. Saliamo con calma, in pieno sole, un po' di vento che rinforza man mano che prendiamo quota. Walter appena dietro, controllato a vista: brontola di non essere in forma, ma non molla una pedalata. Io "me la tiro" tornando indietro, ogni tanto, per controllare che sia tutto ok... In effetti però, quassù, le gambe sono davvero in condizione eccellente. Riesco persino a tirare un rapporto molto più duro della norma, per questa pendenza, per rallentare quanto basta da adattarmi all'andatura del President. Mi sento un po' in colpa: probabilmente, buona parte della sua fatica è data dalla scelta della MTB in luogo della bici da corsa... Scelta che non avrebbe mai fatto se non per solidarietà nei miei confronti!

Gli ultimi sette km, oltre le baracche di Camp des Fourches, sono per lui un bel calvario. Il testone quasi non si lamenta, ma la sua fatica è evidente. Confesso di essere parecchio preoccupata: se dovesse capitare qualcosa di storto quassù... Ok, so bene che sto esagerando; la cotta sulla salita della Bonette è la norma, anzi ciò che è fuori del normale è giungere in cima indenni. Però... Conto i chilometri, i metri, le pedalate. Dai che ce la fai... Dai che manca poco... Pochissimo, infatti. Raggiungo il colle, dove Alessandro, che si è portato avanti quel tanto che gli è bastato per fare il "tour" della cima, siede in paziente attesa. Walter è subito dietro. Non sono un medico, ma, nella mia ignoranza, credo che, se il problema è la pressione alta, sia opportuno andare giù prima che subito... Quindi, bando al giro della cima: se avessi un po' più di confidenza, gli darei una pedatona nel didietro e lo scaraventerei direttamente a Jausiers, ovvio a fin di bene. Con più diplomazia, invece, mi limito a sollecitare una rapida partenza. Alessandro non se lo fa ripetere due volte; il richiamo dello stomaco è ormai fortissimo. Giù, in discesa: qui sono io che, come al solito, mi faccio attendere. La bontà di Walter è tale da impedirgli di insultarmi pesantemente ad ogni curva... Che ci posso fare? La MTB ha già migliorato moltissimo la mia sensazione di stabilità e la mia velocità in discesa, ma le curve ed io non abbiamo proprio un buon rapporto. Un amico, tempo fa, mi sgridava perché "faccio le curve quadre" e non aveva affatto torto!

Se posso trovare un difetto alla MTB, è il senso di formicolio alle mani nelle lunghe discese. Infatti arrivo alle porte di Jausiers con le dita addormentate. Fontana, pieno alle borracce, poi finalmente l'agognata meta: la boulangerie. Soddisfazione per tutti: anch'io ne approfitto per prendere due pezzetti di croccante alle mandorle. Uno è immediatamente fagocitato, l'altro servirà da colazione domani. Il President mi sembra in buone condizioni... Ormai il più è fatto. Ogni volta che percorro questo itinerario, quando raggiungo Jausiers mi sembra di aver concluso la fatica. C'è ancora la Maddalena, ma non è salita tale da impensierire. 16 km per 700 m di dislivello.

Ancora in sella: qualche km lungo il torrente Ubaye, superiamo La Condamine e finalmente diamo l'assalto all'ultima ascesa. Sarebbe vietatissimo salire in bici dal versante francese, così come minacciano parecchi cartelli, per via di una vecchia frana che ogni tanto dà segni di vita e movimento. Ma noi, da buoni italiani, non ci siamo e se ci siamo dormiamo... Alessandro ed io approfittiamo di una sosta ai box del President per prendere un po' di vantaggio; tanto ormai io sono così gasata che farò inversione al primo abitato, Meyronnes, per tornare a controllare che sia tutto ok. Sulla Maddalena, persino io posso permettermi gli scatti. Lascio andare Alessandro, recupero Walter, tira e molla fino a Larche: sulle nostre teste, un cielo ancora sfacciatamente terso; la valle prende i colori della sera. Anche se non ho idea di che ora sia... Ho perso la nozione del tempo.

Da Larche, mi lancio baldanzosa in una progressione che vorrebbe coprire tutti e cinque i km mancanti al colle; in effetti, sputando i bronchi, per i primi tre pedalo davvero spedita... Poi, un muro di vento, improvviso, insormontabile ed ovviamente contrario. Congelamento istantaneo e sforzi improvvisamente vani: non si procede, o meglio, si va avanti a velocità di lumaca. Non c'è speranza che la sua violenza si attenui, prima del colle: anzi, sarà vento contrario fino a Vinadio... Le auto degli escursionisti se ne vanno alla spicciolata, le ombre si allungano, il verde dell'erba è più intenso. Con immane fatica raggiungo il colle e levo le ragnatele di dosso al povero Alessandro, seduto in paziente attesa. Lo invito ad andar giù, prendere l'auto e partire, lui che "tiene famiglia" e rischia di fare davvero tardi stasera. Ma, da quel signore che è, il compare rifiuta. Mi vesto, torno indietro per un breve tratto finché non incontro Walter: 'rcamiseria... Io ho sputato l'anima per arrivare su il più in fretta possibile e lui, bel bello, è già qui!

Tappa al bar lungo il lago; il President agogna una bottiglia d'acqua frizzante. Lo capisco, è cosa che capita spesso anche a me, sia pure non oggi. Attendo fuori, godendomi lo spettacolo del luccichio sulla superficie del lago appena increspato e degli ultimi caldi raggi di sole. Si riparte: via il pianoro, poi giù per i tornanti fino ad Argentera. Il traffico di auto e moto è sostenuto, ma al semaforo rosso in paese si fermano tutti. Io, manco a dirlo, passo... Ho perso i due compari e devo sbrigarmi!
Il pianoro appena prima del Villaggio Primavera è un calvario, con il vento contrario ed i merenderos che sciamano lungo la strada. Poi la pendenza torna favorevole: la galleria, le Barricate meravigliose al tramonto, Pietraporzio, Sambuco. Faccio del mio meglio per mantenere un ritmo appena decente, anche quando la strada risale un po' o viaggia in piano oltre il bivio per le Terme di Vinadio: tutto ciò mi costa una gran fatica... Ma i miei compagni hanno misericordia ed evitano di infliggermi l'umiliazione di un sorpasso col sorriso sulle labbra. Grazie... Ne sarei psicologicamente distrutta.

L'ultima asperità della giornata è la risalita a Vinadio: breve, dolce, ma non per chi ha già nelle gambe quasi 160 km e 4.000 m di dislivello in salita. Superato anche quest'ultimo scoglio, la nostra avventura si conclude al parcheggio, dove l'auto di Walter, per fortuna, c'è ancora. Ci si saluta, ci si dà appuntamento alla prossima mattana; si fa il possibile per rendersi vagamente presentabili e poi via. Sono le sette e mezza, cavoli, non mi ero resa conto che fosse così tardi, ma non importa. Vorrà dire che, per questa sera, le tre belve che mi attendono a casa dovranno tenersi il languorino per qualche ora in più.



domenica 30 giugno 2013

29 giugno 2013 - LES FONDUS DE L'UBAYE

Proprio il periodo ideale, climaticamente parlando, per dimenticare a casa il sacco a pelo. Benché sia fine giugno, l'estate non ha la minima intenzione di farsi viva: fa un freddo ignobile in pianura... Figuriamoci in mezzo ai monti. Come mio solito, preparando il bagaglio, ho poi cacciato con ignominia l'unica idea intelligente che si fosse affacciata al nulla eterno della mia scatola cranica: portarmi dietro la vecchia tuta da sci imbottita. Almeno per i momenti di vita "borghese" giù dalla bici. Ma ormai so che è più forte di me; non riuscirò mai a mettere in borsa quel che davvero serve per la trasferta del momento. La valigia ed io viviamo su mondi paralleli.

Pantaloni corti e sandaletti. Ci saranno dieci gradi stasera qui a Barcellonette. Parcheggio la Zafira alla bell'e meglio, in pieno stile italiano, in divieto, poi raggiungo Matteo nel salone in cui è in corso la presentazione della randonnée di domani. Il locale è già gremito di ciclisti: occhio e croce, direi che Matteo ed io siamo gli unici italiani. Una pingue fanciulla declama con innata allegria gli ultimi dettagli e le raccomandazioni sul percorso della manifestazione, che si perdono nell'eco del capannone; poco male, di francese capisco poco... E poi so già quel che serve. La rando prevede la possibilità di scalare uno o più colli, a seconda del percorso scelto. A noi toccherà la versione "cinque colli": nell'ordine, Vars, St Anne La Condamine, Bonette, Cayolle, Allos. Un po' più di duecento km, occhio e croce. Ci sarebbe anche la versione "sette colli", che prevede di proseguire in direzione del lago di Serre Ponçon ed aggiungere le salite del Col St Jean e del Col de Pontis: però... Però in mezzo ci sono troppi km di falsopiano, da percorrere in discesa prima ed in salita poi. Io odio tutto quel che è pianura e falsopiano. La coscienza ciclistica mi impedisce di rinunciare già a priori al percorso più lungo possibile, quindi quello da sette colli: non mi resta che sperare di essere abbastanza lenta da "sforare" il cancello orario tra il quinto ed il sesto colle. Così non sarei io a rinunciare, ma il fato avverso a costringermi alla resa.

Mi distrae un cagnolino che fa di tutto per conquistarsi un briciolo di attenzione e due coccole. Occhio e croce, direi che all'altro capo del guinzaglio c'è la consorte di qualche ciclista, annoiata e ben poco entusiasta della situazione. A momenti perdo Matteo che va di filato al tavolo delle iscrizioni. Numero di pettorale, carta di viaggio, abbiamo tutto; non ci resta che ricacciarci fuori, con somma goduria delle mie gambe nude. Il palco su cui l'organizzazione ha sistemato i tavoli ed i computer per le operazioni burocratiche è parecchio più in alto del resto della sala: mi soffermo un momento a guardare la folla di atleti... Era tanto, troppo tempo che non assaporavo l'emozione dei momenti pre – gara, anche se questa in realtà non è una gara, non è – o non dovrebbe essere – competitiva. E' un'emozione che mi mancava moltissimo e che, purtroppo, mancherà ancora... Per il momento, devo dire grazie a Matteo che mi ha coinvolta.

