Nauders è talmente piccola che basta una trentina di ciclisti, con accompagnatori al seguito, qualche fotografo, un palco ed un microfono, a creare il caos. Sono le undici del mattino e dalla casetta dove alloggiamo Alex ed io, con i nostri accompagnatori, si sente già il brusio. Son qui che friggo, guardo di continuo l'orologio del campanile; se fosse per me, sarei già giù in piazza da un bel pezzo!
Sono agitata per la gran voglia di partire, ma questa volta non riesco ad avere paura. Sarà l'esperienza dell'anno scorso, sarà la consapevolezza che quelle benedette 32 ore di tempo massimo sono troppo poche per me, anche se facessi i miracoli; sono qui per partire, pedalare, viverla, questa corsa, comunque vada a finire. Ovvio che ce la metterò tutta, per me stessa e per gli amici che si sono presi la pesantissima briga di seguirmi fin qui e che si preparano a vivere un giorno e mezzo, a mio parere, ben più terribile di quello che affronterò io!
Fisso la stradina d'ingresso alla casa come se fossi ipnotizzata. Allora, andiamo o non andiamo? Vado avanti e indietro, con impazienza e sguardo interrogativo, come il mio cagnone quando mi preparo per portarlo a spasso ma cincischio un po' prima di aprire la porta. Finalmente anche Alex esce di casa: foto di rito agli "atleti" (le virgolette sono per me, mica per lui che è un atleta sul serio) e poi ci avviamo verso la partenza, che dista ben due isolati da lì. La minuscola via centrale è gremita di ciclisti e di gregari motorizzati. I ciclisti fan paura: molti sono secchi secchi, tiratissimi; vedo visi bruciati dal sole, sguardi durie fermi di chi è consapevole del proprio valore, divise linde e perfette per il giusto risalto agli sponsor, bici ipertecnologiche che dovrei vendere un paio di reni per poter comprare, ruote in carbonio, ruote ad alto profilo, ruote a razze. Non parliamo poi delle auto al seguito, veri e propri laboratori di cucina-meccanica-pronto soccorso semoventi. Vedo una delle altre donne in gara, piccolissima, magra come un chiodo, peserà più o meno quanto una mia chiappa; porca miseria, questa mi mangia in insalata, et voilà! Per fortuna c'è anche qualche collega dall'aspetto più umano, qualcuno che sul viso lascia trasparire un velo di timore e preoccupazione. C'è Neria, alla prima esperienza, visibilmente tesa nonostante la garanzia di un gregario eccezionale, Rudolf, un veterano di questo genere di corse al massacro. C'è un ciclista vestito di giallo, con strani calzettoni bianchi lunghi fino al ginocchio. Poi c'è Marco, simpaticissimo ciclista di Imola, una forza ed una simpatia innate. Proprio lui che ieri sera, alla cerimonia di presentazione, è salito sul palco ed ha detto di voler fare la RATA con i suoi 90 kg di morbidezza! Alla faccia di tutti gli scheletri bionici presenti in sala!
Ci sono amici, curiosi, turisti frastornati dalla confusione, che ci guardano un po' come si guardano gli animali del circo chiusi nelle gabbie: beh insomma, squilibrati lo siamo, senza dubbio, ma non siamo certo pericolosi per il nostro prossimo: facciamo del male solo a noi stessi!
I big pedalano avanti e indietro per la via centrale: si vede, chi è che ha un talento... Gli altri, me compresa, si guardano bene dall'idea di sprecare anche solo mezza caloria che non sia assolutamente indispensabile spendere! Le ruote a razze della bici di Vandelli, uno dei pezzi più grossi nonché candidato alla vittoria, mi fanno un effetto quasi ipnotico.
La giornata è calda, serena; cielo blu che esalta la bellezza di questa splendida bomboniera che è Nauders. Sembra un paese da favola, lindo, ordinato, in mezzo a pendii e boschi verdissimi i cui contorni sembrano delineati con squadra e righello, tanto sono perfetti.
Alex ed io ci accomodiamo sugli scalini d'ingresso al supermercato. Manca più o meno un'ora di tempo, che trascorreremo a chiacchierare e sghignazzare con i nostri assistenti, un buon modo per stemperare la tensione. Guardo di sottecchi Alex, mi fa immensamente piacere vederlo tutto sommato sereno: ha passato una notte d'inferno per il mal di pancia; ancora stamattina si sentiva ovviamente molto debole, fiacco, oltre che preoccupato e demotivato per la corsa. Non so dove abbia trovato il coraggio, ma adesso è qui, partirà, ed è questo che conta. Stefano, uno dei suoi amici, ha un talento tutto speciale per farci ribaltare dalle risate: quasi non mi accorgo che sia già ora di andare!
Uno dei boss della corsa, un omone burbero con i baffoni grigi, mi fa un cenno: via, tutti in posizione di partenza. Beh, non c'è che dire, non mi capita spesso di partire per una gara in bici dalla prima fila. Tralasciamo il fatto che dietro ce ne siano solo altre due o tre... Una trentina di persone in tutto. Un tizio con il microfono continua ad assordarci con un discorso in tedesco iniziato un'ora fa, di cui avrò compreso si e no dieci parole; tutt'intorno, flash dei fotografi, applausi, incitazioni in ogni lingua, il sole di mezzogiorno che continua a picchiare sulla capoccia. Sono emozionata, direi, il giusto: tutto questo è un già visto, l'ho vissuto esattamente identico un anno fa ma mi sembra ieri, è incredibile ma sono qui, ancora una volta. Il conto alla rovescia: dieci, nove, le mani che tremano, otto, sette, Andrea là avanti che mi chiama perché guardi l'obiettivo della fotocamera, sei, cinque, sguardo d'intesa e di incoraggiamento con Alex e con Neria, quattro, il copertone anteriore è a posto, tre, due, uno, via, si parte. Qualche curva nel paese, qualche tombino e via al galoppo verso il Passo Resia, pochi km verso il confine italiano. Lo sapevo già: son partiti tutti come dei pazzi, mi superano a grappoli. Riesco a restare a malapena in vista del gruppone per qualche km, poi fine, lo vedo sparire all'orizzonte. Ma che senso avrebbe? Già così ho le gambe di legno ed il cuore che scoppia; all'inferno tutti loro e la loro andatura controllata fino a Spondigna, ci sono 500 e passa km prima della fine, a cosa serve dannarsi l'anima qui?
Con la gola in fiamme, metto un rapporto più morbido, rallento l'andatura. Il falsopiano lungo il lago di Resia è interminabile, per me che odio questo tipo di percorsi. Poi mi tocca anche fare lo slalom tra le auto in colonna... Per un pelo, anzi, non ne tampono una! Maledetto il mio vizio di pedalare senza guardare dove metto le ruote. Arranco, sbuffo, arrivo finalmente al punto in cui inizia la discesa verso Spondigna. Discesa per modo di dire: in realtà, è un lunghissimo tratto con pendenza blanda a favore ma molti punti in cui si risale. Insomma, uno spaccagambe non da poco, reso ancor più duro dal caldo asfissiante del fondovalle e dal traffico intenso del giorno feriale.
Ad un semaforo rosso, raggiungo Neria che è partita come un razzo: i nostri rispettivi equipaggi sono già vicini. Lei mi stacca sulle salitelle: cavoli, pedala davvero bene! Lungi da me ovviamente l'idea di inseguire; il resto del mondo per me non deve esistere; l'unica avversaria per me sono io stessa!
Dopo trenta e passa km ed un buon numero di santi abbattuti, arrivo finalmente a Spondigna. Si sale, meno male. I primi dieci km, all'incirca, sono una bella tragedia: la strada sale ma poco; il sole picchia cattivo; la sensazione è di peso e di mancanza d'aria. I miei angioletti custodi sono anche troppo assidui: mi superano e si fermano ogni pochi metri. Penso, ma se hanno intenzione di far così per tutta la corsa, impazziscono loro e pure io! Mea culpa, come al solito mi sono presentata a questa corsa più disorganizzata che mai: non ho nemmeno provveduto a spiegare loro com'è che di preciso si devono comportare; non posso certo pretendere che se lo inventino!
Fino a Trafoi, soffro tanto, troppo, come al solito. Sento tanta fatica in più di quella che sarebbe normale accusare su questa pendenza. Poi, ai primi tornanti seri, mi si apre il cuore: da qui, sembra di prender le scale, si va su in un attimo; la salita c'è, ma è vivace, in mezzo al bosco, dà respiro nelle curve, mi raccoglie dal fondovalle ed in un attimo mi porta sulla soglia di quel paradiso che è la vista sul ghiacciaio, sul Passo dello Stelvio, sulla strada che sembra posata sui prati come un cavo arrotolato. Appena fuori dal bosco, mancano ancora tanti km, ma non mi pesano per nulla se solo alzo il naso. Andrea e Roberto, fedelissimi ed ancora freschi, scattano foto e mi riempono di continuo la borraccia: Coca Cola, per adesso, non voglio vedere altro.
Lassù in alto c'è un'auto scura che segue lentamente un puntino chiaro: sarà Neria, probabilmente. Cavoli che vantaggio che ha! Lei che diceva di non essere allenata...
Pian piano arrivo verso la cima: -4, -3, continua a fare molto caldo, ma quassù è gradevole. Come sempre, io inizio a sentirmi bene quando la quota si fa più elevata. A fondovalle soffro e sbuffo, a 2700 mt salgo benissimo.
Ore 15.48: in cima, chiudo il gilet, tiro su i manicotti e via. Andar giù verso Bormio mi crea sempre particolare ansia: è una discesa che mi preoccupa molto, mi dà la sensazione di vuoto, soprattutto dopo l'incrocio con la strada che sale dall'Umbrail. Lancio un'occhiata alla dogana: speriamo di vederci, domani sera! Le nuvole su in cielo sono sempre al loro posto: oggi pare proprio che non voglia fare nemmeno un temporaluccio! Scendo, ahimè, tirando troppo i freni, anche se un po' meno del solito; la fida Multipla di Robi mi illumina le gallerie quasi buie e strette.
A Bormio, mi libero in fretta dal traffico cittadino ed imbocco la strada verso il Gavia. Anche questa è una salita che, fino a Valfurva, patisco molto: stradone largo, dritto, senza tornanti. Andrea mi dice che Neria è due minuti avanti: mi fa piacere, ma, davvero, inseguire non è cosa che mi interessi... Bado piuttosto a risparmiare il più possibile, anche se mi sentirei di andare di più. Non so perché, ma continuo ad avere la sensazione di "troppa fatica": meglio essere prudenti. Mangio qualche barretta, sempre le mie Enervit Power Sport: dovrebbero farmi uno sconto quantità! Non si può dire che siano buone, ma riempono bene. E poi, Coca Cola a fiumi: è indescrivibile il piacere della prima sorsata frizzantissima, anche se poi ovviamente nella borraccia il gas se ne va.
I miei angeli custodi si sfogano con le macchine fotografiche. Intanto io arrivo al punto in cui la strada, dopo un paio di strappi secchi, svolta a sinistra e si avvia verso gli ultimi cinque km del passo: qui incontro Neria con la sua squadra.
Manca poca fatica, ormai, al Gavia; qui la pendenza non è più sostenuta, anzi, si sale e si scende, siamo già alla quota giusta. I laghetti, il passo, poi giù.Ore 18.45. La giacca non serve, basta anche qui il gilet. Raccomando ai miei amici di seguirmi da vicino nella galleria buia: richiesta eseguita alla perfezione! Poi giù, via, con un briciolo di sicurezza e di entusiasmo in più, supero la mia avversaria e giungo abbastanza in fretta alla risalita di Ponte di Legno, complice anche un asfalto eccellente lungo quasi tutta la strada. Due ciclisti in MTB danno prova evidente della loro eccezionale abilità di discesisti: fantastici! Se solo potessero donarmene un po'...
La salitella mi mette davanti al problema: le gambe sono dure, troppo dure per aver fatto solo due salite! Anche se quelle due si chiamano Stelvio e Gavia. Urge rimediare. Mangio una barretta, chiedo una busta di Nimesulide e me la sbafo, innaffiandola con la Coca Cola: povero stomaco, un trattamento assassino, ma non posso stare a far sottigliezze qui adesso!
La discesa su Edolo è forse l'unica che riesco a fare in maniera decente: sfido, è un'autostrada! Con Robi ed Andrea sempre dietro, posso anche permettermi di tagliare qualche curva un po' più del consentito. Poi da Edolo verso Aprica: suggerisco loro di andare ad aspettarmi in cima e riposarsi un po', ma non c'è verso, sono sempre dietro di me. Mi dispiace, cavoli, si annoieranno a morte, oltre ad infliggere un trattamento barbino alla povera Multipla! Ma sono grandi, sanno quel che fanno, non devo certo preoccuparmi per loro. Per me stessa, sì... Solo che mi sforzo di non pensarci, alla corsa, alla notte che sta per arrivare, a tutti i km che ancora mancano. Gian, come sempre, una salita per volta, una per volta, e quando sarai in cima penserai alla prossima.
Ad Aprica, alle nove in punto, mi fermo per la prima volta per più di dieci secondi: mangio un po' di frutta secca, metto il gilet e giù dietro a Neria che mi ha appena superata. Qualche km, poi uno dei giudici di gara ci fa deviare verso una minuscola stradina sulla sinistra. In teoria, la strada diretta verso il fondovalle è chiusa per lavori, anche se gli sbarramenti non ci sono più: porcaccia miseria, se solo non ci fossero stati i boss, io avrei tirati dritto. L'aveva detto anche Gernot, il capoccia della manifestazione, ieri: "Se trovate aperto, tirate dritto". Perché infliggerci ancora questa inutile sofferenza? Comunque, inutile recriminare; s'ha da fare, si fa. La stradina, roba da lupi, si inerpica su per la montagna con un paio di strappi mica da ridere; gli incroci con le altre auto, per le nostre squadre, sono tutt'altro che una passeggiata. Perdo Neria che va più forte di me; poi la discesa, con tante curve strette e fondo ignobile, buche, fessure. Adesso è sera; più tardi mi toccherà ripassar di qua a notte fatta, andiamo bene. Finalmente arrivo all'incrocio con la strada statale che va a Bormio; almeno quindici km trafficatissimi da lì a Tirano, che io percorro come una lumaca perché, come sempre, non sono proprio capace di pedalare in pianura. Robi ed Andrea sempre vicinissimi dietro; provochiamo l'ira funesta degli automobilisti e camionisti a cui tocca superarci, ma, per una volta, rinuncio alla mia abituale reazione di sollevamento del dito medio: non vorrei dovermi ritirare dalla RATA per rissa... Mi distraggo mangiando barrette e frutta secca e bevendo a garganella, ma la sofferenza qui è davvero tanta. Non parliamo poi del drittone che da Tirano porta verso Lovero e l'attacco del Mortirolo: da incubo!!! Traffico, gambe dure, sensazione di non farcela più.
Il bivio per il Mortirolo è una liberazione: la temo ed insieme la adoro, questa salita. 34x29, subito, fisso, e via, rampa dopo rampa, al buio. La Multipla mi segue... Ma che siano impazziti? Seguirmi qui, alla mia velocità? Ma fonderanno tutto! Sento il lamento sordo del motore, speriamo bene. Oh, insomma Gian, ti vuoi preoccupare un po' dei cavolacci tuoi? Sapranno loro come fare, no?
In uno dei tornanti, alzo la testa e vedo l'auto di Neria, e lei stessa poco avanti. La sorpasso nel tratto duro indicato al 18%, la incito, ma non la vedo ripartire: in effetti, da qui in poi non avrò più notizie di lei. Proseguo, faccio una fatica ignobile, ma è troppo bello qui, il silenzio, la luce che illumina a malapena la linea di bordo strada. Quasi temo la prima allucinazione quando incontro due persone che stanno appendendo un lenzuolo decorato a due alberi: i nostri sguardi si incrociano, ciascuno a cercare la follia negli occhi dell'altro, ciascuno a chiedere all'altro "Ma che /&$&% ci fai qui a quest'ora di notte?", ma è un attimo, poi tiro dritto per la mia strada. Rampa dopo rampa, mi sento bene; Andrea commenta la salita impressionato e, ahimè, ha ragione! Però ormai questa è mia, l'ho percorsa un sacco di volte, non la temo più. Ancora rampe, guardo le quote delle varie frazioncine, sto salendo molto in fretta: merito della pendenza, mica mio! Poi, un muggito mi fa capire che sono ormai alla fine; arrivo al prato, due tornanti ed infine il cartello. Ore 11.45, arrivo in cima madida di sudore, maglietta e gilet completamente zuppi; faccio una sosta tecnica mentre gli angeli custodi mi preparano i rifornimenti e mi sistemano la bici. Indosso per la prima volta la giacca: la discesa adesso è fredda, non devo fare la cavolata di scendere senza coprirmi. Scendo piano perché qui la strada è molto ripida; meno male che una buona mano mi arriva dai fari dell'auto. Intanto, per distrarmi, penso ai prossimi colli, penso ad Alex che chissà a quest'ora dove è già, penso anche che i primi non mi hanno ancora doppiato... E non lo faranno! Sono andata meglio dell'anno scorso, finora, molto meglio. C'è anche da dire che il meteo è stato propizio, stavolta non ha piovuto.
Sono dinuovo ad Edolo: via la giacca, altra salita ad Aprica, auto sempre al seguito. Sono molto combattuta: da una parte, mi sento bene, spero di poter fare bene oggi, anche se lungi da me l'idea di arrivare alla fine nelle 32 ore; dall'altra, però, i primi segni di stanchezza sono evidenti. Ripasso i km ed il dislivello già fatti, e quelli ancora da fare, ma mi sforzo di non fare pronostici. Dovrei saperlo, che le crisi vanno e vengono mille volte. Prima o poi ne arriverà una, devo essere pronta. Ad Aprica sono le 2.35, notte fonda, gilet e via. Fa davvero caldo stanotte. Questa volta, per grazia del direttore di gara, si scende per la via diretta: cosa che, sul Mortirolo, avevo già preso la decisione di fare comunque.
Altra tirata, una decina di piattissimi km verso Tirano: mangio e bevo in abbondanza, sempre le mie barrette, perché il Bernina è una brutta bestia. Qui la cotta arriva, ne sono più che certa; me l'aspetto, come l'anno scorso, perché la salita è lunghissima, interminabile. Salgo piano, sempre piano, sempre 34x29 anche dove non sarebbe necessario; intanto tracanno la prima di una lunga serie di dosi di Red Bull. E' ancora buio pesto quando passo la dogana; guardo le case addormentate,le insegne spente, poi pian piano arrivo al lago ed approfitto del falsopiano per attaccare un gel. Dopo Poschiavo, inizia la vera salita verso la parte alta della valle: la pendenza non è mai minacciosa, ma so che qui soffrirò. Il cielo comincia appena a farsi chiaro, si delineano le cime e le nuvole, uno spettacolo da favola. Speriamo che i gregari non risparmino sulle foto! Poveretti, li vedo un po' provati... Come dar loro torto? Mi sa che si sono già pentiti di aver dato adesione! Spero almeno che riescano a riposare un poco, per quanto possibile.
Chiedo il lettore Mp3, mi godo il momento magico dell'alba che viene su e nelle orecchie una canzone meravigliosa di Michael Bolton, "Said I loved you but I lied": pazienza se qualcuno mi dirà che non so ascoltare il silenzio della montagna, ma lo sto già ascoltando da diciotto e più ore e ne ho le scatole piene! E poi devo vincere questo sonno che mi sta assalendo, questa stanchezza, la crisi che aspettavo ed è arrivata, con tutto il suo strascico di pensieri tragici. Mi sento tanto fiacca: manca ancora un'eternità... Dopo un'eternità di tempo, con un venticello freddo che mi fa chiudere il gilet e tirare su i manicotti, arrivo alla dogana per Livigno; da qui manca ancora qualche km e qualche tornante. Cerco di pensare che Il Bernina è una meraviglia, vero, ma non basta a consolarmi. Bando alla tristezza, sono le 7.10, adesso si scende a Pontresina e poi si va a La Punt. Che sofferenza in discesa: il sonno la fa da padrone; mi sforzo di mantenere la concentrazione, ma gli occhi si chiudono e, quando anche non si chiudono, per qualche istante non vedono nulla, il cervello stacca la spina. Quante volte mi tocca correggere la traiettoria d'improvviso!
A fondovalle, pochi km piatti mi portano a La Punt ed al bivio per l'Albula. Salita molto corta ma cattiva: per fortuna, almeno il paesaggio è paradisiaco. Sento sempre più fatica, ma la sensazione è di cavarmela abbastanza in fretta, complice il panorama mozzafiato della neve e dei laghetti. Albula, 8.56, come sono precisi i miei efficientissimi custodi!
Altra discesa da piangere, altro assillo del sonno. Alzo il volume della musica, provo a cantare anch'io, benché mi dispiaccia arrecare un simile danno all'ecosistema... Però non basta, la sensazione di equilibrio, già precaria, è definitivamente compromessa; freno troppo, molto più del necessario, mi sento molto confusa. Bene o male, però, alla fine ci arrivo: svolto per Davos... E qui commetto un errore fatale. Qui c'è una quindicina di km di strada che sale, blanda, con lunghi tratti di falsopiano. Dall'anno scorso ho un black out: non ricordo nulla, assolutamente nulla di come sia fatto il Flüela Pass. Nulla di nulla, il vuoto assoluto. Da qui la fregatura: senz'altro il Flüela è questo... Già, non mi sono nemmeno presa la briga di fissarmi in mente la successione di passi e paesi; altrimenti, mi sarebbe stato facile dedurre che, se Davos è prima del passo, e se qui mi trovo prima di Davos, questo non può essere il passo!!! Arrivo al termine di questa salita ignota, talmente convinta che non chiedo nulla ai miei amici, e giù in discesa. Orrenda galleria di quasi tre km in falsopiano in salita almeno per metà e, soprattutto, gelida; da qui, memore di una cotta micidiale nell'edizione 2007, percorro i cinque o sei km verso Davos con la massima cautela, attenta a non spendere mezza caloria più del necessario. E continuo a strafogarmi di barrette, Coca Cola, Red Bull, con qualche intermezzo sano dato dai panini al miele che mi preparano i fedelissimi.