Alcuni ciclisti si accalcano al bancone delle cibarie; molti sciamano fuori, noi compresi. Adesso si tratta di andare a caccia di un campeggio, se non altro per avere a disposizione doccia e bagno civili. Sono terrorizzata al solo pensiero: fa un freddo inimmaginabile... Gira e rigira, non c'è più traccia del campeggio vicino al centro del paese. Ci rassegnamo a rivolgerci ad un'altra struttura poco distante: ci arriviamo pochi minuti oltre l'orario di chiusura. Non ci resta che osare: Matteo suona il campanello dell'abitazione del gestore, che si trova sopra la reception. Esce un energumeno che pare la controfigura di O.J. Simpson, dai modi tutto fuorché cortesi, scocciatissimo per il disturbo fuori orario. Poco male: abbiamo ottenuto la nostra piazzola.

Contengo a stento il disappunto e la sofferenza di aggirarmi per il campeggio con questo abbigliamento stile Rimini ad agosto: del resto, con chi potrei prendermela se non con me stessa? Si consuma una frugale cena a pane e formaggio: Matteo, come sempre, ha anche un'abbondante dotazione di pasta e si dedica alla "haute cuisine"... Ma io sono già distratta: ho scoperto che il campeggio è dotato di calcio balilla, con tanto di pallina! Suo malgrado, Matteo è costretto ad abbandonare i fornelli per concedermi una partita, una seconda partita e la "bella"... Finché anche l'ultimo barlume di luce del sole sparisce e la pallina diventa invisibile. Non mi pare in effetti il caso di continuare alla luce delle pile frontali: OJ Simpson e gli altri campeggiatori potrebbero spazientirsi... Non vola una mosca.

Io mi rifugio in auto e non mi muovo più. Poco male se il mio compare ha montato la tenda: schiatterò di freddo stanotte, lo so già, ma continuo comunque a preferire la struttura protettiva metallica dell'auto a quella inconsistente della tenda. E poi il sedile è mille volte più comodo del materassino.

Nella notte, mi sveglio un'infinità di volte, mezza congelata. Ho indossato tutto quel che avevo, felpa, giacca, ma non basta... Ogni volta è ancora buio pesto. La partenza è prevista per le cinque e mezza, la sveglia un'oretta prima. Più o meno in contemporanea con il trillo del mio telefonino, il fantasma di Matteo esce dalla tenda e s'infila sul sedile passeggero: a quanto pare, la sua nottata, pure con il sacco a pelo, non è stata molto più confortevole della mia...
Ci vuole tutto il coraggio di cui disponiamo ed anche di più, per scendere dall'auto e trascinarsi verso i bagni, l'unico luogo un po' meno gelido per cambiarsi e vestirsi da bici. La stellata meravigliosa sopra le nostre teste sembra quasi prenderci in giro. Colazione per me quasi inesistente; il mio compare trangugia quella schifezza di pasta che credo abbia ormai la consistenza del Vinavil. Rapido controllo della bici e del bagaglio; si parte, disgraziatamente in discesa: poche centinaia di metri, ma è già un trauma.

A Barcellonette, nello stesso salone in cui è avvenuta la presentazione della prova, fervono i preparativi per il via. C'è persino la possibilità di bere un the o un caffè quasi caldi, lasciando da parte il gusto. Siamo imbacuccati come tanti omini Michelin... Le nostre bici sono rimaste fuori, ma non credo corrano alcun rischio: se proprio qualche malintenzionato volesse colpire, c'è l'imbarazzo della scelta tra bici che valgono uno sproposito.
Ad occhio, direi che sono l'unica concorrente dotata di mountain bike, sia pure in versione stradale con i copertoncini slick. Ci sono un paio di bici "ibride"; gli altri sono tutti puristi della bici da corsa.

Ci raccogliamo tutti nello slargo accanto al salone, dove è in corso una punzonatura parecchio disordinata. Altrettanto approssimativo è l'ordine di via: in un modo o nell'altro, comunque, siamo in marcia. In fondo al gruppo, inutile dirlo: pochi km di pianura e mi han già superata quasi tutti. Si viaggia in direzione di Jausiers: la temperatura alla partenza è esattamente di 1°C, a detta del termometro di Matteo e della sensazione delle mie mani. Terribile... Posso solo sperare che presto faccia capolino un po' di sole, anche se ho poca fiducia: le montagne tutt'intorno terranno lontana la luce ancora per un bel po'.

Mentre io litigo con il cambio – la catena non vuol saperne di stare sulla corona anteriore più grande – scorriamo lungo il torrente Ubaye alla luce delle frontali che non serve quasi più. Ombra, silenzio, si sente solo il ronzio delle ruote, quelle poche che sono ancora a portata del mio orecchio. Qualcuno osserva perplesso la mia bici, scettico sulla buona riuscita dell'impresa. Non preoccupatevi, gente: se solo sopravvivo al congelamento, ce la faccio...

Jausiers, La Condamine, bivio per il Vars. Finalmente un po' di salita, anche se molto blanda, per i primi km. Tutto tace per la strada, nei cortili delle poche abitazioni. Il cielo prende un po' di colore, ma già le prime scie di nuvole fanno capolino. Chissà perché, non mi aspetto nulla di buono. Meglio comunque, superate le prime due gallerie, fermarsi a levare uno strato di abiti, per evitare di ritrovarsi fradici in discesa. Finalmente, dopo il bivio per St Paul, la salita diventa degna di questo nome: si va su a strappi irregolari fino al ponticello del minuscolo abitato a cinque km dalla vetta; da lì in poi, la pendenza diventa severa ma regolare. Il sole è un'illusione: il cielo si vela sempre più. Primo, secondo, terzo tornante, molto distanti l'uno dall'altro. Pedalo con prudenza: so benissimo che le mie forze sono davvero limitate... L'ultima uscita seria in bici risale a fine maggio e non è comunque paragonabile all'itinerario di oggi. Matteo si allontana solo nell'ultimo km: non appena arrivo in cima anch'io, si prodiga per sistemarmi il cambio riottoso, mentre io trangugio un caffè orribile ma, se non altro, caldo. Grazie ai volontari che attendono quassù, ci possiamo permettere anche questo lusso! Mi avvio in discesa con l'animo di un condannato al patibolo; non oso immaginare il gelo... I ciclisti rimasti dietro di me, che ancora salgono, sono davvero pochi; alcuni di loro mi sorpassano prima che io arrivi in fondo.

Archiviato l'inospitale Col de Vars, ripercorriamo a ritroso un tratto di strada lungo l'Ubaye, fino a La Condamine. Da qui, imbocchiamo la breve ma "robusta" ascesa verso St Anne La Condamine, in corrispondenza degli impianti da sci: parecchi tornanti e rampe con pendenza sostenuta. Una marea di colleghi sta già scendendo. La temperatura è salita di pochissimi gradi... Cinque o sei km dopo, arriviamo al banchetto del punto di controllo. Davvero non invidio questi tapini costretti a restare qui, immobili, al freddo e al gelo... Stanno peggio di me, poco ma sicuro.

Altra discesa, ostica non solo per il freddo ma anche per il pessimo stato dell'asfalto. Siamo dinuovo a La Condamine: ancora una volta sulla strada di fondovalle, veleggiamo verso Jausiers. Qui il primo vero punto di ristoro, con succhi di frutta, frutta secca varia, pane, affettati. Ovvio, questi ultimi non fanno per me... Finisco per mangiarmi il pane asciutto, visto che non c'è formaggio e che i dolci, a lungo andare, nauseano. Riparto infatti con due o tre fette di pane in mano: impiegherò parecchi km della salita per finirli, perché non è così semplice masticare qualcosa di tanto asciutto in salita. Matteo prolunga ancora la sua accanita opera di saccheggio della tavola imbandita: prima o poi arriverà...

Affronto la Bonette con un certo timore reverenziale. E' vero che conosco questa salita come le mie tasche, ma forse è proprio per questo che la temo... So benissimo di non essere allenata a sufficienza per il percorso di oggi. Un po' di sole, troppa grazia, mi incoraggia, ma cerco di essere prudente, prudentissima. Anni di bici da queste parti hanno fatto sì che ormai io conosca ogni metro di questo asfalto, dalla prima parte in mezzo alle case, al tratto di tornanti con vista su Jausiers e Barcellonette, al passaggio a quota 2000 m con il rifugio "Halte 2000". Qui, altri tornanti tra i laghetti, qualche breve tratto in piano per rifiatare. Tanta neve imbianca ancora i pendii delle montagne intorno. Infine, l'ultimissimo tratto oltre le casermette militari, quando la Bonette ormai si vede ma è ancora molto lontana. E la coltellata finale nelle gambe, il giro della cima. Ciclisti di ogni ordine e grado affollano la salita, oltre a quelli che partecipano al brevetto; purtroppo, non manca nemmeno il traffico di altro genere, auto e moto a profusione. Bellissimo quassù... Mangio un boccone, mi godo i pochi istanti, un bicchiere di Coca Cola. Bisogna scendere. Fan quasi tenerezza le Ferrari riunite per il raduno proprio quassù: i proprietari, griffati e decappottati, stanno visibilmente schiattando di freddo...

Si torna giù a Jausiers, ventidue km di una discesa interminabile, molto più penosi che nell'altro senso. Le mani, anche se protette dai guanti, sono paonazze e rigide. Tocca poi fare i salti mortali per evitare le auto e le moto dalla guida un po' troppo sportiva. E' ormai primo pomeriggio: saranno all'incirca le 14 quando raggiungiamo Jausiers. Si torna a Barcellonette, ancora senza sole o quasi. Ci siamo meritati una sosta un po' più lunga al ristoro: un buon piatto con un'insalata di pasta, un paio di uova sode, un po' di Coca. Ci attendono il Col de la Cayolle ed il Col d'Allos. Ecco, ho sempre accuratamente evitato di scalare la Cayolle da questo versante: dal bivio son quasi trenta km, in buona parte di falsopiano, non finisce mai. Ma oggi s'ha da fare, quindi via, gambe e ruote in spalla. Si riparte: breve tratto nella periferia di Barcellonette, lungo i campeggi, e poi al bivio si va a sinistra. Non mi è ben chiaro il senso del punto di ristoro piazzato qui, a pochissima distanza da Barcellonette dove ci siamo appena rimpinzati come otri... Ma Matteo lo afferra molto meglio di me e spazzola anche qui tutto lo spazzolabile.

La strada corre lungo il torrente, attraversa le belle "gorges", ma impiega un'eternità a guadagnare quel po' di quota. Tra le curve strette e cieche, bisogna prestare molta attenzione, perché ormai la maggior parte dei colleghi di corsa sta arrivando in discesa. Tengo d'occhio il cielo che, verso la testa della valle, è sempre più grigio; sguardo di penosa ansia ai parabrezza delle auto che scendono, per capire se lassù piove. La valle si apre e rivela una fetta di cielo ancor meno incoraggiante; appena prima del ponte che segna l'ultimo cambio di versante e l'inizio del tratto di salita un po' più decisa, ecco le prime gocce. Faccio finta di non sentirle, ma se n'è accorto anche Matteo... Il freddo si fa pungente; tira vento di fronte e porta via il mio già misero coraggio. Lassù è nero... Gelido e nero. Possibile che io abbia sempre questo terrore del freddo e della pioggia? Rabbrividisco man mano che il vento rinforza. A me la scena pare apocalittica... No no, se le cose si mettono così, io non vado più sul Col d'Allos. Mi dispiace ma quando è troppo è troppo. Poi verrà buio lassù...

Matteo si porta avanti con il lavoro; raggiunge il colle un po' prima di me. Lo trovo seminascosto nel furgoncino dei volontari, in cima al colle, dove c'è solo più un goccio di the caldo. Sono in preda allo sconforto: timbro il cartellino, mi vesto come posso, riparto sotto la pioggia, con la paura di quel che sta per succedere, meteorologicamente parlando. Siamo pur sempre sopra quota 2000, stanchi... E piove.

La pioggia mi accompagna per una decina di km, poi sembra voler concedere una tregua. Quel che basta per regalarmi un po' di fiducia: la discesa "finta", spesso da pedalare, fa il resto e mi infonde un po' di calore. Si torna al punto di ristoro a Uvernet: da lì, comincia l'ultima salita. Beh, formalmente potrebbe non essere l'ultima: se si riuscisse a tornare a Barcellonette entro le 22, si potrebbe proseguire aggiungendo gli altri due colli "minori". Ma, in tutta franchezza, con questo freddo, la minaccia di pioggia e sì, anche la stanchezza, non ne avrei proprio voglia. Le gambe faticano molto già sulla salita del Col d'Allos, che è tutto fuorché micidiale... 17 km, molto regolare, mai davvero ripida. Le luci della sera, le ombre sempre più lunghe. Non mi sarei mai aspettata che il sole si facesse vivo proprio adesso, appena prima del tramonto. Le nuvole si diradano, si dissolvono in un tripudio di sfumature gialle e rosa. La temperatura rimane rigida, ma a questo punto poco importa... Lungo tratto sul versante destro della montagna, poi qualche tornante che ci fa superare l'ultimo scalino. Un gregge di pecore, l'abbaiare dei cani... C'è ancora un collega con noi: siamo proprio gli ultimi. Chissà se in cima ci sarà ancora qualcuno ad attenderci.

La strada è ricoperta da uno scivolosissimo tappeto di sterco di pecore: cadere qui sarebbe una vera, imbarazzante, puzzolentissima tragedia! Osserva Matteo, in discesa sarà bene andar piano onde evitare di ritrovarsi imbrattati fin sui capelli... Povero Matteo, avrebbe potuto chiudere il giro parecchie ore prima, se solo non mi avesse fatto da fedele gregario per tutto il viaggio; avrebbe potuto aggiungere gli altri due colli senza la minima difficoltà. Invece è qui... Mi "abbandona" solo negli ultimissimi km, quando la strada si perde alla vista contro il cielo e il vento rinforza. Lo ritrovo all'ultimo punto di controllo, dove, sorpresa, ci accolgono due madame a dir poco entusiaste. Forse lo sono perché, con noi, si conclude la loro fatica... In realtà risulterebbe esserci ancora un concorrente che deve arrivare quassù, ma probabilmente è un errore... O c'è un disperso. Non c'è più traccia di altri, dopo di noi. Un caffè bello caldo; mi vesto, indosso i guanti, mi lancio verso l'ultima discesa. Incurante del tappeto di guano ovino, vado giù il più in fretta possibile per sfruttare quel poco di luce naturale che rimane: la mia vista, anche con la potente pila frontale che ho, al buio vale quasi nulla. Preferisco andar giù un po' più lercia, magari, ma più sicura. Matteo invece tiene fede alla promessa: mi preoccupo parecchio a non vederlo arrivare...

Percorriamo insieme gli ultimi km alla luce della sua pila frontale, che è davvero avveniristica. Per me, più che un "percorrere", è un trascinarmi... Sono letteralmente congelata. Altro che aggiungere due colli... A stento raggiungo Barcellonette. Al punto di controllo, il volontario ci guarda con terrore. "Vi fermate... Vero?". Lo posso capire: guai se decidessimo di proseguire... Gli toccherebbe aspettarci fino a chissà che ora, domani! No no, non c'è pericolo... Io di qua non mi schiodo più.

Ci tuffiamo entrambi al tavolo del ristoro finale: mannaggia ai Francesi, che razza di menù... La pasta col ragù per me è proibita; resta solo la zuppa di cipolle. E vada per la zuppa di cipolle, doppia dose: almeno è calda. Spazzoliamo famelici le nostre razioni, così come siamo, sporchi e sudati; accanto a noi, i fenomeni già puliti, lavati e cambiati discutono di tempi e prestazioni. Mamma mia. Io non riesco a pensare ad altro che all'agghiacciante idea di andare in campeggio, cambiarmi e lavarmi con questa temperatura... La zuppa di cipolle è rovente ma non vale a togliermi i brividi di dosso. Il brusio tutt'intorno dà alla testa. Il povero Matteo, dopo aver consumato le derrate alimentari delle prossime sei edizioni della rando, deve faticare non poco per convincermi ad alzarmi e ad uscire. Non parliamo poi del trauma di rimettere il deretano sulla sella dopo 220 km e 5.300 m di dislivello in salita, quando non sei più abituato a passare tanto tempo in sella... Quasi diciassette ore, nel mio caso. Un ciclista mi ferma appena prima di uscire; indica la mia bici, chiede se io abbia fatto tutta la strada con quella... Sì, certo. Ma per me non è affatto un problema: attrezzata così, la MTB è forse un po' meno scorrevole della bici da corsa in salita, ma dà una sicurezza impagabile in discesa, dove recupero tutto il tempo perso. Non tornerei alla bici da corsa, nonostante anni ed anni di onorata "carriera".

Per fortuna, la strada per il campeggio, in discesa prima della partenza, adesso è in salita: ci si scalda un pochino. Poi raccolgo quel barlume di lucidità che mi resta per prendere dall'auto tutto quel che mi serve per la doccia ed il cambio d'abito. Ci fiondiamo nottetempo nelle docce: sarà contento il sosia di OJ Simpson, che ha casa proprio al piano di sopra, di sorbirsi il rumore del getto d'acqua. Data la temperatura confortevolissima dell'acqua e la quantità di gelo siberiano da lavare via, la nostra doccia diventa lunghissima.

Passiamo quel che resta della notte entrambi in auto, sistemati alla meno peggio con l'unico sacco a pelo di Matteo, che per fortuna si apre a libro e ci copre entrambi. In effetti, va un po' meglio della notte precedente... Al mattino, il rito dello sgombero della tenda mi ricorda ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, quanto sia più comodo dormire in auto, senza bisogno di aprire, montare, piantare picchetti, smontare, piegare,... Si riparte per l'Italia, ma non ancora per casa. Verso le nove siamo a Vinadio: giù le bici, destinazione Colle della Lombarda. Una luminosa e fredda mattina ci accompagna su per i tornanti, lungo il pianoro, passando accanto al Santuario di Sant'anna, e poi per i chilometri finali oltre al bivio. Anche oggi il sole ci inganna e si nasconde presto dietro alle nuvole: qualche goccia di pioggia, ma ormai siamo al colle; Matteo ci arriva due volte, prima da solo e poi dopo essere tornato a raccattare me. Ammetto di aver faticato molto, dopo la sfacchinata di ieri, e un po' mi dispiace... Ma è fatta; si torna giù lasciandoci la pioggia alle spalle, via in auto. Questa volta, destinazione casa.


lunedì 20 maggio 2013

18 maggio 2013 - NOVE COLLI RUNNING 2013

Quest'anno, le premesse sono davvero le peggiori possibili. Per carità, non che io sia mai partita con ambizioni di classifica: non me le posso permettere... L'unica ambizione è sempre stata quella di giungere al traguardo; ecco, è proprio questa, che oggi sarà messa in serio rischio.

Non ho l'allenamento sufficiente, non ho collezionato i lunghissimi allenamenti che avevo messo in saccoccia nelle scorse stagioni; sono parecchio a terra fisicamente, e parecchio anche moralmente, per vicissitudini varie familiari e lavorative. Mi manca quell'entusiasmo assassino degli anni scorsi, anche se ho fatto carte false per essere qui, oggi.

Vorrei dormire un po' più a lungo, ma non c'è verso; prima delle sei sono già sveglia. Provo a riaddormentarmi, accendo la radio, cerco qualche canale noioso, ma nemmeno Radio Maria basta a farmi riprendere sonno, o perlomeno a farmi svenire dal disgusto. Basta, tantovale che mi alzi. Anche stamattina fa freddino... Però il cielo è terso. In effetti, mi accorgo solo ora che il campeggio è quasi deserto: questa primavera folle non invoglia certo i turisti, nemmeno quelli abituali di ogni stagione.
Mi preparo con calma, godendomi il raggio di sole che finalmente colpisce l'auto. Le borse con i cambi d'abito e qualche derrata alimentare, da mandare lungo il percorso, sono già quasi pronte. Sarà lunga l'attesa, fino a mezzogiorno. Cincischio, provo a dormicchiare ancora un po'; sconfitta, verso le nove lascio il campeggio e mi avvio verso il centro. Approfitto per una "toccata e fuga" nella stessa panetteria di ieri sera, a caccia della colazione: immancabilmente, focaccia, più un pezzo di crostata all'albicocca. Beh, se non altro avrò tempo di digerire...