A Davos... Il dramma. Alzo la testa, vedo un cartello, direzione Flüela Pass. Più o meno, se qualcuno mi avesse tirato una solenne tranvata in testa in quel momento, avrfebbe sortito lo stesso effetto. Ommaremma maiala, ed una serie di altri improperi che non è il caso di riferire. Ho fatto finta di nulla, ma in quell'istante mi è crollato il mondo addosso. Pessima situazione, quando sei già cotto impanato, pensi di aver davanti ancora tre salite che non sai se riuscirai a fare... E scopri che le salite sono quattro. Taccio il mio errore madornale ed idiota, ma confesso, approfittando di un provvidenziale passaggio a livello chiuso, tutta la mia stanchezza ai gregari, che di colpo lasciano i panni dei solo assistenti e si trasformano in psicologi-massaggiatori-ultras. Si alzano le sbarre, riparto con il morale sotto i copertoncini, le gambe dure come i chiodi, nessuna voglia di soffrire ancora, solo il desiderio di sparire di qui, ora e subito. Il sole picchia, feroce, io adoro il sole, ma adesso vorrei che si spegnesse anche quello. Un bel drittone per cominciare, per levare via ogni residuo spirito di combattimento... Mi sforzo di ricordare, ma niente, non c'è niente da fare, non riesco a riportare alla mente nemmeno la minima immagine di questa salita, come sia, dove vada, quanto penda, niente. Mi aggrappo solo ad una frase che Alex ha detto ieri, "Il Flüela Pass è corto", speriamo che abbia ragione... Sto sempre peggio, mi sento una debolezza indecente addosso, la testa che gira, la schiena che fa male in fondo, dolori al basso ventre. Sembrano tutti i sintomi del ciclo mensile, anche se questo non è assolutamente il periodo canonico; per fortuna, non so bene perché, rinuncio all'idea di fermarmi e controllare... Un po' perché non saprei come e dove, qui non c'è nemmeno un cespuglio, un po' perché dopotutto non me ne frega niente, non ne posso più, sto male, voglio smettere. Scoprirò poi alla sera che la mia diagnosi era giusta, anche se è una cosa stranissima che non m'era mai successa. Boh, anche questi sono gli inconvenienti dei ciclisti, anzi cicliste, che aspirano alle lunghe distanze. O no? Sono le 13.10. Quasi odio Andrea che invece ce la mette tutta per aiutarmi a resistere, ancora un colle, poi si va sullo Stelvio, è quasi un ordine, così imperativo che non si può contraddire. Dov'è finito, Gian, il tuo spirito di testa dura? Tutto qui quello che sai fare? Tutto qui quello che dirai a chi sta seguendo la tua corsa, a chi ti sta mandando messaggi? Un altro degli ennesimi fiaschi? Ho solo voglia di piangere mentre son qui seduta per terra, Andrea che mi massaggia le gambe, Robi che mi porge i panini. Devo sforzarmi di mangiare, non riesco più a buttare giù niente, provo a pensare a qualcosa che vorrei mangiare, ma niente, nemmeno la pasta, nemmeno la pizza, se per ipotesi le avessi. La situazione è tragica. Manca solo più che Andrea mi prenda a calci; lo so, devo andare, ci devo ancora provare, anche se non ce la farò mai, mai, sono sfinita. La discesa dal Flüela è un calvario, la strada con asfalto tutto salti e gobbe, il sonno, gli occhi pieni di lacrime di rabbia sorda, la bici che va un po' dove vuole. Non c'è ritorno questa volta, non so perché, il fatto è che sto malissimo e non ho più voglia di soffrire, non riesco a far sì che la testa vada dove le gambe non vogliono più. Ancora sette ore di bici... Ma come posso anche solo lontanamente pensare di farcela? Come? Quasi quasi vorrei che il tempo massimo finisse adesso! L'Ofen... Altro drittone iniziale, ancora salita, ancora caldo. Le gambe sono disperatamente vuote. Ancora poche pedalate, poi basta, poi mollo, non ce la faccio. Ma loro no, Andrea e Robi mi tallonano, non mi lasciano un attimo, sempre vicini, sempre ad incitarmi. Li odio tanto adesso, quanto li ringrazierò alla fine. Ho caldo, la testa che pesa come un macigno, i crampi alle dita delle mani a furia di piantare le unghie nel manubrio; dai Gian, per favore, un ultimo sforzo, l'ultimo, giuro... L'Ofen sì, che me lo ricordo, tutto saliscendi, poi un lungo tratto di discesa, poi ancora cinque o sei km di salita un po' più seria. Niente di tremendo, in condizioni normali, ma adesso per me è peggio del Mortirolo. Ce la faccio... No non ce la posso fare... Ancora un paninetto, qualche gel, accolgo come una liberazione – proprio io - i tratti in cui la strada spiana. All'improvviso, sulla sinistra, compare il passo, da cui mi separano ancora un po' di tornanti che danno l'idea di una pendenza seria: oh miseria, ma chi ci arriva più, fin là? E' un'alternanza logorante di speranza e voglia di mollare tutto, non credo d'aver mai fatto una fatica del genere. Mi chiedo cos'avrei dovuto fare più dei tanti km che ho fatto quest'anno, come sia possibile una cotta del genere, ma non ho risposte, solo rabbia, solo delusione. Ma adesso mancano solo tre tornanti, due, uno, pochi metri... Non so se devo gioire; i miei angeli custodi mi festeggiano come se la corsa l'avessi vinta, ma adesso c'è uno Stelvio di mezzo... Sono più di 1500 mt di dislivello! Come faccio? Con quali gambe? Ha senso che mi illuda? Non ce la farò mai, non ho speranza!
Però ha ragione Andrea: ormai sono qui. Non posso mollare qui. E poi in fondo in fondo al cuore, un po' di speranza sembra spuntare, solo un poco. E se... Se ci arrivassi, lassù? A Nauders no, ormai è impossibile. Ma allo Stelvio... Forse... Calma Gian. Non ti aiutano questi tira e molla. Non ti servono a niente. Vai, provi.
A Santa Maria butto la testa sotto la fontana, poi via, attacco. Piano, con la massima cautela, ma lo vedo subito che questa è la mia salita. Pendenze sostenute, ma tutta a tornanti, uno sopra l'altro, molto ravvicinati, all'ombra del bosco: un paradiso. Peccato solo per quei chilometri di strada sterrata, ben curata, per carità, ma per me comunque odiosa. Meno male, sono arrivata qui senza sapere che lo sterrato fosse così lungo, altrimenti avrei avuto un motivo di angoscia in più. Mi conforta il sorriso sul viso di Andrea, quasi la sua sicurezza passasse così a me attraverso lo sguardo. All'uscita del bosco, alla fine del tratto sterrato, mi chiede come ho intenzione di festeggiare. Sono felice anch'io, ma guardo su e mi ri-abbatto: l'imbuto della vallata, lo Stelvio ancora infinitamente più in alto, tanta strada e tanto dislivello. I tornanti in mezzo al prato, sul versante a sinistra; poi quelli a destra, all'ombra; guardo su, ne vedo ancora, e poi ancora, le gambe molli, la fatica che cresce, Gian non puoi cedere adesso... Mangio un paio di gel, quelli che io chiamo "dentifrici" per via della confezione; sarà effetto placebo, fatto sta che mi sembra di riprendermi un po'. Continuo a salire, questa valle è uno spettacolo, questa strada sarebbe meravigliosa se solo me la potessi godere con le gambe fresche. Una curva, ancora una curva, finalmente, come una liberazione, la dogana: sono le 18.25, sono all'Umbrail. Guardo torvo i tornanti che mi separano ancora dallo Stelvio: 250 m di dislivello, un'infinità... Ancora una piccola pausa, tanto a Nauders nelle 32 ore non arrivo: e nemmeno mi interessa; stasera io voglio solo arrivare lassù, allo Stelvio. Ho sofferto l'inimmaginabile, posso essere felice di arrivare lì, è tutto quel che chiedo. Riprendo la marcia, un po' titubante, ma adesso non ho più dubbi, su in cima arrivo anche a piedi. Una, due, tre curve, le forze al lumicino, ancora un piccolo gel; a mangiare qualcosa di solido non riesco più da tempo. Per fortuna Robi aveva un succo di frutta, qualcosa di civile da regalare al mio stomaco dopo quasi 31 ore di marcia a chimica pura.
Pian piano mi avvicino e stento a trattenere la gioia: non voglio crederci, proprio finché non sono lassù, ma a stento trattengo un sorriso a 32 denti già all'ultima curva. Tra me e me, penso che, se qualcuno dovesse chiedermi cos'è la felicità, risponderei semplicemente "Questo". Arrivo su, davvero, senza più forze. Sono quasi le sette. So che le 32 ore sono al lumicino, che l'ora restante mi basterà appena per scendere a Prato, considerati la mia incapacità in discesa, lo sfinimento totale, il sonno che mi assilla e peggiora ancor più la situazione. Da lì a Nauders, in questo stato, impiegherei ancora un'ora e mezza, troppo. E poi, poche storie, è proprio un rifiuto il mio. Non ne posso più, non voglio più saperne di soffrire, non ho più forze. Anzi: se all'improvviso mi comunicassero che il tempo massimo è stato portato da 32 a 34 ore, penso che, invece di gioire, mi butterei a terra a piangere. E' un fallimento, ma non per me che so che, l'anno scorso, alle otto di sera ero a Santa Maria. Questa volta, invece, alle sette sono in cima allo Stelvio, ed ho detto tutto. La mia gara, nel mio piccolo, l'ho già vinta, perché mai e poi mai, nel mio calvario verso il Flüela Pass, avrei pensato di poter evitare il ritiro già lì. Mai. Ho le gambe disfatte dal male, la testa che gira, non so se per la fatica o per la gioia. Forse questo della RATA è un obiettivo possibile, a questo punto penso di poterlo credere, anche se per il 2009 dovrò chiedere aiuto a chi, di allenamento, ne sa più di me. Forse. Ma non ne sono ancora convinta...
Un GRAZIE tutto speciale, immenso, va ai miei due amici, Roberto ed Andrea: Robi che ha messo a disposizione la sua fantastica Multipla e mi ha sopportata per quattro giorni quattro, tra andata e ritorno e gara, e che alla fine era stravolto tanto quanto me; Andrea che si è sobbarcato il viaggio da Ancona e che è stato semplicemente eccezionale nel suo ruolo di motivatore, e anche di massaggiatore, un toccasana per le mie gambe! Senza il loro aiuto, sarei stata fritta ed impanata, non ce l'avrei mai fatta a superare la crisi. Mai. Se oggi posso essere così felice, lo devo a loro.
... e poi che bello, la sera, ritrovare Alex ed i suoi amici a casa, già a tavola. Alex che, nonostante i suoi guai, nonostante il mal di pancia che lo ha tormentato per tutta la corsa, ha concluso in un tempo più che lusinghiero, 29 ore. Alex che giura che l'anno prossimo non la rifarà, questa gara, ma se lo conosco almeno un poco, cambierà presto idea.
E che malinconia, il mattino dopo, accettare che è tutto finito, rassegnarsi a sbaraccare mestamente, riordinare l'appartamento, caricare i bagagli, salutarsi alla spicciolata e tornare a casa. Mi consolo pensando che il prossimo fine settimana mi attendono altri 500 km, e questa volta assistenza nisba! Me la dovrò proprio cavare da sola...
domenica 22 giugno 2008
martedì 17 giugno 2008
16 giugno 2008: Granfondo Campagnolo
Ho già programmato un bel piano d'azione: domenica 16 c'è la Campagnolo, quindi il sabato va perso nel viaggio, non si pedala, in qualche modo bisogna porre rimedio a questo dramma. Il venerdì si lavora, che fare? Elementare Watson, un bel giro in Langa nella notte tra venerdì e sabato, con partenza verso le nove e ritorno sabato mattina quando mi va. Perfetto, deciso, combinato. Già... Peccato che, verso le sei di martedì sera, si aprano le cateratte del cielo. Non so se sia un dispetto o un atto di pietà per il mio bene, quello che Giove Pluvio ha deciso di compiere... Fatto sta che la mia notturna va a pallino: va bene essere uomini duri, ma proprio partire sotto il fortunale, quando non c'è nemmeno una gara in ballo, ma solo un giro in autonomia, non mi pare il caso. Il mio masochismo sfrenato non arriva ancora fino a quel punto.
Passiamo al piano B: vado a dormire un po' più presto del solito, punto la sveglia alle tre e mezza. Se non posso pedalare stasera, rosicchio qualche ora al mattino e qualcosa farò. Infatti alle quattro e mezza non piove più: buio pesto, le nuvole nascondono il primo chiarore dell'alba che in questa stagione arriva prestissimo; parto con le luci, destinazione Roero. Parto con foga, sono alcuni giorni che non tocco seriamente la bici, devo andare oppure scoppio. Proprio vero, peggio di una dipendenza da stupefacenti, la mia!
Con 120 km e 1.200 mt di dislivello circa, rientro alla base quando i ciclisti ordinari escono di casa nei giorni di freddo. Già, fa un gran freddo, benché siamo a metà giugno. Doccia, butto le ultime cose nelle borse, preparo la bici, raggiungo Luca al punto d'incontro: si parte. Con un illustre compagno di viaggio: nientepopodimeno che il boss dei boss della Super Randonnée Fausto Coppi!!! E' lui o non è lui? Certo che è lui!
Viaggio lungo, passato a scrutare le nuvole, studiare la direzione del vento, perdersi nell'autogrill. Raggiungiamo Feltre alle quattro e mezza circa: basta la prima delle frecce che indicano il luogo della distribuzione numeri, a mandarmi nel pallone. Poi il brulichìo di bici, di pacchi gara, di auto delle squadre, l'agitazione sale sempre più. Incontriamo qualche volto noto, in primis Pietro e Bart che si aggregano a noi per quattro passi in Feltre: una scusa per andare a studiare il temibilissimo strappo finale sul pavè, mentre tormentiamo il povero Ivano tempestandolo di domande sul percorso della Rando. Il cielo è sempre grigio, fa tutto fuorché caldo, io me ne vado in giro con i pantaloncini cortissimi d'ordinanza, ma sotto sotto mi sento un po' pirla, solo un poco: gli altri hanno giacche e piumotti... Vabbuò. Posiamo i bagagli al bed & breakfast dove alloggeremo per la notte, poi torniamo a Feltre per una veloce pizza e via, tutti a nanna: Luca, Ivano ed io al B&B, mentre Pietro torna a casa.
La sveglia suona alle quattro e mezza: con entusiasmo e determinazione, mi giro dall'altra parte e riprendo a ronfare. Ci pensa Ivano a svegliarmi del tutto. Come al solito, impiego un po' a connettere e ricordarmi dove sono e perché. Luca è già in attività: con efficienza svizzera, ha già dato il via all'operazione cottura della pasta! L'acqua è sul fuoco; peccato che manchi il sale. Pazienza: nonostante le recriminazioni di un indignato Ivano (ma dov'è finito lo spirito di adattamento del puro Randonneur?), la pasta ce lamangeremo lo stesso, anche se insipida. Del resto, l'importante è che sian carboidrati; se poi non sono gustosi, pazienza, tanto qui nessuno ambisce ad una menzione d'onore da parte di Edoardo Raspelli!
Poi il sale, in extremis, arriva insieme ai titolari del B&B, che ci portano di tutto, dal pane all'ottima marmellata prodotta da loro. Cosa vedono le mie fosche pupille: compare anche una caffettiera gigante! Meno male che c'è chi pensa alla mia colazione, perché io, come al solito, prima di una granfondo perdo anche quel poco di lume della ragione che alberga nel mio neurone in giorni ordinari.
Come mi vesto? Il cielo è splendido, limpidissimo, ma le previsioni meteo ancora ieri dicevano ben altro e, visto l'andazzo degli ultimi tempi, decido che non è il caso di farsi infinocchiare. Maglia con inserto in Gore-Tex alla pelle, maglietta maniche corte, gilet antivento, manicotti, pantaloni ¾ felpati, scarpe invernali; nel borsello, giacca impermeabile Gore e guantini di seta.
I gestori ci chiedono quanto abbiamo in previsione di impiegare per far la corsa; Ivano pomposamente dice che lui ed io la faremo solo per allenamento... Ahiò! E non diciamo boiate, Ivano, come vuoi che la faccia io, se non per allenamento? I miracoli non li posso fare, la competizione purtroppo non può essere tra le mie ambizioni! Aneddoto curioso, il padrone di casa suggerisce "Allora dovreste fare quella di Cuneo"... Chissà se ci crede, che il personaggio davanti al suo naso, di "quella di Cuneo" è proprio l'organizzatore?
Via, si parte, destinazione Feltre. Troviamo parcheggio vicino alla zona del via; prepariamo le bici, Luca con attenzione maniacale ad ogni minimo particolare meccanico, io badando giusto che le ruote ci siano entrambe. Ci raggiunge Claudio, il Bergamasco, a cui consegno il pacco gara che gli ho ritirato ieri, poi via, verso le griglie di partenza. Sono preoccupata ma, per fortuna, non proprio terrorizzata come mi succedeva in passato. Si vede che mi sto abituando. Guardo in giro, non vedo molti ciclisti imbacuccati da spedizione all'Everest come me. Mah, vedremo chi è che ha ragione!
Le donne hanno diritto alla griglia davanti a tutti, anche se poi in realtà non partiranno proprio per prime, ma alla spicciolata, insieme agli uomini delle prime posizioni. Inevitabile, nei venti minuti di attesa, guardarmi intorno: cavoli, ma chissà perché le altre granfondiste sono tutte più piccoline, magre e slanciate di me! Mi viene sempre il dubbio di aver sbagliato sport... Ivano, respinto dalla griglia donne, si piazza fuori dalle transenne a fare foto; lo speaker della manifestazione, Mutton, strazia i timpani con le sue citazioni in stile Rambo, vi spiezzo in due, che non riescono per nulla a darmi la carica ma in compenso mi fan venire un gran nervoso.
L'edizione 2008 prevede un percorso tutto nuovo. Pronti partenza via, andiamo alla scoperta.
I primi quaranta km sono il mio incubo: pianura, salitelle e discese che mi spezzano subito le gambe, anche perché mi sforzo di viaggiare un po', per non restare proprio ultima derelitta tra i derelitti. Fatico l'indicibile su questo tratto. Poi, l'ambiente dove ci fan passare sarebbe anche bello: una gola, un lago, tante gallerie. Peccato che io non abbia quasi tempo di vederlo. Anche perché alzar lo sguardo da terra significa precipitare in uno degli innumerevoli crateri nell'asfalto! Che strada... Per giunta, a mio parere, troppo troppo stretta per farci passare una corsa da tremila persone, anche se, quando passo io, la folla non esiste già più. Pian piano, mi sorpassano tutti, cani e porci; cerco di consolarmi pensando che in salita ne riacchiapperò qualcuno, ma lo sconforto si è ormai fatto strada. All'improvviso, si passa in una piccola frazione; tutti rallentano, sganciano i pedali, piedi a terra. Che succede? Succede che qualche mente geniale ha pensato bene di piazzare uno dei tappetini di controllo proprio lì, in quel budello; per giunta, il tappetino è largo la metà della strada già minuscola; passiamo tre o quattro per volta. Urca, non ho parole...
Finalmente il primo dei cartelli rossi che indicano le salite: Forcella Franche. Meno male, non ne potevo proprio più. Marcia ridotta da carro funebre, finalmente si sale un po'. Le prime nuvole spuntano da dietro le cime: nell'arco di quei cinque km che ci portano quasi a quota 1000 mt, il cielo è già molto meno invitante. E vabbè, Gian, pazienza, ciclista avvisato...
Sulla Forcella c'è il bivio tra i percorsi medio e lungo: ovviamente giro a destra, percorso lungo, anche se qualche dubbio mi viene, sul senso di ciò che sto per fare...
Breve discesa e si va al Passo Duran, la salita che si annuncia come la più temibile per oggi. In effetti soffro molto: non so se sia perché ho tirato troppo nel tratto iniziale, o perché qui c'è ancora un po' di sole che mi fa fare la sauna, con tutto il carico di vestiti che ho addosso. Patisco anche troppo: nonostante il mio rapportino quasi da mountain bike, non riesco proprio a spingere giù le gambe. Crisi nera, lo sapevo, oggi alla fine non ci arrivo... Cerco di distrarmi, mi guardo intorno, guardo gli altri, qualcuno l'ho già sorpassato, ma non va bene, no, non va per niente bene. Qui mi scopro a pensare che spero che il cielo si copra in fretta del tutto, altrimenti o mi tocca fermarmi e levar qualcosa di dosso, oppure mi sciolgo. Giove Pluvio non tarda ad esaudirmi. In cima al Duran l'azzurro sulla testa non si vede già più.
Al primo ristoro, su Forcella Franche, non mi ero fermata; qui al Duran, però, una breve pausa è d'obbligo. Riempo le borracce di qualcosa che non sia acqua (infatti ci metto i sali), tracanno due o tre bicchieri di Coca Cola, prendo due banane e via, giù in discesa. Pochi km, ma mi tocca già indossar la giacca impermeabile, perché scende una leggera pioggia. Al bivio, la pendenza si inverte subito; è la volta della salita a Forcella Staulanza. Altra salita breve, dodici km, e non molto impegnativa, ma io continuo a far tanta fatica. Ho la sensazione che proprio le forze se ne stiano andando: non è fame, è proprio debolezza, fatico persino a stringere il manubrio. 34x29 anche qui, mentre mangio poco per volta il miele del "ciucciotto" Ambrosoli, bevo regolarmente, faccio fuori anche una barretta. Il cielo è livido adesso; si sente qualche colpo di tuono. La giacca l'ho levata, perché, se piove poco, tende a fare "effetto serra"; certo che l'aria è davvero gelida. Le cime ormai non si vedono più, peccato. Il traffico automobilistico è già ripartito: che odio, salire in mezzo ai gas di scarico... La mia insofferenza cresce, colpa forse della crisi.