Alla partenza, davanti al Municipio, c'è giò fermento. Malgrado io preferisca restare lontana dalla confusione, oggi ho un bel po' di persone da salutare, tra corridori, assistenti e simpatizzanti. Ormai, tra pazzi furiosi ci si conosce un po' tutti. Infatti è un gran sorridere e stringere mani; va tutto bene, pur di mascherare un po' la paura. Alla tensione delle edizioni precedenti, si aggiunge quest'anno un motivo di preoccupazione in più. Se dovessi giungere al traguardo in tempo, sarei la prima donna ad aver concluso tre edizioni della Nove Colli Running, per giunta tre di fila. Per carità, non è che sia chissà quale record... Ma ci terrei molto.
Ormai il rito si ripete sempre uguale: la spunta dei nomi, uno per uno, la foto di gruppo, la corsa dell'ultimissimo secondo in bagno... Il cielo resta terso, solo qualche nuvola di passaggio; la temperatura è decisamente più bassa rispetto agli anni scorsi. Ho persino qualche dubbio a partire in canottiera... Mal che vada, nello zainetto ho il necessario.

L'attesa si conclude, finalmente, a mezzogiorno in punto. La tensione si scioglie con i primi passi... Chissà quanti passi si muovono in una corsa da 200 e rotti km?
Le gambe non fanno mistero di risentire un po' della prova di ieri in bici. Niente panico: ormai so bene che i primi venti km sono sempre un calvario. Se riesco a superarli senza cedere alla tentazione di mollare tutto e ritirarmi, sono già a buon punto...
Gli sguardi degli automobilisti incolonnati e fermi per la presenza dei corridori stanno a metà tra l'esasperato e l'incuriosito. Tra noi e le auto sciamano poi centinaia di ciclisti, già pronti per la granfondo di domani; è un tifo sfegatato, persino dai balconi delle case e dai giardini. Peccato solo per il traffico infame: alla fine, buona parte dei veicoli che ci passano accanto sono quelli dell'organizzazione, nonché degli assistenti personali di molti corridori. In effetti sì, i primi km di gara fino a Cesena sono un bel calvario.

Come sempre, commetto l'errore di lasciarmi prendere dall'entusiasmo: chiacchiera di qui, chiacchiera di là, a Cesena arrivo troppo in fretta. Meno male, però, che nei miei paraggi c'è qualcuno: altrimenti, difficilmente mi sarei accorta del cambio di percorso, che quest'anno ci porta a passare fuori dal centro storico. Continuo a seguire i miei punti di riferimento, fino ad imboccare l'ultimo caoticissimo rettilineo che termina al punto di ristoro di Settecrociari. Vado a caccia di qualcosa da bere; per costrizione, prendo anche un paio di biscotti. Non ho fame, ma è importante buttare giù qualcosa ogni tanto, perché prima o poi la pancia comincerà a ribellarsi... E a quel punto sarà opportuno aver già fatto scorta.

La mia sosta, come sempre, è brevissima. Mi lascio alle spalle un bel po' di corridori intenti ad affrontare la pasta... Io preferisco attaccare la prima salita. Di passo, ovviamente. Lo stacco tra la pianura e la collina qui è nettissimo: un attimo fa eravamo giù sul piatto, in mezzo ai vigneti... E adesso ci arrampichiamo sulla prima rampa. C'è chi insiste a correre anche in salita: sono pochi, però, quelli che se lo possono davvero permettere. Io non ho questa fortuna e non ci provo nemmeno. Ho un didietro così pesante che stroncherei i garretti senza rimedio. La voglia di scherzare e chiacchierare, qui, è ancora vivace, ma non c'è nessuno con cui io possa scambiare più di qualche veloce battuta; vanno tutti troppo forte...

Soffia un venticello poco confortevole. Razionalmente, so che il caldo eccessivo è nemico della prestazione sportiva, ma vorrei tanto i trentacinque gradi di qualche edizione fa... Il passo per ora è svelto; raggiungo il Polenta senza troppa fatica. Giù in discesa, di corsa: i polpacci avrebbero anche qualcosa da ridire... Li zittisco, penso ad altro, scruto le curve della discesa. Mi sorpassa di gran carriera una fanciulla minuta, che corre in gonnellino e saluta gentile: scoprirò poi che si tratta della vincitrice.

A Fratta, si torna per un breve tratto in pianura: qui le gambe mostrano i primi segni di difficoltà. C'è poco da fare: la mancanza di allenamento sulla distanza pesa, eccome. Qui saremo poco oltre i trenta km e già il corpaccione presenta il conto. Calma, Gian. Breve sosta al ristoro, prendo da bere ed un po' di frutta, poi via per l'interminabile tratto di falsopiano verso l'attacco della seconda salita. Correre, piano ma correre. Non posso pensare di mettermi al passo, già qui. La seconda salita incombe; con essa, il cancello orario al km 57. Bisogna passarci entro sette ore e quarantacinque minuti dal via. Io non ho idea di che ora sia, come sempre, e non lo voglio neanche sapere... Corro per quanto posso, finché la strada non prende a salire decisa; allora mi rassegno al passo spedito, con l'occhio ansioso di scorgere, dietro ogni curva, il culmine di Pieve di Rivoschio. Ma lo sento, che il mio passo è faticoso.

Al punto di ristoro, mi lasciano passare. Tutto ok, quindi: sono in tempo. Giù in discesa, sfruttando l'onda dell'entusiasmo, per quel poco che può servire. Sono scettica nei confronti di chi sostiene che conti moltissimo la testa: conta, è vero, ma se i muscoli non rispondono...

La salita del Ciola, puntualmente, è un calvario. Ormai non mi spavento nemmeno più. Si va verso sera; cala il buio, mentre l'aria si fa ancora più frizzante. E la debolezza pian piano mi assale: a nulla serve mandar giù qualcosa da mangiare, perché non c'è più nulla che vada giù. La debolezza si trasforma in nausea, fa girare la testa, a tratti mi rende persino difficile stare in piedi. Le gambe quasi si trascinano, anziché camminare come si deve. Angoscia... Calma, Gian. Ti è già successo gli anni scorsi. E' la stessa identica cosa. Stai male da cani... Ma poi passa. Fidati.

Arrivo al ristoro quasi barcollante, in cima al colle. Cerco di darmi un tono; scorro disperatamente i cibi sulla tavola, ma non ce n'è uno solo che non mi faccia rivoltare lo stomaco alla sola idea. E sì che son tutte cose che, di norma, adoro, dalla frutta secca alle uova sode, al grana... Trangugio a forza qualche nocciolina, bevo un po' d'acqua e un po' di Coca sperando nel noto potere "sgorgante" di quest'ultima... Poi via, riparto, Frontale a portata di mano, perché ormai è quasi buio: si vedono già le luci di Mercato Saraceno, ma lontanissime... Dai Gian, calma e sangue freddo. Non pensarci, vai giù. Goditi la milionata di lucciole, chissà perché così tante, solo qui. S poi son già in arrivo i ciclisti del percorso notturno...

Corro con la testa da tutt'altra parte, probabilmente nemmeno del tutto cosciente. Mi risveglio solo quando, in lontananza, intuisco dalle luci che ci sono dei corridori fermi. Vuoi vedere che... Sì, è il banchetto del ristoro "privato", quello allestito da una gentilissima famiglia che abita proprio qui... Con tanto di macchinetta del caffè, di cui approfitto volentieri. Un attimo e dinuovo in marcia, fino a Mercato Saraceno, a sconvolgere il tran tran del sabato sera nei locali. Mi lancio in un'atletica corsa attraverso la piazza, compresa la risalita per uscire dal paese; poi, quando sono certa che nessuno più mi osservi... Mi accascio al passo sulle prime rampe del Barbotto. Va meglio: almeno la nausea sembra passata. Cammino spedita, ma i muscoli non rispondono come dovrebbero. Beh Gian, di che ti stupisci? Al Barbotto, i km alle spalle saranno già ottanta...

Il freddo ghermisce le gambe, le braccia, la schiena. Un po' di stelle in cielo, ma non è del tutto sereno. Silenzio assoluto, solo le foglie mosse dal vento; non c'è altro corridore intorno, almeno finché io riesco a vedere. Alla spicciolata passano i ciclisti della notturna; ogni anno sono sempre più numerosi. La testa pesa... Il sonno, la stanchezza. Coraggio... Manca poco al grande ristoro sulla vetta. L'ultimo tornante, poi le candele che illuminano il percorso, dritti verso la cima.

Per tutti noi c'è un applauso. E quest'anno c'è anche la sorpresa: nientemeno che lo spettacolo delle danzatrici del ventre... Bravissime e molto belle, ma non le invidio, poverette, così desnude quassù! Che freddo! E poi, che diamine, perché le danzatrici e non i danzatori? Va bene che noi donne siamo una sparuta minoranza, ma che diamine, un po' di attenzione anche per noi!
Mi fiondo a caccia della borsa che ho mandato qui, alla ricerca della maglia pesante per la notte. I pantaloni restano cortissimi, in ossequio al mio esibizionismo: ci tengo a mostrare la parte migliore di me... Anche a costo di prender freddo.
Saluto l'inossidabile Luciano: sembra che ci si dia appuntamento... Come l'anno scorso, ci si ritrova proprio sul Barbotto! Poi vado a vedere se c'è qualcosa di interessante da mangiare: ci sarebbe la pasta, ma ho troppa fretta per aspettare... Di tutto il resto, non c'è quasi nulla che vada giù. Trangugio un sacco di Coca Cola, qualche popcorn, qualche patatina fritta, poi via, ancora di corsa, nel buio. Di corsa dove la strada è piana o scende, desolatamente al passo nelle infinite e penose risalite prima della vera discesa. Nelle orecchie le cuffie del lettore Mp3, come aiuto morale.