Lunga e fredda la discesa verso Alleghe, con il bel lago, e Cencenighe, dove c'è l'attacco del Passo Valles. Piove, piano piano ma piove, e tira un vento maledetto. Ovviamente io, che non sono capace di stare a ruota, me lo prendo in faccia tutto: pazienza, è un tratto breve.
Al bivio, gli assistenti dell'organizzazione prospettano uno scenario apocalittico: "Sul Valles nevica, ci sono due gradi, il passo è chiuso, questo è l'ultimo bivio che permette di andare diretti a Feltre". Maremma maiala, quanta gente che inchioda e taglia la strada per andare giù! Confesso che un brivido mi corre giù per la colonna vertebrale, e non è il freddo, è proprio la strizza. Però rispondo ad alta voce, più a me stessa che a chi mi sta intorno: "Voglio andare su a vedere con i miei occhi".
Anche qui, in salita, via la giacca. Fa freddo, ma per ora è sopportabile. Questa salita è duretta! Non me l'aspettavo così... O meglio, non me la ricordavo così, visto che anni fa ci son già passata. Siamo rimasti in pochi, pochi ma buoni! Mi preoccupa solo il fatto che ci sono tantissimi furgoni che fanno la spola su e giù dal passo: vuoi vedere che è chiuso davvero, che fanno arrivare la corsa lassù e poi ci fermano tutti? Ma no, non avrebbe senso, ci avrebbero fermati d'autorità giù... Speriamo bene, ho fatto trenta, lasciatemi far trentuno! Man mano che si sale, il freddo si fa più pungente; la vista sulla cima è davvero impressionante, grigio, pesante, cattivo. Per fortuna c'è un ciclista, napoletano verace, che attacca bottone, mi fa ridere e dimenticare per un po' la tensione. Ci ritroveremo, tira e molla, ancora parecchie volte da qui alla fine.
Mi sforzo di non pensare a cosa troverò in discesa; spero solo che la pioggia mantenga l'intensità che ha adesso, perché, se dovesse mettersi a venir giù a secchiate, addio granfondo, per me che in discesa sono un disastro.
Al Valles decido per la seconda sosta . 80 km all'arrivo: speriamo bene. The caldo, Coca Cola, mi porto via due banane e due crostatine: cavoletti però, speravo di trovarci qualcosa di più gradevole, tipo frutta secca o formaggio... Invece non c'è più nulla. Mentre butto giù il mio the bollente, mi volto ed incrocio lo sguardo di un meraviglioso San Bernardo che, spaparanzato sull'erba, si gode lo spettacolo di tutta questa gente. Ecco, è la ciliegina che mancava sulla torta per completare questo ambiente quasi natalizio, visto che sta nevicando... Decine e decine di ciclisti si rifugiano nei bar, nei furgoncini, nelle auto, o semplicemente stanno lì, tremanti. Tanti, troppi sono vestiti in modo visibilmente inadeguato: proprio come me, qualche anno fa, sul Rolle. L'esperienza e le batoste insegnano.
Giù in discesa, dovrebbe essere breve, poi ci si riaggancia alla strada che conduce al Passo Rolle. Infatti è così. Circa sei km di salita blanda: non tolgo nemmeno la giacca, tanto continua a piovere e la fatica qui non è granché. Appena fuori del bosco, il vento è gelido, sferzante, butta in faccia la neve ghiacciata; chiudo la cerniera, cerco di non pensare, avanti tutta. Ormai sono qui, ce la devo fare, a tutti i costi, e al diavolo la paura, il pericolo, tutto il resto. L'importante adesso è arrivare su, fermarsi un nanosecondo a chiudere bene la giacca e via, buttarsi, scendere in fretta, il più in fretta possibile. Perdendo quota, non mi difenderò certo dalla pioggia, ma dal freddo sì, almeno un po'. Mi aspettano almeno trenta km di discesa. Anche qui, tantissimo ciclisti che gettano la spugna: non li posso biasimare; chissà quale inferno soffrirò adesso. Il the nelle borracce era bollente sul Valles, ma qui è già gelido... Via, bando agli indugi, si scende. Di continuo, stacco le mani dal manubrio, una per volta, ed apro e chiudo forsennatamente le dita, fasciate solo dai guantini di seta perché, genio che non sono altro, ho dimenticato a casa i guanti invernali... Pian piano mi rincuoro e mi tranquillizzo: fa freddo, sì, ma non troppo da mettermi in difficoltà. Benedico i pantaloni pesanti, mollo i freni: caso più unico che raro nella mia carriera ciclistica, sorpasso e lascio indietro grappoli di ciclisti che scendono a freni tiratissimi, tremando in modo così convulso che anche le bici vanno un po' dove vogliono. Via, via, giù, senza pensare. Il primo avamposto della civiltà, Fiera di Primiero, mi fa capire che il peggio è passato. Poi arriva il collega napoletano: e giù altre risate! Lui scende in pantaloncini corti, che coraggio...
E' fatta, Gian, finalmente è fatta. Manca un bel po' di falsopiano e pianura, adesso devi mangiare, riprenderti, pedalare più che puoi per scaldarti un po', poi il Croce d'Aune non lo vedi nemmeno. Piove ancora, passiamo mille gallerie, mi sorpassano gruppi su gruppi a cui non penso nemmeno lontanamente di attaccarmi. All'improvviso, in una galleria, mi accorgo che sto scendendo un po' troppo veloce per i miei gusti: tiro i freni prima della curva, vengo travolta da una valanga di epiteti poco edificanti da parte di chi mi segue. Oh insomma, andate all'inferno tutti quanti, chi vi ha detto di attaccarvi? Mica voglio schiantarmi per la vostra bella faccia!
Chiunque mi sorpassi, si sente in dovere di darmi una bella spinta per farmi attaccare al gruppo che precede: se solo sapessero quanto odio questa cosa! Io a ruota ho paura, lo so che sono una ciclista del cavolo, ma lasciatemi in pace, per favore!
Meno male che arriva il bivio: si sale al Croce d'Aune, ho il cuore che scoppia di gioia. Tolgo per l'ennesima volta la giacca: ha smesso persino di piovere. Breve strappo iniziale, poi un lungo tratto di falsopiano e salita blanda, in cui trovo la compagnia di un gruppo di ciclisti piemontesi che mi accompagnano per un po'. Al cartello che indica -3 km alla cima, inizia il tratto più ripido e temuto, che però oggi non mi fa paura per niente: se sono sopravvissuta fin qui, posso fare qualsiasi cosa adesso! 34x29, recupero qualche posizione e qualche metro rispetto ai colleghi: lo so, sono un po' carogna, ma che posso farci se l'entusiasmo è tanto? Medito sulla fortuna sfacciata di oggi, che ha fatto sì che la pioggia restasse sempre molto lieve, e sulla gioia di arrivare finalmente a Feltre, perché non pensavo proprio, oggi, di farcela. Una rampa dopo l'altra, superiamo le poche case del paese, poi ancora due tornanti e via, è fatta! La strada spiana, poi la discesa, meno di 15 km al traguardo. Ormai non ho più ritegno, mollo i freni in discesa, taglio qualche curva di troppo e mi becco i rimproveri dei Carabinieri che presidiano la corsa, ma pazienza! -4, -3, -2, ecco Feltre, ecco il viale di ingresso, gli applausi di chi è già arrivato al traguardo da una vita, la curva, il pavè, lo strappo finale. Niente fesserie, salgo su col rapportino, altrimenti rischio di cuocermi prima dello striscione; acchiappo ancora qualche avversario poco prima dell'arco d'arrivo: è una guerra tra poveri, ma mi ci diverto troppo... I tappetini, il suono del chip che conferma che è finita, i saluti, i complimenti dei miei compagni di viaggio, la raccomandazione di preparare per martedì un bel resoconto: eccolo!!!
Trovo Luca che è già arrivato, poverello, da ore, ed ha atteso pazientemente fino adesso. Niente pasta party per me: solo una bella doccia bollente e via, si va a casa. L'unico rammarico è per Pietro, da cui ricevo un messaggio non appena riaccendo il cellulare: è stato messo ko da un panino al prosciutto, complice forse il freddo pungente che non ha certo aiutato. Lo chiamo, lo sento sofferente, mi si stringe il cuore: coraggio Pietro, anche questo fa parte del nostro duro lavoro; rimettiti in sesto e tornerai più cattivo di prima, la Marmotte ti aspetta!
210 e rotti km, 5.400 mt di salita. Con oggi, da gennaio i km sono novemila e passa. Soprattutto, la corsa di oggi è stata una vera iniezione di fiducia. Giovedì prossimo si va a Nauders: venerdì c'è la RATA!
Passiamo al piano B: vado a dormire un po' più presto del solito, punto la sveglia alle tre e mezza. Se non posso pedalare stasera, rosicchio qualche ora al mattino e qualcosa farò. Infatti alle quattro e mezza non piove più: buio pesto, le nuvole nascondono il primo chiarore dell'alba che in questa stagione arriva prestissimo; parto con le luci, destinazione Roero. Parto con foga, sono alcuni giorni che non tocco seriamente la bici, devo andare oppure scoppio. Proprio vero, peggio di una dipendenza da stupefacenti, la mia!
Con 120 km e 1.200 mt di dislivello circa, rientro alla base quando i ciclisti ordinari escono di casa nei giorni di freddo. Già, fa un gran freddo, benché siamo a metà giugno. Doccia, butto le ultime cose nelle borse, preparo la bici, raggiungo Luca al punto d'incontro: si parte. Con un illustre compagno di viaggio: nientepopodimeno che il boss dei boss della Super Randonnée Fausto Coppi!!! E' lui o non è lui? Certo che è lui!
Viaggio lungo, passato a scrutare le nuvole, studiare la direzione del vento, perdersi nell'autogrill. Raggiungiamo Feltre alle quattro e mezza circa: basta la prima delle frecce che indicano il luogo della distribuzione numeri, a mandarmi nel pallone. Poi il brulichìo di bici, di pacchi gara, di auto delle squadre, l'agitazione sale sempre più. Incontriamo qualche volto noto, in primis Pietro e Bart che si aggregano a noi per quattro passi in Feltre: una scusa per andare a studiare il temibilissimo strappo finale sul pavè, mentre tormentiamo il povero Ivano tempestandolo di domande sul percorso della Rando. Il cielo è sempre grigio, fa tutto fuorché caldo, io me ne vado in giro con i pantaloncini cortissimi d'ordinanza, ma sotto sotto mi sento un po' pirla, solo un poco: gli altri hanno giacche e piumotti... Vabbuò. Posiamo i bagagli al bed & breakfast dove alloggeremo per la notte, poi torniamo a Feltre per una veloce pizza e via, tutti a nanna: Luca, Ivano ed io al B&B, mentre Pietro torna a casa.
La sveglia suona alle quattro e mezza: con entusiasmo e determinazione, mi giro dall'altra parte e riprendo a ronfare. Ci pensa Ivano a svegliarmi del tutto. Come al solito, impiego un po' a connettere e ricordarmi dove sono e perché. Luca è già in attività: con efficienza svizzera, ha già dato il via all'operazione cottura della pasta! L'acqua è sul fuoco; peccato che manchi il sale. Pazienza: nonostante le recriminazioni di un indignato Ivano (ma dov'è finito lo spirito di adattamento del puro Randonneur?), la pasta ce lamangeremo lo stesso, anche se insipida. Del resto, l'importante è che sian carboidrati; se poi non sono gustosi, pazienza, tanto qui nessuno ambisce ad una menzione d'onore da parte di Edoardo Raspelli!
Poi il sale, in extremis, arriva insieme ai titolari del B&B, che ci portano di tutto, dal pane all'ottima marmellata prodotta da loro. Cosa vedono le mie fosche pupille: compare anche una caffettiera gigante! Meno male che c'è chi pensa alla mia colazione, perché io, come al solito, prima di una granfondo perdo anche quel poco di lume della ragione che alberga nel mio neurone in giorni ordinari.
Come mi vesto? Il cielo è splendido, limpidissimo, ma le previsioni meteo ancora ieri dicevano ben altro e, visto l'andazzo degli ultimi tempi, decido che non è il caso di farsi infinocchiare. Maglia con inserto in Gore-Tex alla pelle, maglietta maniche corte, gilet antivento, manicotti, pantaloni ¾ felpati, scarpe invernali; nel borsello, giacca impermeabile Gore e guantini di seta.
I gestori ci chiedono quanto abbiamo in previsione di impiegare per far la corsa; Ivano pomposamente dice che lui ed io la faremo solo per allenamento... Ahiò! E non diciamo boiate, Ivano, come vuoi che la faccia io, se non per allenamento? I miracoli non li posso fare, la competizione purtroppo non può essere tra le mie ambizioni! Aneddoto curioso, il padrone di casa suggerisce "Allora dovreste fare quella di Cuneo"... Chissà se ci crede, che il personaggio davanti al suo naso, di "quella di Cuneo" è proprio l'organizzatore?
Via, si parte, destinazione Feltre. Troviamo parcheggio vicino alla zona del via; prepariamo le bici, Luca con attenzione maniacale ad ogni minimo particolare meccanico, io badando giusto che le ruote ci siano entrambe. Ci raggiunge Claudio, il Bergamasco, a cui consegno il pacco gara che gli ho ritirato ieri, poi via, verso le griglie di partenza. Sono preoccupata ma, per fortuna, non proprio terrorizzata come mi succedeva in passato. Si vede che mi sto abituando. Guardo in giro, non vedo molti ciclisti imbacuccati da spedizione all'Everest come me. Mah, vedremo chi è che ha ragione!
Le donne hanno diritto alla griglia davanti a tutti, anche se poi in realtà non partiranno proprio per prime, ma alla spicciolata, insieme agli uomini delle prime posizioni. Inevitabile, nei venti minuti di attesa, guardarmi intorno: cavoli, ma chissà perché le altre granfondiste sono tutte più piccoline, magre e slanciate di me! Mi viene sempre il dubbio di aver sbagliato sport... Ivano, respinto dalla griglia donne, si piazza fuori dalle transenne a fare foto; lo speaker della manifestazione, Mutton, strazia i timpani con le sue citazioni in stile Rambo, vi spiezzo in due, che non riescono per nulla a darmi la carica ma in compenso mi fan venire un gran nervoso.
L'edizione 2008 prevede un percorso tutto nuovo. Pronti partenza via, andiamo alla scoperta.
I primi quaranta km sono il mio incubo: pianura, salitelle e discese che mi spezzano subito le gambe, anche perché mi sforzo di viaggiare un po', per non restare proprio ultima derelitta tra i derelitti. Fatico l'indicibile su questo tratto. Poi, l'ambiente dove ci fan passare sarebbe anche bello: una gola, un lago, tante gallerie. Peccato che io non abbia quasi tempo di vederlo. Anche perché alzar lo sguardo da terra significa precipitare in uno degli innumerevoli crateri nell'asfalto! Che strada... Per giunta, a mio parere, troppo troppo stretta per farci passare una corsa da tremila persone, anche se, quando passo io, la folla non esiste già più. Pian piano, mi sorpassano tutti, cani e porci; cerco di consolarmi pensando che in salita ne riacchiapperò qualcuno, ma lo sconforto si è ormai fatto strada. All'improvviso, si passa in una piccola frazione; tutti rallentano, sganciano i pedali, piedi a terra. Che succede? Succede che qualche mente geniale ha pensato bene di piazzare uno dei tappetini di controllo proprio lì, in quel budello; per giunta, il tappetino è largo la metà della strada già minuscola; passiamo tre o quattro per volta. Urca, non ho parole...
Finalmente il primo dei cartelli rossi che indicano le salite: Forcella Franche. Meno male, non ne potevo proprio più. Marcia ridotta da carro funebre, finalmente si sale un po'. Le prime nuvole spuntano da dietro le cime: nell'arco di quei cinque km che ci portano quasi a quota 1000 mt, il cielo è già molto meno invitante. E vabbè, Gian, pazienza, ciclista avvisato...
Sulla Forcella c'è il bivio tra i percorsi medio e lungo: ovviamente giro a destra, percorso lungo, anche se qualche dubbio mi viene, sul senso di ciò che sto per fare...
Breve discesa e si va al Passo Duran, la salita che si annuncia come la più temibile per oggi. In effetti soffro molto: non so se sia perché ho tirato troppo nel tratto iniziale, o perché qui c'è ancora un po' di sole che mi fa fare la sauna, con tutto il carico di vestiti che ho addosso. Patisco anche troppo: nonostante il mio rapportino quasi da mountain bike, non riesco proprio a spingere giù le gambe. Crisi nera, lo sapevo, oggi alla fine non ci arrivo... Cerco di distrarmi, mi guardo intorno, guardo gli altri, qualcuno l'ho già sorpassato, ma non va bene, no, non va per niente bene. Qui mi scopro a pensare che spero che il cielo si copra in fretta del tutto, altrimenti o mi tocca fermarmi e levar qualcosa di dosso, oppure mi sciolgo. Giove Pluvio non tarda ad esaudirmi. In cima al Duran l'azzurro sulla testa non si vede già più.
Al primo ristoro, su Forcella Franche, non mi ero fermata; qui al Duran, però, una breve pausa è d'obbligo. Riempo le borracce di qualcosa che non sia acqua (infatti ci metto i sali), tracanno due o tre bicchieri di Coca Cola, prendo due banane e via, giù in discesa. Pochi km, ma mi tocca già indossar la giacca impermeabile, perché scende una leggera pioggia. Al bivio, la pendenza si inverte subito; è la volta della salita a Forcella Staulanza. Altra salita breve, dodici km, e non molto impegnativa, ma io continuo a far tanta fatica. Ho la sensazione che proprio le forze se ne stiano andando: non è fame, è proprio debolezza, fatico persino a stringere il manubrio. 34x29 anche qui, mentre mangio poco per volta il miele del "ciucciotto" Ambrosoli, bevo regolarmente, faccio fuori anche una barretta. Il cielo è livido adesso; si sente qualche colpo di tuono. La giacca l'ho levata, perché, se piove poco, tende a fare "effetto serra"; certo che l'aria è davvero gelida. Le cime ormai non si vedono più, peccato. Il traffico automobilistico è già ripartito: che odio, salire in mezzo ai gas di scarico... La mia insofferenza cresce, colpa forse della crisi.
Lunga e fredda la discesa verso Alleghe, con il bel lago, e Cencenighe, dove c'è l'attacco del Passo Valles. Piove, piano piano ma piove, e tira un vento maledetto. Ovviamente io, che non sono capace di stare a ruota, me lo prendo in faccia tutto: pazienza, è un tratto breve.
Al bivio, gli assistenti dell'organizzazione prospettano uno scenario apocalittico: "Sul Valles nevica, ci sono due gradi, il passo è chiuso, questo è l'ultimo bivio che permette di andare diretti a Feltre". Maremma maiala, quanta gente che inchioda e taglia la strada per andare giù! Confesso che un brivido mi corre giù per la colonna vertebrale, e non è il freddo, è proprio la strizza. Però rispondo ad alta voce, più a me stessa che a chi mi sta intorno: "Voglio andare su a vedere con i miei occhi".
Anche qui, in salita, via la giacca. Fa freddo, ma per ora è sopportabile. Questa salita è duretta! Non me l'aspettavo così... O meglio, non me la ricordavo così, visto che anni fa ci son già passata. Siamo rimasti in pochi, pochi ma buoni! Mi preoccupa solo il fatto che ci sono tantissimi furgoni che fanno la spola su e giù dal passo: vuoi vedere che è chiuso davvero, che fanno arrivare la corsa lassù e poi ci fermano tutti? Ma no, non avrebbe senso, ci avrebbero fermati d'autorità giù... Speriamo bene, ho fatto trenta, lasciatemi far trentuno! Man mano che si sale, il freddo si fa più pungente; la vista sulla cima è davvero impressionante, grigio, pesante, cattivo. Per fortuna c'è un ciclista, napoletano verace, che attacca bottone, mi fa ridere e dimenticare per un po' la tensione. Ci ritroveremo, tira e molla, ancora parecchie volte da qui alla fine.
Mi sforzo di non pensare a cosa troverò in discesa; spero solo che la pioggia mantenga l'intensità che ha adesso, perché, se dovesse mettersi a venir giù a secchiate, addio granfondo, per me che in discesa sono un disastro.
Al Valles decido per la seconda sosta . 80 km all'arrivo: speriamo bene. The caldo, Coca Cola, mi porto via due banane e due crostatine: cavoletti però, speravo di trovarci qualcosa di più gradevole, tipo frutta secca o formaggio... Invece non c'è più nulla. Mentre butto giù il mio the bollente, mi volto ed incrocio lo sguardo di un meraviglioso San Bernardo che, spaparanzato sull'erba, si gode lo spettacolo di tutta questa gente. Ecco, è la ciliegina che mancava sulla torta per completare questo ambiente quasi natalizio, visto che sta nevicando... Decine e decine di ciclisti si rifugiano nei bar, nei furgoncini, nelle auto, o semplicemente stanno lì, tremanti. Tanti, troppi sono vestiti in modo visibilmente inadeguato: proprio come me, qualche anno fa, sul Rolle. L'esperienza e le batoste insegnano.