Nemmeno al punto di ristoro del km 100 c'è verso di mangiare qualcosa di solido. E sì che sul banchetto ci sono leccornie appetitose... Lascia perdere Gian, fila, sbrigati, non perdere tempo. Si scende, in un'eternità di chilometri, fino a Ponte Uso. Nonostante la maglia e la giacca, ho freddo... E nausea. Altro ristoro una decina di km dopo, proprio a Ponte Uso. Ormai mi rassegno ad andare avanti a Coca Cola. Ma sfodero un sorriso sicuro, falso come Giuda, mentre mi allontano. Destinazione la salitella di Monte Tiffi, blanda ma comunque da camminare, e alla svelta. Chissà che ora è. Chissà se sto andando meglio o peggio degli anni scorsi... Beh, questa è una domanda retorica. Peggio, mi pare ovvio. Ho le gambe in uno stato pietoso, cominciano ad irrigidirsi. Ce la devo fare...

Giù da Monte Tiffi, la salita successiva ricomincia subito. Mi perdo rimuginando di tempi, di chilometri, di colli, quando non ho alcun riferimento nemmeno circa l'ora. Buio pesto; alti corridori nelle vicinanze, ciascuno perso nella propria notturna follia. Qui sono fortunati gli "assistiti", ai quali i compagni di viaggio raccontano persino le favole pur di tenerli svegli. Noi viandanti solitari ce le dobbiamo raccontare da soli...

Dai, dai, dai, coraggio. Ascolta la musica, prendi un ritmo, pensa a quello che vuoi, basta che tu vada avanti. Il Perticara è vicino, il ristoro grande pure. Attraverso il paese sonnacchioso e deserto: sulla piazza, ferve invece l'attività dei volontari. Qualcosa qui riesco a buttare giù: un po' di brodo caldo, uno spumotto, il caffé. Non è molto, ma vediamo di farcelo bastare. Siamo a circa 115 km: appena superata la metà. Lo dice anche il boss, il buon Marione Castagnoli: le crisi vengono e passano. Già... Il problema è che per me non si tratta di crisi; è proprio la mancanza di allenamento adeguato, che mi riduce in questo stato. I muscoli delle gambe sono sempre più rigidi. Pazienza, Gian, farai quel che potrai. Intanto, vedi di non perdere tempo. Giù, in discesa. Cerco di tagliare tutte le curve per abbreviare di un infinitesimo l'agonia; alle spalle, adesso, non dovrebbero più arrivare ciclisti. Quanto alle auto, a quest'ora nulla muove. Altro banchetto del ristoro sulla sinistra; bando alle raccomandazioni, c'è la birra, faccio festa. Vero, l'alcool durante lo sforzo non è il massimo, ma due bicchieri di birra sturano lo stomaco e mettono allegria. Sperando che non mettano anche sonno. Poco più avanti, il bivio a destra; si risale tra le cascine, su e giù in un'irregolare sequenza che sfianca i garretti. Discesa fino a Secchiano, un lungo tratto su strada trafficata; comincia a fare chiaro: ma questa volta, nemmeno la luce del sole vale a rinfrancarmi un po'. Mi sa che stavolta non ce la faccio. Quanto male ad ogni passo...

Raggiungo stravolta il bivio per la settima salita. E' solo la settima ed è dannatamente lunga... A mangiare non ci provo nemmeno. Cerco almeno di bere, poi su, in salita, cincischiando con la giacca e lo zaino per capire se sia già il caso di svestirsi. Cielo velato, aria pungente. Dai Gian, trascinati su, che questa è lunga... Sono dodici km, circa, anche se la parte finale è un lunghissimo falsopiano. Provo a correre dove possibile: tentiamo il tutto per tutto.

Al punto di ristoro sul Pugliano, trovo la seconda borsa, mi cambio la maglia, mi do una pulita alla bell'e meglio. Anche chinarsi, a questo punto, è operazione ad altissimo rischio di irreversibilità. Indosso la maglietta del Team Nordovest, la mia squadra ciclistica, in omaggio ai compagni che oggi pedaleranno alla Nove Colli "classica" e magari riusciranno a vedermi nel marasma. Trangugio anche un paio di antiinfiammatori, pur sapendo bene che serviranno a poco in questo caso. Dolore forte quando riprendo la corsa, muscoli sempre più legnosi. La Rocca di San Leo vigila, immobile, ma chissà cosa pensa di tutte queste formiche multicolori che le girano intorno.
Per un inspiegabile effetto di sconvolgimento del sistema metrico decimale, i chilometri cominciano ad allungarsi man mano che il dolore aumenta. A questo punto mi riesce di corricchiare in discesa, ma già la pianura mi crea non pochi affanni. Infatti, il ponte al fondo della discesa, appena prima di arrivare in paese, è una coltellata nelle gambe, pur essendo perfettamente piatto.

Al banchetto del ristoro, come sempre mi fermo pochi istanti e non mi siedo, altrimenti chi si rialza più. Passo delle Siepi, penultima ascesa. Fervono gli ultimi preparativi per l'arrivo dei ciclisti della granfondo: gli addetti preparano i banchi dei pantagruelici ristori; tifosi e spettatori si contendono i migliori punti di osservazione. Qualcuno si accorge dei corridori, ma sono pochi in realtà i presenti al corrente dell'esistenza di una "corsa parallela" a piedi.

Monte Tiffi non ha una vera e propria "cima"; la strada ad un certo punto inverte la pendenza. Parecchi tornanti più in basso, si arriva dinuovo a Ponte Uso, punto già toccato dopo la discesa del Barbotto. Di qui, lo spettacolo è meraviglioso, soprattutto per chi ha il cuore da ciclista almeno per metà: si può ammirare un immenso serpentone colorato che scende giù dal Barbotto, proprio sulla collina di fronte, e sciama via al fondo della vallata. Sono i corridori della granfondo. A questo punto, ci si può attendere l'arrivo dei primi alle spalle, credo tra un'ora o poco più.

A Ponte Uso c'è un piccolo punto di ristoro con il furgoncino. Brevissima sosta. Chissà se dietro di me c'è ancora qualcuno dei corridori? Ben pochi, credo... Ormai chi aveva intenzione di ritirarsi l'ha già fatto da un pezzo; quelli forti sono già lontani; resta solo il gruppetto dei "barcollo ma non mollo", di cui mi onoro di far parte... E di cui spero di far parte fino a Cesenatico, anche se ho davvero poca fiducia. Non mollo, ma barcollo parecchio!

Da qui all'attacco dell'ultima salita, i chilometri sono infiniti. Li percorro, un po' al passo un po' di corsa, in un continuo tira e molla con Roldano, altro inossidabile, fedelmente assistito dalla sua Sonia in bici. Siamo entrambi al limite dell'umana sopportazione, eppure tentiamo entrambi di comportarci come se niente fosse, come se corressimo da dieci km scarsi. E secondo me ci riusciamo pure!

Il Gorolo è l'ultima delle coltellate. Meno male che nel frattempo sono arrivati i ciclisti: almeno ci si distrae un po'... E si è obbligati a prestare la massima attenzione, vista l'andatura folle dei più assatanati, anche in salita. Corro sul ciglio della strada ed anche così rischio di essere travolta. Qualcuno di loro trova persino le forze per incitare noi tapini a piedi... Passata la buriana dei primi gruppi che si contendono la testa della classifica, man mano la furia dei pedalanti si attenua; quando arrivo alle ultime rampe, c'è già qualcuno che sale un po' a zig zag. Per loro, però, è quasi finita... Al culmine della salita, e dei lunghi su e giù successivi, troveranno comunque un po' di requie in discesa. Per chi corre non è così, anzi.

Al ristoro in vetta mi fermo qualche istante di più. Sono davvero disfatta, ho un male indescrivibile alle gambe. Riparto con il cuore in fondo ai calzini: mai come adesso mi è chiaro che non ce la farò. Non ce la faccio stavolta... Mi dovrò ritirare a trenta km dalla fine. Precipito in uno sconforto infinito: voglio correre, ma le gambe non rispondono più, sono dure come i chiodi. Provo ancora e ancora; i ciclisti sorpassano, salutano, ma ho ho solo voglia di piangere. La terza Nove Colli è lì a portata di mano ed io la sto distruggendo con le mie mani... Mi rassegno al passo svelto, sperando che questo serva a dare alle gambe un po' di fiato. Risalite, ancora risalite; corro, poi torno a camminare. Trovo Walter, il presidente del Team Nordovest: un viso amico mi è immensamente d'aiuto in questo momento, anche se davvero avrei avuto tanta speranza di fare una figura migliore. Mi scatta qualche foto, mi dà appuntamento all'arrivo: già, all'arrivo... Non ci sarò, non con le mie gambe. Chilometri e chilometri di lacrime solitarie e calvario: non faccio altro che ripetermi in testa i conti dei km e delle ore che mancano, assurdi calcoli sulle medie per capire se, anche camminando, ce la posso fare... Come se non bastasse tutto il resto, ci si mettono anche i crampi. Mi tocca mettermi a saltare su un piede solo, alternativamente sulla gamba senza crampi. Non riesco proprio a gioire di tutto l'entusiasmo che i ciclisti mi urlano addosso...So solo che non ce la farò, prima o poi le gambe si bloccheranno del tutto. E non riesco a mangiare nulla ormai da troppe ore...

Il grattacielo di Cesenatico svetta all'orizzonte come un incubo. Alla fine della discesa, ancora venti infiniti km di piattissima pianura; ora che sono stravolta, patisco anche il caldo, che pure di norma amo. Ormai a correre ho rinunciato; cammino più svelta che posso. Di lì a poco compare il buon Giorgio: partito da Torino in treno, con la chiave della Zafira, è passato a prendere la mia bici e si è fiondato in soccorso. Tutto perché già ieri sera sbraitavo al telefono che non ce l'avrei fatta... Non so nemmeno io se essere contenta o arrabbiata; non riesco più a connettere. Beh, già in condizioni normali non è che io connetta granché. Ero angosciata all'idea che il mattoide arrivasse prima e risalisse la discesa del Gorolo contro il senso di marcia della granfondo: la strada non è chiusa al traffico, nemmeno a quello delle auto, ma il rischio da correre sarebbe stato alto. Qui in pianura, invece, la strada è larga. E poi la folla delle bici ormai è già più sfilacciata.

Sotto una cappa di calura, approfitto volentieri della bottiglietta di Coca che Giorgio estrae dallo zaino. Di mangiar la banana, invece, non c'è verso: il primo boccone va giù a forza, il secondo nisba. La focaccia non la tocco nemmeno. La compagnia mi è preziosa per sfogarmi, anche se il malcapitato finisce per fare da parafulmine. A furia di ripetermi che ce la farò, rischia davvero di essere catapultato in cima al grattacielo... Quando sono arrabbiata, ho un modo curioso di dimostrare gratitudine verso chi mi sta aiutando.