Giù in discesa, dovrebbe essere breve, poi ci si riaggancia alla strada che conduce al Passo Rolle. Infatti è così. Circa sei km di salita blanda: non tolgo nemmeno la giacca, tanto continua a piovere e la fatica qui non è granché. Appena fuori del bosco, il vento è gelido, sferzante, butta in faccia la neve ghiacciata; chiudo la cerniera, cerco di non pensare, avanti tutta. Ormai sono qui, ce la devo fare, a tutti i costi, e al diavolo la paura, il pericolo, tutto il resto. L'importante adesso è arrivare su, fermarsi un nanosecondo a chiudere bene la giacca e via, buttarsi, scendere in fretta, il più in fretta possibile. Perdendo quota, non mi difenderò certo dalla pioggia, ma dal freddo sì, almeno un po'. Mi aspettano almeno trenta km di discesa. Anche qui, tantissimo ciclisti che gettano la spugna: non li posso biasimare; chissà quale inferno soffrirò adesso. Il the nelle borracce era bollente sul Valles, ma qui è già gelido... Via, bando agli indugi, si scende. Di continuo, stacco le mani dal manubrio, una per volta, ed apro e chiudo forsennatamente le dita, fasciate solo dai guantini di seta perché, genio che non sono altro, ho dimenticato a casa i guanti invernali... Pian piano mi rincuoro e mi tranquillizzo: fa freddo, sì, ma non troppo da mettermi in difficoltà. Benedico i pantaloni pesanti, mollo i freni: caso più unico che raro nella mia carriera ciclistica, sorpasso e lascio indietro grappoli di ciclisti che scendono a freni tiratissimi, tremando in modo così convulso che anche le bici vanno un po' dove vogliono. Via, via, giù, senza pensare. Il primo avamposto della civiltà, Fiera di Primiero, mi fa capire che il peggio è passato. Poi arriva il collega napoletano: e giù altre risate! Lui scende in pantaloncini corti, che coraggio...
E' fatta, Gian, finalmente è fatta. Manca un bel po' di falsopiano e pianura, adesso devi mangiare, riprenderti, pedalare più che puoi per scaldarti un po', poi il Croce d'Aune non lo vedi nemmeno. Piove ancora, passiamo mille gallerie, mi sorpassano gruppi su gruppi a cui non penso nemmeno lontanamente di attaccarmi. All'improvviso, in una galleria, mi accorgo che sto scendendo un po' troppo veloce per i miei gusti: tiro i freni prima della curva, vengo travolta da una valanga di epiteti poco edificanti da parte di chi mi segue. Oh insomma, andate all'inferno tutti quanti, chi vi ha detto di attaccarvi? Mica voglio schiantarmi per la vostra bella faccia!
Chiunque mi sorpassi, si sente in dovere di darmi una bella spinta per farmi attaccare al gruppo che precede: se solo sapessero quanto odio questa cosa! Io a ruota ho paura, lo so che sono una ciclista del cavolo, ma lasciatemi in pace, per favore!
Meno male che arriva il bivio: si sale al Croce d'Aune, ho il cuore che scoppia di gioia. Tolgo per l'ennesima volta la giacca: ha smesso persino di piovere. Breve strappo iniziale, poi un lungo tratto di falsopiano e salita blanda, in cui trovo la compagnia di un gruppo di ciclisti piemontesi che mi accompagnano per un po'. Al cartello che indica -3 km alla cima, inizia il tratto più ripido e temuto, che però oggi non mi fa paura per niente: se sono sopravvissuta fin qui, posso fare qualsiasi cosa adesso! 34x29, recupero qualche posizione e qualche metro rispetto ai colleghi: lo so, sono un po' carogna, ma che posso farci se l'entusiasmo è tanto? Medito sulla fortuna sfacciata di oggi, che ha fatto sì che la pioggia restasse sempre molto lieve, e sulla gioia di arrivare finalmente a Feltre, perché non pensavo proprio, oggi, di farcela. Una rampa dopo l'altra, superiamo le poche case del paese, poi ancora due tornanti e via, è fatta! La strada spiana, poi la discesa, meno di 15 km al traguardo. Ormai non ho più ritegno, mollo i freni in discesa, taglio qualche curva di troppo e mi becco i rimproveri dei Carabinieri che presidiano la corsa, ma pazienza! -4, -3, -2, ecco Feltre, ecco il viale di ingresso, gli applausi di chi è già arrivato al traguardo da una vita, la curva, il pavè, lo strappo finale. Niente fesserie, salgo su col rapportino, altrimenti rischio di cuocermi prima dello striscione; acchiappo ancora qualche avversario poco prima dell'arco d'arrivo: è una guerra tra poveri, ma mi ci diverto troppo... I tappetini, il suono del chip che conferma che è finita, i saluti, i complimenti dei miei compagni di viaggio, la raccomandazione di preparare per martedì un bel resoconto: eccolo!!!
Trovo Luca che è già arrivato, poverello, da ore, ed ha atteso pazientemente fino adesso. Niente pasta party per me: solo una bella doccia bollente e via, si va a casa. L'unico rammarico è per Pietro, da cui ricevo un messaggio non appena riaccendo il cellulare: è stato messo ko da un panino al prosciutto, complice forse il freddo pungente che non ha certo aiutato. Lo chiamo, lo sento sofferente, mi si stringe il cuore: coraggio Pietro, anche questo fa parte del nostro duro lavoro; rimettiti in sesto e tornerai più cattivo di prima, la Marmotte ti aspetta!
210 e rotti km, 5.400 mt di salita. Con oggi, da gennaio i km sono novemila e passa. Soprattutto, la corsa di oggi è stata una vera iniezione di fiducia. Giovedì prossimo si va a Nauders: venerdì c'è la RATA!
giovedì 12 giugno 2008
10 giugno 2008: Bagnolo-Montoso by night
Non sono mai stata, nemmeno "quand'ero giovane", amante della vita notturna. Però lo sto diventando adesso; com'è ovvio, in questa metamorfosi c'è di mezzo la bici. Martedì sera, infatti, sono uscita: bici in auto, destinazione Bagnolo Piemonte, con l'idea di fare un paio di volte su e giù la salita a Montoso. Coinvolto nella mini avventura è anche Mik, che tentenna fino all'ultimo per via del meteo: alle otto meno un quarto, salgo in auto ormai rassegnata all'idea di farmi il giretto da sola, ma dopo qualche km arriva il messaggio: alla fine, s'è deciso!
Nel pomeriggio è caduta un po' di pioggia, ma adesso il cielo è limpido ed il Monviso più nitido che mai. Viaggiando da Moretta verso Cavour, però, non sembra nemmeno il Monviso: non è quel triangolone che si vede dal balcone di casa mia, è solo più una punta che pian piano scompare dietro le prime propaggini della montagna.
A Bagnolo parcheggio nella mia solita piazza, scarico la bici, sistemo due o tre cose. Tracanno il tarocco Red Bull che ho comprato proprio oggi alla nuova Standa di Carmagnola: c'è di tutto lì dentro, caffeina, taurina, gluconoqualcosa... Come minimo, roba da millecinquecento metri di dislivello all'ora! Mah, speriamo che almeno combatta un po' il sonno... Adeguatamente equipaggiata, illuminata e drogata, parto alla volta della rotonda, dove incrocio Mik che sta arrivando in auto. Gli rubo un po' di vantaggio ed inizio la salita, mentre lui si prepara. E' evidente che i tre o quattro giorni di riposo che ho fatto la scorsa settimana – evento più unico che raro – han fatto bene, perché sento di andar su abbastanza tranquilla, senza sforzo, quasi più veloce del solito. Ma questa è certo un'illusione. Erano le nove meno un quarto circa, quando ho passato la rotonda: vediamo quanto ci metto ad andar su. Anzi no, diciamola tutta: vediamo quanto tempo passa prima che Mik mi acchiappi. Poco, ne passerà... Pazienza, Gian: vendi cara la pelle! Salgo bene, sempre con il mio 34x26 e 34x29, agile agile, spesso anche in piedi sui pedali, cosa che di solito mi costa molta fatica: passo Villar, passo i drittoni iniziali, finalmente arrivo ai tornanti, dove inizia il tratto che mi piace di più. Non c'è nessuno per strada, due o tre auto in tutto, cani che abbaiano dai cortili, la fontanella sulla sinistra. E le luci della pianura che si fanno sempre più chiare e definite. Salgo ancora bene, molto meglio del solito; ogni tanto mi volto indietro a vedere se Mik è già in vista... Sento i latrati dei cani più sotto, quindi sta arrivando. Sto per entrare in un tornante, mi guardo ancora alle spalle, nessuno; non faccio in tempo ad arrivare al tornante successivo, che il malefico mi è già alle calcagna. Incredibile... Si affianca, scambiamo qualche parola, ma non impiego molto ad accorgermi che ho inavvertitamente aumentato l'andatura e devo smetterla subito, altrimenti schiatto qui! Mik parte, fila avanti con la sua andatura leggerissima ed elegante come sempre; io... Beh, io son già contenta di essergli stata davanti per un po'! E non diciamolo a nessuno, che è stato possibile semplicemente perché son partita prima di lui...
Il tornante secco a destra, l'ultimo; il cartello con la pendenza minacciosa; uno strappo secco, e poi a destra il panorama sulla pianura, con le luci della sera ormai inoltrata. Tranquilla tranquilla arrivo su, chiedo l'ora a Mik che è lì fermo in paziente attesa: le dieci meno un quarto. Perfetto: per me, un'ora per poco più di ottocento metri di salita; mi lecco i baffi. Lui ha impiegato tre quarti d'ora... Che meraviglia.
Si scende: accendo il fanale, ma non è che serva a molto. La luce è estremamente fioca adesso, ma basta ancora per arrivare fino in fondo. Sono un disastro ambulante io: impiego in tutto oltre venti minuti per 10 km di discesa! Il guaio è che già di norma questa strada così ripida mi crea problemi in discesa; poi, la sera è il momento peggiore per me che sono molto talpa e fatico a mettere a fuoco la riga bianca, le buche, insomma... Uno scempio. Vabbuò, a furia di tirare i freni, arrivo in vista dell'abitato di Villar e passo oltre. E' ormai buio; alzo lo sguardo e, qualche centinaio di metri più avanti, vedo due luci lampeggianti blu. E' un istante, non ho nemmeno il tempo di fare il ragionamento, il cuore manca un paio di battiti. Mik era parecchio avanti a me in discesa... Poi il cuore riprende a battere, come impazzito, sempre più forte, man mano che mi avvicino alle luci, che vedo il capannello di gente, le auto ferme. Solo pochi secondi, ma puro terrore: no, non è possibile... Poi, a destra, un'auto schiacciata contro il pendio del prato, completamente distrutta. E subito dopo, a bordo strada ma per fortuna tutto intero, vedo Mik che si è fermato proprio temendo che io avessi pensato il peggio: immenso sospirone di sollievo, talmente forte che quasi mi rispedisce su a Montoso per reazione, mollo i freni e vado giù, ma con le gambe che fanno giacomo giacomo per lo spavento, fino alla rotonda di Bagnolo.
Ci leviamo le giacche, accendiamo tutte le luci perché adesso è proprio notte, e via, si riparte. Ripassiamo, poco dopo, nel punto dell'incidente; incrociamo l'ambulanza che va via, senza sirena, superiamo la piccola folla di curiosi accanto all'auto rovesciata e continuiamo la salita. Fino a Villar siamo insieme, ma poco dopo Mik riparte del suo vero passo: non è cattivo, è che lo disegnano così... La sua lucina rossa si fa sempre più piccola e rapidissima scompare tra le curve. Io vado su ancora bene, come prima, senza fatica; non devo nemmeno pensarci, di allungare un po' per ridurre il distacco. Tanto gli ho detto di scendere subito, quando arriva su... Non devo nemmeno preoccuparmi del fatto che iberni in attesa per colpa mia. Spengo la luce anteriore: in cielo brilla una splendida mezza luna, che illumina bene la strada. Solo in alcuni punti in cui la boscaglia fa ombra, accendo il fanale giusto per evitare di cascare in qualche cratere nell'asfalto. Però, c'è da dire che la strada è in buone condizioni. Ancora gli stessi cani di prima che abbaiano: tra un po', va a finire che qualche abitante spaventato imbraccia il fucile e mi impallina scambiandomi per chissà quale malfattore! Io di male ne sto facendo solo a me stessa...
Con la luce spenta, si perde la nozione della velocità, dello spazio, e anche del tempo che passa. Non vedo la strada, sento la pendenza solo attraverso la fatica che faccio a mandar giù i pedali. Però il tratto a tornanti passa sempre in fretta; sarà che io adoro i tornanti. Incontro Mik che scende, poco prima di arrivare all'ultimo tornante, quello dello strappo secco. Mi alzo sui pedali, guardo giù a destra, una distesa di luci di tutti i colori che scintillano per effetto dell'aria limpidissima, e poi una volta di stelle, tantissime. Raggiungo Montoso e quasi mi stupisco di vedere qualche luce accesa nelle case di questo paese che sembra davvero abbandonato, disabitato. Giro la bici, mi vesto, accendo sia il fanale che la luce frontale e giù in discesa, la solita eterna, interminabile discesa. Nessuno in giro, solo i gatti: bellissimi gli occhi gialli dei gatti, quando la luce artificiale li illumina per un istante prima che spariscano nel folto del sottobosco. C'è anche qualche lucciola. Le curve, il tratto più dritto e pendente prima di Villar, la borgata. Passo un'altra volta il luogo dell'incidente, l'auto rovesciata non c'è già più. Arrivo alla rotonda, trovo Mik che ha già caricato la bici e si è già pure cambiato: un saluto, e via verso casa, verso nanna. Avrò anche bevuto la bomba, ma io casco dal sonno, e domani la sveglia suona presto. Bellissima serata: per la prossima settimana, mi studio qualcos'altro del genere!
Nel pomeriggio è caduta un po' di pioggia, ma adesso il cielo è limpido ed il Monviso più nitido che mai. Viaggiando da Moretta verso Cavour, però, non sembra nemmeno il Monviso: non è quel triangolone che si vede dal balcone di casa mia, è solo più una punta che pian piano scompare dietro le prime propaggini della montagna.
A Bagnolo parcheggio nella mia solita piazza, scarico la bici, sistemo due o tre cose. Tracanno il tarocco Red Bull che ho comprato proprio oggi alla nuova Standa di Carmagnola: c'è di tutto lì dentro, caffeina, taurina, gluconoqualcosa... Come minimo, roba da millecinquecento metri di dislivello all'ora! Mah, speriamo che almeno combatta un po' il sonno... Adeguatamente equipaggiata, illuminata e drogata, parto alla volta della rotonda, dove incrocio Mik che sta arrivando in auto. Gli rubo un po' di vantaggio ed inizio la salita, mentre lui si prepara. E' evidente che i tre o quattro giorni di riposo che ho fatto la scorsa settimana – evento più unico che raro – han fatto bene, perché sento di andar su abbastanza tranquilla, senza sforzo, quasi più veloce del solito. Ma questa è certo un'illusione. Erano le nove meno un quarto circa, quando ho passato la rotonda: vediamo quanto ci metto ad andar su. Anzi no, diciamola tutta: vediamo quanto tempo passa prima che Mik mi acchiappi. Poco, ne passerà... Pazienza, Gian: vendi cara la pelle! Salgo bene, sempre con il mio 34x26 e 34x29, agile agile, spesso anche in piedi sui pedali, cosa che di solito mi costa molta fatica: passo Villar, passo i drittoni iniziali, finalmente arrivo ai tornanti, dove inizia il tratto che mi piace di più. Non c'è nessuno per strada, due o tre auto in tutto, cani che abbaiano dai cortili, la fontanella sulla sinistra. E le luci della pianura che si fanno sempre più chiare e definite. Salgo ancora bene, molto meglio del solito; ogni tanto mi volto indietro a vedere se Mik è già in vista... Sento i latrati dei cani più sotto, quindi sta arrivando. Sto per entrare in un tornante, mi guardo ancora alle spalle, nessuno; non faccio in tempo ad arrivare al tornante successivo, che il malefico mi è già alle calcagna. Incredibile... Si affianca, scambiamo qualche parola, ma non impiego molto ad accorgermi che ho inavvertitamente aumentato l'andatura e devo smetterla subito, altrimenti schiatto qui! Mik parte, fila avanti con la sua andatura leggerissima ed elegante come sempre; io... Beh, io son già contenta di essergli stata davanti per un po'! E non diciamolo a nessuno, che è stato possibile semplicemente perché son partita prima di lui...
Il tornante secco a destra, l'ultimo; il cartello con la pendenza minacciosa; uno strappo secco, e poi a destra il panorama sulla pianura, con le luci della sera ormai inoltrata. Tranquilla tranquilla arrivo su, chiedo l'ora a Mik che è lì fermo in paziente attesa: le dieci meno un quarto. Perfetto: per me, un'ora per poco più di ottocento metri di salita; mi lecco i baffi. Lui ha impiegato tre quarti d'ora... Che meraviglia.
Si scende: accendo il fanale, ma non è che serva a molto. La luce è estremamente fioca adesso, ma basta ancora per arrivare fino in fondo. Sono un disastro ambulante io: impiego in tutto oltre venti minuti per 10 km di discesa! Il guaio è che già di norma questa strada così ripida mi crea problemi in discesa; poi, la sera è il momento peggiore per me che sono molto talpa e fatico a mettere a fuoco la riga bianca, le buche, insomma... Uno scempio. Vabbuò, a furia di tirare i freni, arrivo in vista dell'abitato di Villar e passo oltre. E' ormai buio; alzo lo sguardo e, qualche centinaio di metri più avanti, vedo due luci lampeggianti blu. E' un istante, non ho nemmeno il tempo di fare il ragionamento, il cuore manca un paio di battiti. Mik era parecchio avanti a me in discesa... Poi il cuore riprende a battere, come impazzito, sempre più forte, man mano che mi avvicino alle luci, che vedo il capannello di gente, le auto ferme. Solo pochi secondi, ma puro terrore: no, non è possibile... Poi, a destra, un'auto schiacciata contro il pendio del prato, completamente distrutta. E subito dopo, a bordo strada ma per fortuna tutto intero, vedo Mik che si è fermato proprio temendo che io avessi pensato il peggio: immenso sospirone di sollievo, talmente forte che quasi mi rispedisce su a Montoso per reazione, mollo i freni e vado giù, ma con le gambe che fanno giacomo giacomo per lo spavento, fino alla rotonda di Bagnolo.
Ci leviamo le giacche, accendiamo tutte le luci perché adesso è proprio notte, e via, si riparte. Ripassiamo, poco dopo, nel punto dell'incidente; incrociamo l'ambulanza che va via, senza sirena, superiamo la piccola folla di curiosi accanto all'auto rovesciata e continuiamo la salita. Fino a Villar siamo insieme, ma poco dopo Mik riparte del suo vero passo: non è cattivo, è che lo disegnano così... La sua lucina rossa si fa sempre più piccola e rapidissima scompare tra le curve. Io vado su ancora bene, come prima, senza fatica; non devo nemmeno pensarci, di allungare un po' per ridurre il distacco. Tanto gli ho detto di scendere subito, quando arriva su... Non devo nemmeno preoccuparmi del fatto che iberni in attesa per colpa mia. Spengo la luce anteriore: in cielo brilla una splendida mezza luna, che illumina bene la strada. Solo in alcuni punti in cui la boscaglia fa ombra, accendo il fanale giusto per evitare di cascare in qualche cratere nell'asfalto. Però, c'è da dire che la strada è in buone condizioni. Ancora gli stessi cani di prima che abbaiano: tra un po', va a finire che qualche abitante spaventato imbraccia il fucile e mi impallina scambiandomi per chissà quale malfattore! Io di male ne sto facendo solo a me stessa...
Con la luce spenta, si perde la nozione della velocità, dello spazio, e anche del tempo che passa. Non vedo la strada, sento la pendenza solo attraverso la fatica che faccio a mandar giù i pedali. Però il tratto a tornanti passa sempre in fretta; sarà che io adoro i tornanti. Incontro Mik che scende, poco prima di arrivare all'ultimo tornante, quello dello strappo secco. Mi alzo sui pedali, guardo giù a destra, una distesa di luci di tutti i colori che scintillano per effetto dell'aria limpidissima, e poi una volta di stelle, tantissime. Raggiungo Montoso e quasi mi stupisco di vedere qualche luce accesa nelle case di questo paese che sembra davvero abbandonato, disabitato. Giro la bici, mi vesto, accendo sia il fanale che la luce frontale e giù in discesa, la solita eterna, interminabile discesa. Nessuno in giro, solo i gatti: bellissimi gli occhi gialli dei gatti, quando la luce artificiale li illumina per un istante prima che spariscano nel folto del sottobosco. C'è anche qualche lucciola. Le curve, il tratto più dritto e pendente prima di Villar, la borgata. Passo un'altra volta il luogo dell'incidente, l'auto rovesciata non c'è già più. Arrivo alla rotonda, trovo Mik che ha già caricato la bici e si è già pure cambiato: un saluto, e via verso casa, verso nanna. Avrò anche bevuto la bomba, ma io casco dal sonno, e domani la sveglia suona presto. Bellissima serata: per la prossima settimana, mi studio qualcos'altro del genere!
domenica 8 giugno 2008
8 giugno 2008: tre girovaghi in Valle Stura
C'erano grandi progetti nell'aria per questo fine settimana: peccato che, con mio gran disappunto, la pioggia abbia ancora una volta rovinato tutto, come fa ormai da almeno quattro settimane a questa parte. Non se ne può più: sarà il più banale e poco sensato dei commenti, ma a questo punto è anche il mio...
Però, tutto sommato, di oggi non mi posso proprio lamentare. Diciamo che la domenica non è andata persa, ciclisticamente parlando.
L'appuntamento è alle sei sulla piazzetta di Aisone, in Valle Stura. Programma, fino a ieri, le salite alla Lombarda, alla Bonette ed ancora alla Lombarda, colli solo da pochi giorni sgombri dalla neve. La sveglia suona alle tre e mezza; mi alzo, stranamente senza l'impulso di catapultare l'odiato oggetto fuori dalla finestra, e mi preparo per la partenza. Intanto, tendo l'orecchio: si sente, nel silenzio, l'inconfondibile gocciolìo dell'acqua nelle grondaie. Cavolo, piove ancora. O forse no, voglio illudermi, forse è solo l'acqua della pioggia di ieri che va ancora giù. Però, in cortile, la pietosa menzogna a me stessa è smascherata: piove, punto e basta. Andiamo bene... Le previsioni per oggi erano un po' più incoraggianti dei giorni scorsi, sia su Meteoitalia che su Meteofrance!
E vabbuò, ormai sono sveglia e pronta, tantovale partire. E poi c'è Matteo che arriva da Genova, a quest'ora magari è già partito, che faccio? Non posso mica dirgli "torna a casa che piove"! Ecco, ho trovato una buona ragione per darmi una mossa e mettermi in auto. Poi magari in valle non piove più. Già... Non ci credo nemmeno io mentre lo penso...
Il viaggio dura un'oretta e mezza, poco meno: la pioggia, da lieve, diventa prima fitta, poi fittissima, poi diluvio universale. Poi smette, poi ricomincia. La luce dell'alba serve solo a rivelare un cielo minacciosamente plumbeo, nuvole su nuvole spesse, nere, cariche di acqua che verrà giù tutta sulla mia testa, oggi. Che nervi. Lo so, è assurdo arrabbiarsi per il tempo, ma ahimè, succede!
Di tanto in tanto guardo il telefonino: nessun messaggio. Ma, mi domando, è possibile che proprio a nessuno oggi venga in mente che stiamo per fare una gran boiata? No... Conoscendo i miei polli, cioè i miei compagni di viaggio, no... Claudio e Matteo son due soggetti che partirebbero anche se un'onda di maremoto stesse per abbattersi sul loro percorso! Oggi mi sa che devo soffrire e tacere, a meno di tirarmi indietro, ma no, non se ne parla proprio. Non prima, perlomeno, di averci provato.
Ad Aisone trovo Claudio già pronto e scattante. Matteo è a Cuneo, ci raggiungerà dopo. Degli altri candidati, nessuna traccia: si saranno girati dall'altra parte nel lettuccio ed avranno ripreso la nanna... Un po' li invidio e un po' mi sento pirla. Bando alle ciance, si parte. Destinazione Vinadio e Colle della Lombarda. Piove fitto, ma poco dopo Pratolungo ha già smesso. Attacco la salita con molta prudenza: sono reduce da una cotta clamorosa la scorsa domenica, che mi ha indotta – caso unico nella mia carriera ciclistica e podistica – a costringermi a quattro giorni di assoluta nullafacenza sportiva... Non vorrei ridurmi ancora così. Le gambe risentono un po' del giro di corsa di ieri, tutto sommato abbastanza bello, 27 km e 560 m di dislivello in salita su e giù per le colline del Roero: ma la sensazione fastidiosa scompare dopo alcuni km.
Il primo tratto di tornanti ha l'asfalto malconcio, pieno di buche e detriti. L'acqua corre a fiumi sulla strada, come per tutto il resto della salita. Andiamo su tranquilli – al mio passo, quindi tranquilli per forza! Cielo sempre minaccioso, scuro, ma per ora sembra tenere. Claudio si studia per bene la prima salita della Super Rando: almeno qui, fra tre settimane, saprà cosa aspettarsi.
La seconda serie di tornanti ci porta in vista del Santuario di Sant'Anna. Al bivio per la Lombarda, un perentorio cartello di divieto d'accesso: faremo finta di non averlo visto... Del resto, anche giù a fondovalle, c'è ancora il segnale "chiuso" in campo rosso, ma al Comune di Vinadio l'altro ieri mi han detto che si passa. Infatti, incrociamo alcune auto con targa francese che scendono giù: più chiaro di così...
A meno sei km dalla vetta, proprio quando la strada esce dal bosco, il bellissimo panorama che avevo promesso a Claudio non c'è più: sparito nella nebbia fitta, talmente fitta che i laghetti a bordo strada si intravedono appena. E, come la pendenza cala, si sente addosso il freddo, nonostante la giacca. E ricomincia a piovere. Cerco di affrettarmi a raggiungere il passo: ovvio che non ho alcuna intenzione di fare ciò che si era programmato, e cioè scendere a Isola ed andare verso la Bonette. Per carità, magari tra un po' la situazione meteo migliorerà: ma non ho troppa fiducia... E se poi non dovesse migliorare? Chi ci va, a cacciarsi ai 2.800 mt di quota della Bonette? Chi scende di lassù sotto la pioggia? E poi, se non ci si arriva, tocca risalire ai 2.300 della Lombarda, chissà in quale condizione... No no. Meglio tornare giù in Valle Stura e, se la pioggia lo consente, tentare la salita nel Vallone dell'Arma, fin dove la strada non è interrotta dalla neve.
Detto, fatto, Claudio è buono e non si oppone. Mi spiace, anche lui arriva da lontano e si è fatto tanti km di auto per nulla: ma io proprio non me la sento. Sono una piattola, patisco il freddo, ho paura in discesa con la pioggia, un po' perché non vedo niente, un po' perché frenare è missione impossibile, un po' anche perché, nonostante due strati di guanti, le mani si gelano e fanno male.
Dopo due km di discesa, incrociamo Matteo che sale di gran carriera: lui, alla Bonette, vorrebbe proprio andarci... Lo sapevo già, che non sarebbe stato felice del cambio di programma, ma non posso farci nulla, io non ho il suo temperamento temerario. Sogno solo una cioccolata calda...
Seguono ancora diciannove km di discesa gelida, sotto la pioggia. Eterni, perché scendo a freni tirati, preoccupata dall'acqua che corre sulla strada, dai sassi, dalla sabbia, dal fango che sono scivolati giù dalla pineta. Non mi par vero di arrivare a Pratolungo. Non oso lamentarmi più di tanto, perché i miei due colleghi sono come sempre sorridenti ed immuni al freddo ed a qualsiasi avversità... A Vinadio, ci fermiamo al bar. Ci apre la porta un signore con grembiule, esterrefatto dalla vista di tre personaggi fradici e tremanti... Tre cioccolate calde e poi via. Io ho deciso, voglio tornare all'auto ed andare a casa. La mia irrevocabile decisione dura fino al momento in cui rimetto il fondoschiena sulla sella: mah, in fondo non fa così freddo... E' vero che diluvia, ma si potrebbe almeno provare a raggiungere la Madonna del Colletto. Lancio la proposta: accolta. Imbocchiamo la strada che da Vinadio porta all'altro versante della valle rispetto alla statale. Peccato che, ad un certo punto, quella strada sia interrotta: da lì, a Festiona non si arriva. Però, proprio lì accanto, parte una salita che sembra invitante. Mi ci fiondo: chissà che più avanti non si ricongiunga alla strada della Madonna del Colletto. E se anche non fosse così, vediamo dove va a finire.
I colleghi mi seguono su per le rampe: mannaggia che pendenze! E che asfalto! Se non buco qui oggi, non buco mai più... Fatico, sbuffo come una ciminiera, non me l'aspettavo proprio, una salita tosta così. La direzione segnata giù sotto era Bergemolo: in effetti, dopo circa quattro km e quattrocento metri di dislivello, raggiungiamo un gruppetto di case tra cui la strada asfaltata – asfaltata per modo di dire - va a morire. Beh, non saremo andati al Colletto, ma abbiamo scoperto un gran bel massacro per i garretti!
Scendiamo con molta cautela tra sassi e buchi. Il tempo sembra dare una tregua: e se provassimo adesso ad andare verso il Fauniera? Ok, si va a Demonte e da lì si sale. Le gambe reggono ancora bene, molto meglio di quanto osassi sperare. E' la fame, che comincia a farsi sentire: sono entrata nella fase di inceneritore. Attacco le mie brioches e intanto pesto sui pedali, cercando di non rallentare troppo i miei compagni di viaggio. Si chiacchiera, si fan passare i minuti senza sentire troppo la fatica. I primi dieci km, fino all'ultimo abitato di San Giacomo, per me sono sempre una tortura: cambi continui di pendenza, strappi, discese, ci soffro. Poi, finalmente, la strada comincia a salire, regolare, mai durissima. Il vallone si apre: peccato che, anche qui, nebbia e nuvole nascondano lo spettacolo. Saliamo ancora, intanto la pioggia riprende: prima poche gocce, poi vien giù decisa. Più o meno al km 15, mi fermo: mi spiace, sto andando bene, ma non voglio procedere così, per poi soffrire come sempre in discesa. Qui la strada ha un fondo orribile, so già che andar giù sarà un calvario; l'ultima volta che ho fatto un numero del genere, proprio qui nel Vallone, ho guadagnato dei bei lividi e preso dei bei rischi!
Matteo e Claudio procedono; secondo me, potranno andar su ancora cinque km, più o meno. Io scendo giù, pianissimo, freni tirati; piove forte, ho gli occhiali bagnati, non vedo niente! Speriamo di non centrare qualche sasso o qualche buca... Anche stavolta la discesa è interminabile. Per fortuna, quasi non fa freddo. Piove fino a tre km da Demonte, poi, all'improvviso, più nulla. Quasi quasi potrei scendere al paese e poi risalire su un po', finché non incontro i compari che scendono. Così faccio: arrivo a Demonte, giro la bici, torno su. E le gambe girano ancora bene. Procedo un po', i primi paesini, non piove ancora; incontro due pacifici cagnotti, qualche coccola, poi ancora su. Incrocio Matteo e Claudio intorno al km 6: mi dicono che la strada è praticabile fino al km 20, poi c'è ancora la neve. Si torna tutti a Demonte.
Da lì, ritentiamo di andare alla Madonna del Colletto: proviamo a raggiungere Festiona dalla statale; da lì si passa, nessun problema. Finalmente, per la prima volta nella giornata, tolgo la giacca impermeabile. La mia GoreTex Paclite nuovissima: devo dire, davvero, che vale il rene che ho venduto per comprarla! Eccezionale. Ok, si riparte per (forse) l'ultima fatica della giornata. In effetti, le gambe, sulle rampe più severe, un po' si lamentano, ma niente di terribile. Verso la fine della salita, mi sorpassano due missili, uno in bici da corsa, l'altro in mountain bike: mi consolo pensando che, probabilmente, non hanno nelle gambe il dislivello che ho io oggi... Ma mi straccerebbero comunque, anche se ce l'avessero!
Scommetto che, in cima, Matteo dirà: "Scendiamo a Valdieri, poi torniamo su, così vediamo anche l'altro versante!". Le gambe ce la farebbero ancora; anzi, dovrei essere io stessa a proporre l'idea, vista la fama che ho di amante della fatica aggravata e continuata. Ma oggi, devo ammetterlo, ne ho abbastanza di pioggia e di freddo. Proprio abbastanza, anche se è stato un giro bellissimo. Per fortuna, nessuno si pronuncia; torniamo giù a Demonte e da lì ad Aisone: cinque km di falsopiano in cui riesco a beccare un distacco abissale! Ma non posso farci niente, io la odio, quella statale; faccio resistenza passiva. Finalmente l'auto. Fuori i numeri: un bel giro "denso", 140 km e 4.400 mt di dislivello. Ci guardiamo, siamo ben incrostati di fango, per non parlare poi delle bici. Ancora una veloce sosta al bar, poi tutti a casa: naturalmente, sotto la pioggia...
Stasera, ironia della sorte, il cielo è stellato, con tanto di luna. Però ho la piacevole sensazione di aver compiuto una piccola "impresa" che da sola, di certo, non avrei avuto la voglia e la costanza di portare a termine. Probabilmente sarei saltata in auto già dopo la discesa della Lombarda, o forse non sarei nemmeno partita. Quindi, a maggior ragione, un grazie ai miei due compagni di viaggio!
Però, tutto sommato, di oggi non mi posso proprio lamentare. Diciamo che la domenica non è andata persa, ciclisticamente parlando.
L'appuntamento è alle sei sulla piazzetta di Aisone, in Valle Stura. Programma, fino a ieri, le salite alla Lombarda, alla Bonette ed ancora alla Lombarda, colli solo da pochi giorni sgombri dalla neve. La sveglia suona alle tre e mezza; mi alzo, stranamente senza l'impulso di catapultare l'odiato oggetto fuori dalla finestra, e mi preparo per la partenza. Intanto, tendo l'orecchio: si sente, nel silenzio, l'inconfondibile gocciolìo dell'acqua nelle grondaie. Cavolo, piove ancora. O forse no, voglio illudermi, forse è solo l'acqua della pioggia di ieri che va ancora giù. Però, in cortile, la pietosa menzogna a me stessa è smascherata: piove, punto e basta. Andiamo bene... Le previsioni per oggi erano un po' più incoraggianti dei giorni scorsi, sia su Meteoitalia che su Meteofrance!
E vabbuò, ormai sono sveglia e pronta, tantovale partire. E poi c'è Matteo che arriva da Genova, a quest'ora magari è già partito, che faccio? Non posso mica dirgli "torna a casa che piove"! Ecco, ho trovato una buona ragione per darmi una mossa e mettermi in auto. Poi magari in valle non piove più. Già... Non ci credo nemmeno io mentre lo penso...
Il viaggio dura un'oretta e mezza, poco meno: la pioggia, da lieve, diventa prima fitta, poi fittissima, poi diluvio universale. Poi smette, poi ricomincia. La luce dell'alba serve solo a rivelare un cielo minacciosamente plumbeo, nuvole su nuvole spesse, nere, cariche di acqua che verrà giù tutta sulla mia testa, oggi. Che nervi. Lo so, è assurdo arrabbiarsi per il tempo, ma ahimè, succede!
Di tanto in tanto guardo il telefonino: nessun messaggio. Ma, mi domando, è possibile che proprio a nessuno oggi venga in mente che stiamo per fare una gran boiata? No... Conoscendo i miei polli, cioè i miei compagni di viaggio, no... Claudio e Matteo son due soggetti che partirebbero anche se un'onda di maremoto stesse per abbattersi sul loro percorso! Oggi mi sa che devo soffrire e tacere, a meno di tirarmi indietro, ma no, non se ne parla proprio. Non prima, perlomeno, di averci provato.
Ad Aisone trovo Claudio già pronto e scattante. Matteo è a Cuneo, ci raggiungerà dopo. Degli altri candidati, nessuna traccia: si saranno girati dall'altra parte nel lettuccio ed avranno ripreso la nanna... Un po' li invidio e un po' mi sento pirla. Bando alle ciance, si parte. Destinazione Vinadio e Colle della Lombarda. Piove fitto, ma poco dopo Pratolungo ha già smesso. Attacco la salita con molta prudenza: sono reduce da una cotta clamorosa la scorsa domenica, che mi ha indotta – caso unico nella mia carriera ciclistica e podistica – a costringermi a quattro giorni di assoluta nullafacenza sportiva... Non vorrei ridurmi ancora così. Le gambe risentono un po' del giro di corsa di ieri, tutto sommato abbastanza bello, 27 km e 560 m di dislivello in salita su e giù per le colline del Roero: ma la sensazione fastidiosa scompare dopo alcuni km.
Il primo tratto di tornanti ha l'asfalto malconcio, pieno di buche e detriti. L'acqua corre a fiumi sulla strada, come per tutto il resto della salita. Andiamo su tranquilli – al mio passo, quindi tranquilli per forza! Cielo sempre minaccioso, scuro, ma per ora sembra tenere. Claudio si studia per bene la prima salita della Super Rando: almeno qui, fra tre settimane, saprà cosa aspettarsi.
La seconda serie di tornanti ci porta in vista del Santuario di Sant'Anna. Al bivio per la Lombarda, un perentorio cartello di divieto d'accesso: faremo finta di non averlo visto... Del resto, anche giù a fondovalle, c'è ancora il segnale "chiuso" in campo rosso, ma al Comune di Vinadio l'altro ieri mi han detto che si passa. Infatti, incrociamo alcune auto con targa francese che scendono giù: più chiaro di così...
A meno sei km dalla vetta, proprio quando la strada esce dal bosco, il bellissimo panorama che avevo promesso a Claudio non c'è più: sparito nella nebbia fitta, talmente fitta che i laghetti a bordo strada si intravedono appena. E, come la pendenza cala, si sente addosso il freddo, nonostante la giacca. E ricomincia a piovere. Cerco di affrettarmi a raggiungere il passo: ovvio che non ho alcuna intenzione di fare ciò che si era programmato, e cioè scendere a Isola ed andare verso la Bonette. Per carità, magari tra un po' la situazione meteo migliorerà: ma non ho troppa fiducia... E se poi non dovesse migliorare? Chi ci va, a cacciarsi ai 2.800 mt di quota della Bonette? Chi scende di lassù sotto la pioggia? E poi, se non ci si arriva, tocca risalire ai 2.300 della Lombarda, chissà in quale condizione... No no. Meglio tornare giù in Valle Stura e, se la pioggia lo consente, tentare la salita nel Vallone dell'Arma, fin dove la strada non è interrotta dalla neve.
Detto, fatto, Claudio è buono e non si oppone. Mi spiace, anche lui arriva da lontano e si è fatto tanti km di auto per nulla: ma io proprio non me la sento. Sono una piattola, patisco il freddo, ho paura in discesa con la pioggia, un po' perché non vedo niente, un po' perché frenare è missione impossibile, un po' anche perché, nonostante due strati di guanti, le mani si gelano e fanno male.
Dopo due km di discesa, incrociamo Matteo che sale di gran carriera: lui, alla Bonette, vorrebbe proprio andarci... Lo sapevo già, che non sarebbe stato felice del cambio di programma, ma non posso farci nulla, io non ho il suo temperamento temerario. Sogno solo una cioccolata calda...
Seguono ancora diciannove km di discesa gelida, sotto la pioggia. Eterni, perché scendo a freni tirati, preoccupata dall'acqua che corre sulla strada, dai sassi, dalla sabbia, dal fango che sono scivolati giù dalla pineta. Non mi par vero di arrivare a Pratolungo. Non oso lamentarmi più di tanto, perché i miei due colleghi sono come sempre sorridenti ed immuni al freddo ed a qualsiasi avversità... A Vinadio, ci fermiamo al bar. Ci apre la porta un signore con grembiule, esterrefatto dalla vista di tre personaggi fradici e tremanti... Tre cioccolate calde e poi via. Io ho deciso, voglio tornare all'auto ed andare a casa. La mia irrevocabile decisione dura fino al momento in cui rimetto il fondoschiena sulla sella: mah, in fondo non fa così freddo... E' vero che diluvia, ma si potrebbe almeno provare a raggiungere la Madonna del Colletto. Lancio la proposta: accolta. Imbocchiamo la strada che da Vinadio porta all'altro versante della valle rispetto alla statale. Peccato che, ad un certo punto, quella strada sia interrotta: da lì, a Festiona non si arriva. Però, proprio lì accanto, parte una salita che sembra invitante. Mi ci fiondo: chissà che più avanti non si ricongiunga alla strada della Madonna del Colletto. E se anche non fosse così, vediamo dove va a finire.
I colleghi mi seguono su per le rampe: mannaggia che pendenze! E che asfalto! Se non buco qui oggi, non buco mai più... Fatico, sbuffo come una ciminiera, non me l'aspettavo proprio, una salita tosta così. La direzione segnata giù sotto era Bergemolo: in effetti, dopo circa quattro km e quattrocento metri di dislivello, raggiungiamo un gruppetto di case tra cui la strada asfaltata – asfaltata per modo di dire - va a morire. Beh, non saremo andati al Colletto, ma abbiamo scoperto un gran bel massacro per i garretti!
Scendiamo con molta cautela tra sassi e buchi. Il tempo sembra dare una tregua: e se provassimo adesso ad andare verso il Fauniera? Ok, si va a Demonte e da lì si sale. Le gambe reggono ancora bene, molto meglio di quanto osassi sperare. E' la fame, che comincia a farsi sentire: sono entrata nella fase di inceneritore. Attacco le mie brioches e intanto pesto sui pedali, cercando di non rallentare troppo i miei compagni di viaggio. Si chiacchiera, si fan passare i minuti senza sentire troppo la fatica. I primi dieci km, fino all'ultimo abitato di San Giacomo, per me sono sempre una tortura: cambi continui di pendenza, strappi, discese, ci soffro. Poi, finalmente, la strada comincia a salire, regolare, mai durissima. Il vallone si apre: peccato che, anche qui, nebbia e nuvole nascondano lo spettacolo. Saliamo ancora, intanto la pioggia riprende: prima poche gocce, poi vien giù decisa. Più o meno al km 15, mi fermo: mi spiace, sto andando bene, ma non voglio procedere così, per poi soffrire come sempre in discesa. Qui la strada ha un fondo orribile, so già che andar giù sarà un calvario; l'ultima volta che ho fatto un numero del genere, proprio qui nel Vallone, ho guadagnato dei bei lividi e preso dei bei rischi!
Matteo e Claudio procedono; secondo me, potranno andar su ancora cinque km, più o meno. Io scendo giù, pianissimo, freni tirati; piove forte, ho gli occhiali bagnati, non vedo niente! Speriamo di non centrare qualche sasso o qualche buca... Anche stavolta la discesa è interminabile. Per fortuna, quasi non fa freddo. Piove fino a tre km da Demonte, poi, all'improvviso, più nulla. Quasi quasi potrei scendere al paese e poi risalire su un po', finché non incontro i compari che scendono. Così faccio: arrivo a Demonte, giro la bici, torno su. E le gambe girano ancora bene. Procedo un po', i primi paesini, non piove ancora; incontro due pacifici cagnotti, qualche coccola, poi ancora su. Incrocio Matteo e Claudio intorno al km 6: mi dicono che la strada è praticabile fino al km 20, poi c'è ancora la neve. Si torna tutti a Demonte.