Quindici km, dieci km... Sei km. Che disastro, che disfatta. Avrei voluto arrivare correndo a braccia alzate... Invece nisba. Pian piano mi convinco che ce la farò: km mancanti e tempo, se la matematica non mente... Avviso Walter che non mi aspetti, sto strisciando come una serpe, ma lui è irremovibile. Meno cinque, meno quattro... E' vero, sarà un arrivo ben poco glorioso, ma cavoli, son pur sempre 202 km camminati tutti sulle mie suole. Le suole delle Hoka, tra l'altro: esperimento perfetto. Giorgio fa del suo meglio per farmi chiacchierare e per ignorare le mie rispostacce. Il mio umore migliora davvero solo in vista degli ultimi cavalcavia... Puro dolore nelle salite e nelle discese. L'ultimo curvone, finalmente la zona del traguardo: ancora qualche giro, qualche svolta e poi... Il rettilineo finale, la folla ai lati che incita come se fossi la vincitrice, lo speaker che annuncia il mio nome... Seconda donna, nientemeno. A correre non riesco proprio più, nemmeno per finta, per onorare la linea del traguardo. Ma almeno adesso riesco a sorridere... Questa volta è stata dura davvero. C'è mancato poco che saltassi per aria... E invece è fatta. E' finita, conquistata! Il prezzo pagato per tutto questo non conta già più... E' troppo bello ricevere i saluti di tanti che sono rimasti apposta per aspettarmi, Michele, Best, Walter... E mi spiace non riuscire a connettere quel tanto che basta a ringraziarli come si deve. Sono troppo confusa.

In attesa di ricevere il mio trofeo, mi accascio sotto un gazebo, in cui vegetano già altri compari di corsa e volti noti. Man mano che la tensione si attenua, faccio più fatica a restare in piedi; mi accascio per terra, con la testa appoggiata alla sedia. Resto così per una mezz'ora, prima di rimettermi in marcia per la più devastante fatica della giornata. L'auto è a qualche km da qui, in pieno centro, e com'è ovvio ci si deve tornare a piedi.

domenica 19 maggio 2013

17 maggio 2013 - LA NOVE COLLI IN BICI... PRIMA DELLA NOVE COLLI A PIEDI

L'anno scorso, qualche mente folle aveva partorito l'idea della doppia Nove Colli: in aggiunta alla Nove Colli a piedi, il sabato e la domenica, una banda di sinistrati, di cui mi onoro di aver fatto parte, ha completato anche la Nove Colli in bici il venerdì. Giusto per mettere le gambe nelle migliori condizioni per la corsa. Quest'anno, l'iniziativa non è stata riproposta... Ma a me la doppietta del 2012 è rimasta impressa come un faticosissimo ma splendido ricordo. Non mi va di rassegnarmi all'idea di rinunciare. Beh, in fondo non c'è problema più semplice da risolvere: vado a Cesenatico giovedì sera, parto venerdì mattina presto in bici... E me la pedalo per conto mio. Per la corsa, sabato e domenica, qualcosa mi inventerò. E sì che quest'anno non ho allenamento decente né per l'una né per l'altra delle due discipline: colpa di vicissitudini varie familiari e lavorative, senza contare l'arrivo del piccolo Pablo, il mio cagnotto paraplegico. Non ho alcuna certezza di riuscire nell'intento, anzi... Ma ci voglio provare.

Il giovedì sera, disgrazia vuole che mi tocchi un'assemblea di condominio, a cui partecipo non come amministratore, una volta tanto, ma come delegata. Per quanto io faccia il possibile per uscire presto, rientro comunque a casa alle dieci: tempo di sistemare la bici in auto e caricare i bagagli, va a finire che mi metto in viaggio mezz'ora dopo. La Zafirona mi porta spedita fin dopo Bologna: qui, però, è bene fermarsi per la notte, quel poco di notte che mi resta da dormire, visto che ho stabilito di partire in bici alle 6 o anche prima. Comodissimo, l'autogrill, per le toilette al mattino e per il caffé; la colazione me la son portata da casa, come tutti gli altri pasti, così come prevede il manuale del perfetto viaggiatore tirchio.

L'indomani, venerdì, sono puntualissima sulla mia tabella di marcia: a Cesenatico, parcheggio di fronte alla Coop, sono le sei del mattino quando salto in sella. Avrei preferito viaggiare con la MTB, attrezzata con copertoncini da strada, ma poi ho optato per la bici da corsa: siccome sabato e domenica la bici dovrà restare incustodita in auto, preferisco non rischiare. Potrei sopravvivere forse al furto della bici da corsa ma non a quello dell'altra bellissima bici.

La temperatura è tutt'altro che tiepida; il cielo bigio non promette nulla di buono. La primavera, quest'anno, latita. Indosso una maglia con le maniche lunghe sotto la maglietta da bici con le tasche; pantaloni 3/4, scarpe in goretex. Il bello di usare pedali "da bici da passeggio", oltre al resto, è che si possono indossare le scarpe da corsa in montagna impermeabili... Oggi mi sa che ne avrò bisogno.
Mi avvio per il primo, lungo tratto di pianura, circa 20 km, prima di arrivare alle colline. Interminabile in bici: mi domando come io abbia potuto percorrerlo a piedi e come farò domani... Traffico, incroci, rotonde, caos, anche in centro a Cesena, dove si stanno disponendo i banchi del mercato. Puntualmente, come sempre a Cesena, sbaglio strada: vado però a finire su una strada che corre proprio ai piedi delle colline; a rigor di logica, proseguendo verso sinistra rispetto alla mia direzione di viaggio in città, dovrei intercettare il percorso giusto della manifestazione. Infatti è proprio così: raggiungo l'incrocio di Settecrociari, svolto a destra per la prima salita, il Polenta. Ormai potrei davvero disegnarle, queste salite, andando a memoria. Ne ricordo ogni metro. Parola d'ordine, oggi, è "prudenza": non importa quale sia la pendenza, io ingrano il rapporto più agile di cui dispongo e vado su così. E guai ad alzarsi sui pedali, guai a forzare minimamente. Ogni guizzo di fantasia di oggi sarà amarissimamente pagato domani...

Sette, otto chilometri di salita blanda per raggiungere il Polenta, là dove, nella gara in bici che si correrà domenica, la maggior parte degli innumerevoli ciclisti – qualcosa come 14.000, mi risulta – sarà costretta a metter piede a terra per l'ingorgo. Sì, in effetti la Nove Colli ormai è declinata in parecchie forme: la classica granfondo ciclistica, che si correrà domenica; la corsa a piedi, che partirà domani a mezzogiorno per concludersi domenica entro le 18; infine la Nove Colli ciclistica notturna, in versione non competitiva, con partenza il sabato sera alle 18.

Il verde intorno è rigoglioso, ma oggi manca la luce; freddo alle mani in discesa. Da Fratta, tocca sorbirsi un tratto di falsopiano abbastanza lungo e noioso prima di raggiungere la seconda, vera salita, quella di Pieve di Rivoschio. Cadono le prime gocce: cominciamo bene... Per fortuna, Giove Pluvio non è ancora così convinto del da farsi. Lungo la seconda salita, affrontata con la stessa cautela maniacale della prima, le gocce si diradano e cessano. Ogni tanto si apre qualche raro sprazzo di azzurro, ma è un attimo. Poco male, io "studio" la strada per domani, come se ne avessi bisogno. A Pieve, brevissima sosta per riempire la borraccia; altra fredda discesa. Ed io che speravo di venir qui sulla Riviera Adriatica, o almeno nei paraggi, e sollazzarmi con un clima un po' meno odioso del prolungato freddo carmagnolese... Ho fatto male i miei conti.

Terza salita, il Ciola; quella che puntualmente, nella gara a piedi, mi infligge la crisi di sconforto. Durante la corsa, ci si arriva all'imbrunire, se si è lenti come me. Una decina di km di discesa, fino a Mercato Saraceno: il Barbotto mi attende. Ed è un guaio, perché qui, per quanto si possa scegliere un rapporto agile, non c'è santo che tenga... Le rampe cattive ci sono, tocca affrontarle. Il cartello al bivio, che descrive le caratteristiche della salita, non lascia speranze. Antopatico, il Barbotto; è vero, la salita propriamente detta è breve, solo quattro km, ma il tratto che segue, prima della discesa a Ponte Uso, è una sequenza di venti km di continue risalite, neanche poi così blande. Tocca cambiare ritmo di continuo ed io non sono certo un asso nei rilanci...

Dal bivio, una decina di km di vera discesa fino a Ponte Uso. Qui, a destra e poi ancora a destra oltre il ponte: quinto colle, Monte Tiffi, davvero brevissimo. Il sesto è il Perticara, già più lungo ed impegnativo: ricomincia a piovere. Ci ha provato un po' di volte, finora, ma questa volta sembra una cosa seria. Metti la giacca, leva la giacca... E basta!

La salita al Pugliano è la mia preferita: lunga, ma mi porta in vista della zona più bella dell'intero percorso, con la Rocca di San Leo che domina parte della salita e l'intera discesa, fin giù all'abitato di Secchiano. Ci si fa, di fatto, il giro intorno: peccato solo per il fondo stradale disastrato per buona parte della discesa. Meglio che io badi a dove metto le ruote, anche perché comincio a percepire un certo qual dolore al soprasella... Meno male che domani almeno quella parte non mi servirà!

Penultima salita, il Passo delle Siepi: poco più di un dosso, direi. Mi ha sempre dato quest'impressione, anche nella corsa. La tragedia è la discesa, però: lunga, quasi sei km, e con l'angoscia del cancello orario in fondo... Oggi però non c'è alcuna barriera. Solo quella del vento contrario nel noiosissimo tratto di falsopiano, quasi venti km, da Ponte Uso all'attacco dell'ultima salita.