Da lì, ritentiamo di andare alla Madonna del Colletto: proviamo a raggiungere Festiona dalla statale; da lì si passa, nessun problema. Finalmente, per la prima volta nella giornata, tolgo la giacca impermeabile. La mia GoreTex Paclite nuovissima: devo dire, davvero, che vale il rene che ho venduto per comprarla! Eccezionale. Ok, si riparte per (forse) l'ultima fatica della giornata. In effetti, le gambe, sulle rampe più severe, un po' si lamentano, ma niente di terribile. Verso la fine della salita, mi sorpassano due missili, uno in bici da corsa, l'altro in mountain bike: mi consolo pensando che, probabilmente, non hanno nelle gambe il dislivello che ho io oggi... Ma mi straccerebbero comunque, anche se ce l'avessero!
Scommetto che, in cima, Matteo dirà: "Scendiamo a Valdieri, poi torniamo su, così vediamo anche l'altro versante!". Le gambe ce la farebbero ancora; anzi, dovrei essere io stessa a proporre l'idea, vista la fama che ho di amante della fatica aggravata e continuata. Ma oggi, devo ammetterlo, ne ho abbastanza di pioggia e di freddo. Proprio abbastanza, anche se è stato un giro bellissimo. Per fortuna, nessuno si pronuncia; torniamo giù a Demonte e da lì ad Aisone: cinque km di falsopiano in cui riesco a beccare un distacco abissale! Ma non posso farci niente, io la odio, quella statale; faccio resistenza passiva. Finalmente l'auto. Fuori i numeri: un bel giro "denso", 140 km e 4.400 mt di dislivello. Ci guardiamo, siamo ben incrostati di fango, per non parlare poi delle bici. Ancora una veloce sosta al bar, poi tutti a casa: naturalmente, sotto la pioggia...
Stasera, ironia della sorte, il cielo è stellato, con tanto di luna. Però ho la piacevole sensazione di aver compiuto una piccola "impresa" che da sola, di certo, non avrei avuto la voglia e la costanza di portare a termine. Probabilmente sarei saltata in auto già dopo la discesa della Lombarda, o forse non sarei nemmeno partita. Quindi, a maggior ragione, un grazie ai miei due compagni di viaggio!
martedì 27 maggio 2008
24-25 maggio 2008: tra Liguria, Emilia e Toscana. Secondo giorno.
La sveglia alle sei non mi va proprio giù. Quasi quasi, il demonietto mi spinge a sperare che stia diluviando... Così ci giriamo dall'altra parte e riprendiamo il sonno interrotto. Macché. Tendo le orecchie, mi do una bacchettata virtuale sulle nocche per punirmi del pensiero ignobile, mi trascino alla finestra: il cielo è plumbeo, ma per ora pare che non venga giù nulla.
Ci prepariamo in fretta, poi diamo fondo al residuo della torta al cioccolato di ieri. Io ci aggiungo una brioche, ma è comunque una colazione da canarino rispetto alle mie abitudini: la pagherò cara...
Il programma di oggi prevede partenza da Pontremoli. Percorriamo un tratto in auto, sempre scrutando il meteo che promette ben poco di buono, peggio anche di ieri. Però non piove. L'itinerario di oggi prevede un “8” con il centro proprio a Pontremoli: mal che vada, se proprio rischiamo di annegare, possiamo farne solo una parte e poi tagliare la corda.
Prima salita, il Passo del Rastrello: bella, lunga, molto regolare. Qualche goccia viene giù; saliamo in mezzo alla nebbia, in un paesaggio spettrale; per fortuna, non fa troppo freddo, anche se gli indumenti sono fradici per l'umidità tremenda. Stavolta Mik ha avuto pietà; mi aspetta anche al paesello, non solo a fine salita. Però io già tentenno. Non capisco, la pendenza è tutto fuorché proibitiva, eppure fatico. Son sempre in piedi sui pedali, cosa che per me non è abituale; è come se le gambe mal sopportassero il fatto di lavorare sempre nella stessa posizione. Non sono tranquilla, ho paura che oggi combinerò poco. Ed ho una fame da lupi, contro cui le mie brioches con la marmellata possono davvero poco. Cerco di distrarmi guardandomi intorno, ma non è che mi senta molto confortata: tra un po' mi sa che verrà giù il diluvio...

In fondo, la salita finisce in fretta; come al solito, trovo Mik con la barba sempre un po' più lunga: sant'uomo, posso immaginare cosa stia pensando, anche se è un signore e non lo dice.
Discesa facile a San Pietro Vara, un po' di saliscendi fino a Varese Ligure, poi via verso la seconda salita, il Passo Centocroci. Sulla via verso Varese, io resto indietro per colpa dei soliti saliscendi; ad un tratto, mi passano tre assatanati in vena di scatti e controscatti: io non posso far altro che mettermi mestamente da parte, ma già pregusto il momento in cui gli incauti arriveranno alle calcagna di Mik che è un po' più avanti. Infatti, poco dopo, li vedo sparire tutti e quattro... E so che il mio collega non mollerà l'osso, anzi, li farà neri, quei tre ridicoli pivelloni. Per loro fortuna, non gireranno verso la salita.
Il Passo Centocroci dev'essere molto bello... Peccato che la nebbia e infine la temuta pioggia mi levino ogni voglia di guardarmi intorno. Non c'è niente da fare, mi tocca fermarmi, vestirmi da pioggia, riporre la macchina fotografica nella borsina di plastica per evitare che vada a bagno. Poi su, cercando d'essere più svelta possibile, con l'angoscia di Mik che sta sicuramente congelando in cima, per aspettarmi. Infatti, lo trovo proprio lì, sotto un micro-riparo di fortuna... In discesa non va meglio, la bici non frena, non so se faccio più fatica a controllare la traiettoria o il panico. Scendo letteralmente a passo d'uomo, anche qui, con la pena che Mik stia aspettando al freddo, ma che posso fare? Ho la sensazione che la bici vada dove vuole lei; in più, non vedo una fava, con gli occhiali bagnati; insomma, un disastro...
Al bivio per Borgo Val di Taro, in fondo alla discesa, vedo la bici di Mik appoggiata ad una provvidenziale piccola tettoia, credo una fermata del bus. Eccolo lì, mezzo ibernato. Si riparte in fretta e furia, direzione Passo del Bratello: pare incredibile, ma la pioggia smette a Borgo Val di Taro. Ci attende una salita all'asciutto: breve, facile, anche se le gambe stanno cedendo. E' un misto di rabbia e dispiacere quello che sento adesso: possibile, con tutti i km che ho già macinato quest'anno, basta un giorno e mezzo di bici ed ecco come son ridotta, uno straccio. Anche sulle pendenze più ridicole, non riesco a spingere nulla di meglio del 34x26 e, se ci provo, mi rovino letteralmente le gambe. E poi è un circolo vizioso, più ci penso, più mi arrabbio, peggio mi sento.
In cima, trovo Mik spaparanzato sulla panca, con l'aria sorniona di chi ha appena fatto due passi dopo pranzo; dobbiamo decidere il da farsi. La proposta è scendere a Pontremoli e fare almeno il Passo Cirone: da lì, decideremo se chiudere un anello oppure tornare all'auto; o meglio, lo deciderà il meteo per noi.
Da Pontremoli, saliamo un paio di km del Passo della Cisa e poi giriamo verso il Cirone. Cavoli, questa volta marca davvero male. Ho una gran fame. Mi restano due plumcake, li faccio fuori uno dopo l'altro. E' bella questa salita, bellissima, lunga, selvaggia, solo più qualche casolare dopo il primo paesello. Però non riesco a godermela, ormai la cotta sta arrivando. Si vede, più o meno, il punto in cui potrebbe esserci il colle; si vede che manca poco dislivello e pochi km; cerco di non pensarci, ma la fame non dà tregua. Le gambe sono sempre più molli, non vogliono saperne di spingere. Penso le cose più assurde: se ci fosse qualche casa, qualcuno a cui chiedere una bustina di zucchero; penso alla salita del Colle di Sampeyre dove ci sono i lamponi a primavera, già, ma questo non è il Sampeyre e comunque i lamponi sarebbero una goccia nell'oceano. Arrivo persino a considerare l'idea che i prati qui accanto sono pieni di cicoria e che, in fondo, c'è tanta gente che la cicoria la raccoglie e se la mangia... Ancora una curva, qui spiana un po', un'altra curva, poi all'improvviso vedo tutto blu. Non so come, sgancio i pedali, butto giù i piedi, appoggio la testa al manubrio. Non so se sia più la rabbia per essermi ridotta in questo stato, o la vergogna che qualcuno mi possa vedere, anche se poi, in fondo, al resto del mondo, che je frega? Resto così per qualche minuto, mi sembra che il capogiro sia un po' passato; torno a connettere, prendo il cellulare, solo per avvisare Mik che non mi è proprio più possibile salire.
Non faccio in tempo a scrivere, che lo vedo arrivare giù. Confesso che, in quel preciso istante, mi sono vergognata di esistere, quasi avessi commesso un crimine. Brucia, mamma mia se brucia quel momento, se ci penso. Sarebbe bastata ancora una merendina, o anche solo un cucchiaino di zucchero. Invece niente, il vuoto.
Giro la bici, scendo anch'io. Per i primi km, faccio fatica a tener dritta la bici; mi sembra che la testa viaggi un po' per conto suo, sento le braccia molli molli; ci sono due brevi tratti di lievissima risalita che mi sembrano lo Stelvio. La rabbia sorda che mi sta salendo dentro non aiuta, vorrei prendermi a schiaffi...
Per fortuna, Pontremoli arriva in fretta. Per oggi è finita, male, ma è finita. Gian, caccia via i pensieri neri, falla finita, niente scenate. La prossima volta però mi devo fare furba, tornare alle mie care vecchie barrette che saranno pure poco appetitose e molto costose, ma, se non altro, funzionano a dovere.
Mik propone una gelateria... Niente di meglio di una bella coppetta cioccolato e nocciola, per fugare tutte le ombre di una pessima prestazione sportiva. 160 km, 3.500 mt di dislivello, anzi, per me qualcosa in meno, e sono disfatta. Mi rifarò la prossima volta, spero. E, nonostante tutto, anche questa volta posso dire d'aver trascorso due giorni splendidi, in posti che non conoscevo e che valgono la pena di qualche ora d'auto, sì, senza dubbio.
Alla sera, dopo il mio passaggio, la dispensa di casa mia pare reduce dal flagello di tutte le piaghe d'Egitto... Il vuoto, il nulla, spazzolo tutto quel che trovo e anche di più. Meno male che mia sorella non è ancora a casa; avrebbe rischiato di restare vittima di un atto di cannibalismo! Ecco, è sempre così, tanta fatica per bruciare un po' di calorie, e poi ne reintegro il doppio...
Come al solito, grazie a Mik della compagnia e della pazienza!!! Un giorno o l'altro gli spunterà l'aureola...
Ci prepariamo in fretta, poi diamo fondo al residuo della torta al cioccolato di ieri. Io ci aggiungo una brioche, ma è comunque una colazione da canarino rispetto alle mie abitudini: la pagherò cara...
Il programma di oggi prevede partenza da Pontremoli. Percorriamo un tratto in auto, sempre scrutando il meteo che promette ben poco di buono, peggio anche di ieri. Però non piove. L'itinerario di oggi prevede un “8” con il centro proprio a Pontremoli: mal che vada, se proprio rischiamo di annegare, possiamo farne solo una parte e poi tagliare la corda.
Prima salita, il Passo del Rastrello: bella, lunga, molto regolare. Qualche goccia viene giù; saliamo in mezzo alla nebbia, in un paesaggio spettrale; per fortuna, non fa troppo freddo, anche se gli indumenti sono fradici per l'umidità tremenda. Stavolta Mik ha avuto pietà; mi aspetta anche al paesello, non solo a fine salita. Però io già tentenno. Non capisco, la pendenza è tutto fuorché proibitiva, eppure fatico. Son sempre in piedi sui pedali, cosa che per me non è abituale; è come se le gambe mal sopportassero il fatto di lavorare sempre nella stessa posizione. Non sono tranquilla, ho paura che oggi combinerò poco. Ed ho una fame da lupi, contro cui le mie brioches con la marmellata possono davvero poco. Cerco di distrarmi guardandomi intorno, ma non è che mi senta molto confortata: tra un po' mi sa che verrà giù il diluvio...
In fondo, la salita finisce in fretta; come al solito, trovo Mik con la barba sempre un po' più lunga: sant'uomo, posso immaginare cosa stia pensando, anche se è un signore e non lo dice.
Discesa facile a San Pietro Vara, un po' di saliscendi fino a Varese Ligure, poi via verso la seconda salita, il Passo Centocroci. Sulla via verso Varese, io resto indietro per colpa dei soliti saliscendi; ad un tratto, mi passano tre assatanati in vena di scatti e controscatti: io non posso far altro che mettermi mestamente da parte, ma già pregusto il momento in cui gli incauti arriveranno alle calcagna di Mik che è un po' più avanti. Infatti, poco dopo, li vedo sparire tutti e quattro... E so che il mio collega non mollerà l'osso, anzi, li farà neri, quei tre ridicoli pivelloni. Per loro fortuna, non gireranno verso la salita.
Il Passo Centocroci dev'essere molto bello... Peccato che la nebbia e infine la temuta pioggia mi levino ogni voglia di guardarmi intorno. Non c'è niente da fare, mi tocca fermarmi, vestirmi da pioggia, riporre la macchina fotografica nella borsina di plastica per evitare che vada a bagno. Poi su, cercando d'essere più svelta possibile, con l'angoscia di Mik che sta sicuramente congelando in cima, per aspettarmi. Infatti, lo trovo proprio lì, sotto un micro-riparo di fortuna... In discesa non va meglio, la bici non frena, non so se faccio più fatica a controllare la traiettoria o il panico. Scendo letteralmente a passo d'uomo, anche qui, con la pena che Mik stia aspettando al freddo, ma che posso fare? Ho la sensazione che la bici vada dove vuole lei; in più, non vedo una fava, con gli occhiali bagnati; insomma, un disastro...
Al bivio per Borgo Val di Taro, in fondo alla discesa, vedo la bici di Mik appoggiata ad una provvidenziale piccola tettoia, credo una fermata del bus. Eccolo lì, mezzo ibernato. Si riparte in fretta e furia, direzione Passo del Bratello: pare incredibile, ma la pioggia smette a Borgo Val di Taro. Ci attende una salita all'asciutto: breve, facile, anche se le gambe stanno cedendo. E' un misto di rabbia e dispiacere quello che sento adesso: possibile, con tutti i km che ho già macinato quest'anno, basta un giorno e mezzo di bici ed ecco come son ridotta, uno straccio. Anche sulle pendenze più ridicole, non riesco a spingere nulla di meglio del 34x26 e, se ci provo, mi rovino letteralmente le gambe. E poi è un circolo vizioso, più ci penso, più mi arrabbio, peggio mi sento.
In cima, trovo Mik spaparanzato sulla panca, con l'aria sorniona di chi ha appena fatto due passi dopo pranzo; dobbiamo decidere il da farsi. La proposta è scendere a Pontremoli e fare almeno il Passo Cirone: da lì, decideremo se chiudere un anello oppure tornare all'auto; o meglio, lo deciderà il meteo per noi.
Da Pontremoli, saliamo un paio di km del Passo della Cisa e poi giriamo verso il Cirone. Cavoli, questa volta marca davvero male. Ho una gran fame. Mi restano due plumcake, li faccio fuori uno dopo l'altro. E' bella questa salita, bellissima, lunga, selvaggia, solo più qualche casolare dopo il primo paesello. Però non riesco a godermela, ormai la cotta sta arrivando. Si vede, più o meno, il punto in cui potrebbe esserci il colle; si vede che manca poco dislivello e pochi km; cerco di non pensarci, ma la fame non dà tregua. Le gambe sono sempre più molli, non vogliono saperne di spingere. Penso le cose più assurde: se ci fosse qualche casa, qualcuno a cui chiedere una bustina di zucchero; penso alla salita del Colle di Sampeyre dove ci sono i lamponi a primavera, già, ma questo non è il Sampeyre e comunque i lamponi sarebbero una goccia nell'oceano. Arrivo persino a considerare l'idea che i prati qui accanto sono pieni di cicoria e che, in fondo, c'è tanta gente che la cicoria la raccoglie e se la mangia... Ancora una curva, qui spiana un po', un'altra curva, poi all'improvviso vedo tutto blu. Non so come, sgancio i pedali, butto giù i piedi, appoggio la testa al manubrio. Non so se sia più la rabbia per essermi ridotta in questo stato, o la vergogna che qualcuno mi possa vedere, anche se poi, in fondo, al resto del mondo, che je frega? Resto così per qualche minuto, mi sembra che il capogiro sia un po' passato; torno a connettere, prendo il cellulare, solo per avvisare Mik che non mi è proprio più possibile salire.
Non faccio in tempo a scrivere, che lo vedo arrivare giù. Confesso che, in quel preciso istante, mi sono vergognata di esistere, quasi avessi commesso un crimine. Brucia, mamma mia se brucia quel momento, se ci penso. Sarebbe bastata ancora una merendina, o anche solo un cucchiaino di zucchero. Invece niente, il vuoto.
Giro la bici, scendo anch'io. Per i primi km, faccio fatica a tener dritta la bici; mi sembra che la testa viaggi un po' per conto suo, sento le braccia molli molli; ci sono due brevi tratti di lievissima risalita che mi sembrano lo Stelvio. La rabbia sorda che mi sta salendo dentro non aiuta, vorrei prendermi a schiaffi...
Per fortuna, Pontremoli arriva in fretta. Per oggi è finita, male, ma è finita. Gian, caccia via i pensieri neri, falla finita, niente scenate. La prossima volta però mi devo fare furba, tornare alle mie care vecchie barrette che saranno pure poco appetitose e molto costose, ma, se non altro, funzionano a dovere.
Mik propone una gelateria... Niente di meglio di una bella coppetta cioccolato e nocciola, per fugare tutte le ombre di una pessima prestazione sportiva. 160 km, 3.500 mt di dislivello, anzi, per me qualcosa in meno, e sono disfatta. Mi rifarò la prossima volta, spero. E, nonostante tutto, anche questa volta posso dire d'aver trascorso due giorni splendidi, in posti che non conoscevo e che valgono la pena di qualche ora d'auto, sì, senza dubbio.
Alla sera, dopo il mio passaggio, la dispensa di casa mia pare reduce dal flagello di tutte le piaghe d'Egitto... Il vuoto, il nulla, spazzolo tutto quel che trovo e anche di più. Meno male che mia sorella non è ancora a casa; avrebbe rischiato di restare vittima di un atto di cannibalismo! Ecco, è sempre così, tanta fatica per bruciare un po' di calorie, e poi ne reintegro il doppio...
Come al solito, grazie a Mik della compagnia e della pazienza!!! Un giorno o l'altro gli spunterà l'aureola...
lunedì 26 maggio 2008
24-25 maggio 2008: tra Liguria, Emilia e Toscana. Primo giorno.
Alle cinque del mattino, il cielo è ancora scuro; non si riesce a capire se sia solo colpa dell'ora, o della cappa di nuvole. Per ora, ci culliamo nell'illusione che la prima ipotesi sia quella buona; carichiamo bici e borse nella Y di Mik e via, si parte, destinazione Massa. Purtroppo, scorrono i minuti, i quarti d'ora, i chilometri, ma la luce è sempre la stessa; il cielo si è schiarito quel poco che basta a farci intravedere una coltre di nubi spessa, livida e minacciosa. Cominciamo bene! Il mio allegro ottimismo di ieri comincia a vacillare... E non ho nessuno contro cui recriminare; sono stata proprio io a decidere di partire comunque, nonostante le infauste previsioni del tempo. Ormai siamo in ballo, tantovale ballare; certo che, più ci avviciniamo a Genova, peggio è. Un po' di pioggia, qua e là; beh, se non altro, non sembra che abbia voglia di piovere tutto il giorno, semmai di dare qualche secchiata qua e là, che già sarebbe un buon compromesso.
Il viaggio è lungo, pigro, sonnacchioso; le innumerevoli gallerie lungo la costa mi fanno venir voglia di cuscino e calda coperta pesante... Ma insomma Gian, datti una mossa, stai andando a divertirti ed hai una cera da funerale! Sì sì, è di questo che devo convincermi; sto andando a divertirmi. E allora, chissà perché ho quest'ansia addosso!
Per fortuna insperata, verso La Spezia, il grigio piombo del cielo lascia qualche spazio di chiaro, qualche pallidissimo raggio di sole, qualche chiazza di azzurro. Siamo ormai vicini alle montagne: alte, aspre, i pendii segnati dagli squarci delle cave. Massa: ed io che ho sempre pensato che esistesse una sola città di nome Massa Carrara... La verità mi si è rivelata solo lo scorso autunno, quando sono andata a correre la Maratona di Livorno! Massa è la nostra meta. Parcheggiamo nei pressi dell'hotel dove pernotteremo questa sera. Sono quasi euforica: c'è persino il sole! Scarichiamo le bici, è tutto pronto per il via. Attendo istruzioni dal mio navigatore umano, il quale attende istruzioni dal suo navigatore elettronico: già, peccato che quest'ultimo decida oggi di fare sciopero; meno male che c'è la cara vecchia cartina stradale! Prima salita, Passo del Vestito. Non faccio in tempo a lamentarmi che la strada non sale, che in lontananza appare una rampa impressionante: non è quella, non può essere quella, si lagna Mik che poi in un attimo puntualmente sparisce come una saetta; invece sì, è quella, un paio di km di strappi niente male, è iniziata l'avventura. Mi guardo intorno meravigliata: alla mia velocità, ho tutto il tempo di osservare con calma il panorama.

E' molto diverso da quel che mi aspettavo: queste montagne hanno un aspetto aspro, selvaggio; le quote sembrano, all'apparenza, ben più alte di quelle che in realtà sono. Mik mi aspetta al bivio prima del paese di Antona; un breve tratto di falsopiano, poi la strada riprende a salire, e lui sparisce avanti. Mi sento bene, anche troppo; cerco di convincermi ad andare cauta, a spingere meno di quel che potrei, perché oggi la strada è tanta, e domani pure. Verso il fondovalle si vede la città, anche se contorni e colori non sono limpidi; davanti a me, tanta strada, montagne verdissime, il colore delle foglie reso ancor più vivo dalla pioggia abbondante. Per ora, c'è persino il sole. Nella parte alta della salita, sempre molto dolce e mai impegnativa, ci sono diverse gallerie; il paesaggio si fa via via più roccioso, cattivo, fino a sparire nell'ultima lunga galleria finale. Meno male che abbiamo le luci!

Ritrovo Mik alla fine della galleria; si scende, direzione Castelnuovo Garfagnana. Ventitrè interminabili km di discesa dolce e falsopiano: mi vengono già gli incubi, al pensiero di dover rifare questa strada al contrario, stasera! Ma in fondo è meglio non pensarci; vediamo di risolvere un problema alla volta. Già, poi il problema che sta per arrivare adesso è proprio di quelli seri! Ho sentito spesso parlare di questa famigerata salita di San Pellegrino in Alpe, o meglio, del Passo Radici da San Pellegrino: ora andrò a vedere se, sul serio, l'ascesa merita la fama minacciosa che ha.
Da Castelnuovo Garfagnana, saliamo a Castiglione ed attacchiamo il mostro. Mik annuncia che questa per oggi sarà la sua crono: non faccio in tempo a proferire sillaba in risposta, che è già sparito... E vabbuò. Io parto pian pianino, con prudenza, aspetto di capire cosa mi riserveranno questi sedici km. In effetti, all'inizio e per buona parte della salita, non ci sono pendenze insidiose; ma dov'è che è così terribile questo San Pellegrino? Eh, lo sapevo io, è sempre così, le solite esagerazioni, le solite leggende metropolitane sulle salite terribili... E mentre così medito, alzo il naso e vedo un cartello: 18%. Cappero, ho parlato, anzi pensato, troppo presto. 34x29, subito, senza appello. Porca miseriaccia che rampa! Cerco subito la traiettoria meno ripida, allargo la curva, affondo le unghie nel manubrio, pesto disperatamente quei pedali che non ne vogliono sapere di scendere... Ecco, dopo immane sforzo, finalmente spiana; ma no, non è affatto finita, dopo la prima rampa ce n'è un'altra, e un'altra, e un'altra ancora. Ma per la miseria, di questo passo arriviamo alla quota del Monte Bianco!!! Vere e proprie rasoiate nelle gambe, faccio tanta fatica, anche più del necessario. Si attraversa il paese, poi si riprende a salire, ancora duro, ma più accessibile. Intanto, pian piano, riprendo coscienza di quel che accade intorno: il cielo è tornato grigio, coperto.
Tento di riprendere sembianze umane per non arrivare troppo disfatta alla cima, dove c'è Mik in paziente attesa. Già, mentre io mi scoppiavo le coronarie su per le rampe, lui ha avuto tutto il tempo di arrivar su ed intavolare una discussione con un ciclista locale, che, saggiamente, consiglia un drastico taglio al percorso previsto per oggi. Già: quel ciclista lì mi ha sorpassata in salita, poi, sentendo le intenzioni di Mik, avrà fatto 2 + 2 ed avrà concluso: quella lì, alla fine, ci arriva domani mattina, ammesso che ci arrivi.
Sono vile, lo ammetto, ma l'idea di accorciare un po' i km mi è di grande sollievo. Non c'è niente da fare, purtroppo io sono molto lenta; per poter pensare ad un giro in montagna che superi di tanto i 200 km, devo partire al mattino appena fa chiaro, altrimenti non c'è speranza, pena il rientro a sera tardissima, con tutte le difficoltà del caso, il rischio di non poter fare cena, ecc. Incredibile, quanto il cibo diventi un pensiero ossessivo, in queste uscite così impegnative. Sembra quasi che il cervello si impegni, per difesa, in una ricerca spasmodica di pappatoria, ben prima che se ne senta effettivamente il bisogno fisico.
Da qui inizia un tratto breve di vera discesa, poi un'infinità di km di su e giù e su e giù, cosa che mi mette di pessimo umore. Il cambio fa il superlavoro, passa freneticamente tutte le possibili combinazioni, anche le più assurde dal 48x29 al 34x11, ce ne fosse una che mi va bene! Odio la strada che sale e che scende... Ho solo un ricordo confuso di nomi e di luoghi, Piandelagotti, Civago, Minozzo, Villa Minozzo, Ligonchio, ma non saprei nemmeno metterli nel giusto ordine in cui ci passiamo oggi. E' da un tratto di questa strada da incubo, che si vede in lontananza una montagna strana, perfettamente piatta e con pareti verticali, una forma che stride con il resto del paesaggio, che sembra messa lì artificialmente, per uno strano scherzo della natura. Dopo interminabili km di salita che non sale, finalmente un po' di salita che sale, verso il Passo Pradarena. Le gambe ringraziano per questo inatteso dono di pendenza regolare, finalmente. Però la fame comincia a farsi sentire davvero, senza più sconti. Ho ancora qualche merendina, ma ne sono davvero disgustata. Bisogna trovare qualcosa da metter sotto i denti, se no chi ci torna, a Massa?
La fine della salita compare quasi all'improvviso, inattesa; sarà che sono persa nelle mie preoccupazioni, il timore di non farcela, il peso della stanchezza. Anche qui, la testa gioca un ruolo importantissimo. Mi fanno molta meno paura le salite “mostro” delle mie Alpi, quelle che conosco metro per metro, che pure sono dure, ben più di queste qui; eppure oggi navigo su rotte sconosciute, non so cosa mi aspetta, ed è proprio questo che mi rende tesa, nervosa, sfiduciata.
Evidentemente Mik è in riserva come me, perché, nel primo baluardo di civiltà che incontriamo in discesa, lo vedo fermarsi e buttare l'occhio famelico su un piccolo negozio di alimentari. Ci tuffiamo dentro con l'entusiasmo di chi non tocca cibo da una settimana; ne usciamo con due panini al formaggio, due Coca ed una torta al cioccolato, confezionata, che, a stima, sembra avere una densità notevole: bene bene, è sinonimo di tante calorie!!!
Ci sediamo sul marciapiede, a mo' di profughi, sbraniamo i panini suscitando una certa curiosità agli occhi degli indigeni. Poi è la volta della torta: una splendida mattonella di cioccolato, mamma mia che sogno, dev'essere una golosità! Qui si rivela il genio dell'Ing: l'ho sempre detto io, che gli Ing sono dotati di mente superiore... Se vi si presentasse un blocco unico da mezzo kg di torta, e voi non aveste posate per tagliarlo, cosa potreste usare? Elementare Watson, i levagomme! E a cosa servono i levagomme, se non a tagliar le torte? Ecco che Mik si lancia nell'operazione chirurgica; i due terzi della torta si volatilizzano in pochi secondi. Ne resta circa un terzo, che stipo con tutta la confezione nella mia borsa da manubrio.


Ripartiamo, rifocillati e rincuorati, per l'ultima fatica della giornata. A dire la verità, la fatica per me è percorrere quei venti km circa fino a Castelnuovo Garfagnana, anche qui, continui saliscendi, strappi in salita, brevi discese, ancora strappi. Se non fosse che so di essere vicina alla fine della giornata, darei di testa qui; invece, ogni tanto, mi sforzo anche di prendere qualche risalita a suon di 48, pur con la massima attenzione a non far prendere troppi scossoni al mio prezioso dolcissimo carico.
Ecco Castelnuovo, si risale al Passo del Vestito. Il tratto iniziale della valle è impressionante, tanto è cupo: incassato in mezzo a due pareti di bosco, chiuso in alto da una coltre di nuvole che adesso è fitta e grigia. Cerco di sbrigarmi un po', la doccia mi piacerebbe farla in albergo, non qui; speriamo di arrivarci. Mik, fresco e scattante come sempre, parte e va su; io sono sempre lì, combattuta tra la voglia di forzare un po' ed arrivare in fretta in cima, e la prudenza che mi impone di andare cauta, risparmiare, perché poi c'è ancora domani. I primi dieci km sono interminabili, non salgono mai; poi, timidamente, la pendenza si fa appena un po' più seria. Guardo i segnali che indicano i km, e le nuvole sopra la testa; dai Gian, dannazione, sbrigati, che tra un po' si aprono le cateratte del cielo... Son quasi in cima quando sento arrivare alle spalle un ciclista: ma... E' Mik! Siccome sono cotta e poco in vena di scherzare, già mi vien da pensare “E che fai, pigghi puù culu??? Infierisci pure???”. Ma, come al solito, sono troppo precipitosa... Poverello, ha solo sbagliato strada!
Eccola finalmente, la galleria. Tempo di mettersi la giacca; all'uscita piove. Per fortuna, è una pioggia leggera, che non fa in tempo a bagnare l'asfalto; una volta tanto, mollo i freni e me la do a gambe, paura o non paura. Mi era sembrata molto più breve la strada, in salita... Adesso, in discesa, non finisce più! Che sollievo, vedere Massa laggiù in fondo. Ripasso Antona, poi le rampe che stamattina ho salito con fatica ed ora scendo con terrore, infine Massa, Viale Stazione, l'auto, l'albergo. 220 km, circa 4.800 mt di salita, in tutto. Quanto ho sognato una doccia calda, una pizza, un cuscino. Ed è proprio così: doccia bollente, pizza Margherita e coma profondo. Come sempre, domani è un altro giorno!
Il viaggio è lungo, pigro, sonnacchioso; le innumerevoli gallerie lungo la costa mi fanno venir voglia di cuscino e calda coperta pesante... Ma insomma Gian, datti una mossa, stai andando a divertirti ed hai una cera da funerale! Sì sì, è di questo che devo convincermi; sto andando a divertirmi. E allora, chissà perché ho quest'ansia addosso!
Per fortuna insperata, verso La Spezia, il grigio piombo del cielo lascia qualche spazio di chiaro, qualche pallidissimo raggio di sole, qualche chiazza di azzurro. Siamo ormai vicini alle montagne: alte, aspre, i pendii segnati dagli squarci delle cave. Massa: ed io che ho sempre pensato che esistesse una sola città di nome Massa Carrara... La verità mi si è rivelata solo lo scorso autunno, quando sono andata a correre la Maratona di Livorno! Massa è la nostra meta. Parcheggiamo nei pressi dell'hotel dove pernotteremo questa sera. Sono quasi euforica: c'è persino il sole! Scarichiamo le bici, è tutto pronto per il via. Attendo istruzioni dal mio navigatore umano, il quale attende istruzioni dal suo navigatore elettronico: già, peccato che quest'ultimo decida oggi di fare sciopero; meno male che c'è la cara vecchia cartina stradale! Prima salita, Passo del Vestito. Non faccio in tempo a lamentarmi che la strada non sale, che in lontananza appare una rampa impressionante: non è quella, non può essere quella, si lagna Mik che poi in un attimo puntualmente sparisce come una saetta; invece sì, è quella, un paio di km di strappi niente male, è iniziata l'avventura. Mi guardo intorno meravigliata: alla mia velocità, ho tutto il tempo di osservare con calma il panorama.
E' molto diverso da quel che mi aspettavo: queste montagne hanno un aspetto aspro, selvaggio; le quote sembrano, all'apparenza, ben più alte di quelle che in realtà sono. Mik mi aspetta al bivio prima del paese di Antona; un breve tratto di falsopiano, poi la strada riprende a salire, e lui sparisce avanti. Mi sento bene, anche troppo; cerco di convincermi ad andare cauta, a spingere meno di quel che potrei, perché oggi la strada è tanta, e domani pure. Verso il fondovalle si vede la città, anche se contorni e colori non sono limpidi; davanti a me, tanta strada, montagne verdissime, il colore delle foglie reso ancor più vivo dalla pioggia abbondante. Per ora, c'è persino il sole. Nella parte alta della salita, sempre molto dolce e mai impegnativa, ci sono diverse gallerie; il paesaggio si fa via via più roccioso, cattivo, fino a sparire nell'ultima lunga galleria finale. Meno male che abbiamo le luci!
Ritrovo Mik alla fine della galleria; si scende, direzione Castelnuovo Garfagnana. Ventitrè interminabili km di discesa dolce e falsopiano: mi vengono già gli incubi, al pensiero di dover rifare questa strada al contrario, stasera! Ma in fondo è meglio non pensarci; vediamo di risolvere un problema alla volta. Già, poi il problema che sta per arrivare adesso è proprio di quelli seri! Ho sentito spesso parlare di questa famigerata salita di San Pellegrino in Alpe, o meglio, del Passo Radici da San Pellegrino: ora andrò a vedere se, sul serio, l'ascesa merita la fama minacciosa che ha.
Da Castelnuovo Garfagnana, saliamo a Castiglione ed attacchiamo il mostro. Mik annuncia che questa per oggi sarà la sua crono: non faccio in tempo a proferire sillaba in risposta, che è già sparito... E vabbuò. Io parto pian pianino, con prudenza, aspetto di capire cosa mi riserveranno questi sedici km. In effetti, all'inizio e per buona parte della salita, non ci sono pendenze insidiose; ma dov'è che è così terribile questo San Pellegrino? Eh, lo sapevo io, è sempre così, le solite esagerazioni, le solite leggende metropolitane sulle salite terribili... E mentre così medito, alzo il naso e vedo un cartello: 18%. Cappero, ho parlato, anzi pensato, troppo presto. 34x29, subito, senza appello. Porca miseriaccia che rampa! Cerco subito la traiettoria meno ripida, allargo la curva, affondo le unghie nel manubrio, pesto disperatamente quei pedali che non ne vogliono sapere di scendere... Ecco, dopo immane sforzo, finalmente spiana; ma no, non è affatto finita, dopo la prima rampa ce n'è un'altra, e un'altra, e un'altra ancora. Ma per la miseria, di questo passo arriviamo alla quota del Monte Bianco!!! Vere e proprie rasoiate nelle gambe, faccio tanta fatica, anche più del necessario. Si attraversa il paese, poi si riprende a salire, ancora duro, ma più accessibile. Intanto, pian piano, riprendo coscienza di quel che accade intorno: il cielo è tornato grigio, coperto.
Tento di riprendere sembianze umane per non arrivare troppo disfatta alla cima, dove c'è Mik in paziente attesa. Già, mentre io mi scoppiavo le coronarie su per le rampe, lui ha avuto tutto il tempo di arrivar su ed intavolare una discussione con un ciclista locale, che, saggiamente, consiglia un drastico taglio al percorso previsto per oggi. Già: quel ciclista lì mi ha sorpassata in salita, poi, sentendo le intenzioni di Mik, avrà fatto 2 + 2 ed avrà concluso: quella lì, alla fine, ci arriva domani mattina, ammesso che ci arrivi.
Sono vile, lo ammetto, ma l'idea di accorciare un po' i km mi è di grande sollievo. Non c'è niente da fare, purtroppo io sono molto lenta; per poter pensare ad un giro in montagna che superi di tanto i 200 km, devo partire al mattino appena fa chiaro, altrimenti non c'è speranza, pena il rientro a sera tardissima, con tutte le difficoltà del caso, il rischio di non poter fare cena, ecc. Incredibile, quanto il cibo diventi un pensiero ossessivo, in queste uscite così impegnative. Sembra quasi che il cervello si impegni, per difesa, in una ricerca spasmodica di pappatoria, ben prima che se ne senta effettivamente il bisogno fisico.
Da qui inizia un tratto breve di vera discesa, poi un'infinità di km di su e giù e su e giù, cosa che mi mette di pessimo umore. Il cambio fa il superlavoro, passa freneticamente tutte le possibili combinazioni, anche le più assurde dal 48x29 al 34x11, ce ne fosse una che mi va bene! Odio la strada che sale e che scende... Ho solo un ricordo confuso di nomi e di luoghi, Piandelagotti, Civago, Minozzo, Villa Minozzo, Ligonchio, ma non saprei nemmeno metterli nel giusto ordine in cui ci passiamo oggi. E' da un tratto di questa strada da incubo, che si vede in lontananza una montagna strana, perfettamente piatta e con pareti verticali, una forma che stride con il resto del paesaggio, che sembra messa lì artificialmente, per uno strano scherzo della natura. Dopo interminabili km di salita che non sale, finalmente un po' di salita che sale, verso il Passo Pradarena. Le gambe ringraziano per questo inatteso dono di pendenza regolare, finalmente. Però la fame comincia a farsi sentire davvero, senza più sconti. Ho ancora qualche merendina, ma ne sono davvero disgustata. Bisogna trovare qualcosa da metter sotto i denti, se no chi ci torna, a Massa?
La fine della salita compare quasi all'improvviso, inattesa; sarà che sono persa nelle mie preoccupazioni, il timore di non farcela, il peso della stanchezza. Anche qui, la testa gioca un ruolo importantissimo. Mi fanno molta meno paura le salite “mostro” delle mie Alpi, quelle che conosco metro per metro, che pure sono dure, ben più di queste qui; eppure oggi navigo su rotte sconosciute, non so cosa mi aspetta, ed è proprio questo che mi rende tesa, nervosa, sfiduciata.
Evidentemente Mik è in riserva come me, perché, nel primo baluardo di civiltà che incontriamo in discesa, lo vedo fermarsi e buttare l'occhio famelico su un piccolo negozio di alimentari. Ci tuffiamo dentro con l'entusiasmo di chi non tocca cibo da una settimana; ne usciamo con due panini al formaggio, due Coca ed una torta al cioccolato, confezionata, che, a stima, sembra avere una densità notevole: bene bene, è sinonimo di tante calorie!!!
Ci sediamo sul marciapiede, a mo' di profughi, sbraniamo i panini suscitando una certa curiosità agli occhi degli indigeni. Poi è la volta della torta: una splendida mattonella di cioccolato, mamma mia che sogno, dev'essere una golosità! Qui si rivela il genio dell'Ing: l'ho sempre detto io, che gli Ing sono dotati di mente superiore... Se vi si presentasse un blocco unico da mezzo kg di torta, e voi non aveste posate per tagliarlo, cosa potreste usare? Elementare Watson, i levagomme! E a cosa servono i levagomme, se non a tagliar le torte? Ecco che Mik si lancia nell'operazione chirurgica; i due terzi della torta si volatilizzano in pochi secondi. Ne resta circa un terzo, che stipo con tutta la confezione nella mia borsa da manubrio.
Ripartiamo, rifocillati e rincuorati, per l'ultima fatica della giornata. A dire la verità, la fatica per me è percorrere quei venti km circa fino a Castelnuovo Garfagnana, anche qui, continui saliscendi, strappi in salita, brevi discese, ancora strappi. Se non fosse che so di essere vicina alla fine della giornata, darei di testa qui; invece, ogni tanto, mi sforzo anche di prendere qualche risalita a suon di 48, pur con la massima attenzione a non far prendere troppi scossoni al mio prezioso dolcissimo carico.
Ecco Castelnuovo, si risale al Passo del Vestito. Il tratto iniziale della valle è impressionante, tanto è cupo: incassato in mezzo a due pareti di bosco, chiuso in alto da una coltre di nuvole che adesso è fitta e grigia. Cerco di sbrigarmi un po', la doccia mi piacerebbe farla in albergo, non qui; speriamo di arrivarci. Mik, fresco e scattante come sempre, parte e va su; io sono sempre lì, combattuta tra la voglia di forzare un po' ed arrivare in fretta in cima, e la prudenza che mi impone di andare cauta, risparmiare, perché poi c'è ancora domani. I primi dieci km sono interminabili, non salgono mai; poi, timidamente, la pendenza si fa appena un po' più seria. Guardo i segnali che indicano i km, e le nuvole sopra la testa; dai Gian, dannazione, sbrigati, che tra un po' si aprono le cateratte del cielo... Son quasi in cima quando sento arrivare alle spalle un ciclista: ma... E' Mik! Siccome sono cotta e poco in vena di scherzare, già mi vien da pensare “E che fai, pigghi puù culu??? Infierisci pure???”. Ma, come al solito, sono troppo precipitosa... Poverello, ha solo sbagliato strada!
Eccola finalmente, la galleria. Tempo di mettersi la giacca; all'uscita piove. Per fortuna, è una pioggia leggera, che non fa in tempo a bagnare l'asfalto; una volta tanto, mollo i freni e me la do a gambe, paura o non paura. Mi era sembrata molto più breve la strada, in salita... Adesso, in discesa, non finisce più! Che sollievo, vedere Massa laggiù in fondo. Ripasso Antona, poi le rampe che stamattina ho salito con fatica ed ora scendo con terrore, infine Massa, Viale Stazione, l'auto, l'albergo. 220 km, circa 4.800 mt di salita, in tutto. Quanto ho sognato una doccia calda, una pizza, un cuscino. Ed è proprio così: doccia bollente, pizza Margherita e coma profondo. Come sempre, domani è un altro giorno!
mercoledì 21 maggio 2008
18 maggio 2008 - Granfondo Nove Colli
Capita di rado che io abbia così poca voglia di fare qualcosa di ciclistico: la Nove Colli è stata una di queste occasioni. Già dalla settimana prima, il pensiero di dover partire, andare fino a Cesenatico, correre quei 200 km e tornare in un viaggio eterno in auto mi faceva storcere il naso. Beh, non è che qualcuno mi abbia puntato il fucile alla schiena, per carità; il fatto è che la mia squadra richiede la partecipazione ad almeno 10 granfondo entro un certo elenco e, purtroppo, sono poche, in quell'elenco, le GF che piacciono a me. La Nove Colli l'ho scelta come uno dei mali minori; però, già la ricordavo con poco entusiasmo dall'anno scorso. Intendiamoci, è una manifestazione monumentale, organizzata in modo eccellente in ogni aspetto, con attenzione a tutti i particolari e con grande passione; da questo punto di vista, di certo è una delle migliori, se non la migliore, tra quelle in cui mi sono cimentata negli anni. Il guaio è che il percorso è poco adatto a me; è molto veloce, ha lunghi tratti in pianura all'inizio ed alla fine, offre salite brevi e quasi sempre facili da "saltare" una dopo l'altra: purtroppo però i paracarri non saltano, quindi io arranco e basta.