Anche il Gorolo non risparmia i garretti. Salita breve, ma con le rampe più severe dell'intero percorso. Mi tocca rassegnarmi al fatto che i muscoli delle gambe restino indolenziti. La discesa successiva, anche qui, per parecchi km è un inganno: tocca risalire di continuo. Il cielo su Cesenatico è plumbeo; il blu del grattacielo si distingue appena... Ma qui non piove più. Con santa pazienza, mi sorbisco gli interminabili km di pianura finali, soprattutto gli ultimi cattivissimi cavalcavia, fino a ritrovare la Zafirona in paziente attesa. Ancora una tappa in panetteria, per procurarmi due tranci di focaccia per la cena; poi via al Campeggio Zadina, già collaudato. Non me la sono nemmeno portata, la tenda; dormo in auto... Quel che conta è avere a disposizione servizi e docce. Ah, dimenticavo, non ho male alle gambe, non ho le gambe stanche, no no. Me ne devo convincere, perché domani a mezzogiorno si ricomincia il giro... Ma stavolta di corsa a piedi.

lunedì 13 maggio 2013

12 MAGGIO 2013 - DI CORSA DA CORTEMILIA A CASA

Appuntamento a Cortemilia, ore 9.30. Non è da me, partire a correre così tardi, o meglio, non lo era, prima che arrivasse Pablo... Ora che nella mia vita c'è lui, tocca adattarsi. E poi, suvvia, da qui al tramonto ho tutta la giornata a disposizione per correre: il buon Matteo, partito in bici da Genova, farà da babysitter al mio piccolo vivacissimo quattrozampe. Speriamo bene: Pablo ha due sole zampe funzionanti, ma in compenso ha tutti i denti in piena efficienza e sta mettendo su un bel caratterino!

Arrivo sulla piazza del paese proprio a filo dell'ora stabilita. Già sono partita in ritardo, per colpa di tutte le incombenze necessarie al mio piccolo canile; in più, lungo la strada mi sono imbattuta in tutte le possibili ed immaginabili lumache motorizzate. Dal momento che non sono una gran pilota, mi limito all'invettiva e raramente mi lancio in sorpasso.
Matteo è già lì, appoggiato alla bici. Facciamo cambio: a lui la Zafira, a me le scarpe nuove per correre, un paio di Hoka One One modello Bondi B, calzature non certo belle all'aspetto ma con una suola spessissima ed iperammortizzata. Ideale per corridori ciccioni dal passo pesante, categoria alla quale mi pregio di appartenere a pieno diritto. Poche frettolose raccomandazioni ed abbandono Matteo al suo destino canino. Non ha neanche idea del favore che mi fa: con Pablo, almeno finché non sarà cresciuto un po', non posso allontanarmi da casa per più di tre, massimo quattro ore; il "piccolo", si fa per dire visto che a soli cinque mesi ha già passato la boa dei 20 kg, non cammina se qualcuno non gli sostiene la parte posteriore del corpo, paralizzata, e si sa che i cuccioli hanno bisogno di sporcare di frequente. Non che per me sia un sacrificio; l'ho voluto io stessa, volando fino a Catania e ritorno per adottarlo, ma una giornata di tregua è un immenso regalo.

Mi avvio di corsa verso Castino. La Zafira mi sorpassa e se ne va: poco più di un'ora e Matteo dovrebbe essere a casa. Speriamo bene, c'è anche mamma, qualcosa combineranno. Oggi dopotutto i cani a cui badare sono solo due, Pablo e Céline che però ha tutte e quattro le zampe in piena efficienza; Skipper, alias Tittone, è in montagna con mia sorella.
Imbocco il viale alberato con l'animo leggero leggero: la giornata si annuncia splendida e calda. Oltre i capannoni, si comincia a salire, con una pendenza accettabile che mi permette di correre sempre; ampi tornanti, tanto verde, un bellissimo panorama sulla vallata ed un'infinità di motociclisti. Passo dopo passo, cerco di capire che intenzioni abbiano, per oggi, i muscoli ed il fiato: amichevoli, pare, per ora. La prossima settimana correrò i 200 e rotti km della Nove Colli, il venerdì in bici in assetto turistico, il sabato e la domenica a piedi in gara: non sono affatto preparata, né per la frazione ciclistica - quant'è che non tocco la bici da corsa? - né per quella a piedi - non ho quasi corso su percorsi lunghi, complice anche il ginocchio ballerino all'inizio dell'anno. Oggi è l'ultimo giorno utile, e pazienza se siamo a ridosso della gara.

Sotto un bel sole limpido e luminoso, curva dopo curva arrivo in vista di Castino, un gioiellino di paese proprio in cima alla collina. Il negozietto nella strettoia, che vende di tutto dal pane ai detersivi, è in piena attività; un capannello di motociclisti sosta sulla piazza. Approfitto della vasca in pietra per bere e riempire la mia piccola borraccia, poco più di un bicchiere d'acqua: è il massimo che io sopporti, in fatto di borracce. Quelle più grandi, siano nello zainetto oppure legate in vita, "ballano"; il camelbag è poco pratico quando si tratta di estrarlo dallo zaino per riempirlo. Meglio andare di borraccetta e fontanelle.

Di corsa giù in discesa; ne approfitto per sgranocchiare una barretta di cioccolato e nocciole. La mia riserva oggi prevede, oltre a questa, anche qualche Mars, nella versione taroccata del Lidl. Il panorama, da quassù, è una meraviglia; colline a perdita d'occhio... Oltre le curve, la vallata del Belbo. Comodissime queste scarpe, anche in discesa: sembra di correre sulla gommapiuma. Solo, devo evitare di trascinare i piedi rasenti al suolo com'è mia abitudine; con le suole così spesse, inciamparsi è un attimo.
Al ponte sul Belbo, giro a sinistra, in direzione di Bosia, e riprendo a salire, sempre corricchiando, per un chilometro o poco più, fino al bivio per una delle stradine note come "Salite dei Campioni", quella dedicata a Marco Pantani. Breve discesa fino ad attraversare il fiume: ci sono, qui, alcune bellissime case con giardini su cui lascio il cuore... Sarebbe un posto stupendo per i miei beniamini pelosi. Vecchi casali ristrutturati con ottimo gusto, senza svolazzi di architetti dalla fantasia troppo produttiva. Immagino che qui regni la quiete; probabilmente non ci arrivano nemmeno i temibilissimi Testimoni di Geova. Mi turberebbe un po' solo la presenza del Belbo a pochi metri, visto che siamo nel fondo dell'incavo. Ma basta inerpicarsi un po' su per l'aspra salita, per imbattersi in altre abitazioni altrettanto rustiche, belle, dall'aspetto solido. Quassù l'acqua non arriva, almeno dal fiume. Ma il fianco della collina terrà? A giudicare dalle crepe nella strada, anche qui ci sarebbe da riflettere... Beh, insomma, Carmagnola è indubbiamente una vera schifezza per viverci, ma bisogna ammettere che ha i suoi lati positivi; piatta pianura, niente smottamenti, niente valanghe, alla peggio qualche cantina allagata. Ma il cambio con uno di questi cortili, di questi fienili ormai vuoti, di queste vecchie case affacciate sulla vallata lo farei volentieri.

La pendenza qui è troppo severa per correre. Sulle rampe, cammino di buon passo, tra ricci di castagne e foglie secche che pare autunno, se non fosse per la luce e la temperatura mite. Non c'è anima umana qui nei dintorni; si sente solo il latrato dei cani. Curve e ancora curve nel fitto del bosco, la strada sempre più stretta e la vegetazione che fa una bella ombra, fino a sbucare su, in alto, in vista di Lequio Berria. La salita è ancora lunga ed irregolare, alterna strappi cattivi a tratti quasi in piano in cui mi impongo di correre. Ho finito la scorta d'acqua; bisogna che passi dentro il paese, per vedere se c'è una fontanella. Il sole è ormai quello del mezzogiorno passato da poco. Peccato che non ci sia ancora nemmeno una ciliegia, né una mora...

A Lequio è il coprifuoco. Mi infilo in paese su per una strada che passa tra ville e villone parecchio pretenziose, passo in centro paese; neanche l'idea di una fontanella. Forse più su, verso la chiesa... Ma non ho voglia di far deviazioni. Incontro un paio di anime nel silenzio assoluto; proseguo, sono già fuori dell'abitato. Un ciclista ha tutta l'aria di essere alla ricerca, pure lui, di acqua... Si aggira perplesso, poi riprende la strada principale e se ne va. Lo seguo e vado a sbucare sulla strada alta che va verso Bossolasco. Anche qui, niente fontanella; in compenso, un tripudio di motociclisti d'ogni ordine e grado.

Mi avvio a sinistra, in direzione di Albaretto Torre e Pedaggera; supero la rotonda, proseguo lungo il tratto quasi in piano. Incontro anche qualche ciclista. Quassù una leggera brezza mitiga la temperatura; il sole, di per sé, è limpidissimo e caldo. Il parcheggio della trattoria alla rotonda è colmo di macchinoni: mamma mia, mi vengono i brividi all'idea di spendere una giornata così bella con le gambe sotto il tavolo... Per la verità, non spenderei così nemmeno una giornata uggiosa di pioggia. Piuttosto, come si suol dire, "pan e siula a mia cà", pane e cipolla a casa mia, posso mangiare con lo stile del suino nel trogolo senza che nessuno mi guardi schifato.

Chissà come se la cava Matteo a casa con Pablo? Mah, non è il caso che mi preoccupi... Lui se la cava sempre. Speriamo non gli tocchi sacrificare qualche falange. I dentini del piccolo sono micidiali...
Leggera risalita verso Pedaggera. Anche i tavolini del bar al bivio straripano di avventori, motociclisti stavolta. Giro a destra, direzione Roddino. Qui il caldo comincia davvero a farsi sentire: la borraccia, sempre desolatamente vuota... Supero la borgata di Cerretta, con la chiesa. Da qui a Roddino saranno all'incirca quattro km, prevalentemente in discesa. Forza e coraggio! Il panorama di Langa è stupendo, colline a perdita d'occhio e le Alpi sullo sfondo. Supero il bivio per Valle Talloria; un paio di tornanti, i ruderi di vecchie costruzioni in mattoni, lo scheletro spezzato delle travi dei tetti. Un chilometro di risalita, più o meno, per giungere in paese; lungo il rettilineo ci sarebbe l'area picnic con la fontanella... Chiusa. Ovvio. Proseguo verso l'abitato; anche lì, basterebbe cercare con un po' di pazienza, non può non esserci una fontana, ma preferisco tirare dritto. E' lungo, il viaggio... Ottanta, ottantacinque km, mal contati; ora che più o meno ho delineato il mio itinerario, posso azzardare una stima. E allora avanti. Dalla trattoria arriva qualche saluto gaio: mi sa che l'alcool è già entrato in circolo.

Imbocco la strada per Serralunga d'Alba. Se non ricordo male, poco oltre il bivio dovrebbe esserci una chiesetta... Ed una fontanella. Infatti: una mini area picnic, due tavolini e due ciclisti non più giovanissimi, dall'aspetto decisamente nordico, seduti sulla panca in pietra. Ci salutiamo, poi mi tuffo sulla fontanella: finalmente, qui l'acqua c'è. Bevo a garganella, stile assetato nel deserto: quando riparto, sento la pancia gonfia come un otre ed un sonoro "blub blub" a ritmo con i miei passi.
Lunga discesa in vista del bellissimo castello di Serralunga e, purtroppo, dell'orrido edificio di una "spa"... Pensare che, per me, le SPA sono sempre state nient'altro che Società Per Azioni. Beata ignoranza. Le SPA sono anche centri benessere o qualcosa del genere, immagino ipercostosissimi. Quello che si vede da quassù è un obbrobrio edilizio, un informe ammasso di cemento che deturpa la collina quasi quanto le distese di pannelli fotovoltaici. Spero che un provvidenziale terremoto, prima o poi, faccia giustizia di cotanto scempio...
Breve risalita, ma tosta, sotto un bel sole caldo. Arrivo in paese, sorvegliato dall'imponente mole del minaccioso castello. Sulla piazza c'è un'altra fontanella ma... Chiusa, anche questa. Possibile? In Langa sono diventati tutti parsimoniosi con l'acqua? E vabbuò, pazienza, vorrà dire che non avizzirò per questo... Forza e coraggio, si scende verso Gallo. Le gambe cominciano a dare segni di cedimento e fiacca esistenziale. Anche qui, folla in trattoria: mi par di capire che ci siano pranzi di prime comunioni o cresime... Mamma mia, doppio brivido, e per l'idea della giornata sprecata tra i bagordi, e per l'aspetto religioso che mi fa orripilare. Via di qua!

Splendido panorama su Castiglione Falletto, Novello, La Morra. Compensa un po' il male alle gambe. Peccato dover scendere giù a fondovalle: sul rettilineo davanti alla Tenuta Fontanafredda, il sole si fa cattivo ed il venticello scompare; il primo caldo è traditore; fiacca il passo ed il morale. L'asfalto riverbera i raggi e scalda per bene i piedi. Già, a proposito, le Hoka sono decisamente un bel progresso! Nonostante tutto, si corre sulla gommapiuma...
Gallo, gli stabilimenti e lo spaccio della Mondo. Sulla mia traiettoria, niente fontanelle. Il che significa che non avrò acqua fin su a La Morra. Eh ben, pazienza, da qui saranno sei o sette km. Avanti, forza e coraggio. Passo sotto la tangenziale; affronto il subdolo falsopiano in salita fino a Santa Maria: attraverso un paio di correnti di olezzo di braciole; come sempre, il mio stomaco non sa di essere vegetariano e reclama il giusto contributo. Posso dargli un Mars... Senz'altro più godurioso di una braciola.

Il passo è sempre più stanco; la sete si fa sentire. La rampa di Santa Maria mi costringe a rallentare l'andatura già allo stato di bradipo; riprendo a correre subito dopo. La tentazione sarebbe quella di imboccare il sentiero segnato poco più avanti dal cartello in legno, ma... Andrà a La Morra o altrove? Meglio non fare esperimenti. E' già lunga. Continuo a salire tra i vigneti; mi rassegno al passo veloce quando la pendenza aumenta. A proposito di acqua; ne scorre parecchia nel fosso a lato strada. La terra è impregnata di tutta la pioggia dei giorni scorsi; si formano rivoli e rivoletti. Peccato per la monnezza ovunque distribuita.
L'agognata rotonda... Ancora un chilometro di salita, più o meno. Invidio chi va su con la bici... Sì, ok, lo ammetto, sono in crisi. Ho bisogno di acqua e di una pausa. Arrivo su in piazzetta un po' stravolta: della folla che anima il paese mi accorgo appena... Ci dev'essere un mercatino o qualcosa del genere. Il mini giardinetto con la fontana è affollato: attendo paziente il mio turno, dando fine al Mars che ho addentato giù a Gallo. Poi mi attacco alla fontana, sognando che ne esca Moscato. E' solo acqua, ma va bene lo stesso...

Dinuovo con la pancia tesa come un tamburo. Si torna a scendere, mentre il cioccolato entra in circolo. Da qui potrebbero mancare circa quaranta chilometri; tanti, è vero, ma non impegnativi come i precedenti. Fin quasi a Pollenzo, la gravità aiuta; mi spiace salutare i vigneti, chissà quando potrò tornare a vederli. Con Pablito, la mia libertà di movimento è parecchio sacrificata... Bando alla tristezza, non è lui che ha cercato me, sono io che ho voluto lui, quindi non mi posso lamentare. La mia terza, piccola, pelosissima ragione di vita...

Il Tanaro è gonfio da fare impressione, placido, grigio. Supero con fatica e repulsione il brutto rettilineo fino a Pollenzo: qui, inattesa, una fontanella che ormai fiuto a distanza. Pieno alla pancia ed alla borraccetta, una sciacquata alla faccia; altro rettilineo penoso, fino al semaforo di frazione Macellai di Pocapaglia, poi finalmente si torna a salire un po'. Niente di che, ma sufficiente a rompere la monotonia del percorso piatto, che le zampe ormai faticano a sopportare. Direzione Pocapaglia, mentre qualche nuvoletta attenua il sole che oggi mi ha fatto davvero un bel regalo. Peccato per il traffico di auto e moto... Supero la colletta, giù in discesa, due tornanti ed un lungo tratto di piacevole falsopiano, che poi inverte la pendenza al bivio per Valle Rossi. Poco più di un chilometro tra belle cascine, fino al bivio per Sommariva Perno, con le sue cattivissime rampe che nemmeno provo ad affrontare di corsa. Ne approfitto per telefonare a casa e farmi dare notizie dello zoo... Tutto tranquillo, pare. Imbocco la ripida stradina centrale per salire su in paese: sulla piazza grande del Municipio, altra sosta alla fontanella. E un altro Mars, l'ultimo, giuro...

Riprendo a correre. Sarà che ormai sento la vicinanza di casa - poco più di venti km, passando per vie in parte traverse - ma sento i muscoli sciolti e scattanti. Ok, per un po' si viaggia in discesa, ma lasciatemi l'illusione... Giù di gran carriera fino al bivio per Baldissero; peccato solo per lo zainetto che ha preso a scorticarmi la pelle del collo con lo spallaccio. E vabbuò, soffrire un po' non fa mai male... Ciò che non uccide fortifica!

Matteo ha promesso di venirmi incontro in bici. Chissà se riesco ad arrivare a Ceresole prima di incrociarlo? Allungo il passo, senza problemi, con mia sorpresa. Qui sullo stradone è meglio fare in fretta e levarsi il prima possibile. Ormai fa sera. Un losco figuro in lontananza... La sagoma è proprio quella: eccolo in arrivo, Matteo, con la bici zavorrata. La lattina di tarocco Red Bull, quanto l'ho sognata! Me la bevo tutta d'un fiato, in un attimo, per evitare di fermarmi e compromettere lo stato di forma delle gambe. Della serie, finché la barca va... Matteo mi accompagna per un breve tratto, raccontandomi gli eventi della giornata da babysitter. Non pare nemmeno troppo sconvolto! E le falangi sembrano tutte al loro posto. Però non sono tranquilla che lui viaggi affiancato, qui con questo traffico e con la luce incerta della sera. Tiro un sospiro di sollievo quando lo vedo allontanarsi nuovamente verso casa. Farà fare un'altra breve passeggiata al piccolo Pablo, che ha bisogno di uscire ogni tre ore, poi ripartirà a piedi, di corsa, per raggiungermi negli ultimissimi km Pover'uomo: prima in bici da Genova a Cortemilia con partenza nella notte, poi una giornata intera a badare al mio zoo, poi ancora bici, infine la corsa... In mezzo, un cambio di ruote alla mia Zafira e chissà quante altre incombenze sbrigate. Casa mia è un perenne cantiere; dovunque ti giri c'è qualcosa da sistemare. Non so nemmeno come dirgli grazie: ad una settimana dalla Nove Colli Running, un allenamento come quello di oggi per me è fondamentale, non tanto dal punto di vista fisico - per quello ahimè non sono preparata a dovere, proprio no - ma da quello morale. E' andata benissimo! Anzi, sta andando benissimo, non è ancora finita.

Supero Ceresole ormai al tramonto inoltrato. Indosso il giacchino rifrangente, faccio sparire la banana che Matteo mi ha portato come rifornimento e... Gambe in spalla, l'ultimo sforzo: di corsa lungo la strada principale per Carmagnola, poi deviazione lungo la stradina parallela che attraversa la frazione Borretti. Telefono a mammà: le dico di partire a piedi e venirmi incontro; occhio e croce, dovrebbe riuscire a percorrere un paio di km da casa prima che io la incontri. Via, più veloce possibile, senza però superare quel labile confine con quel senso di debolezza improvvisa che mi fa girar la testa quando esagero. Una dopo l'altra, mi lascio alle spalle le cascine della strada di campagna verso casa. Sul cavalcavia dell'autostrada, una sagoma si delinea nella penombra: anzi, due sagome... Matteo e la mia adorata Céline! La chiamo, riconosce la voce, mi scodinzola, mi fa le feste. Che bello vederla... Prendo il guinzaglio e proseguo; poco più avanti, ecco l'ultimo elemento del branco, mammà. Fine, per oggi, della mia corsa. Indosso la giacca e proseguo al passo in sua compagnia; Matteo e Céline mi precedono verso casa. Mezz'ora e ci arrivo anch'io. Ultima passeggiata con Pablo, che sarà pure cucciolo ma pesa come un macigno: con questo, ho esaurito le energie. Pappa e poi tutti in branda... Tra una settimana, Nove Colli Running!