Per fortuna, il viaggio di andata vola via in fretta, in compagnia di Alessandro, uno dei miei compagni di squadra: si chiacchiera, si scherza. Lo accompagno all'albergo dov'è alloggiata la Jolly e recupero il mio numero di gara; poi però, siccome io sono un'asociale e detesto gli alberghi, me ne vado al campeggio e piazzo la mia fida tenda in una piazzola sotto i pini marittimi, approfittando di una tregua del maltempo - già, dimenticavo, ci vorrebbero le pinne, dall'acqua che è già venuta giù oggi. Ma non me ne importa un fico secco, avrei poca voglia di essere qui anche se splendesse il sole. Alle otto, sbafo la mia solita cena "da trasferta" a base di pizza del panettiere, poi mi imbosco nel sacco a pelo e via, nanna. Già, magari... Poco dopo mi sveglia il volume della TV dei vicini di piazzola, che pensano bene di piazzarsi tutti quanti a guardare un programma idiota ed a fare commenti ancora più idioti a volume ancora più alto. Questo, fin quasi a mezzanotte... In più, come se non bastasse, ho avuto la folgorazione: il borsellino sottosella, con la camera d'aria di ricambio e le levette per togliere il copertone, è rimasto sull'altra bici... A CASA!!! Abbatto uno ad uno i santi del calendario, con mira degna di un cecchino... Ma che ci posso fare? Inutile che mi inalberi, per non dire che m'incaXXi, tanto ormai la frittata è fatta! A quest'ora non c'è più alcuna possibilità di rimediare un borsellino; domattina sarà la stessa storia; dormi Gian... E spera domani di non bucare, che sennò sei panata!
Alla fine probabilmente, non so come, mi addormento... Dopo le solite mille interruzioni del sonno per via dei crampi nelle gambe - ma non mi lamento, va bene che vengano di notte, basta che non si presentino quando pedalo!!! - alla fine suona proprio la sveglia. Son le 4... No, ancora 5 minuti, dai, tanto la maledetta lo sa, suonerà ancora. Alla fine mi tocca proprio uscire dal bozzolo. Per fortuna non fa freddo!
Mi vesto nella penombra della tenda, con un po' di luce fioca del lampione; faccio colazione a base di plumcake ed un etto di Ritter al wafer - fantastico... Preparo la bici, senza borsellino, e via, verso Cesenatico e la partenza. Sono le cinque e mezza quando arrivo in griglia; davanti a me c'è già mezzo mondo. L'altra metà, nel giro di pochissimo tempo, arriva dietro.
Il cielo è livido, sembra ancora notte anche se sono quasi le sei; sono incerta se tenere la giacca impermeabile o no. Il guaio è che fa caldo; so già che non la sopporterò in corsa.
Di solito, a questo punto, mi coglie l'angoscia. Oggi invece no: non faccio che sbadigliare. Guardo le altre bici, cerco conforto, chissà mai che qualcun altro abbia dimenticato il ricambio della camera... Ma no, ce l'hanno tutti. Maremmazzozza.
All'improvviso, gran fragore di pedali agganciati... Però nessuno si muove. OK, è la partenza, ma son partiti quelli davanti! Prima che tocchi a noi delle retrovie, ce ne vorrà, di tempo... Mettiamoci pure comodi. Intanto prendo una decisione, levo la giacca e la butto nel borsello da manubrio, già colmo di brioches e barrettone Power Sport. Non si chiude più... E vabbuò, pazienza, che stia pure mezzo aperto.
Alla fine si parte. Pronti via, adesso devo cercare di non cuocermi per i primi 25 km di pianura, o giù di lì. Pesto come una forsennata sui pedali, ma mi guardo bene dal cercare una ruota a cui attaccarmi. Inutile, è più forte di me; già fare il treno mi crea ansia enorme quando davanti a me c'è qualcuno che conosco e di cui mi fido; figuriamoci poi se mi devo attaccare a qualcuno che non so come pedala... No no, è mille volte più faticoso ed angoscioso stare a ruota che non stare davanti a tirare. Io devo solo cercare di resistere fino alla prima salita. Curioso, però, che ci sia gente che si attacca alla mia, di ruota... Ma possibile che ci sia qualche ciclista tanto scarso? E poi io ne farei volentieri a meno, vorrei essere libera di aggrapparmi ai freni come e quando mi pare. Oh senti Gian, cavoli loro, non gliel'ha chiesto nessuno di mettersi a ruota. Se poi cascano, son tutti casi loro, e spero di non cascare anch'io.
Rotonde dietro rotonde, le affronto con la massima cautela; il mio zigomo non ha smesso di far male, dopo la botta di gennaio proprio sul cordolo... Vediamo di non fare il bis! Piove, prima sosta a metter la giacca; attacco finalmente la prima salita, altra sosta per svestirmi. Ecco, questa è una delle cose che odio. Ma insomma, Giove Pluvio non può decidersi? O sole, oppure pioggia, una delle due, ma che sia quella per tutta la giornata, e che diamine! Se no, metti togli metti togli, non la finiamo più!
Mamma mia che fiacca. Chiamarla salita, questa, è un parolone; eppure le gambe non vanno avanti. Sono durissime. Ed io sono fiacca, tanto fiacca. Lo so lo so, siamo sempre lì, la parola "riposo" non sempre è una bestemmia... Mi passano più o meno tutti, fino al punto in cui non mettiamo tutti quanti il piede a terra. Ecco, se ancora avevo un barlume di entusiasmo, in questo momento ogni minima traccia sparisce. Una bella rampa, tutta fatta a piedi, a passo di lumaca, in mezzo alla calca. Minuti eterni, improperi irripetibili. In cima, si sale, si pedala un po', poi idem cum patate, solo che stavolta il tratto da fare a piedi è ancora più lungo. Fuori uno, il Polenta, poi un lungo tratto di saliscendi in mezzo a troppa gente e con troppo nervoso addosso. Mamma mia, che stanchezza, neanche fossi reduce dalle fatiche di Ercole. E che sonno. Oggi mi sa che non arrivo.
Altra salita, Pieve di Rivoschio, altra sofferenza. I muscoli delle gambe sono proprio duri, non riesco a spingere, uso rapporti ridicoli su pendenze ridicole. Non è possibile, mannaggia la miseria, ma è come se non avessi mai pedalato fino ad oggi, e invece son quasi a ottomila km da gennaio! Per ora non piove, o meglio, solo qualche goccia ogni tanto. Ho già visitato i ristori: sono sempre a caccia di Coca Cola e caffè!
Altra salita facile, il Ciola. Mi manda in bestia il fatto che salgano tutti come camosci, mentre io son qui piantata come se avessi la zavorra. Beh, in effetti una bella zavorra naturale ce l'ho, non posso negarlo!
Passato il Ciola, arriva il tanto temuto Barbotto, che in realtà non è niente di tremendo: sì, vabbè, ha qualche tratto con pendenza a doppia cifra, ma è pur sempre meno di cinque km! Ecco, mi sento meglio lì che altrove, e poi il mio 34x29 non teme nulla o quasi. Quanti applausi a bordo strada!
Dopo il Barbotto, il bivio tra i percorsi medio e lungo: di lì in poi, il deserto. La paura della pioggia ha decimato gli aspiranti al giro da 200 km. Bah, non capisco, nemmeno si andasse su a chissà quale quota... Giro a destra, visito di fretta un altro ristoro, poi via verso il Monte Tiffi. Se non ricordo male, è proprio qui che incrociamo i primi del lungo, che son già lanciati verso Cesenatico! Porca paletta, che moto... Breve salita al Monte Tiffi, poi al Perticara, dove il cielo nero mette in atto una volta per tutte la sua minaccia. Si aprono le cateratte!!! Mi fermo, infilo la giacca, riparto. Non so bene perché, forse è un effetto placebo, ma il freddo dell'acqua sembra risvegliare un po' le mie gambe ormai irrigidite. Procedo benino, tra gli improperi di chi non ama questa doccia fuori programma. In discesa vado con somma cautela, freno dolcemente, cerco di asciugare i cerchi, anche se non è facile sotto questi scrosci. Scendo davvero piano, quasi a passo d'uomo, ma va benissimo così, tanto per oggi al podio ho deciso che rinuncio... :-D
D'improvviso com'era venuta, la pioggia se ne va. A Monte Pugliano si sale all'asciutto; così posso poi godermi lo scorcio più bello di tutta la GF, quello che già l'anno scorso m'era rimasto impresso per la sua imponenza, la rocca di San Leo. Ancora due fatiche, il brevissimo Passo delle Siepi ed il Gorolo. Però, prima del Gorolo, un tratto per me interminabile di pianura. Anche qui, sono da sola; adesso sì, qualche ruota la prenderei anche, il guaio è che non riesco. Mi passano tutti al doppio della mia velocità! Ad un tratto, un'anima buona pensa bene di spingermi fino al gruppo davanti: io sto pedalando come una forsennata, ma con il 48x13 giro a vuoto! Cavoli, che vergogna, l'unica ciclista al mondo che si fa spingere in pianura.
L'inizio del Gorolo è una vera liberazione. Duro, anche questo, nella parte finale, ma tanto tanto corto: sono quattro km e mezzo. Ok, sopravviverò. La rampa finale si vede proprio davanti al naso, come incollata al pendio: però passa in fretta, dài Gian, adesso muoviti che quest'incubo sta per finire. Discesa, via verso Cesenatico. Quasi mi stupisco di come riesco a tirare bene, ovviamente sempre nei limiti delle mie scarse possibilità, proprio in quegli orrendi e piattissimi km che l'anno scorso ho sofferto da matti. Anzi, quasi quasi mi sembra che quest'anno la pianura sia più breve... Si vede già quell'aborto architettonico che è il grattacielo di Cesenatico!
Ancora due cavalcavia ed è fatta, ecco l'arrivo, in mezzo a quattro gatti, quei pochi che son rimasti in fondo con me. Peccato che a consegnare le medaglie ci siano solo delle belle gnocche... Invoco la par condicio!
Il pasta party è pantagruelico, ma io mi accontento di trangugiare un piatto di pasta a mò di pitone, poi via a Zadina, al campeggio: devo ancora levar la tenda, fare la doccia e recuperare il mio compagno di viaggio, che ha già finito la corsa da quasi due ore. Eccezionale l'ospitalità romagnola, anche al campeggio: sono simpaticissimi i gestori! Carico la Opel, riparto, si va a casa, con la compagnia di qualche scroscio d'acqua. Anche stavolta mi sono guadagnata la pagnotta... Ma anche stavolta non ho assaggiato la piadina!
Per fortuna, il viaggio di andata vola via in fretta, in compagnia di Alessandro, uno dei miei compagni di squadra: si chiacchiera, si scherza. Lo accompagno all'albergo dov'è alloggiata la Jolly e recupero il mio numero di gara; poi però, siccome io sono un'asociale e detesto gli alberghi, me ne vado al campeggio e piazzo la mia fida tenda in una piazzola sotto i pini marittimi, approfittando di una tregua del maltempo - già, dimenticavo, ci vorrebbero le pinne, dall'acqua che è già venuta giù oggi. Ma non me ne importa un fico secco, avrei poca voglia di essere qui anche se splendesse il sole. Alle otto, sbafo la mia solita cena "da trasferta" a base di pizza del panettiere, poi mi imbosco nel sacco a pelo e via, nanna. Già, magari... Poco dopo mi sveglia il volume della TV dei vicini di piazzola, che pensano bene di piazzarsi tutti quanti a guardare un programma idiota ed a fare commenti ancora più idioti a volume ancora più alto. Questo, fin quasi a mezzanotte... In più, come se non bastasse, ho avuto la folgorazione: il borsellino sottosella, con la camera d'aria di ricambio e le levette per togliere il copertone, è rimasto sull'altra bici... A CASA!!! Abbatto uno ad uno i santi del calendario, con mira degna di un cecchino... Ma che ci posso fare? Inutile che mi inalberi, per non dire che m'incaXXi, tanto ormai la frittata è fatta! A quest'ora non c'è più alcuna possibilità di rimediare un borsellino; domattina sarà la stessa storia; dormi Gian... E spera domani di non bucare, che sennò sei panata!
Alla fine probabilmente, non so come, mi addormento... Dopo le solite mille interruzioni del sonno per via dei crampi nelle gambe - ma non mi lamento, va bene che vengano di notte, basta che non si presentino quando pedalo!!! - alla fine suona proprio la sveglia. Son le 4... No, ancora 5 minuti, dai, tanto la maledetta lo sa, suonerà ancora. Alla fine mi tocca proprio uscire dal bozzolo. Per fortuna non fa freddo!
Mi vesto nella penombra della tenda, con un po' di luce fioca del lampione; faccio colazione a base di plumcake ed un etto di Ritter al wafer - fantastico... Preparo la bici, senza borsellino, e via, verso Cesenatico e la partenza. Sono le cinque e mezza quando arrivo in griglia; davanti a me c'è già mezzo mondo. L'altra metà, nel giro di pochissimo tempo, arriva dietro.
Il cielo è livido, sembra ancora notte anche se sono quasi le sei; sono incerta se tenere la giacca impermeabile o no. Il guaio è che fa caldo; so già che non la sopporterò in corsa.
Di solito, a questo punto, mi coglie l'angoscia. Oggi invece no: non faccio che sbadigliare. Guardo le altre bici, cerco conforto, chissà mai che qualcun altro abbia dimenticato il ricambio della camera... Ma no, ce l'hanno tutti. Maremmazzozza.
All'improvviso, gran fragore di pedali agganciati... Però nessuno si muove. OK, è la partenza, ma son partiti quelli davanti! Prima che tocchi a noi delle retrovie, ce ne vorrà, di tempo... Mettiamoci pure comodi. Intanto prendo una decisione, levo la giacca e la butto nel borsello da manubrio, già colmo di brioches e barrettone Power Sport. Non si chiude più... E vabbuò, pazienza, che stia pure mezzo aperto.
Alla fine si parte. Pronti via, adesso devo cercare di non cuocermi per i primi 25 km di pianura, o giù di lì. Pesto come una forsennata sui pedali, ma mi guardo bene dal cercare una ruota a cui attaccarmi. Inutile, è più forte di me; già fare il treno mi crea ansia enorme quando davanti a me c'è qualcuno che conosco e di cui mi fido; figuriamoci poi se mi devo attaccare a qualcuno che non so come pedala... No no, è mille volte più faticoso ed angoscioso stare a ruota che non stare davanti a tirare. Io devo solo cercare di resistere fino alla prima salita. Curioso, però, che ci sia gente che si attacca alla mia, di ruota... Ma possibile che ci sia qualche ciclista tanto scarso? E poi io ne farei volentieri a meno, vorrei essere libera di aggrapparmi ai freni come e quando mi pare. Oh senti Gian, cavoli loro, non gliel'ha chiesto nessuno di mettersi a ruota. Se poi cascano, son tutti casi loro, e spero di non cascare anch'io.
Rotonde dietro rotonde, le affronto con la massima cautela; il mio zigomo non ha smesso di far male, dopo la botta di gennaio proprio sul cordolo... Vediamo di non fare il bis! Piove, prima sosta a metter la giacca; attacco finalmente la prima salita, altra sosta per svestirmi. Ecco, questa è una delle cose che odio. Ma insomma, Giove Pluvio non può decidersi? O sole, oppure pioggia, una delle due, ma che sia quella per tutta la giornata, e che diamine! Se no, metti togli metti togli, non la finiamo più!
Mamma mia che fiacca. Chiamarla salita, questa, è un parolone; eppure le gambe non vanno avanti. Sono durissime. Ed io sono fiacca, tanto fiacca. Lo so lo so, siamo sempre lì, la parola "riposo" non sempre è una bestemmia... Mi passano più o meno tutti, fino al punto in cui non mettiamo tutti quanti il piede a terra. Ecco, se ancora avevo un barlume di entusiasmo, in questo momento ogni minima traccia sparisce. Una bella rampa, tutta fatta a piedi, a passo di lumaca, in mezzo alla calca. Minuti eterni, improperi irripetibili. In cima, si sale, si pedala un po', poi idem cum patate, solo che stavolta il tratto da fare a piedi è ancora più lungo. Fuori uno, il Polenta, poi un lungo tratto di saliscendi in mezzo a troppa gente e con troppo nervoso addosso. Mamma mia, che stanchezza, neanche fossi reduce dalle fatiche di Ercole. E che sonno. Oggi mi sa che non arrivo.
Altra salita, Pieve di Rivoschio, altra sofferenza. I muscoli delle gambe sono proprio duri, non riesco a spingere, uso rapporti ridicoli su pendenze ridicole. Non è possibile, mannaggia la miseria, ma è come se non avessi mai pedalato fino ad oggi, e invece son quasi a ottomila km da gennaio! Per ora non piove, o meglio, solo qualche goccia ogni tanto. Ho già visitato i ristori: sono sempre a caccia di Coca Cola e caffè!
Altra salita facile, il Ciola. Mi manda in bestia il fatto che salgano tutti come camosci, mentre io son qui piantata come se avessi la zavorra. Beh, in effetti una bella zavorra naturale ce l'ho, non posso negarlo!
Passato il Ciola, arriva il tanto temuto Barbotto, che in realtà non è niente di tremendo: sì, vabbè, ha qualche tratto con pendenza a doppia cifra, ma è pur sempre meno di cinque km! Ecco, mi sento meglio lì che altrove, e poi il mio 34x29 non teme nulla o quasi. Quanti applausi a bordo strada!
Dopo il Barbotto, il bivio tra i percorsi medio e lungo: di lì in poi, il deserto. La paura della pioggia ha decimato gli aspiranti al giro da 200 km. Bah, non capisco, nemmeno si andasse su a chissà quale quota... Giro a destra, visito di fretta un altro ristoro, poi via verso il Monte Tiffi. Se non ricordo male, è proprio qui che incrociamo i primi del lungo, che son già lanciati verso Cesenatico! Porca paletta, che moto... Breve salita al Monte Tiffi, poi al Perticara, dove il cielo nero mette in atto una volta per tutte la sua minaccia. Si aprono le cateratte!!! Mi fermo, infilo la giacca, riparto. Non so bene perché, forse è un effetto placebo, ma il freddo dell'acqua sembra risvegliare un po' le mie gambe ormai irrigidite. Procedo benino, tra gli improperi di chi non ama questa doccia fuori programma. In discesa vado con somma cautela, freno dolcemente, cerco di asciugare i cerchi, anche se non è facile sotto questi scrosci. Scendo davvero piano, quasi a passo d'uomo, ma va benissimo così, tanto per oggi al podio ho deciso che rinuncio... :-D
D'improvviso com'era venuta, la pioggia se ne va. A Monte Pugliano si sale all'asciutto; così posso poi godermi lo scorcio più bello di tutta la GF, quello che già l'anno scorso m'era rimasto impresso per la sua imponenza, la rocca di San Leo. Ancora due fatiche, il brevissimo Passo delle Siepi ed il Gorolo. Però, prima del Gorolo, un tratto per me interminabile di pianura. Anche qui, sono da sola; adesso sì, qualche ruota la prenderei anche, il guaio è che non riesco. Mi passano tutti al doppio della mia velocità! Ad un tratto, un'anima buona pensa bene di spingermi fino al gruppo davanti: io sto pedalando come una forsennata, ma con il 48x13 giro a vuoto! Cavoli, che vergogna, l'unica ciclista al mondo che si fa spingere in pianura.
L'inizio del Gorolo è una vera liberazione. Duro, anche questo, nella parte finale, ma tanto tanto corto: sono quattro km e mezzo. Ok, sopravviverò. La rampa finale si vede proprio davanti al naso, come incollata al pendio: però passa in fretta, dài Gian, adesso muoviti che quest'incubo sta per finire. Discesa, via verso Cesenatico. Quasi mi stupisco di come riesco a tirare bene, ovviamente sempre nei limiti delle mie scarse possibilità, proprio in quegli orrendi e piattissimi km che l'anno scorso ho sofferto da matti. Anzi, quasi quasi mi sembra che quest'anno la pianura sia più breve... Si vede già quell'aborto architettonico che è il grattacielo di Cesenatico!
Ancora due cavalcavia ed è fatta, ecco l'arrivo, in mezzo a quattro gatti, quei pochi che son rimasti in fondo con me. Peccato che a consegnare le medaglie ci siano solo delle belle gnocche... Invoco la par condicio!
Il pasta party è pantagruelico, ma io mi accontento di trangugiare un piatto di pasta a mò di pitone, poi via a Zadina, al campeggio: devo ancora levar la tenda, fare la doccia e recuperare il mio compagno di viaggio, che ha già finito la corsa da quasi due ore. Eccezionale l'ospitalità romagnola, anche al campeggio: sono simpaticissimi i gestori! Carico la Opel, riparto, si va a casa, con la compagnia di qualche scroscio d'acqua. Anche stavolta mi sono guadagnata la pagnotta... Ma anche stavolta non ho assaggiato la piadina!
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